Nota
dell'Autrice:
Gustav Klaus Wolfgang
Schäfer e Georg Moritz Hagen Listing appartengono ovviamente a
me e me sola e a
nessun altro, mentre Bill e Tom Kaulitz appartengono liberamente a se
stessi
(o, volendo, rispettivamente ad Ale e Ali XD).
Oh,
come amo sognare…
Passando
alla serietà:
Con
questo mio scritto, pubblicato senza
alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del
carattere di questa persona, né offenderla in alcun modo.
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Dedicata
ovviamente a quell'Angelo del Sesso di Gustav, che mi ha fatta
innamorare come una ragazzina alla prima cotta.
Grazie di
esistere.
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There ought to be a
time
That we can set aside
To show just how much we love you
And I'm sure you will agree
It couldn't fit more perfectly
Than to have a world party
On the day you came to
be
Happy birthday to you
Happy birthday to you
Happy birthday
(Stevie Wonder, Happy
Birthday)
***
“L’incendio non
funzionerà mai.”
“Tornado?”
“Sfortunatamente ci
troviamo nell’unico degli Stati Uniti
che non ha mai visto tornado.”
“C’è
sempre una prima volta.”
“Perché non
un’invasione di cavallette?”
“Sì, e magari poi anche l’acqua che
diventa sangue… Che idea scema, Bill!”
“Oh, Tom, stai zitto,
l’incendio era un’idea anche più
scema!”
“Buoni, Kaulitz, buoni, qui
la situazione è critica.”
Georg bevve una generosa sorsata di
aranciata e posò il
bicchiere sul bancone della cucina del bus con fare grave, Bill e Tom
ai suoi
lati che si guardavano truci, lanciandosi fulmini e saette con gli
occhi.
La questione centrale della riunione
quasi plenaria dei
Tokio Hotel (quasi,
poiché il
componente mancante era parte integrante dell’Ordine del
Giorno) consisteva in
una delle piaghe più complesse ed estenuanti che li avesse
afflitti negli
ultimi anni: il compleanno di Gustav.
Stupire Gustav Schäfer
poteva genericamente definirsi una mission
impossible a tutti gli effetti –
tant’era che ormai da tempo avevano tutti quanti umilmente
rinunciato a fargli
improvvisate di qualunque tipo – ma, al diavolo, un ventesimo
compleanno non
era mica cosa da tutti i giorni. Abbandonare la cosiddetta teenage era
un evento
unico, capitava una sola volta nella vita, e il Gran Consiglio
(costituito da
Georg, i due Kaulitz e dei David e Benjamin del tutto privi di fede)
aveva
democraticamente decretato un paio di giorni prima che dovevano
assolutamente
riuscire a fare in modo che Gustav restasse a bocca aperta davanti alla
festa a
sorpresa (che di fatto poteva considerarsi ben poco a sorpresa, visto
che era
un rito piuttosto regolare, trattandosi di una ricorrenza annua ben
precisa), e
ora, stabilito ciò, restava solamente un minuscolo e quasi
trascurabile
dettaglio marginale da sistemare: come stupire il festeggiato.
Al momento il punto in discussione
era la scusa da usare per
tenere Gustav lontano dalla sua stanza di hotel abbastanza a lungo da
poter
organizzare qualcosa di decente prima del suo rientro.
Non avevano ancora pensato a cosa
organizzare, ma quello
infondo era solamente un altro dettaglio minuscolo e quasi
trascurabile, che si
univa ad un terzo dettaglio, altrettanto minuscolo ed ancor
più trascurabile: il
giorno del compleanno di Gustav sarebbe scattato tra circa venticinque
minuti.
“Possiamo fare una festa
intercontinentale, con i suoi
genitori e sua sorella in videoconferenza!”
suggerì Bill, deliziosamente
avvolto in un grembiulino rosa tutto volant e pois saltato fuori da
chissà dove,
mescolando in modo pateticamente moscio il facsimile della copia del
ricalco di
qualcosa che avrebbe dovuto almeno ricordare un impasto di torta al
cioccolato.
Il perché, poi, quel
supposto impasto al cioccolato avesse
una strana ed inquietante colorazione rossastra, nessuno lo voleva
sapere.
“L’idea
è buona,” disse Tom, eccedendo di sarcasmo nelle
stesse quantità con cui stava eccedendo di cannella nella
sottospecie di
cemento beige che tentava di spacciare per glassa. “Li offri
tu i duemila euro
che spenderemmo per tenere aperta la comunicazione per qualche
oretta?”
La matura risposta di Bill fu
un’amorevole carezza fraterna
condita con pastella collosa dal nauseabondo odore di fragola,
causandogli una
crisi isterica.
“Bill,” fece
Georg con una smorfia di disgusto. “Che diavolo
ci hai messo lì dentro? Doveva sapere di
cioccolato!”
Bill sfoggiò uno dei suoi
collaudati sguardi da angelo senza
colpe e peccati:
“Vi ricordate quel
bellissimo colorante alimentare rosso che
avevo visto al supermercato?”
“Quello che ti avevamo severamente vietato di
comprare?” chiese Tom, già
sapendo quanto fosse inutile una simile domanda.
“Sì,”
disse Bill serafico. “Ho pensato che con il cioccolato
fondente nero e la glassa bianca, mancava solamente il rosso per avere
i colori
Tokio Hotel!”
Georg si passò una mano
sul viso con la stessa pazienza
forzata di chi aveva a che fare con un imbecille.
“Bill quella cosa di che
colore ti sembra?”
“Rosa.”
“Ricordami da quando in qua
il rosa fa parte del set di colori-tema
dei Tokio Hotel.”
Bill si limitò a fare
spallucce e tornare al proprio lavoro.
“Faremo cambiare il rosso
con il rosa,” disse, e con una
mano si lisciò addosso il grembiulino, sorridendo raggiante.
“Mi dona, vero?”
Tom e Georg si guardarono senza
trovare le parole. Bill era
incredibile: qualunque fosse la situazione, era in grado di fare
diventare il
tutto rapidamente Bill-centrico.
“Sei un amore,
Billa.” Lo assecondò Tom, e Bill gli fece un
gestaccio.
“Basta, voi due!”
Georg cercò di ammansirli, tenendoli
indietro con le braccia. “Gustav a momenti torna dal cinema e
noi siamo ancora
in alto mare! Domani possiamo inventarci qualcosa, ma, cazzo, avete
voluto fare
questa maledetta torta e adesso la facciamo!”
Non appena finì di dirlo,
tutti e tre i loro sguardi caddero
sul disastro monumentale al loro cospetto, che più che
un’accozzaglia di
stoviglie ed utensili sudici, pareva un campo di battaglia che aveva
mietuto
molte migliaia vittime.
L’idea della torta, nemmeno
a dirlo, era stata di Bill. Georg
e Tom avrebbero dovuto sapere che portarlo a fare la spesa avrebbe
rappresentato una catastrofe dai danni incalcolabili, ma i capricci di Bill
erano
un’arma potente ed invincibile, pertanto erano stati
costretti alla resa
incondizionata e a trascinarselo dietro. Quello che avevano ottenuto,
partendo
da un pronostico di mezz’oretta scarsa per comprare qualche
bottiglia di
cocacola e un paio di schifezze malsane, era un’ora e mezza
di corse estatiche
tra uno scaffale e l’altro accompagnate da gridolini
entusiasti ed un paio di
carrelli riempiti fino all’orlo di roba che Tom aveva
efficacemente definito
“cagate”. Tra quella montagna di roba, Bill ci
aveva infilato l’occorrente per
preparare una torta, la cui ricetta era riportata sul retro della
confezione di
preparato per glassa istantanea a cui stava lavorando Tom.
“Secondo voi è
questo l’aspetto di un bianco d’uovo montato
a neve?” domandò Georg, rigirando nella terrina il
ributtante liquame bianco
lattiginoso. Gliene era finito un po’ addosso, ma anche lui,
come Tom, si era
categoricamente rifiutato di abbassarsi ad indossare un grembiule,
così Tom
aveva scelto di legarsi al collo un asciugamano da cucina a scacchi
rossi e
bianchi, mentre lui aveva preferito evitare di sporcare inutilmente
qualche
cosa e si era semplicemente sbarazzato della maglietta, rimanendo a
torso nudo.
“Tu stai usando una
forchetta, ma qui dice che per montare a
neve gli albumi bisogna usare una frusta.” Lesse Tom sulla
confezione. I tre si
guardarono straniti.
“Intende proprio la frusta
che penso io?” chiese Bill, gli
occhi sgranati ed una striscia di pastella rosa sulla guancia destra.
“Beh, conoscete altri tipi
di frusta?” fece Tom con ovvietà.
Gli altri due scossero impotentemente
la testa e tornarono a
fissare gli albumi, che giacevano miseri e schiumosi sul fondo della
ciotola,
pieni di bollicine scoppiettanti e grumi sospetti.
“Che schifo!” fu
il nauseato commento unanime che si levò
dalle loro bocche contratte.
“No, ragazzi,
così non va,” sbuffò Tom, sbattendo il
cucchiaio di legno nel mezzo della glassa che stava mescolando, la
quale era
ormai sorprendentemente simile ad un mucchio di argilla quasi rappresa.
“Di
questo passo Gustav si ricorderà di questa data come il suo
compleanno più
deludente e disgustoso.”
“E appiccicoso.”
Aggiunse Bill, leccandosi elegantemente le
dita una per una con un’espressione di pura delizia.
“Ok,” Tom si fece
avanti verso l’impasto abbandonato da Bill,
prese la terrina tra le mani impiastricciate di glassa marroncina e ne
studiò
incerto il contenuto. “Direi di provare a mettere tutto nel
forno e vedere cosa
succede.”
Guardò Georg in cerca di
appoggio, le guance attraversate da
ditate di pastella rosa firmate Bill Kaulitz che lo facevano
assomigliare ad un
gatto con i baffi storti.
“E sia,”
approvò Georg, non senza esitazione. Dopotutto, non
era certo che quel forno fosse mai stato usato per scopi diversi dallo
scongelamento di alimenti precotti. “Incrociamo le dita. Se
saltiamo in aria,
sarà stato a fin di bene.”
Bill si piantò
sdegnosamente le mani sui fianchi.
“Sì, proprio un
bel titolone scoop per le prime pagine: Bill
Kaulitz muore in un’esplosione di glassa
mentre tenta la preparazione di una torta.”
Enunciò con un’enfasi teatrale,
il volto contratto dalla partecipazione emotiva.
Tom scoccò una rapida
occhiata a Georg e si accigliò.
“E noi due chi siamo,
scusa?” protestò.
Bill gli rispose con un gesto
incurante.
“Elementi scenografici
secondari.”
“E Gustav visse felice e
contento, ereditando tutti i
diritti d’autore del gruppo.” Completò
Georg ironico, coronando il già macabro
quadretto accennato da Bill.
“Come se gliene fregasse
qualcosa dei soldi…” commentò Tom.
“Basta dargli una panchina all’aperto e quattro
chiacchiere rilassate ed è
felice.”
Bill si portò le mani sul
cuore.
“Che bello
dev’essere sapersi accontentare di così
poco.”
Sospirò sognante.
“Già,
un’emozione che a te resterà ignota per
l’eternità.”
“Ma senti chi
parla!”
“Allora,” li
interruppe Georg, presagendo una potenziale
degenerazione della situazione. “Vogliamo infornare questo
disgusto d’alta
pasticceria e vedere cosa capita?”
Gli altri due si scagliarono un
ultimo sguardo truce, ma poi
annuirono.
Nessuno di loro avrebbe mai creduto
che fare un misero dolce
potesse essere un’operazione così complicata.
La parte più difficile fu
capire che cosa intendesse la
ricetta quando diceva di “imburrare la teglia prima di
versare il composto”,
visto che:
1)
il
tourbus, nonostante fosse provvisto di ogni genere di
amenità tecnologica
all’avanguardia, non possedeva alcunché di
rassomigliante ad una teglia come
quella raffigurata sulla scatola;
2)
ma
il burro non andava dentro all’impasto?;
3)
Bill
si ostinava a sostenere che “imburrare” era un
oscuro termine tecnico culinario
molto ingannevole di cui non avrebbero mai compreso il reale
significato;
Dopo estenuanti fatiche e diverbi
concernenti le varie
tecniche di infornamento della cosa più simile ad una teglia
che erano riusciti
a rinvenire (ossia la vaschetta di alluminio del pollo arrosto che
avevano
divorato a pranzo, accuratamente lavata prima del riciclo) e venti
estenuanti
minuti di cottura, i ragazzi fissavano lo sportello del forno elettrico
con la
fronte corrugata dalla perplessità, domandandosi se quella
crosticina secca che
si stava formando lungo i bordi della vaschetta fosse normale, visto
soprattutto che la cosiddetta “torta” non accennava
a lievitare.
“Non dovrebbe gonfiarsi e
diventare voluminosa e soffice?”
domandò Georg stranito, mentre la tirava fuori: aveva un
aspetto duro e davvero
poco invitante per uno stomaco umano. “Non dovevamo mettere
il lievito?”
“Ma è possibile
che tu sia così ignorante?” si intromise
Bill, scuotendo altezzosamente la testa. “Lo sanno tutti che
il lievito va
messo come ultima cosa.”
Tom sollevò scetticamente
un sopracciglio.
“Cioè dovremmo
versare quella polverina sopra la torta?”
“Esatto,”
annuì Bill con aria saccente. “La copriamo bene
con un bello strato omogeneo di polvere bianca, come fanno in
TV.”
Georg si portò
pazientemente una mano alla fronte, volgendo
gli occhi al cielo con la sensazione di avere a che fare con uno che
non aveva
la più pallida idea di che cosa fosse il mondo reale.
“Bill,”
sospirò. “Quello è zucchero a velo, non
lievito!”
L’espressione saputa di
Bill si affievolì rapidamente.
“Ah. Beh, fa lo stesso, il
lievito va per ultimo.”
“Se lo dici tu,”
fece Georg, affatto persuaso. “In ogni
caso… Ora come la togliamo la torta da qui dentro?”
“Facile,” disse
prontamente Bill. “Tagliamo l’alluminio!”
“E poi dove la
mettiamo?” domandò Tom.
“Su un piatto,
no?” replicò Bill in tono pratico.
Le facce di Tom e Georg trasudavano
tetra e rassegnata incredulità.
“Bill, guarda bene questa
cosa,” gli disse Georg,
mostrandogli la teglia ancora bollente. “La vedi la sua
forma?”
“Alla perfezione.”
“Che forma ha?”
“Rettangolare.”
“Molto bene,” si complimentò Georg.
“E che forma hanno i piatti?”
“Rotonda.”
“Grandioso. Ora, recupera
tutte le tue scarse nozioni di
geometria elementare e rifletti un secondo: come facciamo a mettere una
torta
rettangolare su un piatto rotondo?”
“Oh, che
sottigliezze!” si lagnò Bill, per niente toccato.
“La tagliuzziamo un po’ per arrotondarla, cosa ci
vorrà mai?”
Osservarono tutti e tre il monoblocco
brunito, così solido
che probabilmente nemmeno una motosega sarebbe riuscita a fargli
cambiare
forma, e alla fine scrollarono le spalle.
“Proviamo,” si
arrese Georg. “Al massimo copriamo i danni
con la glassa.”
Aveva già preso un coltello per cercare di
tagliare via qualche
angolo, quando una schiarita di gola di Tom fece voltare lui e Bill:
“Ragazzi, abbiamo un
problema.”
A Georg stava per venire da piangere.
“Un altro?!”
Tom annuì gravemente.
“Sì. La glassa
si è cementificata.”
“Come sarebbe a
dire?”
“È dura come il
marmo.” Spiegò Tom, e così dicendo,
afferrò
il cucchiaio che era immerso nella citata glassa e lo
sollevò, trascinandosi
dietro tutta la ciotola come se si fosse trattato di un'unica cosa.
“Che cazzo di composto
chimico ti è venuto fuori?” esclamò
Bill, inorridito. “Doveva essere zucchero fluido, non un
sedimento calcareo!”
“E io che ne so?”
si difese Tom, agitando il cucchiaio, e
con esso tutto il resto. “Ha fatto tutto da sola, io mi sono
limitato a
mescolare!”
Bill, per la verità, si
stava divertendo un mondo. Era raro
che avessero occasione di pasticciare così, senza la
supervisione strettamente
limitante di qualche manager o guardia del corpo (che comunque se ne
stavano a
pochi metri dal bus a sbevazzare in tutta calma).
Ok, la cucina era un disastro e non
sarebbe mai venuta
pulita nemmeno a lavarla con l’acido, ma in compenso se la
stavano proprio
spassando. Gli dispiaceva soltanto che mancasse Gustav, ma si ripromise
che
avrebbero presto fatto qualcosa di simile per il compleanno di
Benjamin, che
sarebbe stato il mese prossimo.
“Ehm,” Tom
sventolò una mano per attirare la loro
attenzione. “Non vorrei sembrare monotono, ma…
Abbiamo un altro problema.”
Georg era sicuro che fosse un buon
momento per suicidarsi
con onore.
“Cos’altro
c’è?”
Tom picchiettò le proprie
nocche sulla superficie della
torta.
“Questa roba è
anche più pietrificata della glassa.”
“Merda.”
“Nessun
problema,” Bill si fece avanti, tirandosi su le
maniche. “Qualcuno ha uno scalpello?”
“Sì, Bill,
sempre in tasca!” rispose Tom, esasperato.
“Se lo avessi, lo userei
contro di te.” Si aggiunse Georg,
che cominciava a sentirsi esausto come nessun concerto era riuscito a
ridurlo.
“E se facessimo finta che
è stato intenzionale?” suggerì
Bill, gli occhi che gli brillavano. “Gli facciamo una festa a
tema sulla
pietra, stile Flintstones!”
Tom fece del proprio meglio per
tenere la propria mandibola
al proprio posto, benché la voglia di lasciarla cadere
liberamente fosse
piuttosto forte.
Georg, invece, visto che ormai si era
toccato il fondo di
ogni senso del decoro e della decenza e perso anche l’ultimo
briciolo di
dignità virile, decise che era giunto il momento di fare
fuori Bill una volta
per tutte, quindi si voltò verso Tom e gli
allungò una mano aperta.
“Wilma, dammi la
clava.”
Con un rumore secco, Tom
staccò il cucchiaio di legno dalla
massa di glassa.
“Ammazzi Betty?”
domandò a Georg, porgendogli l’arma.
“Sì.”
“Fai pure.”
Georg brandì il cucchiaio
contro Bill e questi arretrò
orripilato.
“Non osare avvicinarti con
quel coso sudicio!” strillò. “Lontano
da me, Hagen!”
Georg rise.
“In confronto a te, questo
cucchiaio è immacolato, Bill!”
“Ah
sì?” fece Bill con un sorrisino sornione.
“Staremo a
vedere!”
Senza dare a Georg il tempo di
reagire, Bill affondò una
mano nella sostanza melmosa che avrebbe dovuto essere albume montato a
neve (il
quale comunque avrebbe dovuto trovarsi dentro alla torta, e non certo
ancora lì
fuori) e ne afferrò un’abbondante manciata,
scagliandola contro all’amico. Il
liquame spumoso si andò a schiantare contro il petto nudo di
Georg con uno
splash, e lui rimase immobile a fissarsi mentre l’albume gli
colava lentamente
lungo gli addominali, dirigendosi verso i pantaloni. Quando
risollevò
esterrefatto lo sguardo, Bill temette per la propria vita.
“Sei una diva morta, Betty
Kaulitz!”
“Hai cominciato
tu!” pigolò Bill, facendosi piccolo piccolo
in un angolo.
“E io metterò
fine a tutto, a partire dalla tua vita!” ruggì
Georg, fingendosi furioso, riempiendosi un pugno di albume semimontato.
Con uno strilletto acutissimo, Bill
zompettò rapidamente
alle spalle di Tom, facendosi scudo con lui.
“Tomi, salvami!”
lo implorò.
Tom cercò di scrollarsi di
dosso il fratello, ma Bill si era
attaccato a lui con le sue dita dalla morsa letale e non lo mollava.
“Lasciatemi fuori da questa
sto…”
Splash.
Il lancio di Georg che doveva essere
diretto a Bill colpì
Tom in pieno viso, impiastricciandogli anche i capelli e buona parte
del grosso
fazzoletto che si era legato al collo, mentre un urletto isterico di
Bill, che
gli si era prontamente rannicchiato dietro, faceva da sottofondo.
“Vaffanculo!”
imprecò Tom, mentre la bianca fanghiglia gli
colava ovunque. “Che cazzo c’entravo io?!”
“Tu c’entri
sempre qualcosa.” Sghignazzò Georg, subito imitato da Bill.
“Va bene, questa te la se
proprio cercata, Moritz!” sbottò
Tom, e con un balzo felino arraffò la terrina con gli
albumi, preparandosi a
colpire.
“Tom, non ti
azzardare!”
Tom sogghignò beffardo.
“Oh
sì!”
“Oh no!”
“Oh
sì!”
“Tom, ti
avverto…”
Splash.
Per un attimo tutti si domandarono
che cosa fosse stato
colpito al posto di Georg, che si era abbassato giusto in tempo per
scansare il
lancio a tradimento di Tom. Rimasero immobili tutti e tre per un
istante e si
fissarono, poi i loro sguardi si voltarono lentamente verso la porta,
dove
individuarono la tragicomica figura di Gustav, fermo impalato con una
scatola
bianca in mano, la faccia grondante di densa schiuma.
“Ehm… Ciao,
Gusti.” Mormorò Bill, grattandosi la nuca.
Gustav non si mosse, se non per
passarsi una mano sul viso e
liberarsi la vista, poi li squadrò uno ad uno con
un’espressione indecifrabile.
I tre fecero per dire qualcosa, ma lui li precedette:
“Pensate che lo voglia
sapere?”
Georg sorrise, sforzandosi di non
ridere.
“No, credo proprio di
no.”
Sia lui che Bill e Tom stavano
cercando di frapporsi tra la
visuale di Gustav e il macello di stoviglie ed ingredienti vari ed
eventuali
che si erano lasciati dietro, ma quello era il genere di trucchetto che
avrebbe
funzionato con Bill, non di certo con un tipo sveglio come Gustav.
“Cos’è
successo qui dentro?” domandò infatti
quest’ultimo,
guardandosi intorno smarrito, passando in rassegna incrostazioni
sospette di
pastelle varie, montagne di ciotole grondanti delle più
svariate cose e strati
di polvere di farina, per tornare infine su loro tre e le loro numerose
macchie.
“Mi sono perso la terza guerra mondiale?”
“Io ve l’avevo
detto che ci sgamava!” bisbigliò Bill
imbronciato. Tom e Georg gli sferrarono due gomitate disinvolte.
“Zitto, cretino!”
Era già abbastanza
imbarazzante farsi trovare immersi fino
al collo nel caos assoluto, chi mezzo nudo, chi infagottato in un
atroce
grembiulino rosa e chi con un mezzo lenzuolo legato al collo, senza
aggiungerci
anche il fatto che la persona per cui era stato specificatamente tirato
in
ballo tutto quel disastro era appena stata resa partecipe della loro
miserrima
disfatta. Per di più, aveva anche una bella porzione di
schifezza appiccicosa
ben spalmata sulla faccia.
Per il suo primo quarto
d’ora da ventenne, doveva essere
piuttosto sconfortante.
“Ragazzi,” Gustav
si avvicinò, lasciando la scatola sul
tavolo. “Chi ci avete massacrato, qui dentro?”
Guardò interrogativamente prima
Bill, poi Tom ed infine Georg. “Chi meritava tanta
crudeltà?”
I tre assunsero un’aria
afflitta e colpevole, sospirando
mogi.
“Tu.”
Confessò Bill alla fine, strofinando la punta di un
piede sul pavimento, le mani affondate nelle tasche della felpa.
Gustav sbatté le palpebre
confuso.
“Io?”
“Beh,
ecco…” Tom si mordicchiò il labbro
inferiore.
“Insomma, stavamo cercando di fare una cosa…
Sai…”
No, Gustav non sapeva, ma ora aveva
quasi paura di scoprire
come stavano le cose. Il tourbous, così conciato ed
imbrattato, faceva
spavento, e loro tre non erano messi poi tanto meglio. E
poi… Era veramente un
grembiulino rosa quello che Bill aveva addosso? E da dove diavolo era
saltato
fuori?
Per l’appunto, preferiva
non sapere.
“Oh, al diavolo,”
sbuffò Georg, sollevando arrendevolmente
la braccia. “Stavamo tentando di farti una torta.”
Gustav sbatté nuovamente
le palpebre.
“Una torta.”
“Sì.”
“E dove sarebbe questa
torta?”
Georg, Bill e Tom non fecero altro
che puntare gli indici
verso la vaschetta contenente la lastra di granito che avrebbe dovuto
rappresentare
una torta. Gustav la occhieggiò con diffidenza da lontano,
senza osare
avvicinarsi, e annuì solennemente.
“E voi avete combinato
tutto questo casino mentre io ero al
cinema?”
“Sì.”
“Per me.”
Tre teste annuirono colpevoli.
“E il risultato
è…” Gustav sfiorò
dubbiosamente la
superficie secca e rugosa della cosa. “Questo.”
Loro annuirono ancora.
“Capisco.” Disse
allora lui, comprensivo. Con una mano si
tolse il cappellino che ancora portava e con l’altra
finì di ripulirsi il viso
dallo strato di albumi flaccidi. Li studiò uno per uno
impassibile, e loro si
chiesero fino a che punto fosse deprimente avere degli amici tanto
incapaci, ma
poi le labbra di Gustav ebbero un impercettibile movimento, e poi,
tutt’un
tratto, si spalancarono in uno dei sorrisi più luminosi e
raggianti che si
fossero mai visti.
“Beh, sono
commosso.”
I suoi occhi scuri brillavano
divertiti, lucidi ed anche più
sorridenti della sua bocca.
“Davvero?” fece
Tom, sbalordito.
“Davvero.”
Confermò Gustav, contento.
“Ma… Abbiamo
combinato un disastro!” mormorò Bill, affranto,
il cuore che quasi gli faceva male per la delusione. “Fa
tutto schifosamente schifo,
non abbiamo concluso un bel niente… E siamo anche stati
colti in flagrante!”
Gustav rise sommessamente, scuotendo
lentamente il capo.
“Mi avreste mai detto di
tutta questa impresa titanica, se
aveste fatto in tempo a pulire?”
“Certo che no!” esclamò Tom.
“Peccato,”
replicò Gustav, raccogliendo con un dito della
pastella che era rimasta attaccata alla parete.
“Perché è la cosa più
patetica
e malriuscita che qualcuno abbia mai fatto per me,” Vide le
loro facce farsi cupe
e frustrate, ma lui sorrise di nuovo. “E anche la
più bella, devo dire.”
Esterrefatti ed increduli, i tre
grandi pasticceri lo
fissarono ammutoliti.
Stava davvero dicendo che apprezzava
quel disumano orrore?
“Oh, a
proposito!” saltò su Bill improvvisamente, come se
avesse preso la scossa. In due saltelli raggiunse Gustav e, con uno
sorrisone
abbagliante, lo avvolse tra le proprie braccia, stringendolo forte.
“Buon
compleanno, Gusti!”
Nonostante un po’ gli
mancasse il fiato, Gustav ricambiò
l’abbraccio fin troppo affettuoso e diede un paio di pacche
amichevoli alla
schiena ossuta di Bill, il quale si decise a lasciarlo andare solo
quando Tom
gli ricordò che non esisteva solo lui.
“Auguri, Gustav.”
Gli disse Tom, afferrandogli una mano e
incontrandolo con una spallata in un saluto molto hip hop, poi fu il
turno di
Georg.
“Non vorrai abbracciarmi
anche tu, vero?” disse Gustav,
arretrando, le mani protese in avanti.
Georg lo guardò ferito.
“Perché
no?”
“Primo, sei nudo.”
“Sono a torso
nudo!”
“Secondo,”
proseguì Gustav, ridendosela sotto i baffi. “Il
tuo scultoreo torso nudo è cosparso di qualcosa che mi
sembra fin troppo simile
a della colla.”
A quel punto Georg, la cui pazienza
era andata già esaurita
da un pezzo, se ne fregò degli scrupoli di Gustav (visto che
tanto era già
sporco anche lui) e se lo stritolò in un
bell’abbraccio energico, trasferendo
quasi tutto ciò che aveva addossò a sé
sulla sua maglietta pulita.
“Auguri, amico.”
Gli disse con affetto, ricordando che la
prima volta che gli aveva augurato un buon compleanno era stato ormai
più di
dieci lunghi anni prima.
Quando si separarono ed anche Gustav
fu più o meno sporco
quanto gli altri, ci fu una pausa di silenzio, durante la quale tutti
quanti si
fermarono a contemplare il desolante spettacolo di quella che una volta
era
stata la cucina del tourbus, e che ora invece sarebbe diventata la
ragione per
cui tre dei Tokio Hotel sarebbero stati condannati a delle vomitevoli
pulizie
forzate.
Ma quello sarebbe accaduto
un’altra volta, un altro giorno,
perché adesso avevano qualcosa di più importante
da fare.
“Bene,”
esordì Gustav allegramente, sfregandosi le mani.
“Se
non avete nulla in contrario, io taglierei la torta.”
Georg, Tom e Bill sussultarono
terrorizzati.
“Non vorrai mica mangiare
quell’obbrobrio e morire il giorno
del tuo ventesimo compleanno!”
“A dire la
verità sono passato in pasticceria, prima di
rientrare…”
Lo guardarono dirigersi verso la
scatola bianca con cui era
entrato, che avevano completamente rimosso, ed aprirla con un semplice
gesto,
scoprendo un’invintantissima torta alla panna con succulente
decorazioni di
cioccolato e zucchero. Era semplice e abbastanza grossa, non aveva
scritte o
altro, ma ingolosiva solo a vedersi.
“Su, recuperate piatti, forchette e
coltelli,” li esortò Gustav. “Fuori
c’è una cassa di champagne che ci aspetta, sempre
ammesso che non la abbiano
già bevuta tutta.”
Dopo un attimo di esitazione, Bill
tolse senza sforzo i
piatti di plastica dal ripiano più alto della credenza, Tom
invece prese le
forchette e i coltelli, mentre Georg si occupò di tovaglioli
e bicchieri.
“Ah, Gustav, che cosa
faremmo senza di te?” sospirò Bill
sorridente, gli occhi avidamente puntati sulla torta.
Gustav rise.
“Sareste persi, e
probabilmente morti di fame.” Scherzò.
“Non saremmo
qui.” Asserì Georg con un sorriso che non
tradiva il suo tono serio.
Gustav si concesse un momento per
dare un ultimo sguardo
allo stato di calamità in cui versava la cucina e poi si
volse verso i suoi tre
amici, indaffarati a spartirsi le cose da portare fuori per festeggiare
con il
resto della troupe.
Erano dei casinisti imbranati e
chiassosi, a volte davvero
insopportabili, ma come si poteva non adorarli quando ci si trovava di
fronte
ad un simile fiasco gastronomico, fatto però con tante buone
intenzioni?
Gustav non smetteva mai di
ringraziare un’entità indefinita
per la fortuna che aveva ad avere degli amici così,
completamente idioti ed
altrettanto grandiosi.
Se fosse stato un tipo sentimentale,
li avrebbe stretti a sé
tutti e tre insieme e si sarebbe concesso una sviolinata tipo
“Vi voglio bene”,
ma quella era una cosa da Bill, non da Gustav, e in ogni caso non
serviva che
dicesse niente.
Loro lo sapevano.
“Allora,
usciamo?” esclamò Tom impaziente.
“Voglio mangiare!”
“Ok, ok!”
Gustav si voltò, la torta
in mano, e fece per aprire la
porta, ma Bill scattò in avanti, bloccandolo.
“Aspetta, solo una
cosa!”
Rimasero tutti a guardare mentre Bill
allungava il suo dito
lungo e sottile e lo faceva scorrere sopra alla panna, raccogliendone
discrete
quantità. Solo quando ebbe finito fu tutto
più chiaro.
Buon
compleanno
Gustav!
“Ecco fatto,”
disse Bill, leccandosi via la panna dal dito
tutto compiaciuto. “Adesso sì che possiamo
andare.”
“Qualcuno lo
vuole?” chiese Tom, mentre scendevano dal bus.
“Ve lo regalo. Anzi, vi pago per tenervelo!”
“No, grazie,”
rispose Georg. “Ma se lo incarti, possiamo
rifilarlo a Gustav!”
“Oh, ma che pensiero
adorabile!” osservò Gustav. “Ma se
volessi un animaletto domestico, credo che preferirei una
sanguisuga.”
“Hey!”
protestò Bill, offeso.
Tutti gli altri scoppiarono in una
fragorosa risata, e nel
frattempo la piccola folla costituita dalla troupe lo accolse con un
applauso
caloroso.
A Gustav non piaceva essere al centro
dell’attenzione, ma
ogni anno, una volta all’anno, si godeva la sua serata da
star, al riparo da
riflettori ed obiettivi, e si lasciava coccolare senza farsi troppi
problemi.
Quest’anno, poi, sembrava tutto ancora più
speciale, e non era perché avevano
sfondato anche negli Stati Uniti, o perché la sera prima
avevano vinto il
premio come Best New Artist ai Video Music Awards 2008 e i ragazzi
avevano
voluto che fosse lui a tenerlo, né per le migliaia di
lettere e regali che
erano arrivati per lui alla Universal da ogni angolo del mondo, ma
semplicemente perché gli sembrava che fosse tutto molto
più semplice e
spontaneo delle solite feste nei localoni più in della
città di turno.
Posò la torta sul tavolo
che era stato montato appositamente
per la festicciola e prese il coltello che Georg gli porgeva, pronto a
tagliarla, ma non prima di aver riletto per l’ultima volta la
frase che Bill vi
aveva pasticciato sopra.
Buon
compleanno
Gustav!
Una frase trita e ritrita, una torta
comprata in
pasticceria, un gruppo di amici pronti a brindare per il
festeggiato… Era
incredibile come la banalità potesse essere perfetta, certe
volte.
“Allora,”
esclamò, affondando la punta del coltello. “Chi
vuole la prima fetta?”
“Io, io!” rispose
subito Bill, precipitandosi con il proprio
piatto.
I presenti risero, alcuni
così forte da piegarsi su se
stessi.
Era bello che, nonostante gli anni passassero inesorabili, certe cose non
cambiassero mai.
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A/N:
Beh,
è il ventesimo compleanno di una delle creature
più stupende che abbiano mai
popolato quest’universo, perciò mi pare il minimo
aver scritto questa storia
come regalo un po’ atipico (che fra l’altro non
riceverà mai, ma lo amo lo
stesso). Non è una ff impegnata, nel senso che è
stata scritta a cuor leggero
con il solo scopo di far sbizzarrire questi tre adorabili disastri e
dare al
meraviglioso Gud (_Princess_ la sa lunga, ragazze mie) qualcosa di cui
sorridere, visto che i suoi sorrisi sono rari come
null’altro. Faccio notare
che, per esigenze di copione, mi sono permessa di anticipare i VMAs di
24 ore,
ma non importa, l’importante è che abbiano vinto e
che io abbia vinto un bel
po’ di scommesse! XD
Un augurio immenso e un abbraccio
caloroso (oh, non lo
mollerò mai più!) al biondo più favoloso del mondo e un grazie a voi cari
lettori e, spero, recensitori.
^^
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