Fires
Myros sapeva che non
avrebbero capito e sapeva anche che quello che
stava facendo era sbagliato, troppo sbagliato.
Forti brividi lo
scuotevano dall'interno, sovrastati dai vigorosi
battiti delle sue ali, mai timorose, mai insicure.
Forse
perché egli stesso non era insicuro, neanche in quel
momento, quando in gioco vi era la sua stessa reputazione, il suo onore.
Ancora non si spiegava
come fosse successo...
Una femmina, una
femmina d'uomo. Eppure lo sentiva, insieme a quel
tremolio interno, sentiva il fuoco crescere dentro di lui quando era
vicino a lei.
Un drago si fida
sempre del fuoco, perché un drago è fuoco.
Quando le prime stelle
iniziarono a migrare Myros si
avvicinò all'umana; non aveva quel loro odore tipico, di
paura e morte. Aveva l'odore di chi paura non ne ha mai provata, di chi
vive di forza, un odore quasi familiare.
Lei non avrebbe potuto
badare a suo figlio, non avrebbe potuto
proteggerlo con il fuoco e con il sangue, ma doveva essere sua. C'era
il fuoco da qualche parte, dentro di lei.
Bastò un
passo nella notte a farla destare dal suo sonno
precario, da guerriera.
Un ringhio
rimbombò tra le fauci di Myros, era l'ora di
prendere la sua decisione.
La donna si
avvicinò, il volto cupo, il pugno stretto
intorno alla lama.
Con fierezza il drago
avanzò verso di lei, che lo colpisse,
se era quello che desiderava.
Ma ella non si mosse.
Neanche un muscolo
reagì al muso della bestia a
così pochi centimetri dal suo volto chiaro.
Con la mano ancora
intorno al coltello, la donna sfiorò il
capo del mostro.
- Dovrei
ucciderti e sai che lo farò. Perché sei
qui dopo tutti questi giorni di fuga? Ti sei arreso? Pensavo fossi una
preda più difficile da cacciare, drago.
Myros non capiva la sua
lingua, e non gli interessava neanche tanto.
Dovevano farlo, prima
che nascesse il sole, subito.
Due draghi condividono
il loro fuoco, ma un' umana? Come avrebbe fatto
un' umana?
- Addio, compagno di
viaggio.
Il drago non
capì neanche questa volta, ma quegli strani suoni
gli sembrarono un sì, quel forte colpo al petto gli
sembrò un sì.
La lama gli
perforò la carne, sentiva il cuore battere
più forte, le ossa fragili, polvere.
Con tutta la sua forza ruggì, il petto squarciato dal fuoco, stordendo l'umana che aveva deciso di
far sua.
Quel fendente, vibrato con tanta intensità, quella forza intrinseca nello spirito di quella
donna era il suo fuoco, i suoi sensi avevano ragione. Quello che
aveva sentito per tutte quelle settimane, mentre ella cercava di
ucciderlo, era reale.
Dalla fiamma vigorosa che
ancora bruciava la terra si levò un gemito.
Un'umana malvacea
ricoperta di scaglie purpuree agitava le braccia
verso il cielo.
Con un ultimo sguardo
all'umana, madre di sua figlia, Myros portò via la bambina tra le sue fauci.
Sapeva di aver scelto una giusta madre, e sapeva che
da quel momento ogni drago che avrebbe trovato sul suo cammino lo
avrebbe affrontato, cacciato, disprezzato.
Ma egli era temprato
nel fuoco e sua figlia ne era la prova. Nessuno lo
avrebbe mai sconfitto, nessuno avrebbe mai toccato il fuoco del suo
fuoco, la sua Shyvana.
Carminya osservava
spesso sua figlia allenarsi. Era impressionante la
loro somiglianza, ancor più nell'arte delle lame.
La bambina si
destreggiava tra i coltelli come danzando, muovedo vigili
gli occhi blu, così simili a quelli della madre.
C'era qualcosa che
affascinava in lei, così esile,
così piccola... forse la sua abilità, forse
quello sguardo magnetico, forse quegli strani capelli.
Carminya non sapeva
spiegarsi il perchè di quella
particolarità, quei capelli fulvi tra l'aristocrazia Noxiana
erano qualcosa di nuovo e di esaltante.
Li paragonavano a un
futuro promettente, al sangue dei nemici, ma lei,
lei no.
Perchè
Katarina non le ricordava il sangue, no, troppo amico
della morte. Katarina le ricordava la bruciante forza del fuoco, le
ricordava un vecchio compagno, una decina d'anni prima.
Un drago che lei
stessa aveva ucciso e che era svanito tra le fiamme.
Katarina le ricordava
qualcuno che non aveva mai conosciuto, ma che
sentiva le appartenesse.
Le ricordava
qualcuno che non aveva mai tenuto tra le braccia, ma del quale sentiva ancora il calore.
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