Noi uomini duri!
Wohldorf-Ohlstedt – Amburgo, 1986
– Forza, truppa, in marcia! – tuonò Opa.
~ Scheiße! Sono solo le cinque del mattino, perché
strepita così…? ~ sbadigliò Genzō; aprì un occhio e scorse Karl ed Herri che ancora sonnecchiavano sul
sedile posteriore del fuoristrada: la Scimmia con la testa appoggiata alla
spalla del Kaiser, che sibilò – Nonno, potresti abbassare
il volume? Non è ancora l’alba… – occhi chiusi e gelida espressione di scazzo
mortale in faccia.
In risposta, l’omone proruppe in una risata ancora più
chiassosa – Sveglia! – esclamò, facendo latrare festanti i cani in coro, Sauzer in testa, i due Kurzhaar del
Colonnello Schneider, Mond und Sonne,
subito dietro. Kaltz si destò di soprassalto – Qualcuno mi
ricorda perché sono qui anch’io, Cip e Ciop? – e rivolse un’occhiataccia agli
amici, – A quest’ora starei ancora sotto le coperte nel mio lettuccio al caldo…
–
– Taci Scimmia! – ordinò Karl-Heinz, –
Se soffre il Kaiser, devono partecipare anche i sudditi –
e si trascinò pesantemente fuori dalla vettura, sbadigliando e stiracchiandosi;
portiere e centrocampista lo imitarono. Nel frattempo il nonno stava tirando
fuori dal bagagliaio l’equipaggiamento, suddividendo gavette, borracce, zaini e
bisacce per la selvaggina in tre mucchietti uguali, uno per calciatore;
dopodiché passò in rassegna il suo piccolo esercito ancora mezzo addormentato.
Calcò in testa a ognuno un ridicolo berretto a coste di
velluto marrone, mentre quello di pelliccia lo riservò per la sua pelata. Karl si guardò nel riflesso del finestrino, seguito da
Genzō, ed entrambi fecero una smorfia inorridita. – Ehm, io posso tenermi
il mio, Opa? – domandò il portiere. – Puoi scordartelo,
alleato! È troppo rosso! – sghignazzò, poi mise in spalla il fucile, – Animo! –
e cominciò a marciare spedito.
* * *
I tre marmittoni stavano arrancando intirizziti da un
paio d’ore in mezzo al bosco fitto, dietro al Colonnello che rincorreva con
passo svelto e deciso le tracce dei cani, lasciati andare liberi di fiutare, e
lo sguardo azzurro attento a ogni movimento del sottobosco. Alla fine, con
enorme sollievo dei ragazzi, si arrestò, e si resero presto conto di essere
finiti proprio dentro a una specie di palude, in cui pini e abeti maestosi
avevano invece lasciato il posto ad arbusti spinosi e cespugli di rovi.
Erano immersi quasi fino alle ginocchia in un gelido pantano
acquitrinoso, la nebbia si poteva tagliare col coltello e il fiato creava
nuvolette bianche. – Uno di voi due stronzi mi spiega, di nuovo, che cosa ci
facciamo qui? – si lamentò Kaltz; ma anche l’S.G.G.K.
scoccò un’occhiataccia torva al Kaiser, che sbuffò – Una
di quelle cose alla noi uomini duri che piacciono tanto a Opa,
capito, sudditi riottosi? –
Sentendosi chiamato in causa, l’uomo ridacchiò – Che
pappamolle! – prese a rovistare nel suo zaino, – Meno male che siete allenati,
calciatori dei miei stivali… – e scosse la testa, – Ho più fisico io che ho più
anni di voi tre messi insieme moltiplicato per due! – Tirò fuori il thermos e
distribuì tre bicchieri di caffè caldo, non prima di aver versato in ognuno un
bel dito di liquore trasparente fatto in casa da una fiaschetta.
– Ecco, così vi svegliate davvero! – sentenziò. Attaccante e
portiere sorseggiarono la bevanda bollente e alcolica lentamente, mentre il
centrocampista la scolò in fretta con aria finalmente soddisfatta. – Ah, la
mitica “Grappa del Colonnello”! Questo, sì, che è un ottimo perché… – e allungò
il suo contenitore per avere un’altra razione; poi anche gli altri due,
rivitalizzati dal benefico calore scaturito, si unirono al secondo giro. – Beh,
e adesso che facciamo Opa? – domandò Karl.
– Lui infilò la pipa spenta tra i baffoni e alzò le spalle – Aspettiamo che i
soldati in avanscoperta stanino il nemico! –
Nel frattempo era sorto un pallido solicello dalla nebbia, e
una mezz’ora era passata; il nonno sedeva calmo e tranquillo su una roccia,
mentre il trio marmittoni sonnecchiava su un tronco marcio, cercando di
ingannare il tempo con giochini deficienti tipo “pensa a un numero”. Genzō
fu il primo a dare qualche segnale di impazienza, alzandosi per sgranchire le
gambe, poi si assestò una manata sul collo; ne osservò con una smorfia il
palmo, schifato alla vista di una grossa zanzara sanguinolenta spiaccicata.
I suoi amici sghignazzarono. – Si vede che il sangue
giapponese attira… – lo canzonò Karl-Heinz; un secondo
dopo, anche la Scimmia incominciò a grattarsi insistentemente una coscia. – O
di primate! – rise ancor più bastardamente il Kaiser degli
Umoristi. Ma, evidentemente, quello imperiale faceva gola uguale, perché anche
lui si schiaffeggiò un braccio prendendo a sfregarselo parecchio infastidito.
– Avete messo la pomata repellente anti zanzare prima di
vestirvi, stamattina, vero? – li apostrofò Opa con un
sogghigno sadico dietro i baffi bianchi. – Scheiße! –
sibilarono i ragazzi all’unisono: alle quattro e mezzo del mattino, ancora in
coma profondo, se ne erano completamente dimenticati! E così, sberle e grattate
cominciarono a fioccare, dato che assieme al sole sembravano essere risorti
anche gli insetti, enormi, e di ogni tipo e specie… Quella maledetta palude
pareva un trattato completo di entomologia!
Un Sauzer lercio e sovraeccitato sbucò
da un cespuglio uggiolando, e nonno Schneider si alzò –
Beh, tanto, ora non c’è tempo, truppa! – e tuonò – Marsch!
– Ricominciarono ad arrancare dietro l’uomo, che seguiva il fedele Deutsche Dogge sempre più dentro all’acquitrino, poi anche i tre
calciatori riuscirono a sentire il concitato scalpiccio dei bracchi sempre più vicino.
Raggiunsero l’alano che si era fermato agitando il moncone di coda, attendendo il
comando, e videro Mond e Sonne
che puntavano con il muso.
Opa fischiò, e Sauzer
partì di corsa, come un treno peloso arlecchino di sessanta chili, verso un
isolotto di fango, finalmente potendo latrare a pieni polmoni, e con la lingua
di fuori come se fosse stato posseduto da Artemide in persona.
Uno stormo si levò in aria all’improvviso con un frullare di
ali, ed Hermann, colto di sorpresa dal rumore, perse
l’equilibrio e cadde sull’erba fradicia imprecando. Karl e
Genzō videro il Colonnello mirare col fucile e si coprirono le orecchie
con le mani; uno sparo preciso, e un’ombra nera a forma di uccello cadde
impietosa dal cielo.
– Beh, almeno oggi si mangia… – considerò l’S.G.G.K. Lupo
Famelico. Altri due spari e altre due ombre si avvitarono in picchiata. –
Forza, reclute! – tuonò il nonno indicando i cani che correvano verso i punti
di caduta, uno ciascuno, – Non statevene lì impalati, pappamolle! Andate a
prendere il bottino e guadagnatevi il rancio! –
I tre ragazzi raggiunsero l’isolotto fangoso; i bracchetti
segnavano eccitati due grossi germani morti, caduti a poca distanza l’uno
dall’altro; si squadrarono reciprocamente, schifati. – Io non lo tocco… – si
rifiutò Kaltz ritraendosi. – L’onore è tuo, Capitano! – il
portiere sogghignò e invitò l’attaccante con un gesto della mano. Karl prese la bestiola per una zampetta e la infilò alla svelta
nella sacca appesa allo zaino, poi rivolse un algido sguardo imperiale al
Numero Uno, che dovette fare la stessa cosa con l’altro.
Poi, i due Kurzhaar li condussero fino
alla terza ‘vittima’ del fucile del Colonnello, ma, stavolta, l’ingrato compito
fu eseguito da un riluttante centrocampista piagnucolante. E non era ancora
mica finita… Perché Opa continuò, per tutta la mattina, a
fischiare, sparare, e poi mandare i calciatori dietro ai cani per recuperare
volatili o selvaggina, e sempre con zanzare e affini che li tormentavano
implacabili anche attraverso i vestiti.
Verso mezzogiorno erano tutti e tre ricoperti di fango,
bagnati fin nelle ossa, intirizziti, stanchi, affamati, ma con un bel bottino
tra germani, fagiani, e tre lepri belle grosse, equamente suddiviso nelle
sacche, quindi anche meno lagnosi, mentre pregustavano il lauto pranzo a base
di cacciagione che nonna Schneider avrebbe loro preparato.
Tornati alla cascina, Oma squadrò
maschi umani e canini, inclinò la testa di lato e si tappò il naso per il
fetore che emanavano, e Marie, ridacchiando, la imitò –
Odorate come la pupù! – I tre marmittoni furono spediti a fare il bagno,
con decreto imperiale a effetto immediato e inappellabile; il nonno, invece,
molto meno infangato dei ragazzi, dovette prima provvedere al lavaggio di Sauzer, Mond e Sonne
con la manichetta in giardino. Nel frattempo lei cominciò a spennare e spellare.
* * *
Karl, Genzō ed Herri
si spogliarono, accatastando un mucchietto di indumenti fetidi sul pavimento
del bagno, e mettendosi a ridacchiare mentre indicavano l’uno con l’altro le
numerose punture di insetto sparse un po' ovunque; dopodiché una bella doccia
calda in comune e spazzola alla mano levarono il grosso dello sporco.
Erano ancora tutti quanti nudi e si stavano prendendo a
colpi di asciugamano volante, sghignazzando, quando la porta si spalancò – Già
finito?! – li apostrofò, minacciosa, la Kaiser Schneider
con un’occhiata azzurra e obliqua, scrutandoli criticamente da capo a piedi.
Simultaneamente, tre facce impallidirono mentre sei mani scattarono a coprire
le nature. – Ma, nonna! – sbottò l’attaccante, – Con me, va bene, ma loro… –
– Tsk! Non sono i primi pisellini che vedo, sai Karl-Heinz… – si avvicinò ulteriormente per raccogliere la pila
da terra e intimò – E voi tre avete ancora da fare un bel giro di acqua, sapone
e spazzola! – I ragazzi, all’unisono, fecero il saluto militare, ghignando ed
esclamando – Jawohl Oma Kommandant! – ma sempre
continuando a tenere l’altra mano opportunamente in basso. La nonna uscì
richiudendo la porta con un piede, e loro si rinfilarono nella doccia,
riprendendo a sfregarsi reciprocamente.
– Scheiße! Sono a pezzi: gli
allenamenti alla “J”, in confronto, sono una passeggiata di salute – sospirò Herri mentre si asciugava; Genzō aprì uno spiraglio di
finestra per far dissipare il vapore acqueo, che aveva la stessa consistenza
della nebbia nella palude alla mattina, commentando – Non ho un muscolo che non
minacci vendetta. –
Karl si guardava allo specchio
rigirandosi per contare le punture rossastre sulla pelle lattea – Scheiße! – corrugò minacciosamente fronte e sopracciglia
fissando i due amici attraverso il riflesso, – Quale di voi fessacchiotti
doveva ricordarsi del repellente anti zanzare, che così lo termino subito! – Il
portiere fece spallucce – Sei tu quello esperto, io non sono mai andato a
caccia – si giustificò.
– Uh, che palle che siete! Tanto quello più assaggiato resto
comunque io – si lamentò il centrocampista; poi sorrise dilatando le narici e
fiutando odore di soffritto – Ah, il sugo di lepre! Questo, sì, che è un ottimo
lenitivo per il prurito… – Tre nasi inspirarono e tre stomaci affamati gorgogliarono.
Poi il Kaiser si mise a cercare nell’armadietto dei
medicinali, sbuffando seccato e non preoccupandosi di rimettere in ordine.
L’S.G.G.K. si chinò per recuperare un paio di mutande pulite
dallo zaino e sentì gli altri sghignazzare. – Beh?! – Un doppio sguardo azzurro
e castano era puntato sulle sue natiche; inarcò un sopracciglio e andò a
guardarsi allo specchio: una grossa chiazza rossa spiccava sul gluteo candido.
– Tu, e le tue idee geniali da noi uomini duri, Kaiser
del Cazzo! – inveì, mentre i bastardi continuavano a ridere.
Poi Hermann si affiancò all’amico per
esaminare le sue medaglie al valore – Sembra che mi sia tornata la varicella –
ridacchiò. In confronto al nipponico, più alto di una spanna abbondante, il
torace ampio e le spalle già piuttosto larghe, sembrava proprio una scimmietta
bionda; sebbene il suo fisico fosse analogamente formato dai duri allenamenti,
la differenza era comunque notevole.
– Che belli che siete! – li apostrofò Karl
con un ghigno, – Fate proprio l’articolo “il”! – Genzō rise
impietoso. – Ma senti, poco in carne: anche la tua bellezza rifulgente
viene oscurata dall’ombra nera del Giappone, sai! – replicò Kaltz
spernacchiandolo. Poi, per non essere da meno, anche lui tornò a specchiarsi,
mettendosi in mezzo ai due amici.
A furia di seguire l’esempio famelico del suo Numero Uno, il
Capitano si era ingrossato negli ultimi tempi: i maschi a quell’età crescono in
fretta in altezza, e dal nonno aveva ereditato, come il padre, la corporatura
predisposta a diventare altrettanto imponente.
Seppur più basso del portiere, aveva comunque spalle
pronunciate e ventre piatto, ma fianchi più stretti e gambe leggermente più
arcuate per via del ruolo diverso in campo. L’esercizio sul ghiaccio, però,
aveva reso cosce e polpacci dell’S.G.G.K. ben più scolpiti e sodi rispetto al Kaiser, e anche il suo “lato B” era altrettanto ‘marmoreo’.
Un leggero bussare distrasse il trio vanesio dalla
contemplazione si sé e reciproca, e, immediatamente, tutti scattarono per
coprirsi alla veloce, perché l’unica Schneider che avesse
la discrezione di non spalancare le porte era la piccola Imperatrice. Infatti…
– Fratellone! – Karl non aveva problemi
di nudità con la sorellina, ma non era proprio il caso che la sua innocenza
venisse deviata dalla vista dei due amici col pirello all’aria. – Che
c’è Marie? Ma non entrare…! – Herri
e Genzō iniziarono a rivestirsi.
– Guarda che lo sapevo! – protestò da dietro la porta, – Ma Oma mi ha detto di venire a portarvi questa… – Infilate un paio
di mutande, si assicurò che Scimmia e S.G.G.K. avessero su almeno i calzoni e
aprì. Lei gli porse un tubetto di pomata lenitiva con un sorriso, poi sbirciò
oltre le sue spalle e scoppiò in una risata argentina – Sembra che avete tutti
il morbillo! – e se ne andò. I tre ragazzi si scrutarono ridendo di gusto.
– Il rancio è quasi pronto, truppa! – tuonò Opa
dal piano inferiore. Una volta spalmati e vestiti, scesero per gustarsi,
finalmente, la meritata ricompensa da uomini duri.