Avrebbe voluto toccarlo.
Lo guardava come ogni notte, e come ogni notte avrebbe
voluto sdraiarsi al suo fianco e dormire avvolto nel suo calore, le
braccia strette attorno al suo corpo, il capo nascosto nell'incavo del
suo collo. Avrebbe voluto annusare il profumo particolare della sua
pelle -quante volte l'aveva sentito, e oh!, con quanta nitidezza
riusciva a ricordarlo-, risalire fino al volto, spiarne i lineamenti
familiari e belli, dolci nel sonno, lontani dalla determinazione quasi
fredda che durante la giornata ne cambiava l'espressione. Avrebbe
voluto piegare le labbra in un sorriso notando il suo leggero russare,
per poi posarle sulla sua guancia in un commiato silenzioso che avrebbe
riportato al giorno dopo, buonanotte
Edward, ci vediamo domani.
Avrebbe voluto accoccolarsi sotto la coperta assieme a lui e dormire
del suo sonno, cullato dalle braccia del proprio fratello, e poco
sarebbe importato se si fosse trattato di automail o di carne e ossa.
Era la testa, era il cuore, quello che contava per Alphonse.
E questo valeva per lui stesso, per Edward come per lui.
Eppure non riusciva a trovare consolazione, in questo pensiero.
Ascoltò il rimbombo metallico che quel breve gemito produsse
nel suo corpo metallico, in quell'armatura che era lui stesso.
Ascoltò la propria voce distorta produrre un suono come di
pianto. Eppure non poteva piangere, il piccolo Alphonse, non
più.
Seduto sul letto il corpo ingombrante, senza che la morbidezza del
materasso potesse consolarlo, senza che il profumo delle lenzuola
fresche della locanda potesse raggiungerlo.
Era tutto così freddo. Era questa la sensazione che provava.
Freddo, un freddo perenne e terribile, un vuoto che la sua mente
infantile riusciva ad associare soltanto al più gelido e
crudele dei ghiacci. Ghiaccio che neanche un raggio di sole riusciva a
sciogliere, e che pure insisteva nel combattere per riuscirci.
"Al, dormi...?"
Si accorse in ritardo di averlo svegliato con quei suoni brevi e
ripetitivi, in quel simulare di pianto silenzioso che stava
inconsciamente producendo, più per illudersi di poterlo fare
che per reale bisogno.
"No..."
Risposta scontata, visto che lui non poteva dormire. Nè
stancarsi. Ventiquattr'ore su ventiquattro con la mente lucida, a
confronto coi propri pensieri. A volte iniziava a pensare di star
diventando pazzo.
"Riposati, domani dobbiamo alzarci presto..."
Lo diceva per crudeltà? Per fargli sentire ancora di
più la loro diversità? O era tutto dovuto al
dormiveglia, quel dire come se mai niente fosse cambiato, come se
Alphonse Elric fosse stato fatto ancora di carne e sangue?
Di sangue ormai aveva solo il sigillo.
"Lo so... ma copriti la pancia, fratellone... ti prenderai di nuovo il
raffreddore."
Avrebbe sorriso, se avesse potuto, per dare un tono più
convinto alle proprie parole. Sforzò le molle del letto ad
accogliere il peso del proprio corpo metallico, sdraiandosi nella
cuccetta accanto a quella di Edward che, dal canto suo, sbadigliava
annuendo e si rigirava nel letto, tornando a dormire.
Dormiva, lui che poteva. E il fratellino, quello piccolo, quello da
difendere, quello simile alla mamma, non poteva dormire. E pensava, e
malediceva, e odiava, fragile la mente, lo spirito stanco.
Quello si, era stanco.
A volte avrebbe voluto cancellarlo da solo quel simbolo di sangue, e
riposare per sempre, finalmente. L'unico motivo, l'unico per cui ancora
non l'aveva fatto, era lo sguardo determinato di due occhi dorati che
lo spronavano ad andare ancora avanti, che gli restituivano la speranza
in un futuro migliore dove c'era posto anche per chi aveva sbagliato,
anche per chi aveva perso tutto.
Si era sempre aggrappato a suo fratello, e lo amava. Da morire. Amava
con l'intensità che può avere solo chi non ha
nessun altro al mondo. Avrebbe dato la vita per lui, e se Dio gliene
avesse data più di una, gli avrebbe donato anche quella. Era
il suo mondo. Il suo appiglio. Senza di lui, tutto sarebbe stato solo
piatto grigiore.
A volte dubitava che tale adorazione -perchè di questo si
trattava- fosse ricambiata. Nonostante tutto, nonostante gli sforzi,
nonostante gli arti perduti, nonostante il viaggio, le speranze, i
litigi. Forse pensava troppo, il piccolo Alphonse.
"Al..."
E l'odio era tanto, troppo, era odio per se stesso che era ridotto
così, per suo fratello che continuava ad illuderlo, per il
passato che non si poteva cambiare, per il padre che li aveva
abbandonati e la madre che li aveva lasciati soli, per il mondo che non
avrebbe accettato un essere come lui, per tutto, per tutti.
"Non piangere..."
E il pianto c'era, ed era reale, era un pianto viscerale senza lacrime,
senza espressione, era dolore puro che solo la voce ormai poteva
esprimere, erano singhiozzi infantili che solo un abbraccio poteva
curare e consolare, era il piccolo Alphonse che impazziva.
Da lì in poi fu solo il calore inesistente di un abbraccio,
lo schioccare morbido di baci sul freddo metallo. Fu la voce di suo
fratello che gli suggeriva il silenzio in un sibilare morbido e
consolatorio, il suo cullare incerto di quel corpo tanto più
grosso del suo, ma che restava sempre e comunque il suo fratellino.
Quello piccolo, quello
da difendere. Quello simile alla mamma.
E della mamma Edward tentava di ricordare le movenze, il
sorriso, i gesti, la voce, mentre stringeva a sè il corpo
gelido di metallo dell'altro, a tentare di consolare un pianto che non
era fatto di lacrime, ma solo di dolore. Ironia della sorte, pareva
più simile a suo padre, con quella goffaggine tipica di chi
non sa cosa fare e tenta di imitare quello che ha già visto,
di un uomo che tenta di farsi madre per ninnare un bambino, il proprio
bambino che piange.
Simile al padre Edward, simile alla madre lui. Sarebbe valso come
garanzia?
Se lo fece promettere. Non si sarebbe mai allontanato da lui. Non
l'avrebbe mai lasciato solo. Non avrebbe mai dimenticato chi era.
Sarebbe stato per sempre Alphonse, il suo Alphonse, il suo fratellino,
fosse stato di carne, di metallo o di pietra, di anima o di corpo,
presenza viva o solo ricordo di una vita passata, mai dimenticata.
E nella penombra notturna, in quel letto gelido senza un corpo di carne
a scaldare le coperte, stretto ad un'armatura gelida che con un sigillo
rosso legava a sè l'anima di suo fratello, della sua
famiglia, con solo un pianto quieto e metallico a far da sottofondo
alle proprie parole, Edward promise.
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Post Scriptum: Tanto
per cambiare, dedico questa robetta a Nacchan <3 Il titolo -sia
della storia che del capitolo-, sono delle frasi della canzone "For my
Brother" dei Blue October -qualcosa tipo la canzone più
Elricest possibile immaginabile, intendiamoci, secondo una testolina
malata come la mia o quella di
QUALCUNALTROSENZAFARENOMINACCHANCOUGHCOUGH-. Detto questo, potreste
vederci -probabilmente- un velato Elricest, ma io non l'ho concepita
come tale, anche se forse il mio amore per la coppia ha finito col
trasparire dallo scritto. Ma comunque, ognuno legge e interpreta come
vuole. XD Si nota che amo i drammi? :P Perdonatemi se non riesco mai a
rendere felice nessun personaggio ç_ç tutti
depressi! Sarò sadica io. Alla prossima!
Someone
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