La gioia di un tempo

di Menteconfusa
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Per quanto tempo gli erano mancati quegli alberi? Per quante notti aveva sognato il fruscio delle loro fronde e il silenzio che avvolgeva la Selva senza vie? Quanto aveva cercato di rammentare ogni angolo della foresta? Quanto aveva cercato di ricordare i volti delle persone a lui care in quel mondo che per anni gli era stato vicino e per anni era sempre stato troppo lontano?
Non erano tante, ma proprio perché era a poche persone che aveva concesso di tenere una parte del suo cuore. Il dolore e la terribile nostalgia l’avevano indotto a cercare di dimenticarle, provando ad alleviare la sofferenza, ma era stato tutto inutile: ad ogni tentativo provava dolore, un dolore tremendo, una ferita che non si sarebbe mai rimarginata.
Lingua di Fata gli aveva strappato dieci anni, dieci anni durante i quali le sue figlie erano cresciute, senza di lui. Sua moglie aveva pianto e sofferto, per lui. E, probabilmente, tutti l’ avevano creduto morto.
Ogni tanto, quando ancora era prigioniero di quell’ altro mondo, gli capitava di sognare la sua famiglia.
Era sempre lo stesso sogno, da dieci anni. Vedeva sua moglie, che gli chiedeva di tornare a casa, vedeva le sue figlie, che applaudivano guardandolo giocare con il fuoco. Viveva di quel sogno, ricordi che non avrebbe più potuto vivere.
Il ricordo della sua vita di un tempo lo fece sorridere.
Dopo tanti anni era finalmente tornato a provare felicità, gioia, allegria. Tutto ciò che per anni era stato sovrastato dalla nostalgia.
Ora era incontenibile, e ad ogni respiro il suo cuore batteva più forte, fortissimo.
Il fuoco, il suo amico inseparabile, era così diverso quell’altro mondo. Qui poteva parlare, scherzare con lui. Lo faceva nascere con un sospiro, uno schiocco di dita. Nasceva dalle sue mani, dal’ erba, e sì, anche dai sassi.
Ora poteva finalmente girare pagina, su un foglio vuoto, e iniziare una nuova storia, buttandosi tutto alle spalle.
 
 




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