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Introduce a Little Anarchy
Disclaimer: nessuno dei
personaggi della saga di Batman mi appartiene. Il titolo della storia
corrisponde ad una traccia della colonna sonora del film e appartiene a Hans
Zimmer e James Newton Howard. Ho inoltre usato delle citazioni, scritte in
corsivo, tratte dal film. Questa fan fiction è stata creata senza scopo di
lucro, per il puro piacere di farlo e per quanti vorranno leggerla. Nessuna
violazione del copyright si ritiene, pertanto, intesa.
La fanfiction è di proprietà di
°Verochina°, aka LeftEye (ovvero la sottoscritta). Prima di qualsiasi uso della
stessa, siete pregati di chiederne preventivamente il permesso all'indirizzo
e-mail: gnognica@yahoo.it
Note dell'Autore: mi
hanno colpito molto, nel film, le parole di Alfred, descrivendo alcuni cattivi
come uomini che amano semplicemente vedere il mondo bruciare. A partire da
questa frase, ho tratto le mie conclusioni.
Il
cattivo è reale, il cattivo ha una concezione del mondo realistica, e colui che
finora ha capito il mondo meglio di tutti è, a mio parere, il Joker.
Dopo
aver scritto le prime tre parole della fan fiction, cioè “ha ha ha”, non mi sono
più sentita all’altezza di entrare nella mente contorta del Joker, quindi, anche
se ho provato a fare del mio meglio, a riprodurre il suo modo di pensare e di
parlare (vedi le frequenti ripetizioni e interruzioni), sfruttando quelle poche
informazioni riguardo questo personaggio, non sono totalmente soddisfatta del
risultato, anzi non riesco proprio a giudicarlo, per questo sono molto curiosa
di cosa diranno il giudice e chi la leggerà ^_^
-
Ha. Ha. Ha.
-
Hi. Hi. Hi.
-
Ho. Ho. Ho.
-
Mi sto sganasciando.
-
E io pensavo che le mie battute fossero
stupide.
-
L’essere di fronte a me, premiata per tanti anni di studio con
una sigla da mettere davanti al proprio nome, non riesce ad alzare lo sguardo
sul suo paziente preferito.
-
Si sente al sicuro, la dottoressa
Collins.
-
Ma sa bene che se io non avessi quest’imbragatura biancastra che
- che imprigiona le mie braccia, afferrerei quel ferma carte d’argento posato
così casualmente sopra la sua scrivania, e le squarcerei la gola affondando la
lama con un colpo sicuro sulla giugulare, in modo da impedirle di emettere
alcun suono, per poi spingerla giù lentamente, fino al petto… e osservare i
suoi occhi terrorizzati fissati sul mio volto schizzato di
sangue.
-
Lo sa ed è per questo che stamane è apparso, quasi per incanto,
quel ferma carte. Anche se fa di tutto per nasconderlo, sta analizzando la mia
reazione: lei si aspetta che io fissi quell’oggetto con desiderio, come un
cane fissa una bistecca sulla tavola del
padrone.
-
Deve aver letto da qualche parte che i pazzi sono esseri
infantili e prevedibili, ma io ho deciso di non accontentarla, e guardo dritto
verso di lei.
-
Che cos’è, in fondo, un arma?
-
Certo, io ho una predilezione per i coltelli, le nobili lame
della verità, che rivelano la vera essenza di un uomo, ma lei non sa con
quanti altri oggetti, all’apparenza innocui, si può uccidere una persona;
tutto, in quella stanza, tutto potrebbe essere utile
all’occorrenza, dalle stanghette dei suoi occhiali da vista alla maniglia
della porta.
-
Sciocca.
-
Sciocca sciocca sciocca.
-
E sarei io il pazzo, qui?
-
Guardo verso la finestra: nel cielo, nuvole nere avanzano verso
il pallido sole, pronte all’agguato.
-
«Allora,
signor… X? Devo chiamarla così?» mi interpella sfacciatamente
la donna.
-
«Joker,
la prego. Mi chiamo Joker, dottoressa Collins» la correggo con fare
compiacente, alzando gli occhi al cielo.
-
Signor
X!
-
«Lei non
si chiama Joker, e lo sa bene, quindi non vedo perché debba insistere nel
nasconderci la sua vera identità. Se ci aiuta, noi possiamo aiutare
lei.»
-
Noi, chi?
-
Coloro
che hanno creato le regole, coloro che vi si sottopongono come dei
burattini?
-
Sospiro
e il mio sguardo si sposta di nuovo alla finestra: il sole che viene braccato
dalle nuvole è la prova che tutto ciò che tenta di illuminare le cose, di
renderle più chiare affinché siano più belle e ordinate, è destinato ad essere
soppresso da una forza intangibile e potentissima.
-
Nessuno
può governare le nuvole, nessuno può impedire loro di coprire il
sole.
-
«Avete... lavato via il trucco dal mio volto, avete bruciato i
miei abiti eccentrici; credete che questo basti a farmi tornare
“normale”.
-
Essere… normali, significa fare finta che tutto vada bene,
significa vivere in catene mostrando un
sorriso.
-
Ora lei vuole sapere quale sia la mia vera
identità.
-
Un nome, un cognome, è tutto ciò che serve per imprigionare un
essere umano, piegarlo alle regole dell’ordine
prestabilito.
-
Ma. Io. Sono. Joker» affermo con rabbia, digrignando i denti e
sporgendomi in avanti. Lei resta impassibile, prende appunti. «E’ tutto ciò
che la gente deve sapere, è tutto ciò che sono e non sono mai stato nessun
altro.
-
Io non seguo le regole né le creo, io non vengo comandato né
comando.
-
Il caos è la mia religione, la mia unica ragione di
vita.
-
E la verità è che non c’è nessun dio che ci osserva dall’alto,
che crea e disfa e suo piacimento, secondo canoni che solo lui comprende ma
che tutti accettano come giusto e sbagliato, come buono e cattivo, come bello
e brutto.
-
Facciamo un esempio: tuo figlio – spero proprio che lei non ne
abbia, dottoressa Collins – ti muore tra le braccia mentre il
criminale che gli ha sparato scappa con qualche
dollaro?
-
Ti convinci che è la volontà di Dio, che Lui ha
un piano per tutto e che sistemerà il tuo problema più avanti, quando avrà un
attimo di tempo libero, devi solo stare lì, immobile, impassibile, e
aspettare.
-
Ecco a cosa pensa solitamente una persona considerata normale e,
nel lessico psichiatrico, inventarsi una realtà parallela tutta propria, si
chiama schizofrenia. Farlo insieme ad altre persone, essere
obbedienti, prostrarsi alla crudeltà della vita, si chiama invece
pregare.
-
Io sono solo, io vedo una realtà tutta mia, quindi sono
schizofrenico.
-
Ah, tanto meglio.
-
Io
sono un agente del caos. E sa qual è il bello del caos,
dottoressa Collins? È equo!
-
Non c’è
nessun piano, non c’è alcuna cospirazione contro l’essere umano, ed è questo
che dovrebbe consolare la gente, non l’utopia di un regno dorato oltre la
morte e di un Buon Padre che ci ama anche se si diverte a punirci un po’
troppo spesso. Dio è soltanto l’ennesimo errore dell’uomo.
(*)»
-
Stringo i pugni dentro l’imbragatura e digrigno i denti,
ripensando a tutti quelli che mi chiamano mostro. Non mi piace essere
chiamato così, no, non mi piace proprio per
niente.
-
Glielo faccio notare.
-
«Molti mi considerano un essere abominevole, ma vi è un motivo
ben preciso. Loro mi guardano ed è come vedersi allo specchio, per questo mi
odiano, per questo vogliono sopprimermi: tentano di annientare quella crudele
consapevolezza di essere sull’orlo di un baratro, oltre il quale vi è la
rovina della specie umana.
-
Io non sono né migliore né peggiore, sono solo avanti sul
percorso che li attende.
-
Loro vogliono invece convincersi che nell’uomo ci sia ancora un
briciolo di… bontà e speranza, le quali, in realtà, sono
svanite nell’attimo in cui il nostro caro amico Adamo ha visto la Terra, ha
visto i suoi frutti, i suoi esseri, e ha deciso che quella era roba
sua.
-
Noi siamo tutti mostri, non c’è proprio nulla
d’innocente: nemmeno un neonato, che scatena in noi un sentimento di tenerezza
tale che vorremmo… vorremmo stringerlo forte , più forte, fino a farlo
soffocare, ecco, nemmeno un bebè ha una sola goccia di purezza dentro il suo
soffice corpicino.
-
Nasce causando terribili sofferenze alla donna che l’ha portato
dentro di sé per nove lunghi mesi… e non è forse un delitto far del mano ad
un’altra persona? No? E’ naturale?
-
Ah, già… quando un essere vivente viene al mondo, il suo primo
desiderio è quello di vendicarsi della persona che lo ha schiaffato su questa
sudicia e immonda terra.
-
Perché
dunque non accettare l’idea del caos, così calmo e
rassicurante?»
-
La
dottoressa rinuncia a chiedere il mio nome, non ha ascoltato una sola parola
di ciò che ho detto.
-
«Perché
non vuole parlarmi un po’ della sua vita? Non vuole nemmeno dirmi quanti anni
ha?» insiste mentre il suo tono di voce passa da intimidatorio a teneramente
supplicante.
-
«Mah»
sbuffo guardandomi intorno. «Certi mi dicono che queste cicatrici mi fanno
sembrare più vecchio, altri sostengono che mi
ringiovaniscono.»
-
«E così,
sono le cicatrici, il problema?»
-
«A
quanto pare. Credo che diano disturbo alle persone che mi guardano. Per loro,
è un problema» faccio spallucce.
-
«Mi
racconti come se le è procurate.»
-
Di
nuovo.
-
Incrocio
le braccia al petto e assumo un’aria solenne.
-
Fuori
inizia a soffiare un vento presuntuoso, in barba ai pochi raggi di luce
sopravvissuti. Come un cacciatore che stuzzica la sua preda. Come me, che amo
torturare le mie vittime – psicologicamente, è ovvio! Non amo sporcare i miei
abiti di sangue – prima di ucciderle.
-
«Vede,
dottoressa Collins, io avevo un cane…»
-
«Ah,
questa volta è il suo cane?» sospira scoraggiata. «Signor Joker, ho una
cartellina con ben quindici versioni diverse su come si sia fatto quelle
cicatrici. Ogni volta me ne racconta una diversa, ma qual è la storia
vera?»
-
«Direi…
tutte. Ho avuto un padre, una madre, uno zio, una moglie, un cane, un
criceto…»
-
«Perché?»
-
«Perché
ho avuto un criceto?» chiedo, dubbioso.
-
«Non mi
prenda in giro. Perché tutte le sue storie sono vere?»
-
Santo
cielo, questa donna mi fa impazzire! Vuole sempre una risposta per
tutto, ma non capisce che una risposta non c’è!
-
Mi
sporgo verso di lei, che di nuovo abbassa lo sguardo.
-
«Lo sa,
dottoressa, perché racconto alle mie vittime come mi sono procurato queste
cicatrici? Perché, nonostante tutto, non sono privo di…» cerco la parola
adatta, una delle tante usate e strausate, «pietà, come la chiamate
voi. Lascio credere loro che, in fondo, anche io sono buono, che sono
diventato ciò che sono per colpa di un padre violento, di una moglie
psicotica, di uno zio pedofilo… non per colpa mia, non perché sono nato così.
Questo rende la gente più felice, prima di morire, e io mi diverto con poco.
Si convincono che ci sono alcune persone cattive, su questo mondo, ma solo
perché questo persone hanno sofferto molto e non hanno mai ricevuto un po’
di-di calore umano!»
-
La donna
si appoggia alla scrivania con i gomiti, sospira, esausta.
-
«Intende
dire che per lei non è così? E’ nato con la consapevolezza che l’unico scopo
nella sua vita sarebbe stato quello di uccidere e costringere la gente ad
ammazzarsi a vicenda, di disseminare il panico?»
-
«Ma non
sono io quello che dissemina il panico! E non capisco questa vostra smania di
cercare, a tutti i costi, un capro espiatorio, e di dare la colpa di tutto a
me! Non mi chiamo Malaussène(**)!»
-
«Non è
un criminale, non è uno psicopatico, non è un capro espiatorio. Allora, me lo
dica lei chi è, che cos’è.»
-
Mi
schiarisco la voce, è giunto il finale, è ora di chiudere il
sipario.
-
Fuori,
un primo tuono strappa il drappo sottile del cielo, ormai troppo debole per
resistere. E’ pronto per essere dilaniato. Raffiche di vento soffiano
imperiose, palesano la loro forza e la loro intenzione a spazzare via ogni
cosa di questo mondo insano.
-
Il ramo di un albero vicino colpisce il
vetro della finestra, lo graffia. La dottoressa Collins sussulta.
-
Percepisce anche lei qualcosa, ha un brutto presentimento ed è
spaventata.
-
«Le
spiegherò come la penso io: il bello dell’essere umano è che, per natura, è
portato all’autodistruzione. Esso è la causa scatenante di un ciclone che
attende di esplodere da millenni. Girando e rigirando il coltello nella piaga,
continuando ad insistere, il caos avrà il sopravvento. Che cos’è il caos? E’
la tempesta che si abbatterà sull’umanità, distruggerà essa e tutto ciò che ha
costruito; è un dolce tifone portatore di novità. Il mondo in cui viviamo non
va bene così com’è» affermo con enfasi. «Non va affatto bene. Un mondo pieno
di regole, troppo intricato, non funziona mai tanto a lungo, è destinato a
crollare, per quanto sia forte la determinazione di chi crea le leggi. Già di
per sé nessuno rispetta le regole, nemmeno chi le ha fatte. Le leggi di quasi
tutti gli Stati dicono che tutti sono uguali, ma chi, in realtà, è
privilegiato e va sempre avanti senza trovare ostacoli, sono i ricchi, i
potenti e i belli. E’ per questo che bisogna a tutti i costi introdurre un po’
di anarchia… giusto un pochetto. Se stravolgi l’ordine prestabilito… tutto
diventa improvvisamente caos. Ben venga il caos, perché l’ordine non ha
funzionato (***). Gliel’ho già detto, dottoressa, io sono un agente del caos,
sono il venticello che apre la strada all’uragano. Io ho un compito da portare
avanti, e nessuno può impedirmi di svolgerlo, nessuno può
fermarmi.»
-
«Ma lei
ora è qui» ribatte la dottoressa Collins. «Qualcuno è riuscito a fermarla. La
polizia di Gotham, e Batman.»
-
Un
sorriso sfiora le mie labbra a sentir pronunciare quel nome.
-
Batman,
la mia nemesi, il mio opposto, il mio simpatico, eterno
nemico.
-
Tuttavia, mi vedo costretto ad ammettere che, sì, il pipistrello
è riuscito a prendermi, sebbene dopo svariati tentativi.
-
«E va
bene, sì, qualcuno mi ha fermato» sbuffo. «Ma non resterò qui a
lungo. Ho intenzione di andarmene.»
-
«Ah sì?
E quando?» chiede laconica la donna, guardandomi con aria di sfida. Ha
dimenticato la brutta sensazione provata pochi minuti fa.
-
«Esattamente tra sessanta secondi.»
-
La
guardo e sorrido, lei mi guarda e rabbrividisce. Ingoia la saliva, guarda
verso la porta.
-
«Non può
uscire di qui. Ci sono le guardie, e le porte si aprono solo con il
riconoscimento della cornea.»
-
Non è
del tutto sicura di quello che dice.
-
Io resto
in silenzio, continuo a guardarla e conto.
-
Cinquantasei, cinquantasette, cinquantotto, cinquantanove… la
dottoressa si alza di scatto, fa per avvicinarsi alla porta ma non riesce a
fare nemmeno un passo che si accorge dei lacci sciolti della mia
imbragatura.
-
Afferro
il tagliacarte (sì, infine ho scelto quest’arma, sono un tradizionalista) e,
con un movimento veloce ed elegante, affinato con molto esercizio, la gola
della donna inizia a riversare sangue.
-
Mi
sposto, non voglio sporcarmi.
-
Il rosso
non è il mio colore preferito, ma ha una sua bellezza che mi attrae, e ancora
di più mi piace guardare l’espressione delle mie vittime mentre vivono i loro
ultimi attimi, con la consapevolezza di essere lì, di sentire tutto, e di non
poter fare nulla per evitare di provare dolore, se non
aspettare.
-
Lei
attende molto, e anch’io.
-
Gratta
con le unghie il pavimento, nel vano tentativo di muoversi, di fuggire alla
morte.
-
Poi non
emette più alcun suono, non si muove.
-
Noto
solo ora quanto fosse bella questa donna.
-
Faccio
spallucce e termino il mio lavoro.
-
Pochi
minuti dopo getto il suo viscoso e unticcio bulbo oculare nel cestino del
parco che circonda il manicomio.
-
Respiro
aria pura.
-
Respiro
il vento, mi riempio i polmoni di caos e mi sento di nuovo
vivo.
-
Fine
Note finali:
(*)Citazione di Friedrich Nietzsche.
(**)Benjamin
Malaussène è il personaggio centrale nei romanzi del “Ciclo di Malaussène”
di Daniel Pennac. Di professione è capro espiatorio. Un uomo buono che finisce sempre per
sembrare responsabile di qualche misfatto. E per ironia la sua vocazione
lavorativa è proprio accollarsi colpe non sue portando il cliente
insoddisfatto all'esasperazione
della pietà fino a fargli dimenticare il motivo della sua protesta.
(***)Citazione di Karl Kraus, scrittore austriaco, sul
caos.
Le frequenti citazioni
vogliono dimostrare l’enorme bagaglio intellettuale che, secondo le poche
informazioni esistenti, il Joker avrebbe.
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