Capitolo
1
(PUOI
DIMENTICARE TUTTO, MA RICORDA SOLO QUESTO)
Danny
balzò su dalla posizione sdraiata, arrivando quasi a sedersi, prese fiato con
forza precipitosa e urgente come se riemergesse da una lunga immersione, e
ricadde quasi immediatamente sul letto con altrettanta violenza. Ebbe a
malapena il tempo di rendersi conto che si trovava semplicemente sdraiato in un
letto, che subito sentì il familiare contatto di mani sul suo petto, come se
cercassero cosa gli stava succedendo, e udì la voce altrettanto urgente e
allarmata.
«Danny!»
gridò di fianco a lui, il viso immediatamente vicino a studiare il suo
ansiosamente, l’espressione spaventata «Cosa succede?!»
E
tanto gli bastò per capire che andava tutto bene, o perlomeno che da quel
momento in poi tutto poteva andare bene, era fuori pericolo, era al sicuro, era
esattamente dove doveva essere, e non altrove. Era notte, ma non c’era il
freddo, non c’erano zanne contro la sua gola, non c’era la sensazione di morire
su due piedi, l’orrida consapevolezza della morte più veloce della morte in se
stessa, non c’era la sensazione delle vene che si rompono irrimediabilmente, e
l’aspettativa orrorificata di un flutto di sangue che
fiotti prepontemente in gola soffocandolo in pochi
preziosissimi e ultimi momenti. No, non stava per morire, anzi, era
perfettamente vivo.
Focalizzò
lo sguardo nell’oscurità della stanza, e mise a fuoco il viso chino su di lui
che lo guardava come se lei fosse pronta a fare qualsiasi cosa, assolutamente
qualsiasi, non appena avesse capito cosa poteva servire, per aiutarlo.
Non
fu in grado di ottenere dalle sue labbra un sorriso tranquillizzante, ma le
rivolse uno sguardo pienamente cosciente di tutta la rassicurazione che riuscì
a trovare in sé, e le prese il viso tra le mani con gentile trasporto.
«E’
okay, non è niente, sto bene. Davvero, non è nulla, solo…
dev’essere stato solo un incubo…»
In qualche modo, tuttavia, quelle parole gli sembravano profondamente inesatte.
Andrea
non sembrava ancora così tranquillizzata, a giudicare dal modo in cui lo
guardava, come se temesse che stesse per rimanerci secco da un istante
all’altro lì sotto i suoi occhi.
«Hey…» insistette lui, stavolta riuscendo a sorriderle un
poco, e schiarendo il più possibile la sua voce ancora impregnata di sonno
«Guarda: respiro, il cuore batte, sono sveglio e cosciente, ti sto guardando,
ti vedo, ti riconosco, Andrea, piacere, Danny, sono qui. E…
dannazione, sul serio, non sai quanto ne sono sollevato!»
E
si ritrovò persino un’allegra risata generosamente sincera che gli eruppe di
colpo dalla gola, breve ma concisa e netta.
Andrea
lo guardò più direttamente, seria ma allo stesso tempo un po’ più divertita, e
decisamente meno tesa. «Sei completamente impazzito, Danny?»
Lui
smise di ridacchiare di cuore e la guardò. «Cosa? Perché?» domandò,
sinceramente stupito.
Andrea
emise un lieve sospiro, corrucciò un po’ le sopracciglia e gli dedicò uno
sguardo di clinica attenzione. «Ti sei appena svegliato come se stessi avendo
un infarto, e per poco non l’hai fatto prendere a me un colpo – per la cronaca
– e ora ridi come un bambino la mattina di Natale, dopo aver avuto quello che dev’essere stato un terribile incubo. Quindi, onestamente,
puoi dire di sentirti in pieno possesso delle tue facoltà mentali, al momento?»
Il
ragazzo indovinò che la tensione dello spavento di lei si stava preoccupantemente trasformando in un certo risentimento, e
si ricompose in fretta.
«Okay,
davvero, scusami.» le chiese con onestà, alzando un po’ la testa per chiederle
perdono con un breve bacio. «Sto bene, davvero. E’ stato solo un sogno, cioè…» e corrugò la fronte, pensieroso e incerto «Almeno
credo fosse un sogno. Non ne sono del tutto sicuro a dire la verità.»
Andrea
vide la sua espressione rabbuiarsi di colpo, e cercò a sua volta un tono
rassicurante. «Sei qui, nel letto, e stavi dormendo. Cos’altro potrebbe essere
stato, se non un sogno?»
«Beh…» iniziò lui, mentre entrambi si sistemavano in modo da
stare sdraiati su un fianco fronteggiandosi «…sai,
c’era Zoal. E lei… non ne
sono del tutto sicuro, ma penso potrebbe essere anche capace di infilarsi nei
sogni altrui.»
Andrea
strabuzzò gli occhi, decisamente allarmata. «Cosa?!»
«Oh,
no no…» si affrettò a dire Danny, prendendole le mani
tra le sue «Non in quel senso. Non per cattivi propositi. E neanche per sbirciare
cosa si sogna, o cose del genere. No, penso che lo faccia per essere di aiuto
in qualche modo.»
«Sembra
una psicoterapia a dir poco invasiva!» replicò Andrea, ancora inquieta.
«No,
decisamente no, è qualcosa più come… un’apparizione,
un suggeritore, una guida. Almeno direi, così mi sembrava nel sogno… Non mi era mai successo prima, di sognarla. O che
lei fosse nei miei sogni. D’altra parte non avevo nemmeno mai sognato di…» la voce di Danny esitò notevolmente e si spense,
mentre il suo sguardo di nuovo si rabbuiava.
«Hai
detto che è stato un incubo…» cercò di incoraggiarlo
Andrea.
Lui
tornò a concentrare lo sguardo nel qui e ora, sul suo viso. «Una specie. Un
ricordo, più che altro. Ho sognato… qualcosa che è successo… che mi è già successo. Molto tempo fa. Non
l’avevo mai sognato prima, in ogni caso. Forse dovrebbe essere strano piuttosto
questo, che non l’avevo mai sognato prima…» rifletté
ad alta voce.
Senza
perdere di vista il suo sguardo ottenebrato da qualche peso all’apparenza
pressoché impronunciabile, Andrea gli si fece più vicino, e lo chiamò
delicatamente ma con decisione. «Danny?»
Lui
tornò a concentrare lo sguardo su di lei, un sorriso dolce gli spuntò alle
labbra per riflesso immediato. «Sì…?»
«Cosa
hai sognato…?» gli domandò, con tatto.
Ma
lo sguardo di lui tornò ad adombrarsi e si distolse da lei, come se qualcosa
gli fosse tornato a gravare addosso. Sembrò cercare le parole, e non trovarle,
nemmeno nell’atmosfera buia e tranquilla della stanza in cui si trovavano.
Andrea
gli si fece ancora più vicino, sforzandosi di mantenere il sorriso di
comprensione. «Sai…» mormorò piano, confidenzialmente
«…si dice che raccontare i brutti sogni li faccia
sparire? No…?» provò a suggerire affettuosamente.
Lui
tornò a guardarla, ancora serio, nonostante la piacevole gratitudine che gli
colmava lo sguardo. «Non credo che questo potrà mai sparire.» confessò, con una
profonda nota di tristezza e rammarico nella voce. «Non è solo un sogno. È
successo. Appartiene al mio passato. Ed è assolutamente impossibile…
tornare indietro…» terminò.
Accarezzandogli
gentilmente il viso, lei insistette gentilmente. «Cosa hai sognato…?»
ripeté, la voce poco più che un sussurro che suonava quasi ipnotico al suo
orecchio, vicino alle sue labbra e solleticato dal suo respiro.
Voltò
appena la testa, considerandola con uno sguardo combattuto. «Di quando… sono diventato un lupo.» riuscì infine a mormorare,
esitante.
Andrea
spalancò appena gli occhi, sorpresa, e colpita soprattutto dall’ondata di
dolore che sentì provenire dal ragazzo, e che la travolse. Ripensò agli accenni
che lui aveva fatto in passato, a come non gliene avesse mai parlato
apertamente e chiaramente, evitando di raccontare per filo e per segno, e
trattenne un sospiro di aspettativa.
Vedendo
la sua espressione, Danny distolse di nuovo lo sguardo e strinse un poco le
labbra. «Non è qualcosa che ricordo con piacere. Anzi…
tutt’altro.» chiarì, in tono piuttosto duro.
«Okay…» rispose allora Andrea «Non importa.» concesse
arrendevolmente.
Stavolta
fu Danny a fissarla con sorpresa, inarcando le sopracciglia stupito. «Davvero?»
Lei
corrucciò la fronte in un principio di irritazione. «Certo che no! Certo che
importa!»
Di
nuovo lui distolse lo sguardo. «E’ solo che…» iniziò,
cercando un qualche modo per spiegarsi.
«Va
bene, d’accordo. Tranquillo.» ripeté lei, rassegnata. Rimase qualche istante ad
osservare la sua espressione combattuta, in un certo senso distante, come se
una parte di lui fosse ancora oggetto di contesa tra il presente ed un passato,
un ricordo, che lo richiamava con forza, cercando di strapparlo via alla
realtà presente.
«Vuoi
raccontarmelo?» gli domandò allora, con gentile offerta.
Lui
la guardò, gli occhi aperti in una sincerità disarmante che dava l’idea che
avesse compreso che quella domanda era finalmente completamente disponibile.
«Sì…» rispose semplicemente.
Andrea
non aggiunse altro. Si sistemò più comodamente contro il suo fianco, la testa
appoggiata al braccio piegato sul cuscino, lo sguardo verso di lui che tuttavia
non richiedeva di essere ricambiato al momento. Danny ricambiò l’abbraccio, con
gratitudine, e lasciò che i suoi occhi vagassero sull’indefinitezza del
soffitto che si intravedeva nell’oscurità: uno spazio bianco e omogeneo,
abbastanza da non distrarre il suo sguardo mentre finalmente tornava indietro
al ricordo vero e proprio, cercando di sondarlo senza esserne ricatturato troppo prepotentemente. E iniziò a raccontare
di quella notte.
La
notte in cui si fermò in un centro sociale. Era scappato di casa da circa tre
giorni, e di volta in volta, la giornata era occupata dal cercare qualcosa da
mangiare perlopiù, e un posto dove poter passare la notte. Non poteva contare
su una grande generosità di fondi a sua disposizione; per questo, quando aveva
visto appesi in giro sui muri della città che stava attraversando i volantini
che annunciavano una festa in un centro sociale, aveva pensato che fosse la sua
occasione per guadagnarsi un divano su cui dormire fino al mattino dopo. Stanco
com’era, non avrebbe avuto problemi a dormire mentre la festa continuava fino
al mattino. E sapeva che allora, nella seconda metà degli anni ’80, in certi
frangenti quelle situazioni permettevano di riuscire a procurarsi qualcosa da
mangiare e un tetto per dormire senza che nessuno facesse domande, indagasse, o
semplicemente avesse qualcosa da ridire su un’ospitalità così temporanea e in
sordina.
Aveva
avuto ragione, anzi, più che ragione.
Il
posto, una vecchia casa un po’ diroccata assurta a centro sociale, piuttosto
fuori città e immersa in un boschetto, si era rivelata la sua sistemazione
ideale per una notte. Decisamente meglio, poi, di un sottopassaggio di una
stazione, del corridoio di una metropolitana, e di altre sistemazioni che aveva
dovuto considerare e in qualche caso accogliere durante le notti precedenti. Naturalmente,
non conosceva nessuno. Era già troppo lontano, diverse miglia, dalla sua città
natale e dove aveva vissuto per i primi diciassette anni della sua vita fino a
quella notte. Ma lui era un punk, aveva l’aspetto giusto per infilarsi in un
centro sociale senza che nessuno facesse troppo caso a lui, o al fatto che se
ne andasse in giro con un grosso zaino da campeggio pieno di cose, che girasse
a piedi e da solo, e che si presentasse ad un concerto e, dopo appena una birra
consumata svogliatamente, finisse per crollare a dormire su un qualche divano.
Almeno,
quello era il suo iniziale proposito.
Ma
i suoi piani erano saltati, ad un certo punto di quella serata. Molto prima che
iniziasse a valutare quale divano o materasso per terra o, mal che andasse,
quale frazione di pavimento avrebbe potuto eleggere a suo giaciglio per una
notte, era stato avvicinato da qualcuno. Una ragazza. Una ragazza molto bella,
dalla personalità decisa e calamitante, ammaliante a suo modo; e per qualche
motivo, anche lei sembrava sapere di essere piuttosto fuori luogo lì. Non come
lui, che cercava di farsi passare per un occasionale frequentante di concerti
in giro per il mondo, piuttosto che come un ragazzino scappato di casa solo
qualche giorno prima. No, lei sembrava fuori epoca, come se fosse appena
spuntata da qualche improbabile fenomeno paranormale, da un altro pianeta
forse. Non solo non era di lì in senso geografico: il modo in cui considerava
tutto e tutti ciò e coloro che aveva attorno, con fare superficiale e disinteressato,
annoiata ed estranea e divertita come se considerasse tutto nient’altro che un
gioco temporaneo e sciocco, davano di lei l’impressione che provenisse da un
altro intero mondo, inafferrabile nei suoi contorni, inconcepibile nella sua
natura, incomprensibile nei suoi sensi.
«Una
ragazza…» commentò piano Andrea, a quel punto. Ma
nonostante il suo tono, il sensibile udito di Danny non poteva essere
ingannato. Si interruppe e si girò a considerare attentamente la sua
espressione.
«Sì…» ammise infine, suo malgrado.
Andrea
si sforzò di trattenere il forte sentimento di disagio e gelosia che cercava di
possederla, e lo guardò in viso a sua volta. «E lei…
è stata lei? A… trasformarti? Non so se è questo, il
termine adatto…» domandò, incerta nelle sue stesse
parole.
Danny
strinse le labbra, chiaramente in difficoltà, e tornò a guardare il soffitto.
Si diede dello stupido diverse volte, tra sé e sé: terribilmente stupido, a non
aver pensato prima quanto poteva essere realmente difficoltoso. Non solo per
lui, nel raccontare quella storia. Ma anche per lei, nell’ascoltarla per la
prima volta.
«Continua…» mormorò Andrea, incoraggiante nonostante tutto,
dopo qualche momento di silenzio.
E
Danny sospirò, a lungo e lentamente, profondamente. Sì, lei aveva ragione. Non
poteva interrompersi. Non prima della fine della sua storia. Non c’era modo di
tornare indietro. Né per cambiare quel racconto, né per non iniziare mai a
narrarglielo.
«Ero… affascinato da lei.» riprese, con grande sforzo, come
se cavasse da sé le parole ad una ad una. «Ma non era perché era lei. E’
qualcosa che i lupi, o in generale le creature non umane, possono fare agli
umani. Affascinarli, incantarli. Perché appaiono diversi: danno la sensazione
di essere qualcosa di molto più affascinante di qualsiasi cosa tu conosca,
qualcosa di molto più interessante di qualsiasi cosa potrai mai scoprire da
solo. Ti danno questa immagine… nel retro della tua
testa, al di fuori di ciò che puoi capire o leggere lucidamente. Un’immagine… come qualcuno che tenda verso di te una mano, il
palmo aperto verso l’alto, una chiave su di esso. Una chiave per porte che non
puoi nemmeno vedere, no, ma… oh, se solo tu potessi
prendere quella chiave, esse non solo ti apparirebbero, estremamente invitanti,
ma tu potresti anche aprirle, attraversarle, scoprire interi nuovi mondi,
misteriosi, nascosti a tutti gli altri,
completamente celati a chiunque non abbia ricevuto in dono quella
chiave. Un dono. Una fortuna incredibile, irrifiutabile. Basta possedere un
briciolo di curiosità per diventare completamente preda di quell’offerta, e non
riuscire nemmeno a pensare come – e soprattutto perché mai – rifiutarla. Capisci…?» e Danny si interruppe brevemente, per tornare a
guardare Andrea, di nuovo completamente concentrato su di lei, ora.
«Non
è tanto così che va, che tu scegli loro. Sono loro a scegliere te. Non sono
stato io a scegliere lei. E’ stata lei a designarmi come sua preda, quella
volta. Non ero il primo, non la sua prima preda. E non sarei stato l’ultimo… no… » il suo tono si fece
molto amaro per un momento, sfiorando altri ricordi e consapevolezze che ancora
Andrea non poteva conoscere, e che si guardò dall’indagare, intuendo che
avrebbero portato ad una digressione troppo ampia e complicata, per la quale
non era il momento.
Di
nuovo, Danny focalizzò lo sguardo nel suo. «Lei mi scelse quella notte, come
sua preda. Non aveva altre intenzioni. Niente di particolarmente complesso o
difficile, per lei. Ero solo una preda. E così fece in modo di apparirmi come
colei che mi sta porgendo una chiave per altri mondi. A quel punto, quando
scelgono una preda, è difficile che il loro obbiettivo abbia qualcosa a che
vedere con lo spazio decisionale. L’unica cosa che potrebbe cambiare le carte
in gioco, sarebbe forse se la preda sapesse le regole del gioco, se il suo
sguardo potesse già vedere oltre quella promessa di quella chiave offerta
ingannevolmente su un palmo aperto. Ma loro riescono a vedere questo: ne
sentono l’odore, diciamo. Riescono a vedere se qualcuno li vede per ciò che
sono, come predatori. O se semplicemente sa che sono lupi. E non sceglierebbero
mai come preda qualcuno che sa cosa sono, cosa possono fare, che ha la consapevolezza… l’unica cosa che darebbe alla preda uno
spazio di scelta: accettare o rifiutare. Senza la consapevolezza, è quasi solo
questione di accettare. Vedi, io allora non sapevo niente di tutto questo. Non
avevo quella consapevolezza. Non è mai stata una questione di scelta, per me.
Ero solo una preda ignara, come tutte le altre prede. Sono caduto nella trappola.
Per questo l’ho seguita…»
Andrea
era come ipnotizzata dal suo sguardo, ora: non avrebbe interrotto il contatto
dei loro occhi per nulla al mondo, non mentre poteva vedere più di quanto
avesse mai visto dentro di essi. Era come se potesse leggervi le sensazioni che
il ricordo di lui richiamava, come se potesse assistere alla scena che lui gli
stava dispiegando davanti. Vi assisteva come pura osservatrice, non poteva
davvero entrarci. Anzi, c’era una prepotenze sensazione che la tratteneva ad un
ciglio dal precipitarvi dentro, qualcosa di forte come l’istinto di
sopravvivenza che trattiene dal fare un solo passo in avanti e dallo
sbilanciarsi anche solo a malapena, quando si è in piedi, sul ciglio di un
baratro, il divorante vuoto proprio davanti. Né si sentiva in grado di
rifiutare la forte stretta con cui il ragazzo le stava stringendo le mani nelle
sue, così forte da farle quasi male, come se si stesse tenendo aggrappato a
lei; se per non cadere a sua volta nel baratro o se per esserne tratto fuori
dopo esservi precipitato ed essersi riarrampicato
fino al suo ciglio, lei non avrebbe saputo dirlo.
«L’hai
seguita… dove?» riuscì a mormorare in tono appena
udibile, ma chiaro per il fine udito di lui.
Danny
sembrò tornare in sé. Al punto che si rese conto di starle stringendo così
forte le mani, e rilassò i muscoli delle dita, scemando la forza con cui la
stringeva fino a renderla più dolce e meno pressante. Sospirò, di nuovo, e si
girò sulla schiena, tornando a guardare il soffitto, rilassandosi appena un po’
mentre riusciva di nuovo, apparentemente, a distanziarsi maggiormente dal
ricordo. Una distanza di sicurezza più che sollevante, al momento.
«Fuori…» rispose semplicemente «Fuori da quella casa. Come
ti ho detto, c’era un bosco. Luogo ideale per i lupi. E poi…»
il suo tono scemò, scomparendo rapidamente, come se le successive parole
fossero rimaste intrappolate nella sua gola.
Andrea
aspettò qualche istante, per dargli il tempo di trovare il modo di dirlo. Ma
quando vide che lo sguardo del ragazzo si era come raggelato nel nulla,
districò gentilmente le mani dalle sue, per accarezzargli il viso, con tocco
rassicurante. Non c’era alcuna richiesta in quel gesto, nemmeno quella che egli
continuasse il suo racconto.
Ma
Danny sembrò ritornare di nuovo in sé. Senza muoversi, spostò lo sguardo,
sbirciandola di sbieco, di nuovo pienamente consapevole della sua presenza, del
luogo e del tempo presente, con tutte le sue implicazioni rassicuranti. Quando
tornò a parlare, la sua voce suonò più tranquilla e più distante, quasi
impersonale anche. Aveva di nuovo lasciato andare il ricordo, e suonava ora
come se stesse parlando di qualcun altro. Forse, in un certo senso era così ora
per lui, intuì lei dalle sue successive parole.
«Lo
stupido ragazzino fu morso da un lupo, e lo divenne a sua volta. Tu hai detto
‘trasformazione’. In un certo senso, ma non esattamente. Non cambi forma,
rimani te stesso. Ma diventi un te stesso diverso, almeno nel potenziale. È
come rinascere una seconda volta, ma è seconda appunto alla tua prima effettiva
nascita. Non vieni completamente… resettato. No. È
questione di potenzialità. Puoi diventare qualcun altro, pur rimanendo di base
te stesso. Sai… temo sia troppo difficile spiegarlo… per me, almeno. Ma… ho
conosciuto altri lupi. E molti di loro… sono… » si interruppe di nuovo e deglutì, a disagio «Sono
qualcosa di… innaturale, in un certo senso. È come se
avessero cancellato se stessi, chi erano prima di…
prima di diventare lupi. E tutto quello che hanno, così, è ciò che sono in
quanto lupi. È come se si fossero tolti di dosso la loro stessa pelle, e,
indossando la loro pelle da lupo, andassero in giro pretendendo persino con se
stessi di essere nati con quella, in origine. Ma non possono spingere questa
finzione fino al punto di renderlo vero. Non sono lupi, non sono nati come
tali. Sono… sono esseri umani che condividono la loro
pelle umana con quella di lupo. Già il solo pensarlo è…
estraniante, disturbante in qualche modo. Molti diventano semplicemente…
folli… cercando di venirne a capo. Non sopravvivono
al passaggio, non mentalmente diciamo. A volte, i loro stessi…
trasformatori, coloro che li hanno resi anche lupi, a questo punto li uccidono.
Perché sanno che potrebbero diventare pericolosi, per se stessi e per gli
altri, umani, lupi, entrambe le cose o altro ancora, non importa. Altre volte,
sono coloro che li hanno creati ad essere uccisi per primi, e poi questi
uomini-lupi impazziscono, e vagano, e… oh, beh, il
resto appartiene alle leggende umane: i cosiddetti ‘lupi mannari’…»
Danny
cercò di alleggerire il tono, in quest’ultima considerazione, ma tutto quello
che gli uscì fu un tentativo di risata troppo amara per realizzarsi, che gli
morì in gola in un verso sgradevolmente spezzato e sofferto.
«Ma
tu sei sopravvissuto.» cercò di venirgli in aiuto Andrea, sforzandosi di
passare attraverso quelle parole illesa, nonostante la stessero urtando
profondamente «Tu non sei impazzito.»
Danny
la guardò, le sue pupille blu scuro intente e intense
su di lei, come se studiassero la sua reazione, pienamente consapevoli di
quanto potessero mettere in difficoltà parole come quelle che aveva appena
pronunciato, specialmente se udite da un essere umano. O forse, specialmente se
udite da lei.
«Quando
ho capito cos’eri… chi eri…
» disse allora Andrea, ricordando a sua volta, e pescando da tutto ciò che
possedeva nella sua comprensione e che poteva venirle in aiuto, quasi
disperatamente «Dicesti che avrei dovuto aver paura di te. Perché mai? Se non
sei un lupo impazzito, se non…»
«Perché
è bene stare in guardia.» la interruppe Danny, urgente ma freddo e distante,
amareggiato, tornando a guardare il soffitto. «Tutti i lupi hanno il loro
momento oscuro. L’eclissi lunare, o la notte in cui la luna non compare,
ciclicamente. In quella notte, tutti noi siamo come lupi impazziti…
e il meglio che si può fare è tenerci strettamente legati.»
Andrea
spalancò gli occhi, stupita. Ricordò che tutti i giorni in cui la luna era
scomparsa, Danny aveva fatto in modo che lei non ci fosse, non fosse nemmeno
lì, a casa del Conte. E tremò, specialmente per il tono oscuro in cui ora
iniziava a intuire il motivo. Ma tremò anche perché solo ora realizzava che
aveva preso troppo alla leggera quella parte di vita, così determinante, di
lui. Ed era come se non potesse più sapere se conosceva veramente Danny,
all’improvviso.
Sembrò
che per un istante lui potesse comprendere molto bene, molto da vicino, le
sensazioni che la stavano sommergendo, perché si voltò verso di lei, e fu il
suo turno di toccarle il viso, per invitarla a guardarlo direttamente. Nei suoi
occhi, ora, lei poté ritrovare lo sguardo che conosceva, concentrato su di lei,
attento e gentile, preoccupato e tormentato. Le sorrise, molto tristemente.
«Sai…» le mormorò «Noi non scegliamo mai se diventare lupi.
Sono i nostri creatori a sceglierci, come prede. Ma… voi… voi che scegliete di condividere qualcosa della vostra
vita con noi, avete questa scelta. Non sono di quei lupi, quelli che scelgono
una preda. Non ho mai dato una seconda pelle, una pelle di lupo, a qualcun
altro. Non ho mai voluto farlo, non ne ho mai sentito il bisogno, né il
desiderio. E questa è la mia scelta. Non è un impulso irrefrenabile, no… E’ qualcosa che i lupi, alcuni lupi, fanno per qualche
loro motivo. Credo che lei lo abbia fatto perché si sentiva sola. Oltre perché
lei è fatta così. Lei vuole avere qualcosa da poter guardare dall’alto in
basso, che la veneri, che la segua, che la ritenga al di sopra di sé, in tutto
e per tutto. Non c’era niente di meglio per lei che mordere qualcuno e renderlo
lupo, renderlo dipendente da lei, dalla sua guida, dalle sue istruzioni, dalla
sua maggiore esperienza e conoscenza. Non ho mai sentito il bisogno di questo.
Credo sia questione di carattere, in fondo. Anzi, l’ho sempre ritenuto qualcosa
di subdolo, ingiusto e sgradevole. Prendere la scelta per qualcun altro,
imporgliela, come se fosse la cosa più giusta, la migliore, come se si
imponesse su qualcuno un qualche bene superiore secondo il nostro vaglio, o più
che altro per assecondare i nostri bisogni, dei quali siamo in balia. Qualcosa
di codardo: non essere in grado di combattere le proprie pulsioni per dare loro
corso o non a seconda della propria volontà e della propria scelta, e stare al
loro gioco. Ma per voi… per te…
è un altro discorso. Puoi scegliere, e qualsiasi sia la tua scelta, avrai in
ogni caso la mia comprensione. Puoi scegliere se stare vicino ad un lupo o…»
Andrea
gli prese gentilmente le mani, togliendole dal proprio viso e tenendole tra le
proprie per guardarlo direttamente negli occhi, fieramente. «Credo di aver già
fatto la mia scelta, Danny.» gli disse, paziente e convinta «Altrimenti, non
sarei nemmeno qui, ora. Non pensi?»
Dopo
un lungo momento di stupore, l’espressione del ragazzo si aprì, finalmente, in
un tenue ma profondo sorriso, di sollievo e calma. «Sì…»
mormorò, in conferma. «Scusami…»
La
ragazza lo considerò con curiosità. «Per che cosa…?»
«Credo… di saper essere veramente stupido, a volte…»
Andrea
gli sorrise, divertita, e poi ridacchiò, avvicinandosi per abbracciarlo
stretto. «Oh, puoi giurarci!» rispose, in tono affabilmente deciso.
Poi
sembrò che qualcosa le fosse balzato alla mente, perché si districò
dall’abbraccio per tornare a guardarlo in volto. C’erano sicuramente moltissime
domande che avrebbe voluto fare, e che andavano fatte, prima o poi. Ma non
riteneva che fosse il momento opportuno. Argomenti difficili, sensazioni ed
emozioni difficili, oltre che spiegazioni e delucidazioni davvero troppo
complesse, erano in agguato tutto intorno, le poteva sentire.
«Ma… se hai sognato di quella notte…
che cosa c’entrava Zoal?»
Danny
divenne pensieroso, e corrugò leggermente la fronte. «Non lo so. Non so perché
è entrata nel sogno. Cioè, non l’ho capito veramente. Anche perché…
non riesco a ricordare chiaramente… non del tutto. E invece… oh, e invece dovrei, dannazione!» e bestemmiò,
tirando un pugno di frustrazione al cuscino.
Salvo
sussultare appena per la violenza del gesto, Andrea rimase concentrata
sull’argomento in questione. «Perché dovresti? Cosa c’è di così importante?»
Il
ragazzo la fissò, ancora irritato, e con un evidente senso di impotenza, ma
presto sembrò preso da un nuovo sforzo di ricordare. «Lei ha detto… ha detto qualcosa… diverse
cose, a dire la verità. Ma non riesco a ricordare molto bene. Ha detto… ‘puoi dimenticare tutto, ma ricorda questo’…»
«Cosa
devi ricordare?» lo invitò a continuare lei.
Danny
però la guardò, ancora più impotente e scontento. «E’ questo il punto… non ricordo…» ammise.
Andrea
raccolse il fiato e assunse un tono e un contegno pragmatico. «D’accordo, non
c’è problema!» annunciò.
Lui
la osservò, perplesso. «No…?» chiese, affatto
convinto.
La
ragazza gli avvolse le braccia intorno al collo, rafforzando la sua espressione
scaccia-problemi. «Niente affatto. Tu hai detto che Zoal
non era lì perché la stavi sognando, ma perché è entrata nel tuo sogno, in
qualche modo. Giusto?»
Danny
si limitò ad annuire, confuso, cercando di seguire il ragionamento, o almeno di
intuire dove esso volesse andare a parare.
«Allora,
domattina, dopo che mi avrai accompagnato all’aeroporto, andrai su a casa loro,
da Yuta e Zoal, e le
chiederai direttamente cosa ti ha detto, la cosa importante che non ricordi. E
te la farai ripetere e spiegare meglio, da sveglio, magari assieme al motivo
per cui, invece che passare di qua o semplicemente fare una telefonata, lei usa
questo singolare metodo di comunicazione… infilarsi
nei tuoi sogni.» pianificò Andrea, con piglio sempre più scrupolosamente
pratico.
Danny
sorrise brillantemente. «Sembra una buona idea.» commentò.
«Non
sembra, lo è. E non è buona, ma ottima.» ribatté lei, scherzosamente.
Il
ragazzo fece per rispondere a tono, ma un pensiero lo colpì all’improvviso.
«Ah! Ma… l’aeroporto! La partenza! Domani! Dobbiamo
svegliarci presto! E io ti ho svegliato nel bel mezzo della notte e tenuta
sveglia per non so quanto, quando tu domani devi fare tutto il viaggio e…» iniziò a rimproverarsi, frugando nelle coperte per
raggiungere il comodino e la sveglia, per accertarsi dell’orario.
Ma
Andrea lo trattenne nel suo abbraccio. «Lascia perdere. Andava bene così com’è andata…» lo tranquillizzò «Ora però…
sarebbe meglio dormire, almeno finché non sarà l’ora di alzarsi…
e preferisco non sapere tra quanto, onestamente!» ridacchiò.
Soundtrack:
Disappear (INXS)
Note
dello scribacchiatore: di nuovo un capitolo lunghetto, abbiate pazienza,
presto i capitoli diventeranno un po’ più “leggeri” ;)
In caso troviate errori di ortografia o
simili e abbiate voglia di segnalarmeli mi fate un favore, per il resto, se ce
ne sono scusatemi, il tempo stringe e la storia ha da correre oltre! ;)