Piccolo Fiore

di GoldFish27
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IV.

Piccolo Fiore
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IV.

Era una serata calda, lì, in una delle piazze più importanti di Roma. Il sole era scomparso da poco e  la gente si stava riversando sul viale oltre le mura alla ricerca degli ultimi pullman e degli ultimi tram in corsa.
Attorno al mio pianoforte, però, il numero di spettatori era addirittura aumentato. Un altro po' e mi avrebbero circondato del tutto per la prima volta, quell'estate. La gente dondolava il capo seguendo le mie note leggere, volutamente alte per combattere l'afa notturna. Terminai un'altra melodia e bevvi un sorso d'acqua tra un applauso generale.
Le persone continuavano ad avvicinarsi, così decisi che era giunto il momento della mia ballata preferita, il mio pezzo forte, che serbavo per i momenti di maggiore afflusso. La conoscevo talmente bene a memoria che non avevo neanche bisogno di aiutarmi con lo spartito.
Le note scivolavano sotto i miei tocchi in un crescendo, gioiose e incalzanti. Alzai lo sguardo e lo puntai tra la gente per osservare le loro reazioni, e fu allora che la vidi.
 
Rimaneva immobile, seppur ondeggiando tra la folla, prima nascosta dietro un paio di jeans blu scuro, poi coperta da una lunga gonna. Tutti la urtavano, nessuno sembrava accorgersene, ma lei rimaneva sempre ferma al suo posto e non sembrava affatto curarsi di chi le stava intorno. Aveva gli occhi fissi sul pianoforte, ma troppo bassi per star guardando i tasti. Il suo sguardo era molto più lontano, remoto, irraggiungibile. Sembrava che una strega le avesse fatto un incantesimo, costringendola a rimanere in quella posizione per l'eternità.
L'indice mi scivolò su un tasto sbagliato, generando una stonatura che soltanto un orecchio sufficientemente allenato avrebbe potuto udire. Distolsi lo sguardo per concentrarmi sulla ballata. Ogni tanto, però, lanciavo un'occhiata alla mia impassibile spettatrice. Aveva una carnagione di colore olivastro, e non ero del tutto sicuro che quelli che indossava fossero propriamente abiti, tant'erano sporchi e stropicciati. Il viso, esile come il resto del corpo, era polveroso, e gli occhietti risaltavano tra alla pelle annerita dallo sporco. Tutto di lei dava l'idea di trasandatezza e noncuranza; tutto, eccetto i capelli. Questi, neri e lisci, erano acconciati amorosamente in due codine di cavallo che le ricadevano dai due lati della testa.
Puntai lo sguardo altrove mentre completavo la melodia. L'ultima nota fu seguita da un profondo silenzio, poi la gente sciolse le mani in un applauso fragoroso. Girai la testa verso la bambina dagli abiti polverosi, ma, con mia grande sorpresa, i miei occhi incontrarono solo gli abiti della gente.
Era scomparsa.


 




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