PERCHE’
A VOLTE
CAPITA! MA ANCHE NO.
“… e così non potevo
crederci, ma era
successo davvero! Avevo sempre pensato che certe cose capitassero solo
nei film o nei libri , ma ora avevo capito che la vita reale era
più sorprendente di qualsiasi fantasia!”
Viviana stava per vomitare. La solita frase stracotta e
melensa da romanzo rosa, e difatti era quello che stava leggendo: uno
stupido romanzetto che parlava di una ragazza di 16 anni innamorata del
prof che le dava ripetizioni di matematica. Come se fosse
possibile. Ma naturalmente il suddetto aveva
“solo” 32 anni ed era ancora bello e affascinante.
Ora lui le aveva dichiarato il suo amore e, naturalmente,
“nonostante dovessimo affrontare molte difficoltà,
il nostro legame era più forte, insieme avremmo affrontato
ogni tempesta!”
La ragazza decise che non poteva proprio farcela ad andare avanti,
ormai i suoi neuroni lanciavano grida di protesta,
così scagliò il libro dall’altra parte
del divano, con buona pace delle pagine che si spiegazzarono tutte.
Decisamente non era il genere che preferiva, ma era dalla nonna e
doveva pur far passare il tempo, mentre i suoi finivano il trasloco.
Per non morire di noia, mentre la nonna schiacciava il suo pisolino,
era andata alla disperata ricerca di qualcosa da leggere, ma tutto
quello che era riuscita a trovare era una fila di libriccini rosa in
uno stipetto: i soliti volumi che la nonna riceveva ogni estate in
omaggio dalle tante riviste per pensionate a cui era abbonata, giornali
zeppi di raccontini melensi spacciati per “storie
vere”. E difatti anche i titoli di quei libri non
promettevano nulla di buono: “incontri in riva al
mare”, “un’ estate rosso
fuoco”, “passione proibita”. Ne
aveva preso uno a caso, tanto sapeva cosa ci avrebbe trovato dentro:
una storia zuccherosa, scema e soprattutto irreale.
Viviana era una persona assolutamente concreta e razionale, a volte
quasi cinica, e non amava indulgere troppo in fantasticherie come la
maggior parte delle sue coetanee. Non che non credesse che la vita
potesse essere imprevedibile: amava guardare film e leggere libri
tratti da storie vere, ma proprio perché era certa che lo
fossero. E comunque, era convinta che certe cose capitassero una volta
su un milione, e allora perché illudersi stupidamente?
Non poteva concepire come le sfighe della vita potessero
trasformarsi magicamente in “trame del destino” (e
a suon di frasi fatte). Per esempio, pensava, stravaccata mollemente
sul divano, quante probabilità c’erano che un
professore che desse ripetizioni di matematica fosse bello e giovane?
Molto scarse. A lei erano sempre capitati vecchi insegnanti in pensione
e il massimo di affascinante che potevano avere era
l’eredità… anzi, con uno stipendio da
professori, neppure quella!
La ragazza ruotò leggermente la testa per gettare un
‘ occhiata all’orologio. Erano solo le quattro.
Sbuffò, i suoi sarebbero arrivati a prenderla solo quella
sera. Si raggomitolò e sistemò la testa sul
bracciolo pensando che, a quel punto, poteva farsi una dormita anche
lei. Aveva appena chiuso gli occhi, quando qualcuno suonò il
campanello. Restò immobile, sperando che andasse la nonna,
ma dopo un po’ non sentì nessun rumore di passi.
Figurarsi! Quella, quando dormiva, era come se si trasferisse su
un’altra dimensione…
la ragazza si tirò su lentamente dal divano, stiracchiandosi
come un gatto, e si avviò verso la porta
d’ingresso.
“Sicuramente sarà un’ affascinante
cantante di Los Angeles che si è perso proprio in questo
quartiere” pensò sghignazzando tra
sé “
mi regalerà il biglietto del suo concerto e poi scapperemo
insieme a Londra, perché i sogni vanno inseguiti, non
importa dove!!”. In realtà, sperava qualcosa di
altrettanto improbabile: che sua madre avesse finito il trasloco con
tre ore di anticipo.
Aprì la porta e si affacciò sul giardino, per
controllare chi ci fosse al cancello. Non c’erano i suoi,
né il cantante di Los Angeles. A dire la verità,
non c’era proprio nessuno.
“I soliti cretini che si divertono a suonare i
campanelli!” sbuffò , sentendosi una stupida per
aver abbandonato la sua comoda postazione.
Poi però notò che qualcuno aveva
poggiato un grosso cesto proprio davanti al cancello. Non le risultava
che la nonna si facesse spedire la spesa a domicilio…
Incuriosita, si avvicinò e dette un’occhiata: era
ricoperto da un telo, ma sembrava che qualcosa si muovesse sotto.
Sollevò un lembo del lenzuolo e… rimase di sasso:
dentro il cesto c’erano ben tre gattini!
La ragazza non ne aveva mai visti di così piccoli:
non erano molto più grandi della sua mano, e avevano gli
occhi così tondi che sembravano occupare quasi tutto il
musetto. Uno aveva il pelo grigio, un altro nero, mentre il terzo era
rossiccio. Erano in tutto e per tutto uguali a quelle immagini di mici
che si vedono su bigliettini, diari e cartoline che la gente definisce
“pucciose”, e che Viviana non avrebbe mai pensato
di vedere in carne e pelo. I tre animali non sembravano affatto
intimoriti dalla sua presenza. Il grigio addirittura dormiva
beatamente. Erano troppo teneri e indifesi, e lei era indignata. Ma chi
si permetteva di lasciare dei cuccioli così piccoli in un
cestino, davanti a un cancello a caso? Lei, in ogni caso, non avrebbe
potuto tenerli, e la nonna… era meglio che non li vedesse
proprio, dato che era allergica al pelo dei gatti. Sollevò
il cesto con entrambe le mani e decise che doveva rintracciare la
persona che li aveva abbandonati. Forse, se avesse provato a chiedere
in giro per il quartiere, avrebbe scoperto qualcosa.
Viviana non conosceva ancora bene il paese, però ricordava
vagamente che, in fondo a destra della via, doveva esserci un campetto
di calcio dove a volte si riunivano dei ragazzi. Magari qualcuno di
loro aveva visto qualcosa…
Quando arrivò, in effetti, nel campetto c’erano
cinque o sei suoi coetanei che stavano giocando una partitella di
calcio. La ragazza si fermò lì, in cima agli
spalti, chiedendosi come avrebbe fatto ad attirare la loro attenzione.
In fondo, un po’ si vergognava ad andare là, in
mezzo a tutti quei ragazzi che non conosceva. Era ancora ferma in
piedi, a prendere coraggio, quando uno di loro alzò la testa
nella sua direzione e la indicò agli altri. Da lontano
Viviana non poteva capire cosa stesse dicendo, ma dopo pochi secondi si
accorse benissimo che l’intera compagnia era scoppiata a
ridere. Solo allora la ragazza si ricordò di essere uscita
di casa in ciabatte, con una maglietta sformata della nonna e anche
spettinata. Ma ormai era troppo tardi e, visto che ormai si erano
accorti di lei, decise di avvicinarsi.
- Scusate- gridò, scendendo
goffamente i gradoni, impacciata dal grande cesto e attenta ai gatti
che iniziavano ad agitarsi- scusate…
Uno dei ragazzi si fermò a bordo campo e con un tono
beffardo, più che gentile, le chiese:- Ciao, ti serve
qualcosa?
- Sì… mi chiamo
Viviana e … ecco… - balbettò- qualcuno
ha lasciato questi gatti davanti a casa mia- nel frattempo, gli altri
si erano radunati alle spalle del suo interlocutore, a qualche metro da
loro, e la ragazza mostrò loro il contenuto del cesto - e
pensavo… per caso voi…
Il ragazzo che aveva parlato prima la guardò malissimo e la
interruppe:- Scusa, cosa vorresti insinuare? Che noi abbandoniamo gli
animali per strada??
Viviana fece un passo indietro, offesa per tanta
suscettibilità:- Io non sto accusando nessuno, volevo
solo…
Lui la zittì con un gesto imperioso della mano, e si
voltò verso gli altri:- Ragazzi, questa qui ci vuole
rifilare i suoi gatti e si inventa pure queste storie…
Viviana arrossì fino alla radice dei capelli:- Questi gatti
non sono miei!- protestò, sfidando lo sguardo di tutti-
qualcuno ha suonato alla mia porta e li ha lasciati lì!
Parecchi ragazzi la fissarono facendo smorfie per non ridere:- Certo,
certo…- disse uno di loro, alto e allampanato - e magari hai
trovato anche una letterina con su scritto: “Vi prego,
abbiate cura dei miei poveri figli?”
- Forse sono stati portati dalle acque
come Mosè…- aggiunse un secondo, prima di girarsi
educatamente dall’altra parte e scoppiare in una sonora
risata.
Viviana si sentiva formicolare la faccia e le prudevano anche le mani.
Odiava non essere presa sul serio, però in effetti la
storia, così come l’aveva raccontata, non sembrava
molto credibile… e poi non era neppure molto credibile lei!!
Lo spilungone di prima, dopo aver ripreso fiato, tornò a
fissarla serio:- Senti, bella, non è che ci fai pena solo
perché ti sei conciata così, quindi fai il
piacere di tenerteli, i tuoi animali.
Dopo questa frase, la ragazza capì che era senza speranza.
Si voltò con gli occhi pieni di lacrime di vergogna e di
rabbia e cominciò a risalire i gradoni sotto gli occhi
sarcastici dei suoi nuovi amici. La salita le sembrava infinita, mentre
le loro frecciatine la raggiungevano ancora:
- Attenta! Un elefante sta cadendo dal
cielo!
- Forse sono i gattini delle fate, che
appaiono solo dai bambini buoni!
- Anzi, magari lo hanno suonato loro il
campanello!
Nel salire l’ultimo gradone, perse
l’equilibrio e incespicò.
Picchiò un ginocchio contro lo spigolo di cemento, ma
ignorò il dolore e si tirò su il più
in fretta possibile, sperando ardentemente che nessuno se ne fosse
accorto. Finalmente approdò sul ciglio della strada e
attraversò in tutta fretta, decisa a non mettere
più piede in quel campetto finchè avesse vissuto.
Arrivata dall’altra parte, poggiò un momento il
cesto sul marciapiede e trasse un forte respiro: accidenti, erano
piccoli, ma in tre pesavano un po’!
- Ti sanguina un ginocchio…
Viviana si voltò: seduto alla fermata dell’autobus
lì di fianco c’era un ragazzo sui
vent’anni. Sarebbe stato “un vero
schianto”, peccato che gli occhi azzurri sembrassero tre
volte più piccoli per via dei fondi di bottiglia che aveva
in bilico sul naso, i capelli biondi fossero tagliati a mo’
di scodella di polenta e dalla sua polo color verdino spuntassero due
braccine che si potevano definire tutt’altro che muscolose.
Il fatto che le stesse fissando il ginocchio sanguinante con aria
paterna certo non aiutava.
- Oh, sto bene - si affrettò a
dire la ragazza, muovendo la gamba per confermare - non mi fa male,
vedi?
Il biondo fece una risatina:- Certo che lo muovi, dato che non
è rotto. Ma se non ci metti su un cerotto, farà
infezione, e poi non vedi che ti sporchi?
Viviana abbassò gli occhi: un rivoletto di sangue partiva
dal taglietto che si era fatta e, sottile e infido, scivolava
giù lungo la gamba e poi la caviglia, fino ad inzuppare di
rosso il calzino. D’istinto si toccò le tasche per
cercare un pacchetto di fazzoletti, ma invano.
Alzò la testa per chiedere al ragazzo se ne aveva uno, ma
vide con terrore che quello stava tirando fuori ordinatamente dalla sua
cartella dei cerotti, una bottiglia di acqua ossigenata e delle garze.
- Ecco qua! Li porto sempre con me, per
quando serve- disse in tono pratico, come se stesse parlando di cracker.
Viviana pensò che era davvero troppo. Tre gatti davanti alla
sua porta, una figura di emmenthal proprio nel quartiere dove sarebbe
andata ad abitare e, per finire, una specie di aspirante allegro
chirurgo che voleva medicarla in mezzo alla strada. Senza dire nemmeno
una parola, afferrò il cestino e scappò a gambe
levate in direzione della casa della nonna.
Quando finalmente arrivò, aveva il fiatone e le braccia le
tremavano per lo sforzo. Suonò il campanello, pregando che
la nonna si fosse svegliata. Sentì qualcosa di morbido
sfiorarle la gamba: uno dei gattini, il rosso, era uscito dal cesto e
si stava strusciando contro la caviglia, fissandola con i buffi occhi a
palla. La ragazza sospirò: in effetti, non ci credeva
neppure lei. Ed ora, per colpa di gente che non credeva nei romanzi,
quindi gente come lei, le toccava tenersi quei gatti che, magari,
avevano anche le pulci.
Viviana se ne stava nella sua nuova camera da letto, a studiare. Era in
compagnia dei suoi assistenti che, però, quel giorno
più che aiutarla la intralciavano: Newton il rosso si era
acciambellato sul suo dizionario di latino, così non poteva
consultarlo, Einstein il grigio era sdraiato sui suoi piedi e
Galileo… dov’era finito Galileo?
Ebbene sì, alla fine quei tre gattini fatati se li
era proprio dovuti tenere. Per forza: la sua famiglia si era appena
trasferita in quel quartiere e, quindi, non avevano conoscenti
più o meno stretti da convincere. Per il momento erano
ancora alla ricerca di qualcuno che li volesse: avevano anche sparso
dei volantini nei negozi, ma i giorni passavano e nessuno aveva
telefonato né suonato alla loro porta. Razionalmente,
più tempo passava e meno erano le probabilità che
si presentasse qualche candidato padrone… e quindi, Viviana
si era rassegnata ormai al fatto che quelle tre pesti facessero parte
del suo mondo. Aveva sempre rotto l’anima ai suoi
genitori per avere un cane e ora si ritrovava con ben TRE gatti: queste
sono le cose che capitano nella vita!
Almeno avessero davvero dei poteri magici, pensò la ragazza
esasperata. Stava fissando Newton negli occhi, cercando di convincerlo
con la forza della telepatia a levarsi di lì.
Ma erano come tutti i gatti: mangiavano, dormivano, si facevano le
unghie e i fatti loro. Cioè, quando potevano romperle le
scatole le si appicicavano alle gambe e non la mollavano più
, mentre quando le servivano, per esempio perché doveva
tagliare loro le unghie, doveva cercarli ovunque e buttare
all’aria la casa . Decise di lasciar perdere la telepatia e
afferrò Newton, lo sollevò dal vocabolario e si
alzò bruscamente , ignorando le proteste di Einstein che
sgattaiolò via dai suoi piedi.
- Ora - decretò, attraversando
la stanza con il rosso in braccio - tu vai a farti un giro!
Aprì la porta della camera e depose il gatto sul pavimento.
Il micio si sedette dandole le spalle e si leccò una
zampetta, con aria offesa.
- Bene- esclamò la ragazza. Si
voltò e… Galileo se ne stava bellamente seduto
sul suo povero dizionario, agitando soddisfatto la coda nera.
Viviana stava cominciando decisamente a perdere la pazienza.
In quel momento, suonò il campanello. La ragazza si
precipitò giù per le scale. “Ti prego,
fa che sia il cantante di Los Angeles!” pensò,
mentre apriva la porta. Invece, indovinate chi si ritrovò
davanti? Uno sconosciuto. Ma va? Si era appena trasferita!
Il ragazzo doveva avere qualche anno più di lei e non
sembrava molto felice di essere lì. Si tormentava un lembo
della maglietta con una mano e aveva lo sguardo imbarazzato di chi
è stato mandato da qualcun altro a riferire cose spiacevoli.
- Buongiorno - esordì,
guardando sopra la testa di Viviana. Il che gli riusciva piuttosto
facile, dato che la sovrastava di almeno venti centimentri.
- Buongiorno…- rispose lei,
aspettandosi il peggio.
- Io… sono il tuo nuovo vicino
di casa, piacere.
- Piacere mio - Viviana
allungò la mano per prendere quella del ragazzo, ma dato che
lui non l’aveva fatto, rimase con la sua a
mezz’aria.
- Senti, io non è che sono
venuto qui per conoscerti, ecco - disse finalmente lui in tono secco -
ma volevo dirti che… ecco, i tuoi gatti vengono a fare
pipì nel giardino di mia mamm… insomma nel
nostro, e rovinano le piante.
- Io non ho gatti - mentì lei.
Non sapeva neppure lei perché quella bugia le fosse uscita
di bocca: forse perché l’uomo ha in sé
un meccanismo di autodifesa, forse perché non voleva
rovinarsi subito la reputazione… un’autrice di uno
di quegli orrribili romanzi avrebbe detto che si era già
perdutamente innamorata degli occhi verdi del suo vicino (che erano
marroni).Fatto sta che, proprio mentre l’ultima sillaba di
quella frase spiccava il volo dalle sue labbra, sentì
l’ormai familiare sensazione di animaletto che si struscia
sulla gamba.
Il vicino abbandonò la sua aria da cane bastonato e
sogghignò:- Oh oh, non dirmi che quel gatto è
entrato per caso dalla finestra e non è tuo, vero?
Alla fine, la gente realista non è poi così rara,
pensò Viviana amaramente.
- Sì, è mio-
tagliò corto, sbattendogli la porta in faccia. Si
chinò ad accarezzare quel traditore di Galileo e lo
guardò negli occhi:- Che ne dici? Forse avrà un
po’ di compassione di me, con tutto quello che devo
sopportare per colpa vostra?
Afferrò il micio e avvicinò il naso al suo:- Eh
sì, certe cose capitano solo nei romanzi.
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