Rush
The longest dawn
“Stay and help
me to end the day
And if you don't mind
We'll break a bottle of
wine
Stick around and maybe
we'll put one down
Because I wanna find
what lies behind those eyes
[…]
I rise, looking through
my morning eyes
Surprised to find you by
my side
Rack my brain to try to
remember your name
To find the words to
tell you goodbye”
(Pink Floyd – Stay)
Le gocce di
pioggia scivolano lentamente sul vetro. Sono quasi le quattro del
mattino, e Niki è sveglio. Sa che dovrebbe dormire
finché può, dovrebbe riposarsi in vista della
gara che lo impegnerà tra poche ore, ma la sagoma del monte
Fuji, una massa nera contro il grigio-bluastro delle nubi appena
illuminate dai primi raggi dell'alba, attira la sua attenzione in modo
inquietante.
Sembra quasi
un monito, ma l'austriaco sa, in cuor suo, che è stupido
credere in certe cose e dare tanto valore a un semplice vulcano.
La paura
è dentro di lui, e non è certo colpa del monte
Fuji se le mani gli sudano per la sottile angoscia che lo pervade da
giorni.
Ha paura.
Qui non
è questione di venti o ventuno percento di rischio, qui
è questione di vita o morte, senza mezzi termini statistici.
Dopo l'incidente, Niki ha una paura tremenda di morire. Non vuole che
accada di nuovo quanto è successo in Germania. Sfiorare
l'inferno e tornare mezzo ustionato gli è bastato una volta,
quindi no, grazie.
Mentre riflette, dei passi all'esterno della camera lo riportano alla
realtà. Qualcuno bussa lievemente alla porta, come a
controllare che l'occupante della stanza sia sveglio oppure no. Niki
raggiunge in fretta la porta, un po' perplesso, ma cela bene il suo
stupore quando si ritrova davanti James Hunt.
Niki si ritrova a pensare che è davvero bello,
più bello del solito, ora che ha gli occhi cerchiati dalla
mancanza di sonno e dalla preoccupazione; ora che sopra al semplice
pigiama di cotone grigio indossa un maglione di lana turchese, troppo
grande di almeno tre taglie. Lo infagotta in modo buffo, quasi tenero,
e non sembra il solito James Hunt un po' sbruffone che stappa champagne
davanti alle telecamere.
«Ehi.
Sei sveglio anche tu.» Mormora il biondo, sorridendo
leggermente.
«Già.»
«Nervoso?»
«Ci vuole la giusta dose di nervosismo in ogni competizione.
Le statistiche dimostrano che i piloti che si dimostrano più
sicuri di sé, quasi sempre sono quelli che muoiono in
giovane età, per una distrazione durante la corsa.»
«Preciso come un computer, topolino.» Commenta
James, senza scherno. «Ma ti prego, per una volta in vita tua
lascia stare le statistiche. Vieni a fumare una sigaretta?»
«Dove?» Indaga Niki, tenendo la voce bassa per non
svegliare Marlene.
«Di fuori, nel portico dell'hotel. Lì sotto non
piove e c'è un bel panorama.»
L'austriaco si lascia sfuggire una risatina. «James Hunt che
si interessa al panorama. Ora sono sicuro al cento percento che gli
asini possano volare.»
«Dai, sai che intendo. Oggi è una di quelle notti
in cui né amanti né mogli possono distrarti dalla
gara. Sono... Sono angosciato, ok?» Sibila James, alzando le
mani e distogliendo lo sguardo. «Mi conosci. Sai
che–»
«Va bene. Taci, prima di svegliare mia moglie. Mi metto
qualcosa di pesante e vengo.» Lo interrompe Niki,
chiudendogli la porta in faccia. Stando attento a non fare rumore si
infila una felpa sopra il pigiama, mette dei calzettoni ed esce dalla
stanza.
James lo sta
aspettando in fondo al corridoio. L'austriaco lo raggiunge e poi
camminano di pari passo fino al portico.
Niki si
affaccia alla balaustra di legno, lo sguardo di nuovo fisso al monte
Fuji, mentre James si appoggia ad essa, dando le spalle al vulcano. Il
biondo estrae dalla tasca del pigiama un pacchetto di sigarette e
gliene passa una, poi se ne mette in bocca un'altra.
Trascorrono
vari minuti in silenzio, fumando, pensando.
«Perché
sei venuto a cercarmi?» Esordisce Niki con tono neutro.
James lo guarda, un lieve sorriso a increspargli le labbra, poi si gira
dall'altra parte.
«Non
lo so» risponde con scherzosa allegria, ma la sua espressione
torna subito seria. «Non lo so... Credo sia perché
tu sei l'unica persona per cui io abbia mai provato rispetto. E quindi
penso che tu sia l'unico che conosco che possa capire come mi
sento.»
«E
com'è che ti senti? Io calcolo i rischi e ci manca solo che
mi metta a misurare la quantità di pioggia sul circuito, ma
tu? Ti senti eccitato in vista della gara e la tua angoscia deriva dal
fatto che forse potresti diventare campione del mondo,
scommetto.»
«Scommetti male» replica risentito l'altro,
gettando il mozzicone della sigaretta oltre la balaustra. Incrocia le
braccia e sbuffa l'ultima boccata di fumo. Niki lo guarda sorpreso.
«Spiegati.»
«Come ti stavo dicendo prima che mi chiudessi malamente la
porta sul muso... Mi conosci. Sai che sono uno che ci mette tutto se
stesso, nella corsa.»
«Perché vuoi vincere.»
«No, no, Niki! Vincere è solo una gratificazione,
ma non è questo il punto. Insomma, tu guardi il circuito e
lo vedi come un programma elettronico che bisogna analizzare in ogni
parte per saperne poi trarre buon uso. Tu guardi la macchina, la
soppesi, vedi difetti e pregi, cosa va e cosa non va. Io non vedo
questo.»
L'austriaco lo squadra da capo a piedi, domandandosi se per caso
qualcuno non abbia messo della droga pesante nel drink di James.
«Cosa vedi tu, dunque?»
«Cristo, io vedo la corsa! La pura e semplice corsa,
l'accelerazione, l'adrenalina! Vedo l'indicatore di velocità
schizzare a livelli vertiginosi, vedo i lati della pista confusi come
in un sogno, vedo... Vedo l'unico posto dove posso essere me stesso.
Non il famoso pilota, né tantomeno il playboy o il pessimo
marito. Vedo James, l'uomo che ama la Formula 1 più della
sua stessa vita, semplicemente perché...»
Si interrompe
e sospira, poi sorride, un sorriso reso stonato da una punta di
amarezza.
«…Perché
non mi chiede niente e mi chiede tutto, non mi guarda in faccia, non le
importa della mia età o se sono infedele o no. Mi chiede di
fidarmi di lei e di giocarmi la vita per essa, e non per la gloria, no,
ma perché sa che non potrei vivere senza di essa.»
Guarda Niki e si infila le mani in tasca. «So cosa stai
pensando.»
«E sarebbe?» Replica l'austriaco, riscuotendosi
dallo sconvolgimento in cui l'hanno gettato le parole del collega.
«Che sono pazzo. E non hai torto, credo.»
«E invece tu ce l'hai. Penso... Penso che forse, e dico forse, mi sarebbe
piaciuto essere come te. Ma non lo sono. Io non sono disposto a dare la
mia vita per la Formula 1. Il prezzo di questa scommessa è
troppo alto.»
James si accende un'altra sigaretta e offre il pacchetto a Niki, che
però scuote la testa.
«Domani correrai, topolino?» Chiede il biondo.
«Correrai con me?»
«Contro di te, semmai.»
«Che differenza fa? Siamo avversari per il compiacimento dei
tabloid e del pubblico, e nel garage cosa siamo? Non siamo amici, ma
allora cosa siamo?»
L'altro lo fissa intensamente.
«James,
non riesco mai a capire quando sei serio e quando scherzi.»
L'inglese alza
le spalle ed emette un cerchio di fumo. «In ogni caso non hai
risposto alla mia prima domanda. Quest'altra invece, beh, lascia
stare.»
Niki sospira,
evitando il suo sguardo. «Non lo so. Va bene,
correrò, sì... Ma ho paura. Sinceramente, non so
quanto io sia disposto a rischiare, in questa corsa.»
«Capisco.
Anche io ho maledettamente paura. Vomiterò miseramente tutta
la colazione, stanne certo.»
«Che schifo. Basta che tu lo faccia lontano dalla mia
auto.»
Ridacchiano sommessamente.
«È la prima volta che succede, sai.»
Commenta James, dando una leggera pacca alla spalla destra di Niki, che
si gira verso di lui.
«Che cosa?»
«Che ridiamo, io e te. Insieme. Finora ci siamo scambiati al
massimo sorrisi sprezzanti e frecciatine gelide. E ora guarda come
siamo ridotti: ridiamo e fumiamo insieme come amici. Quasi come
amici.»
«Spero che questo contratto si possa annullare.»
«Temo che non ci siano clausole che permettano al tuo
esercito di avvocati di farci tornare gli stupidi ragazzini di Formula
3, quelli che guidavano mediocremente e si latravano contro appena
possibile.»
Ridono di nuovo, più forte, mentre il cielo inizia a
schiarire.
«Beh, credo che tornerò a dormire, o quantomeno a
tentare di farlo.» Dice Niki, passandosi una mano sulla bocca
come a nascondere l'ombra di sorriso rimastagli sulle labbra.
«Sì, credo sia un'ottima idea. Meglio che faccia
lo stesso anch'io.»
Si guardano leggermente imbarazzati, ognuno dei due senza sapere se
andarsene per primo.
«È buffo. Abbiamo parlato di più in
un'ora che in questi anni messi insieme.» Osserva James con
voce quieta.
«Già. Ma è stato... Piacevole.
No?»
«Sì, davvero. Buonanotte, Niki.»
«Sarebbe più appropriato buongiorno, ma per
stavolta ti perdono.» Scherza l'austriaco. James si stacca
dalla balaustra e si mette davanti a Niki, che gli porge la mano.
«Oh,
ti prego, risparmiami le formalità da conferenza stampa.
Vieni qui» sbuffa il biondo, afferrandolo per un braccio e
attirandolo a sé. Niki è dapprima stupito dal
trovarsi affondato nel maglione turchese di James, le sue braccia forti
intorno alla schiena.
«Un po' siamo amici, e quindi un po' ci salutiamo con un
abbraccio.» Sorride James, senza lasciarlo, battendogli piano
una mano sulla nuca.
«E l'altro po'?» Indaga Niki, ritrovandosi suo
malgrado a ridere.
«Beh, la prossima volta che ci incontreremo faremo a botte.
Funziona così con gli 'un po' amici'.»
Superato lo shock iniziale, l'austriaco ricambia l'abbraccio con gesto
goffo, ma poi restano fermi, smettono di ridere e l’unica
cosa che sentono è il battito dei loro cuori, inframezzato
dal lieve rumore della pioggia.
Si tengono
stretti, senza parlare. La mano di James si sposta dalla nuca di Niki
fino al suo viso deturpato. Si guardano negli occhi, il biondo chino
sull'altro a tal punto che le loro fronti si sfiorano.
Le sue dita si muovono sullo zigomo sinistro dell'austriaco, andando su
fino alla sua fronte ustionata
e trapiantata,
ma il suo tocco non si fa più leggero e timoroso, e nel
profondo dell'anima, Niki gliene è grato.
È
grato a James perché ha sempre continuato a trattarlo come
se non avesse mai avuto l'incidente, senza falsi riguardi, senza
compassione.
È
grato a James perché lo sta accarezzando e guardando con un
misto di dolcezza e serietà, e sa che significa che gli
vuole bene.
E Niki ne
vuole a lui.
Il biondo lo
bacia all'angolo della bocca, con una delicatezza che non è
propria del James Hunt che l'austriaco ha conosciuto finora. E sotto
sotto sa che questo è parte del vero James, sa che sotto le
apparenze c'è molto più di quanto il biondo
mostri; sa che James è solo un uomo, un uomo bello e capace
di amare, ma che non ha mai trovato nulla che valesse la pena, eccetto
per la macchina. Il vero James non è fatto di sorrisi da
rivista e risate beffarde; il vero James è fatto di maglioni
troppo grandi e ombre di malinconia negli occhi, ben nascoste a tutti
tranne a chi ha imparato ad osservarlo davvero, e questa persona
è Niki.
L'austriaco ha
ancora più paura, adesso. Paura di cadere, perché
il solo respiro caldo di James sulla sua pelle lo fa sentire sull'orlo
di una vertigine, e istintivamente sposta una mano sulla spalla
dell'altro, come a cercare appiglio. Dopo un istante di esitazione, il
biondo lo bacia di nuovo, stavolta sulle labbra, soffermandosi su di
esse come a chiedere il permesso. Niki apre la bocca, e mentre le loro
lingue si toccano e si assaporano, la stretta di James si fa
più forte, il suo abbraccio più caldo.
Le ragazze
hanno sempre pensato che James fosse sesso puro, ma ora l'austriaco
comprende quanto si sbaglino: James è passione pura.
James incarna ciò che Niki credeva esistesse solo nei film;
è quel sentimento travolgente di desiderio fisico e mentale
che non ha mai conosciuto ma ha sempre voluto conoscere, anche se non
lo ha mai confessato a se stesso.
Passa le mani
tra i capelli folti di James, tirandoglieli e gemendo quando il biondo
gli inizia a mordere e succhiare il collo. James risale fino alla sua
bocca, poi dopo un altro bacio gli sorride, e Niki nota che non
è un sorriso malizioso, ma un sorriso... Forse felice è
la definizione più adatta.
"Andiamo
in camera mia." suggerisce il biondo. L'altro si limita ad annuire e a
seguirlo, quando James lo prende per mano e lo guida verso la stanza. Le loro
dita sono intrecciate saldamente, ora, e Niki non ha più
paura.
Sa che è per questo che lo stanno facendo, pensa mentre si
richiudono la porta alle spalle. Sa che si stanno spogliando solo per
esorcizzare almeno per un'ora questa paura di morire, morire per la
vittoria o vivere senza di essa, ed è una morte anche
questa, uno stillicidio a suo modo. Non c'è
nobiltà in nessuno dei due lati della medaglia, anche se
James pensa sicuramente che ci sia, e Niki sa pure in quale dei due.
Il prezzo della scommessa è troppo alto, troppo alto... E
non è disposto a bruciare vivo un'altra volta, no.
Prende la sua decisione mentre James gli toglie la felpa e gli slaccia
la giacca del pigiama, continuando a baciarlo con foga.
Prende la sua
decisione e si lascia andare, si abbandona a James perché
è l'unica volta che faranno l'amore, e almeno in questa
corsa - l'ultima che li vedrà insieme fino alla fine - non
riesce a calcolare un bilancio dei pro e dei contro. E non gli
interessa farlo, dopotutto. Non ora. James non è una
statistica, James è carne e calore e dolcezza e ansimi
contro la sua pelle.
Sono entrambi
nudi ora, aggrappati l'uno all'altro come a cercare salvezza dal mondo
fuori della stanza, come a cercare rifugio dalle aspettative e dalle
scommesse degli spettatori.
Cercano e
trovano conforto nel loro abbraccio perché sono
perfettamente uguali; sono orgogliosi, persi e solitari allo stesso
modo, dentro di sé.
Niki viene
attraversato da un brivido di piacere quando James entra in lui in
un'unica, lenta spinta.
Fa anche male,
maledettamente male, ma sa il cielo quanto questo dolore significhi per
Niki.
Ne ha bisogno,
ne ha bisogno perché quando il dolore scema e lascia spazio
al piacere puro, intenso e vibrante, è l'ennesima prova di
quanto sia amabile la vita, di quanto le lacrime siano necessarie per
rendere autentico un sorriso, un ansito, una carezza.
Niki ha
bisogno di questo dolore, perché gli ricorda che talvolta
è meglio ritirarsi che giocarsi tutto, se significa poter
almeno vivere col ricordo di questa notte, per tutte le notti a venire.
Sospira e accarezza i capelli di James, che lo guarda con aria
interrogativa, in attesa. L'austriaco annuisce e si aggrappa alla sua
schiena quando il biondo riprende a muoversi in lui, sussultando per
l'ondata di piacere che lo attraversa da parte a parte, dandogli alla
testa, ubriacandolo, inebriandolo.
James fa di
nuovo incontrare le loro labbra in un bacio che sa di tristezza.
C'è
una quieta disperazione nel modo in cui si accarezzano, ansimano,
gemono, e si guardano negli occhi, e anche se non lo ammetteranno mai a
voce alta, sanno benissimo perché.
Perché
non sono più colleghi o amici, sono molto più di
questo, qualcosa che non hanno il coraggio di definire, e vorrebbero
durasse per sempre questo frammento delle loro vite, per non dover mai
tornare alla realtà del circuito e della pioggia
là fuori.
Sulla bocca di
entrambi è sospesa una confessione, mentre raggiungono
l'apice del piacere e si abbandonano l'uno tra le braccia dell'altro.
Si baciano di nuovo, per l'ultima volta, per cancellare quelle due
parole che premono per uscire, poi James esce da Niki e si stende al
suo fianco. Non si guardano negli occhi mentre riprendono fiato,
né mentre Niki si alza per andare a lavarsi. Quando riemerge
dal bagno raccoglie i propri indumenti e si riveste in fretta, a testa
bassa, seduto sul bordo del letto. James si infila i pantaloni del
pigiama e gli si avvicina, abbracciandolo da dietro. Se ne stanno
così per quella che a loro sembra un'infinità, le
loro mani unite, i loro respiri sincronizzati.
È
solo quando un tuono più forte degli altri squarcia il
silenzio, che Niki si decide a sciogliere l'abbraccio, sebbene sia
l'ultima cosa che vorrebbe fare.
James lo segue
fino alla soglia della camera, ma non dice nulla. Si guardano negli
occhi, in attesa di qualcosa, un gesto o una parola che entrambi sanno
non servirebbe a nulla, infine Niki gli volge le spalle e se ne va.
James richiude la porta e va alla finestra. Osserva a lungo la sagoma
innevata del vulcano in lontananza, poi chiude gli occhi e appoggia la
fronte al vetro freddo della finestra, sospirando.
…..
E’
stata l’ultima volta che ci siamo parlati, prima che tu
venissi a trovarmi all’hangar, tempo dopo il mio ritiro. Non
ne avevamo più riparlato, fino a quel giorno. Una breve
conversazione che sapeva quasi d’addio, poi eri salito sul
jet insieme a quelle ragazze, diretto verso chissà quale
città luminosa e piena di vita. Sinceramente non mi
aspettavo una tua chiamata quella sera.
…..
«Pronto?»
–Ehi. Sono io.–
«…Dove sei?»
–Nella città degli angeli.–
«Los Angeles?! Hai idea di quanto ti costerà
questa telefonata?»
–Non preoccuparti, topolino. Me lo posso permettere, ti
ricordo che sono campione del mondo.–
Niki non può fare a meno di sorridere, e ha la strana
sensazione che James sappia che lo sta facendo.
«Un
campione del mondo che si brucerà tutto il guadagno in
cocaina e regali per belle donne, di questo passo.»
–Non sono così irresponsabile, dai. Ogni tanto
controllo il mio conto in banca, per vedere quanto manca al giorno in
cui dovrò farmi una casa di cartone.–
«Che idiota» ride l’austriaco, seguito da
James. Parlano ancora per qualche minuto del più e del meno,
poi tacciono entrambi, senza sapere bene cosa dire. Ascoltano i respiri
attraverso la gracchiante linea telefonica intercontinentale, e ognuno
dei due sa che l’altro sta pensando a quella sera.
–Sai,
Niki… l’avevo capito allora, che non avresti
portato a termine la gara. Che ti saresti ritirato.– Mormora
il biondo con un sospiro che tradisce la sua stanchezza, un
indebolimento che va oltre il fisico.
Stanco di indossare ogni giorno
la maschera che tutti vogliono, pensa l’altro
senza rispondere.
–E
per questo, lo ammetto, ti ho odiato quel giorno. Volevo fare quella
corsa con te, accanto a te, fino alla fine. Solo con te, fregandomene
del podio, pur di starti vicino. Invece hai mollato.–
«E’ stata la scelta giusta.»
–Giusta per te. È sempre stata questa la
differenza tra noi: io sono disposto a giocarmi tutto, anche la vita.
Tu no. Però non fraintendermi, non ti sto accusando di
nulla. Sto solo esponendo i fatti.–
«È per questo che mi hai chiamato, James? Per esporre i fatti?»
replica Niki, risentito.
–No. Ti ho chiamato perché mi manchi. Mi manca
ascoltare i tuoi ansiti, percepire il tuo respiro. Come quella
notte.–
Le lacrime
minacciano improvvisamente di sgorgare dagli occhi
dell’austriaco, che prende due o tre respiri profondi, senza
tuttavia riuscire a ricacciarle indietro. Si asciuga rabbiosamente il
viso con una mano, anche se altre lacrime continuano a rotolargli lungo
le guance.
«Devo
andare. Ci sentiamo, ok? Buona fortuna per tutto, James»
taglia corto, la voce incrinata dal pianto.
–Buona
fortuna, Niki. Sii felice.– mormora il biondo, chiudendo la
chiamata.
Torna a
sedersi sul davanzale della finestra, da cui ha guardato Los Angeles
per un’ora prima di decidersi a chiamare.
Non se l'è presa per non aver ricevuto risposta a
ciò che ha detto su quella notte, ma dopotutto Niki
piangeva, e questo gli basta. Le lacrime dell'uomo che ama sono state
una dimostrazione sufficiente del fatto che tutto ciò che
James ha detto, Niki lo pensava altrettanto. Forse è stata
una mossa avventata confessargli che sente la sua assenza, ma non ha
potuto farne a meno. È la verità, dopotutto. E la
verità brucia, e fa male, e fa piangere, e non
servirà comunque a nulla in questo caso.
Non possono
stravolgere le proprie vite e ammettere al mondo che si amano, e questo
James lo capisce. Inoltre, Niki ha finalmente recuperato un equilibrio
nella sua vita, dopo l'incidente, e già con la sua
telefonata l'ha turbato più del dovuto, il che basta a far
sentire il biondo in colpa. James sa che non si sentiranno
più. Sa che Niki l'ha detto per mera formalità, e
che le sue parole in realtà stanno a dire 'devo andare. Ti amo, ma non
possiamo più sentirci, ok?’
Ma
è giusto così, dopotutto.
È
come nella corsa: sempre vicini, sempre a sfiorarsi, ma allo stesso
tempo sempre separati da qualcosa: dalle relazioni nelle loro vite,
dalle aspettative degli sponsor, dalle incitazioni del pubblico
urlante. Stranamente, lo spirito di competizione è forse
l'unica cosa che in un certo senso li abbia uniti davvero, prima di
quella notte e prima del ritiro di Niki.
James si versa
un bicchiere di whisky e lo tracanna di colpo, sperando di poter
cancellare i pensieri e svuotare la mente. Se ne versa un altro, e poi
un altro, e un altro ancora. Quando la bottiglia è vuota, è abbastanza ubriaco da poter piangere
senza vergognarsi di se stesso.
Darebbe
l'anima e tutto il whisky del mondo, per un'altra sola corsa con Niki.
…..
Spengo
la televisione, desiderando poter spegnere i miei pensieri insieme ad
essa, ma so che è inutile.
L'unica
luce ora è quella dell'abat-jour, che illumina fiocamente la
camera da letto. Sono solo stanotte, solo col mio dolore. Quando ho
aperto il giornale del mattino non ci potevo credere, pensavo fosse uno
scherzo.
Ho
trascorso il resto della giornata guardando un telegiornale dopo
l'altro, sperando in una smentita, ma ormai capisco che è
stupido rifiutare la verità, per quanto essa possa fare
male.
La
verità è che sei morto, e sei morto troppo presto
e troppo giovane.*
E’
ingiusta la tua morte. Uno stupido, banale infarto ti ha portato via da
me, e pensare che erano quattro anni che non bevevi o ti facevi
più.**
E’
ingiusta la tua morte, hai solo quarantacinque anni. Avevi.
Cristo
santo.
Una
parte di me – quel mio lato irrazionale che solo tu hai
conosciuto – ancora spera che arrivi una telefonata
provvidenziale a risollevarmi dall’abisso in cui sto
scivolando, a comunicarmi che sei vivo e stai bene. Ancora spero di
sentire la tua voce attraverso la cornetta prendermi in giro, darmi del
credulone, dirmi ‘ci vuole ben altro per
mettere fuori gioco Hunt the Shunt, topolino’.
Ma
non tornerai mai più, e mai più mi porgerai la
mano per farmi rialzare.
E
mentre percepisco la tua assenza accanto a me, mi sembra che ogni
ricordo di noi sia così bello, così
lontano… Mi manchi, mi manchi così tanto che non
riesco a respirare, che mi bruciano gli occhi e la gola per il dolore
che preme per uscire.
Spengo
la luce e mi raggomitolo sotto le coperte, piegato, accartocciato su me
stesso come una foglia che brucia.
Smetto
di resistere e lascio che il pianto mi sconvolga, che i singhiozzi mi
scuotano le spalle, che le lacrime mi bagnino il viso.
Smetto
di resistere e sussurro al vuoto accanto a me la mia confessione
d’amore, quella che avrei dovuto farti allora, ma avevo
troppa, troppa paura…
Certe
corse, purtroppo, non si possono vincere.
Nota dell’Autore
Le frasi
contrassegnate dagli asterischi sono citazioni di Niki Lauda
(tratte da
quest’intervista http://www.panorama.it/sport/formula-1/niki-lauda-james-hunt-rush-intervista/).
Ecco, leggendo la
penultima risposta che ha dato, se siete squinternati/e quanto me,
emetterete un “d’aww”
affranto e verserete una lacrima di sincera commozione.
Ho visto “Rush” cinque giorni fa per la prima
volta, e questo è il risultato.
Ovviamente ogni volta
che voglio scrivere qualcosa parto con l’intenzione di buttar
giù una cosina tenera, dolce e fluffosa, e ovviamente fallisco
miseramente e il mio cervellino masochista partorisce cose tristi ed
eternamente tendenti all’angst.
Chiedo perdono nel
caso la storia non fosse un granché, ma diciamo che
l’ho scritta durante cinque notti e non proprio
cinque giorni, rigorosamente dalle una alle tre del mattino
perché “inspiration
is a bitch”.
Ok, ora torno nel mio
angolino di oscurità e idee tragiche e storie
d’amore fallite *w*!
Grazie a voi che
leggete, recensite, mettete nei preferiti o che non fate nessuna delle
ultime due! Vi adoro in ogni caso, sappiatelo.
Baci e Shine On,
Captain Willard
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