_*_
Ora, solo perché qualcuno vede, sa com’è, due persone che dormono nude
in un letto, questo non prova necessariamente che ci sia
stato del sesso. Ma fa comunque un certo
effetto.
Curt
non dà mai l’impressione di aspettare qualcuno.
Ed è
giusto. Uno del suo calibro, uno con la sua stoffa non
ne ha bisogno.
Gli piace anche questo di lui.
Se ne sta sul letto, di schiena,
sollevato su ambo i gomiti per guardarsi intorno. I capelli ribelli
gli ricadono di continuo ai lati del viso, ma non sembra preoccuparsene poi
tanto. Troppo impegnato a portarsi al naso qualcosa, stretto nella destra, che
sniffa rapidamente e mette da parte.
Con la
naturalezza di chi l’ha fatto milioni di volte, in milioni di vite.
Brian esita a muovere il primo
passo. Parte di lui non riesce a cancellare l’impressione che il minimo gesto
potrebbe disgregare la perfezione fragile di quel momento, sconvolgendo gli
equilibri della dimensione spazio-temporale in cui collidono i loro istinti.
Non è questo che diviene un animo
devastato dal desiderio?
“Sei venuto.”
La voce di Curt
è roca, spezzata. Lo sente prendere un fiato umido e poi ghignare, lucido e
splendido nella sua ebbrezza sintetica.
Se camminare richiedesse
del vero coraggio, in luogo della semplice attrazione senza colpa, sa per certo
che invecchierebbe lì sulla soglia, nell’immobile sgomento della
contemplazione. Fortunato è invece per la sua debolezza, per la misera
resistenza da umano che è in grado di opporre. Ringrazia la propria piccolezza
e l’instabile tensione al turbamento facile e superficiale, comune alla pelle
quanto alla mente, suggestionabile, e all’anima bagnata d’Arte sdegnosa e
contrariata.
Avanza in lentezza studiata a
metà, prima d’arrestarsi in prossimità del letto e guadagnarne il bordo con l’intrusione
d’un ginocchio.
Al suo cospetto, Curt sogghigna più sfacciatamente. Lo vede allargare di
poco le gambe e tirarsi su, forzando e stirando i bicipiti nella meccanica
leva.
Brian sa di avere un’espressione
troppo seria, adesso. Certo grave, confrontata allo scherno
insolente che colora i tratti del volto già tanto vicino al suo. Cerca
da qualche parte un talento d’attore che possa
strapparlo a quella maschera di solennità portata senza grazia, risolvendosi
infine alla ricerca che più ritiene fruttuosa.
La via per la bocca giusta è così
semplice, così breve.
Ad occhi chiusi vede il calore di
labbra cui appartiene. Ne lambisce i contorni in modo cortese, come fosse a caccia del favore d’una dama viziata; è presto
sorpreso dall’arrendevolezza umida e morbida ch’esse concedono, raggirato
dall’ingannevole leggerezza con cui assecondano e rifuggono.
Freme percettibilmente. Il
respiro di Curt fra le labbra, nella bocca, gli
ansiti che non contiene: tutto ruota nell’unirsi
fisico che è motore delle sue palpitazioni e lo tenta all’ingordigia.
Non ha bisogno di chiedere. Con
la ferocia della clemenza, l’altezzosità ammirevole di chi comprende
sensibilmente; è tale il modo in cui è baciato, graziato dall’irruzione decisa
di una lingua calda e viva, e ricca di sapori nascosti, non tutti piacevoli ma ciascuno eccezionale.
Resta in
ascolto del suono, unico e purissimo, generato da quella fusione. Nato dai fiati smorzati e i gemiti d’ansia e di lussuria, che
indomabili si perdono nell’incontro di lingue divenuto feroce.
Brian scatta come indotto dalla
forza d’una mano fantasma. Ghermisce la dama
capricciosa per la bella chioma bionda, strattonandola con una fermezza che resta
nel limite della venerazione. S’assicura di plasmare se stesso nell’ingorgo
voluttuoso di profondità che già sanno d’erotismo più spinto, più maturo e più
impaziente, più disperatamente grave dal suo canto – e insostenibilmente
giocondo nel sentire dell’altro.
Il brivido solitario della prima
eccitazione lo attraversa bruscamente, scivolando a perdersi nel nucleo
bollente dell’inguine, sotto la cintura già slacciata da altre mani. Inarcarsi
in avanti gli dona Curt, il
suo torace nudo premuto contro la pelle elettrica dei pantaloni irrequieti.
Il corpo maschile lo attira a sé
senza via di fuga, stringendolo nello sconcertante piacere di un abbraccio
fedele e lascivo, intenzionale e violento verso la virilità reattiva. Labbra e
lingue si fanno audaci e oscene, spettacolo indecente
da mettere in scena per un pubblico d’artisti accidiosi.
Brian è colto impreparato dalla
sicurezza di mani che lo rapiscono, violandolo nell’intimo, correndo
sull’addome e la schiena svelati dalla camicia dischiusa; dita che tracciano
pressanti linee immaginarie sulla pelle lucida che ancora copre pudica le
natiche, ma già ribolle dalla voglia di lasciarsi
cadere.
Memorizza ogni variazione sul
tema provandosi a capirla, decifrare ed individuare, e a
un tempo godere nella forma più immediata delle attenzioni riservategli. Conservare il tocco dolce e appassionato – perché è il solo modo in
cui può descriverlo – e la sensazione inebriante, totalmente narcotica, della
carne nuda e vera di Curt contro la propria, a
contatto, sfregando ed inseguendo, danzando a tratti, cantando perfino nei
suoni del bisogno manifesto.
“Sei meraviglioso.”
E
l’altro sorride come masticando una rabbia animale.
“La bellezza rivela tutto perché
non esprime nulla.”
Ricadono distesi sull’illusione
bianca data dalle lenzuola.
La lingua di Curt
lo prende arrogante, l’intero corpo freme insoddisfatto
per la posizione dipendente. Una catapulta di ruoli tremuli e Brian è sovrastato dalla nudità fine e incantevole di uomo,
inglobato nel fascio di sensualità squisitamente maschile – un erotismo potente
e attuale che, manchevole dei profumi dolci e delle fresche moine da donne,
sussiste realmente e appieno.
Spogliato con la foga calda di Curt scopre di toccare il sesso per la prima volta.
“Vien
giù come acqua…”
Ansima leggero, mentre mani
d’avorio compaiono ovunque, in ogni curva e linea e luna e anfratto del suo
corpo, seco recando cenni di piacere volubile.
“… per l’era del Sole.”
Tace, sorpreso da un bacio più
lungo e più importante, velato di retrogusti amabili.
L’ultima immagine che ha del
mondo intorno è di sorridente bianco. Di pelle quasi glabra, arrossata
d’emozione in più punti.
Brian accetta
di buon grado l’abbraccio assassino dei guanciali, piegato prono alle
voglie di un male in lucida neve.
“Maxwell…
Leather… Demon.”
È il mormorio di Curt, roco e sconnesso all’orecchio, su quel tratto di
pelle verso la nuca che, provocato dal velluto, infiamma ogni terminale nervoso
e guida il suo intero corpo. Schiude le gambe e inarca il bacino, soffocando un
gemito di godimento istintivo nel fresco sensibile delle federe.
Mani che sembrano arrivare in
ogni dove, ignare dei limiti fisici, sfuggono nell’antro rivelato dalla curva suggestiva delle sue anche, trovando con la pressione
perfetta il centro primario della voglia. Stringono attorno alla sua erezione
senza davvero muoversi, solo toccando e saggiando, modellando la carne
ipersensibile in gesti profondi, eppur impercettibili. Il sangue che in esse scorre veloce, rendendole calde ed attive, pulsa e vive
come riflusso di orgasmi in attesa.
Brian può sentire ogni muscolo
tendersi, la pelle infiammarsi, il cuore accelerare. È una pressione che gli ridà fiato, quella dell’altro
nudo contro la schiena – fra le cosce, nell’aroma e nelle perle di sudore
languido e corpi attillati su misura, come scintillanti costumi di scena.
“Allaccia le cinture… si torna
nello spazio.”
Il vero senso del sesso, bollente
e bagnato – duro come mai prima d’ora – lo investe al gemito lieve di Curt sulla pelle; lo tradisce nella spinta
vorace e inusitata, nell’intrusione forte e improvvisa che lo annienta contro
il materasso.
Crede di soffocare, incespicando
nel cadavere della propria Arte malata. Reprime qualunque suono riesca a sfiorargli la gola, allarmato da ciò che
l’inconscio potrebbe rivelare.
Lotta strenuamente contro un
mugolio poco elegante quando Curt
accenna a muoversi, dondolandosi in avanti per penetrarlo fino in fondo.
Stringe i denti e aspetta che il sangue torni a fluire là dove ne ha bisogno.
Ogni cosa fonde nella comunione
che segue. Il dolore, il disagio, il sollievo, e la lascivia,
la musica, lo spazio.
Ogni morte.
Il piacere. La più grande.
Brian stringe le lenzuola finché
la voce esplode, bruscamente reclamando la sua parte in quel teatro
improvvisato.
Ed è
allora che può sentirlo davvero, dentro e dietro e sopra, e totalmente radicato
in sé, e al contempo lieve come un bacio, tenue come un’impronta.
“Curt…”
_*_
- Chiedo scusa, signori… ma ho un bicchiere da
porgere all’uomo più bello d’Europa.
- E
poi dicono che non è naturale!
La presenza di Mandy vibra nella quiete del mattino.
Non è che
parte di un sogno nebuloso, sfumato nel sentore di pelle nuda e calda contro la
propria. Ne riconosce l’essenza senza schiudere le palpebre, preservando gli
occhi stanchi dalla luce troppo bianca dell’aurora stonata. Lentamente si
svegliano i sensi, le percezioni attive di quanto lo circonda
– dal fresco del lenzuolo all’odore del sesso, e il profumo di Curt, e i tacchi di lei sul parquet.
Prova a
figurarsi la scena per come deve apparire dall’esterno. È lo spettacolo
morbido di nudi maschili abbracciati distrattamente, con il mistero di una
notte a far da sfondo.
Nulla che sua moglie non abbia
già visto.
Quanto ad accettarlo, ha idea che
sarà tutta un’altra storia.
La porta sbatte e Brian apre gli
occhi. Il bianco confuso che trova ad accoglierlo non fa che animare lo strano ricordo
di cui non può liberarsi, sin da quando la mente ha
rotto le catene di Morfeo.
Pensa a Jack Fairy.
Alla stella che gli ha insegnato l’arte d’amare in mille
modi, da uomo e da donna, imparando a giocare con le maschere. Sfilando a testa alta in volute di taffettà, accendendo le voglie
del mondo e i suoi istinti più bassi.
Tutti hanno preso da Jack. Maxwell Demon non è nato che da
una sua costola, benché ammetterlo gli lasci un gusto
acre sul fondo del palato.
Mais c’est la vie, mon amour. Com’è che diceva sempre – con
quella voce pacata, distante, la voce di chi è
cresciuto sul palco…?
Un movimento rapido,
insospettabilmente brusco.
Lo sconcerta. Più
a fondo di quanto non ami, di quanto sia disposto ad ammettere. È una
violazione screanzata, uno stupro impenitente; come forzare le gambe bianche d’una signora.
Nessuno che sia
almeno parzialmente in grado di trarr diletto dal conversare con se stesso
dovrebbe accettare d’essere interrotto.
Brian indugia nella lusinga di
lodare il proprio ego, più che lieto d’intrattenersi nell’ignoranza visiva.
Parte di lui sa già perfettamente quel che vedrà quando
Curt avrà aperto gli occhi sul nuovo mondo, ed è la
medesima parte restia ad assistervi.
Il contatto arriva per primo,
come tanto spesso accade. Lampo e tuono, luce e suono.
Il braccio dell’altro scivola via
con la stessa forza inopportuna. Nulla pare aver conservato del languore tipico
di simili giacigli, eccetto la fragranza mista e intensa, un po’ troppo fiera
per svanire tanto in fretta.
Rinviene con la collaudata
energia brutale. Brian non può che chiedersi se gli anni di terapie inceneritici abbiano irrimediabilmente
compromesso le sue normali facoltà motorie.
Neuroni bruciati e cotti che emanano
impulsi scoordinati.
Qualcosa continua ad agitare le
coltri, con troppa foga, panico, shock. Vorrebbe alzarsi e osservare dall’alto,
e allora sì, dare lo stop, e scuotere il capo come un regista insoddisfatto
dalla performance mediocre dei suoi attori.
Tutto da rifare, vorrebbe dire.
E avere
un alibi intatto. Per tornare dove è stato nel sonno ed ha
bisogno di restare.
Non parla che quando è certo
d’essere udito – guardato, capito. Quando è totalmente
esposto e allora ha un senso tentare.
“Buongiorno.”
Incontra gli occhi di Curt, spenti dal sonno, costretti dalle palpebre abbassate
a schermarli dal sole.
“Mh?”
Allora fa per alzarsi sul serio,
certo d’aver esaurito il proprio ruolo nell’atto nevralgico di quello
spettacolo sfarzoso.
Sono il calore e la nivea forza
di Curt – quell’energia
immotivata che lo rende frenetico come drogato da chitarre elettriche ideali –
ad ancorarlo al riflesso della notte trascorsa.
Il braccio che lo ha lasciato
tanto bruscamente torna a cingerlo, più lento e migliore, sì, ora ci siamo davvero.
Come attori che provano allo
stremo e infine imparano il copione, non è così?
Il corpo nudo lo avvolge di
nuovo, stringendolo con possessività ancestrale. Primitiva, nel modo in cui duri residui d’eccitazione lo sfiorano, provocandolo dove la pelle è più
chiara.
Non gli concede
il tempo di abituarsi all’abbraccio, Curt; no, proprio non permette alla
presa di diventare un abbraccio. Troppo tenero, o forse troppo sterile – comunque per entrambi. Lo serra in una morsa di voglia nuda,
piuttosto, con veemenza macchiata d’innocenza, e subito lo abbandona. Sguscia
via dal letto incespicando sulle gambe sottili, grattandosi la nuca e anche qualcos’altro, volutamente
dimentico dello sguardo che lo segue ad ogni passo.
Brian si rilassa.
Parte di lui sapeva già
perfettamente cosa avrebbe visto. E quella è, invero,
la sua parte migliore.
I came down like water
for the age of solar.
Hail to the father, kiss your sons and daughters.
…Goodbye, goodbye.
_*_
Se Maxwell Demon è davvero nato da
una costola di Jack Fairy, allora posso dire che
questa storia è nata da una costola – in effetti, da un frammento – di Shudder To Think.
Che è anche il titolo della canzone di Maxwell,
quella che ha ispirato in parte i dialoghi di questa shot.
Nel caso remoto in cui non fosse ancora chiaro, i tre
versi conclusivi sono lyrics del brano in questione
(nonché la trasposizione inglese delle frasi biascicate da Brian mentre è
insieme a Curt).
Perché
questa ficlet? Il motivo è spaventosamente semplice,
temo: morivo dalla voglia di accennare una lemon tra
questi due. Niente di troppo grafico, come avrete notato, ma ho
cercato di rendere efficacemente la dimensione erotica del tutto. E l’introspezione di Brian, naturalmente, che è il cardine della
mia missione.
La
parte seconda, quella de ‘il mattino dopo’, è la scoperta di Mandy Slade vista però con gli occhi del marito colpevole. (Come biasimarlo?! Non si può, ecco.) La scena del risveglio
di Curt era un’altra di quelle cose che dovevo
assolutamente scrivere, perché nessuno di noi ha idea di cosa sia successo tra
quei due, ed era mio dovere supplire a questa mancanza ù.ù . In realtà ho risposto da sola ad un bisogno che
forse non sente nessun altro xD,
vale a dire costruire un’evoluzione plausibile degli eventi. Spero che non risulti tutto eccessivamente confuso, e che sia chiaro il
concetto dell’energia brutale propria a Curt. [Il fatto che abbia subito più o meno un fantastiliardo
di elettroshock durante l’adolescenza mi dà motivo di credere che sia piuttosto
nervoso, fisicamente parlando. In più, non ce lo vedo
il tipo che resta a poltrire fra le braccia del suo amante per coccolarsi
amorevolmente. Not really.]
Venendo al disclaimer, vale
quanto detto per Shudder To Think. Ringrazio di cuore chi ha letto e
commentato/commenterà, specialmente gli angeli che hanno seguito anche il preludio
alla presente =3 (Nemo from Mars
e Facy, grazie di cuore ad entrambe *.* )
Un
abbraccio alle mie fedelissime, Stregatta e narcissus_kiss.
Sono veramente onorata di avere delle supporters come
voi, ragazze.
Goodbye, goodbye!