cap5
NdA.
Stavolta vi rubo qualche secondo prima e poi vi lascio a
questo ultimo capitolo.
Ha faticato un po' a venir fuori e vi chiedo davvero scusa per questa
infinita attesa. È anche un periodo parecchio down per me su
molti aspetti e sono conscia che non è un granché
come finale, ma a un anno esatto dal primo ho voluto comunque chiudere
il ciclo ^^
Grazie a chiunque mi abbia fatto compagnia.
Se c'è ancora qualcuno in ascolto, vi auguro un Buon
Halloween e buona lettura.
Kiss kiss Chiara
A story ever told
V. Il destino del
Cacciatore
Eric
iniziò a scrivere un diario.
Una
mattina, mentre passeggiava con le sue prede legate alla cintola, vide
un piccolo diario con la copertina scarlatta come sangue; gli
costò tutta la sua selvaggina, ma lo prese senza
alcun'esitazione.
Giunse a
casa.
Sarah
riposava sulla seggiola di legno, con il fuoco che ardeva povero nella
brace e i ferri della maglia poggiati sulle ginocchia, e con la sua
pancia tonda che sporgeva dolcemente dalle sue vesti. Eric si sedette
al tavolo, senza far rumore, e scrisse la sua prima parola su quelle
pagine vergini.
Scrisse il
suo nome: Adam.
*
Charles
voleva che si trasferissero in città, voleva che Eric
portasse sua figlia in un luogo meno isolato e deprimente,
usò queste due precise espressioni.
«Se
è ciò che Sarah vuole» rispose Eric,
bevendo una sorsata di birra dal boccale.
Charles gli
puntò contro il suo grosso indice e lo guardò con
quegli occhi neri, duri e severi.
«Non
mi sei mai piaciuto, e mai mi piacerai, ragazzo, ma stai per diventare
il padre di mio nipote perciò meglio che inizi a comportarti
con responsabilità.» Lo ammonì per poi
passare il panno umido sul bancone. «Trovati un lavoro che ti
assicuri un piatto sulla tavola ogni giorno, perché se mia
figlia è stata felice di fare la fame con te, non
lascerò che mio nipote viva allo stesso modo.
Chiaro?»
Eric
annuì e trattenne un sospiro stanco. Poi la porta della
locanda si aprì e Charles guardò infastidito
l'uomo appena entrato.
«E
smettila di frequentare quel prete... le preghiere non ti riempiono lo
stomaco.»
Lo
udì borbottare ancora e allontanarsi non appena Cornelius si
sedette accanto a lui.
«Buondì,
Charles.» Al suo saluto gentile, non ci fu alcuna risposta.
«Ignoralo,
oggi ha la luna storta... tanto per cambiare.» Gli
spiegò finendo la sua birra e poggiando il boccale sul
bancone. Si voltò a guardarlo e vide un sorriso troppo
luminoso disegnato sul suo viso. «Cos'è quella
faccia? Ti hanno forse eletto Papa?» Lo prese in giro mentre
si alzava dallo sgabello.
«Nulla
di particolare. Sono solo allegro,» rispose Cornelius
seguendolo verso l'uscita.
«Buon
per te.»
Ad
accoglierli il freddo pungente dell'inverno, il cielo bianco e l'aria
che profumava di neve.
Eric si
strinse nella sua casacca mentre Cornelius sollevava il cappuccio del
suo mantello marrone.
«Ti
sono venuto a cercare a casa ma non ti ho trovato, e Sarah mi ha detto
che probabilmente eri qui.»
Eric
sospirò.
«Charles
vuole che ci trasferissimo qui al villaggio.» Lo
informò con tono privo di colore.
«Non
mi pare per nulla un'idea malvagia, Eric. Ormai manca poco al termine
della gravidanza di Sarah e sarebbe di certo più di aiuto
essere accanto alle sue sorelle. Per non parlare della
facilità con cui potrebbe procurarsi ogni bene necessario
per allevare il nascituro.»
Non perse
neanche tempo a obiettare. Cornelius era nella ragione, ma Eric non
sopportava la vita del villaggio, troppa confusione, troppo rumore...
Troppi occhi.
Era sempre
stato un tipo solitario, amava la tranquillità della sua
dimora. Per questo amava essere un cacciatore, per poter essere in
solitudine con la sua preda, seguirla, studiarla e poi stanarla senza
necessità di altro fuorché della sua arma.
L'unica
caccia che aveva accettato di condividere era quella notturna
perché Cornelius era un fratello, non un semplice compagno.
Mentre
Sarah diveniva ogni giorno più bella e la sua pancia
cresceva, Eric continuava a cacciare con Cornelius ogni notte, alle
volte tornando prima dell'alba, altre, attendendo che il sole fosse
alto. Sarah non gli chiedeva di esserle accanto, e se anche Cornelius
insisteva spesse volte affinché il suo posto fosse di fianco
il sua sposa, Eric preferiva restare con il suo paletto nella mano, con
gli occhi fissi in quelli di un demone, con il suo sangue a sporcargli
vestiti e pelle.
La sua vita
di Mastro era rimasta apparentemente la medesima, eppure c'era qualcosa
di profondamente diverso. Perché le notti in cui tornava a
casa quando la luna era ancora alta, erano quelle in cui lo scorgeva ad
attenderlo sotto il faggio; quelle in cui aspettava l'alba e poi il suo
zenit, erano quelle in cui era Eric ad attenderlo.
E Cornelius
non sapeva, nessuno sapeva, nessuno avrebbe mai saputo delle loro
lotte, di tutte le volte che Eric tentava di affondare il paletto e di
tutte quelle in cui lui glielo strappava dalle mani. Nessuno avrebbe
mai saputo del sangue che scorreva sulla sua pelle, di quello che
sporcava la pallida pelle di Adam, delle sconfitte, delle vittorie, dei
baci e delle carezze, selvagge e rabbiose, intense e disperate. Nessuno
avrebbe saputo della tentazione a cui Eric cedeva notte dopo notte,
luna dopo luna, alba dopo alba.
«La
vita del villaggio non è così male come credi, e
poi sarà una buona occasione per frequentare le celebrazioni
mattutine.»
Eric lo
guardò con un sopracciglio sollevato e Cornelius rise
colpevole. «Va bene... come soleva dire il saggio Padre
Gregory: la fede non è un obbligo, ma una
passione.»
«Mh...
alquanto blasfemo» sottolineò divertito e
Cornelius continuò a sorridere.
«Avere
fede è un po' come essere innamorati. Ne hai un bisogno
smodato, lo avverti nel cuore e nelle tue stesse vene. Lo brami,
semplicemente... è passione, la più alta di ogni
passione, quella che ti fa sentire realmente vivo.»
Eric
ascoltò ogni parola con attenzione, guardò le
labbra di Cornelius pronunciarle con intensità, con profonda
convinzione.
«Come
fai a sapere cosa si prova a essere innamorati?» gli chiese
sinceramente incuriosito dal modo in cui ne parlava.
Cornelius
non gli negò il suo sguardo seppure sembrò
coprirsi di un sottile imbarazzo. Le sue guance pallide si arrossarono
ulteriormente sotto il freddo del pomeriggio ma il sorriso non
lasciò la sua bocca.
Non gli
rispose, però, intanto che un piccolo fiocco di neve cadeva
leggero sul suo naso. Poi ne cadde un altro ed Eric sollevò
lo sguardo all'insù, verso il cielo da cui piovevano sempre
più cristalli di neve.
«Meglio
che torni in chiesa prima che inizino a giungere i bisognosi di
riparo,» disse Cornelius stringendosi nel suo lungo mantello.
«Ci vediamo stasera, Eric. Porterò un mantello
anche per te.»
«Ti
ho già detto che non lo indosserò!» gli
rispose mentre lo vedeva allontanarsi con passo lesto.
Scosse poi
il capo decidendo che era ormai tempo di rientrare. Con quel freddo non
sarebbe stato possibile trovare alcuna preda da cacciare ed era meglio
fare una buona scorta di legna. L'inverno di quell'anno sarebbe stato
fra i più rigidi.
*
Spaccò decine e
decine di ciocchi sotto la leggera nevicata. Diede vigore al fuoco e
lasciò che la piccola cucina fosse abbracciata dal calore
delle fiamme.
Sarah stava
tagliando della verdura e gli sorrideva, in silenzio, ascoltando lo
scoppiettare della legna. Eric si sedette al tavolo ad appuntare
qualche paletto.
«Tuo
padre vuole che andiamo a vivere al villaggio.»
La notizia
non la sorprese.
«Anche
Catherine mi ha chiesto lo stesso. Dice che quando il bambino
nascerà sarebbe saggio che crescesse con i suoi
cugini.»
Eric
l'ascoltò e poggiò il paletto appena finito
accanto agli altri. Prese l'altro pezzo grezzo di frassino e fece
scorrere la lama sulla corteccia.
«Se
vuoi andare a viverci per me va bene» affermò
controllando l'angolazione del taglio. «Mi basta saperti
felice.» Intento com'era nel suo lavoro non si accorse del
silenzio di Sarah, dei suoi occhi che lo guardavano, delle domande che
avrebbe voluto fargli ma che gli tacque. «Stasera potrebbe
arrivare una bufera,» disse poi, soffiando via piccoli
riccioli di legno. «Sigillerò tutte le imposte,
così non dovrai temere il vento.»
«Potresti
restare...» alle sue parole, Eric sollevò lo
sguardo sul viso della sua sposa. «Non sei obbligato ad
andare.»
Era una
richiesta, chiara come il bruciare di quelle fiamme.
«Cercherò
di tornare prima.»
Non
poté dirle di sì. Non volle farlo.
*
Il freddo,
come aveva scoperto da tempo, era un limite non solo per un uomo ma
anche per uno di quei demoni, per il semplice motivo che non avevano
possibilità di trovane nessuno di cui cibarsi.
Tutti erano
al sicuro nelle loro case i gli sfortunati che affrontavano la notte
gelida finivano con l'essere vinti dal freddo ancora prima che dai
canini di quelle bestie.
Con la neve
fra i capelli e le dita delle mani nascoste da pesanti guanti, Eric e
Cornelius si aggiravano in solitudine per i boschi, fra i nudi alberi
che si stagliavano nel bianco della neve come anime smarrite.
Incontrarono
pochi demoni, tutti finirono per ricadere privi di vita sul manto
candido a sporcarlo con il loro sangue maledetto.
«Sarà
bene rientrare, mio buon amico» suggerì Cornelius
stringendosi nel suo mantello. «Una bufera incombe. Sarebbe
un rischio sciocco continuare ad avventurarci per queste fredde
terre.»
Il vento
aumentò ferendo il viso dei due come fosse fatto di lame
affilate.
Eric si
poggiò a un tronco per non perdere l'equilibrio.
«Va
bene» disse con voce alta per vincere il frastuono delle
raffiche. «Torniamo.»
Ma proprio
quando avevano deciso di metter fine a quella battuta di caccia, furono
attaccati da sei esseri della notte.
La sorpresa
e la difficoltà dovuta al tempo pesarono pericolosamente sui
loro movimenti e con fatica Eric riuscì ad abbatterne due
mentre Cornelius ne affrontava altri.
Corse a
dargli man forte e dopo una dura lotta rimasero due contro uno.
Cornelius
teneva puntata la sua balestra con la fronte sanguinante ma con mani
ferme. Eric strinse il suo paletto e fece un passo verso di lui.
L'essere
indietreggiava con occhi folli, mentre osservava visibilmente
terrorizzato il resto dei suoi simili completamente immobili al suolo.
Eric
guardò verso Cornelius facendogli segno di colpirlo e il
dardo partì.
*
Cornelius
aveva preso il sentiero che portava al villaggio per raggiungere la sua
chiesta. Eric risaliva il colle per far ritorno alla sua piccola casa.
Il vento
sferzava violento, i piedi affondavano nel manto sempre più
profondo di neve e lui si coprì gli occhi con una mano per
non essere accecato dal cadere dei cristalli.
Poi fu un
attimo, veloce tanto da non essere quasi percepito.
Eric si
ritrovò con le spalle sulla neve e una lama puntata alla sua
gola.
«Un
po' troppo freddo per i miei gusti» sibilò Adam
premendo il taglio sulla pelle ed Eric si umettò le labbra
screpolate dal gelo. Guardò i suoi capelli neri confusi dal
vento, il lungo mantello che si muoveva alle sue spalle, i suoi occhi
che lo divoravano.
Con un
movimento lesto, che Adam semplicemente seguì,
ribaltò le posizioni e puntò lui il paletto
d'argento al suo petto schiacciandolo contro il manto bianco.
Adam
sorrise.
Eric si
ritrovò nuovamente a finire con le spalle a terra ma
stavolta non c'era la neve, non c'era il vento, né la notte
gelida. Lenzuola di seta sotto di lui, la luce calda dell'enorme camino
di Adam, il calore del suo corpo contro il suo.
Erano nella
sua dimora, che ancora ignorava dove fosse.
Come
accadeva spesso la lotta fu presto dimenticata, la lama e l'argento
caddero al suolo, sul tappeto, senza far rumore.
E
così fecero i vestiti e ogni pensiero morale.
Dimenticato
Bene e Male, Giusto e Sbagliato, Eric lasciò che le mani di
Adam sfiorassero il suo corpo, che le labbra lambissero ogni angolo di
pelle, mentre Adam, sotto di lui, si lasciava prendere.
Eric
credeva di non aver mai conosciuto la passione prima, di non aver mai
davvero saputo cosa fosse il desiderio e la brama se non dopo che i
loro corpi si erano uniti, più volte in più
occasioni, nella più alta di ogni perversione.
Ed Eric era
creta fra le mani di Adam, lo piegava e modellava secondo la sua
volontà, e lui non poteva opporsi. Mai...
Era
divenuta una condanna.
*
Guardava il
soffitto. Ombre tetre danzavano come anime maledette. Forse lo erano.
«La
tua sposa è ormai prossima al parto.»
Eric odiava
che parlasse di lei, odiava sentire il suo nome sulle sue labbra,
odiava quello sguardo vacuo negli occhi.
«Forse
dovresti tornare da lei...»
Adam
riusciva a schiacciarlo con una semplice occhiata, con una sola parola,
con la sua stessa presenza. Ed Eric non sapeva ribellarsi.
Se suo
padre lo avesse visto ora, se Cornelius avesse mai saputo, se Sarah...
Si
tirò a sedere e si rivestì con gesti rapidi.
Raccolse il paletto da terra e lo strinse nella mano.
Con un
movimento veloce si volse e cercò il petto di Adam per
affondarlo, ma finì con il colpire solo il materasso vuoto.
Lo
cercò con gli occhi. Era lì.
Ma un
bracciò gli cinse la gola con forza smorzandogli il respiro.
«Mi
chiedo se usi con lei la stessa gentilezza,
Cacciatore» sussurrò Adam al suo orecchio
stringendo più forte il braccio. Eric provò a
divincolarsi senza successo. «Mi chiedo se l'hai mai
riservata anche al figlio di Marcus.»
«Malede-tt-o.»
Non aveva respiro, né forze.
Sentiva le
pulsazioni battere con violenza e poi rallentare. Stava soffocando.
Un attimo
prima di perdere i sensi, Adam lo lasciò andare ed Eric
cadde con le ginocchia sul tappeto iniziando a tossire forte.
«Ti
sei ammorbidito, se diventato più debole di prima»
affermò con gelo Adam alle sue spalle. «Forse
dovrei darti qualche motivazione per impegnarti di più nella
nostra lotta.»
«Lurido
mostro» ringhiò a fatica Eric cercando un
equilibrio per rialzarsi.
Era quella
la loro lotta: svilirsi, ferirsi, umiliarsi e consumarsi a vicenda.
Chi avrebbe
mai potuto vincere?
Provò
ad attaccarlo ancora, provò a difendersi. Venne colpito ma
riuscì a sfiorargli la guancia con la sua stessa lama che
aveva raccolto dal pavimento.
Adam si
pulì il sangue con il dorso della mano e scosse il capo.
«Lento,
Eric... troppo lento» sibilò leccando via il suo
stesso sangue prima di schiacciarlo con le spalle al letto.
I polsi
bloccati, le sue labbra rosse a un soffio dalle sue.
«La
prossima volta che ci rivedremo, Mastro, ti strapperò il
cuore dal petto.»
«Sarai
troppo morto per farlo» ribatté lui con rabbia.
Adam gli
sorrise e lo baciò.
«Vedrai
che l'inferno ti piacerà.»
E con
quelle parole nelle orecchie Eric si ritrovò sulla neve,
sotto lo schiaffò gelido del vento.
Si
ritrovò solo, con la compagnia di una semplice convinzione:
non lo avrebbe rivisto per un bel po'.
*
Sentiva le
sue grida, la voce di Catherine che la incitava a continuare a spingere.
Eric
passeggiò davanti al focolare graffiandosi le dita con le
unghie e guardando quella porta di legno con una profonda angoscia.
«Calmati,
Eric» gli consigliò Cornelius mentre gli allungava
un boccale con qualcosa di caldo. «È una tisana
che ti aiuterà a distendere i nervi.»
«Bevila
tu.» La allontanò disgustato dal semplice odore.
Non aveva
mai provato quella sensazione nello stomaco, era un misto di paura,
trepidazione, ansia, euforia, terrore. Sembrava che quell'ammasso di
emozioni così diverse potessero ucciderlo.
«Sta
andando tutto bene. Sarah è forte.» Cornelius gli
strinse una spalla e gli sorrise ed Eric cercò di
aggrapparsi a quelle parole come un naufrago prossimo ad annegare.
Poi lo
udì, una voce più forte di ogni altra, un vagito
che sembrò il ruggito di un leone e il suo cuore si
fermò.
Secondi
trascorsero, minuti, ore, secoli. Sembrò eterno quel lasso
di tempo prima che Catherine uscisse dalla porta, con uno straccio
logoro di sangue fra le mani e il viso sudato, ma sorrideva.
«È
un maschio, Eric» disse aprendo un po' di più la
porta. «Entra pure.»
Ma Eric non
riuscì a entrare. Guardò quella penombra,
udì la voce dolce di Sarah, udì altri piccoli
vagiti e si coprì gli occhi con una mano.
Cornelius
gli avvolse un braccio attorno alle spalle e lo scosse con vigore.
Ed Eric
pianse come il suo stesso bambino. Pianse di altre mille emozioni
diverse, più intesa di tutte, pianse per terrore.
Un maschio,
il figlio di un Cacciatore. Un'altra vita dannata.
Non lo
avrebbe permesso.
*
Sarah
riposava. Era stata forte; la sua Sarah era forte come nessun'altra
donna al mondo.
Eric la
guardava dormire con il viso sereno e bello, e poi guardava Cornelius
che cullava fra le braccia un fagottino, che ondeggiava in maniera
ridicola canticchiando una ninnananna in latino.
«Smettila,
così lo farai piangere di nuovo»
brontolò seduto al tavolo, bevendo un sorso di birra.
Cornelius
sorrise tenendo lo sguardo sul piccolo nato.
«È
bellissimo, Eric. Il bambino più bello e dolce che abbia mai
visto» disse e gli baciò la fronte rosea.
Eric
sentì un calore profondo nel modo in cui Cornelius teneva
suo figlio, con una tale premura, un tale affetto. Cornelius sarebbe
stato un buon padre, avrebbe saputo amarlo come meritava.
Lui ci
sarebbe riuscito?
Non era
riuscito neanche ad amare sua moglie davvero, non era riuscito ad amare
la sua missione.
A volte si
convinceva di essere arido e sterile come quella neve che sentiva
vicina. Freddo, inospitale, silenzioso... solo.
«Devi
dargli un nome. Va battezzato quanto prima.»
Sospirò
guardando le lingue di fuoco salire alte nella brace.
«Un
nome...» bisbigliò sentendosi lontano con il
pensiero e il cuore.
«Puoi
chiamarlo come tuo padre: Victor.»
Si
voltò immediatamente verso Cornelius.
Suo padre,
di cui aveva conosciuto solo silenzi e segreti, di cui aveva ignorato
per anni un'intera vita?
Suo padre,
che amava e odiava in egual misura.
Scosse il
capo senza dire nulla e Cornelius non indugiò.
«Allora
come lo vuoi chiamare?» gli chiese.
«Sceglilo
tu» disse bevendo la sua birra ormai calda con un solo sorso.
«Dagli tu un nome che lo protegga o... qualsiasi altra
stupidaggine voi preti professiate.»
Volle
sembrare indifferente ma Cornelius capì cosa batteva nel
profondo del suo cuore.
Sorrise e
guardò ancora il bambino addormentato fra le sue braccia.
«Christopher»
sospirò. «Colui che porta Cristo nel
cuore.» Poi sollevò lo sguardo nel suo.
«Esiste anche una storia, sai? Si dice che in tempi antichi
esistesse un uomo con mille abilità che era alla ricerca di
un principe da servire, ma voleva che costui fosse un uomo forte che
meritasse i suoi servigi. Così udì parlare del
Diavolo e di quanto potente fosse e decise di andare da lui, ma poi
scoprì che il Diavolo fuggiva sempre quando si trovava
davanti a una croce e capì che non era lui l'essere
più forte, ma colui che giaceva sofferente inchiodato alle
assi di legno. Iniziò allora la sua ricerca di Cristo ma
mentre camminava scorse un fanciullo sulle rive di un fiume, senza
forze per attraversarlo, che gli chiese aiuto. Christopher lo mise
sulle spalle e lo condusse dall'altra parte. Il fanciullo lo
ringraziò e gli chiese dove fosse diretto. “Cerco
Cristo” rispose Christopher e il fanciullo gli disse:
“Soccorri tutti colori che ti chiederanno aiuto durante il
tuo cammino. Allora troverai Cristo.” Così
Christopher si mise in viaggio seguendo le parole del fanciullo. Nella
sua strada incontrò molti uomini sofferenti e feriti e
usò le sue mille abilità per aiutarli.
Compì così molte opere buone anche se sembrava
non riuscire mai a trovare Cristo in persona. Un dì,
rammaricato per la sua infruttuosa ricerca, si sedette sulle rive di un
fiume chiedendosi se esistesse davvero questo Essere che stava cercando
ormai da tutta la vita. E mentre i dubbi lo assalivano gli si
avvicinò un fanciullo, lo stesso che aveva aiutato ad
attraversare il fiume ormai molti anni prima.
“Perché ti sei fermato?” gli chiese e
Christopher rispose: “Perché volevo trovare Cristo
per servirlo, ma non ho ancora potuto farlo, e ormai sono vecchio e
stanco.” Il fanciullo gli mise una mano sulla spalla e gli
disse: “Eppure lo hai servito tante volte nel tuo cammino.
Ogni volta che hai aiutato chi ne aveva bisogno, ogni volta che hai
alleviato le sofferenze di un uomo, ogni volta che hai risposto alla
richiesta d'aiuto di un bambino.” Christopher capì
così che quello stesso fanciullo era Cristo e comprese
finalmente quale fosse il suo vero insegnamento.»
Eric aveva
ascoltato la storia in silenzio, cercando di comprendere, percependo la
luce negli occhi e nelle parole di Cornelius e capì quanto
forte era la sua fede. Ed era qualcosa che Eric non avrebbe mai
conosciuto.
«Così
vuoi dare a mio figlio il nome di un tizio che si è fatto
abbindolare da un bambino?» Ma sorrideva mentre lo diceva e
Cornelius gli perdonò la sua irriverenza.
«Allora,
ti piace?» gli chiese e lui sollevò le spalle.
«Sì,»
rispose. «Almeno è meno ridicolo di
Cornelius.»
E lo
udì ridere.
*
Stavano
ritornando dalla locanda. Avevano brindato, bevuto e fatto infuriare
Charles. Era stata una bella serata.
Eric,
alquanto alticcio, ascoltava una delle tante parabole di Cornelius che
trovava più ridicole che profonde.
«Tramutare
l'acqua in vino?» chiese ridendo e Cornelius lo
guardò con rimprovero.
«Nostro
Signore può questo e altro» affermò
poggiandosi al muro per non inciampare. Eric lo affiancò
prendendo un braccio e legandoselo alle spalle.
«Ti
riaccompagno in chiesa» suggerì notando il suo
amico eccessivamente ubriaco.
«Nostro
Signore te ne sarà grato» rispose Cornelius
poggiando completamente il peso contro il suo corpo.
«Sì,
come no...»
Lo
trascinò fino al grande portone sperando di non incrociare
qualche altro prete in vena di spargere richiami e consigli non
richiesti.
La chiesa
era vuota, illuminata solo da troppe candele.
Eric
evitava di andarci, gli portava alla mente troppi ricordi che voleva
seppellire.
Adam non si
era più fatto vivo. Avrebbe dovuto essere un bene, invece
aveva solo aumentato le paure di Eric che sapeva che quando lo avrebbe
rivisto forse sarebbe stata la loro ultima lotta. E adesso c'era
Christopher e lo avrebbe protetto a ogni costo.
«Eric,
aspetta» disse poi Cornelius arrestando il passo e
sottraendosi al suo sostegno.
«Dove
vai?» gli chiese lui vedendolo barcollare in direzione di un
armadietto.
«Devo
prendere le chiavi della mia cella» rispose facendo fin
troppo baccano con tutte le cianfrusaglie di quell'armadio.
«Non l'ho portata con me perché avrei potuto
perderla. Sai, quando bevo non sono più molto
responsabile»
«Non
mi dire» brontolò Eric sorridendo però
per il modo goffo con cui Cornelius cercava di chiudere l'anta.
Andò così ad aiutarlo e vide la chiave
scintillare nel suo palmo. Almeno l'aveva trovata. Adesso non restava
che-
«Buona
sera, padre.»
La voce,
quella voce.
No...
Si
voltò con timore e scorse la sua figura.
No, no, non
poteva. Non doveva!
«Buonasera»
annaspò Cornelius ignaro di chi fosse l'uomo a cui stava
sorridendo.
«Troppo
tardi per una confessione?» chiese quest'ultimo con beffa ed
Eric allungò il braccio per impedire a Cornelius di fare
anche solo un passo avanti.
«Vattene
da qui» gli intimò. «Scappa!»
«Ma
che-»
«Vattene,
Cornelius!» urlò ancora finendo con il confonderlo
di più.
«Oh,
perché dovrebbe?» ribadì Adam
liberandosi del suo lungo mantello che cadde a terra.
«È arrivata l'ora delle presentazioni. Non credi,
Eric?»
Poi fu una
saetta. Si ritrovò gettato contro i banchi di legno e vide
il collo di Cornelius stretto nella mano di quel mostro.
No, no, no!
«Fermati!»
urlò più con disperazione che con vera minaccia.
«Lascialo stare!»
Cornelius
soffriva nella sua morsa e provava inutilmente a liberarsi. Adam non
pareva aver intenzione di lasciarlo andare ed Eric comprese solo allora
il suo sbaglio. Avrebbe dovuto ucciderlo quando ne aveva avuto
occasione, quella notte sotto il faggio e le decine di volte nella sua
dimora, mentre era assopito al suo fianco. Doveva profittare del suo
piacere per colpirlo, della sua perversione per vincerlo. Invece si era
lasciato trascinare nel suo vortice ed era stato lui a lasciarsi
vincere.
«Ti
prego...» ingoiò il suo orgoglio e lo
supplicò. Solo allora Adam lo guardò e nei suoi
occhi Eric non riuscì a leggere nulla. Freddi e distanti
come sempre.
Aprì
la mano e Cornelius cadde al suolo privo di sensi ma ancora vivo.
«Sei
patetico, Eric. Tu e il tuo illuderti di salvarli» disse Adam
avvicinandosi a lui. «Non puoi difenderli, non puoi salvarli
da me. Io posso prendere le loro vite, posso prendere la vita di tua
moglie, del tuo fratello di caccia, perfino di tuo figlio.»
«Non
oserai!» Lo fronteggiò con un coraggio ridicolo,
con una forza inesistenze. Perché Adam aveva ragione, se
avesse voluto avrebbe ucciso tutti coloro che amava, gli avrebbe preso
tutto e lo avrebbe distrutto.
E allora
perché non lo faceva? Perché continuava quella
perversa lotta se sapeva bene che solo uno di loro avrebbe potuto
vincerla?
Perché
Eric glielo permetteva?
«Potevi
essere il più grande Mastro che avesse mai messo piede su
questa Terra, Eric. Potevi essere colui che avrebbe messo fine alla mia
vita e invece... guardati.» Stavolta gli occhi di Adam
lasciarono andare qualcosa, delusione, biasimo, disgusto.
«Cosa
vuoi da me?» gli chiese Eric. «Cos'altro vuoi da me
che tu non abbia già preso, maledetto essere degli
inferi?!» Ma Adam non gli rispose, gli diede le spalle e
recuperò il suo mantello. «Avevi detto che mi
avesti strappato il cuore dal petto! Allora fallo, avanti!»
Eric aprì le braccia e lasciò che la disperazione
e la paura avessero la meglio.
Non avrebbe
mai vinto, non avrebbe mai affondato quel paletto, non ne aveva forza
né convinzione.
Patetico, vigliacco.
Adam non lo
degnò di una risposta neanche allora. Si avviò
alla porta, con passi lenti e solo allora lo guardò.
«È
incredibile quanto tu sia sciocco, Eric» disse soltanto prima
di sparire.
*
Cornelius
riprese i sensi dopo qualche ora.
Eric sedeva
al suo fianco e gli tergeva la fronte con un panno umido.
«Eric?
Cosa è successo? Dove-»
«Riposa»
comandò guardando i suoi occhi lucidi e i segni violacei
attorno al suo collo. Fu costretto a distogliere lo sguardo.
«Io devo tornare da Sarah e-»
Quando
provò ad alzarsi Cornelius lo fermò per un polso.
«Chi
era?» gli chiese ed Eric, che fino a quel momento aveva
sperato non lo ricordasse, fu costretto a cedere.
«Qualcuno
da cui dovrai stare alla larga» rispose.
«Era
un Sire, non è così?» Non rispose e
Cornelius ebbe la conferma. «Oh, Eric, quando pensavi di
dirmelo? Credi che...» una smorfia sofferente
piegò il suo viso quando provò a sedersi. Eric
non cercò neanche di farlo desistere. Lo aiutò a
poggiarsi con le spalle al muro e si lasciò guardare e
accusare.
«Da
quando?» chiese ancora.
«Da
un po'» rispose Eric. Da
troppo.
«E
lo hai sempre affrontato da solo... Perché, Eric? Non
ricordi più cosa vuol dire essere Cacciatori? Insieme,
fratello mio, solo insieme possiamo vincere.»
Cornelius
gli prese una mano e la strinse forte.
Eric si
sentì crollare sotto tanta fiducia, sotto tanto affetto,
sotto tutte le sporche menzogne che avrebbe dovuto riservargli.
«Volevo
proteggerti. Volevo proteggere tutti voi» si
giustificò, combattendo la voglia di gettarsi a terra e
chiedergli perdono per la sua debolezza.
Cornelius
gli sorrise con gentilezza. «Grazie per ogni tuo sacrificio,
Eric. Adesso non devi farne più.»
Eric si
sentì morire dentro ancora un po'.
*
Christopher
aveva da poco compiuto un anno, gattonava sul pavimento con qualche
ciuffetto nero di capelli sulla testa e faceva strani brontolii privi
di senso.
Eric lo
guardava crescere giorno dopo giorno, sorridente e forte, e guardava
Cornelius giocare con lui e riempirlo di doni e parole. Guardava la sua
casa sempre più in disordine, guardava le sue mani sempre
più spaccate, guardava Sarah sempre più debole.
«Faccio
io.» Le tolse le stoviglie dalle mani e le poggiò
nel tinello. Sarah non disse nulla, barcollò fino alla sedia
e si accasciò con un sospiro.
Stava male,
da qualche mese, e non sembrava esserci cura.
Cornelius
raccolse Christopher dal pavimento e lo accompagnò nella sua
piccola cesta di vimini cantandogli una canzoncina per farlo
addormentare.
«Forse
avrebbe dovuto sposarsi» sospirò Sarah guardandoli
ed Eric le si avvicinò sedendosi al suo fianco. Aveva occhi
tristi e distanti. «Avrebbe dovuto avere dei figli, una
famiglia... sarebbe stato un buon marito e un buon padre.»
Le prese la
mano e l'accarezzò con dolcezza, con colpa.
«Avresti
meritato qualcuno come lui e non...»
Ma Sarah
gli sorrise e scosse la testa. I suoi capelli bruni erano spenti, il
suo viso magro e pallido, eppure il suo sorriso sempre bellissimo.
«Sono
felice di averti sposato, Eric. Felice della vita che abbiamo
condiviso. Non rimpiango nulla.»
Eric
abbassò lo sguardo sentendo gli occhi bruciare e non
riuscì a trattenere le lacrime.
«Perdonami
per il male che ti ho fatto, amore mio» sospirò
baciandole la mano con le labbra salate di lacrime.
«Perdonami per le mie mancanze, per ogni parola ingiusta, per
tutto ciò che ti ha fatto soffrire.»
Sarah lo
abbracciò ed Eric si sentì caldo fra le sue
braccia da cui era sfuggito tante volte, quelle braccia che non aveva
mai meritato davvero, quell'amore a cui non aveva saputo dar valore.
«Prenditi
cura di lui, fallo crescere sano e colto e lontano da questo male,
Eric. Promettimi solo questo.»
«Sulla
mia vita. Te lo giuro sulla mia vita.»
E anche
Sarah lasciò andare una lacrima.
*
Sarah
morì quando Christopher neanche si reggeva sulle sue gambe.
Cornelius
celebrò il suo funerale con occhi lucidi e voce rotta. Poi,
davanti alla sua lapide, pianse in ginocchio.
Eric
stringeva fra le braccia il suo bambino che sorrideva cullato dalla sua
innocenza.
Glielo
aveva promesso.
*
«Non
puoi essere serio?!»
«E
invece lo sono.»
A terra vi
erano corpi pronti a divenire cenere, il sole era lì per
sorgere ed Eric aveva mani e abiti coperti di sangue. Cornelius lo
guardò con occhi sgranati, lasciò andare a terra
la balestra e corse ad afferrargli la giaccia con entrambe le mani.
«Quali
stupidaggini stai farneticando, Eric?!» lo scosse quasi con
violenza ed Eric volse lo sguardo lontano.
«È
la cosa migliore» disse.
«Come
potrebbe esserlo? Come potrebbe essere un bene allontanare tuo figlio
per sempre?»
Sapeva che
sarebbe stato difficile da accettare, che Cornelius avrebbe avuto da
ridire sulla sua decisione, ma Eric non era disposto a tornare indietro.
Christopher
aveva ormai cinque anni, stava imparando a leggere ed era sempre
più curioso della vita. Eric voleva che suo figlio avesse
quella vita, voleva che quella vita riservasse per lui solo luce e
gioia. Nessuna delle sue ombre avrebbe dovuto offuscarlo, nessun
segreto, nessun destino di sangue.
Aveva
atteso anche troppo, aveva aspettato perché l'amore per quel
bambino era incredibilmente forte, perché l'affetto per
Cornelius aveva la stessa intensità.
Adam era
sparito, Adam era divenuta una voce lontana, cupa, che però
gli sospirava nelle orecchie tutte le notti e gli rimembrava chi fosse
in realtà.
Eric non
voleva che un dì Christopher lo scoprisse, che come lui si
trovasse a pensare a un padre e considerarlo qualcuno che non aveva mai
davvero conosciuto.
«Con
te starà bene. Lo crescerai e lo educherai e ne fra un
brav'uomo. Ne sono certo.»
Cornelius
aveva occhi lucidi e labbra tremanti. Lo scosse ancora per la casacca.
«Basta,
ti supplico, Eric. Non voglio udire altro» gli
intimò lasciandolo andare. «Christopher ha te, e i
suoi cugini, la sua famiglia. Loro posso amarlo e proteggerlo
e-»
«Come
possono proteggerlo da questo?» urlò a quel punto
indicando ciò che li circondava, i cadaveri, il sangue, il
tanfo di morte. «Tu puoi proteggerlo perché sai
cosa affronterebbe. Tu puoi proteggerlo e salvarlo da tutto questo
perché conosci a cosa lo condurrebbe.» Cornelius
scuoteva il capo conscio di quanto gli stava chiedendo ed Eric era
consapevole che per farlo avrebbe dovuto tradire i suoi voti e
abbandonare la sua missione di Cacciatore, così come fece
Victor ormai molti anni prima.
«Rifletti,
Eric... è una scelta egoista!» lo
aggredì Cornelius quasi pentendosi subito delle sue parole,
ma Eric gli diede ragione.
«Lo
è» affermò. «Ma non posso
fare altrimenti, amico mio.» E a quel punto gli sorrise
tristemente. «Sei stato la mia salvezza quella notte. Hai
salvato la mia vita e con il tempo anche la mia anima. Mi hai donato la
tua amicizia e i tuoi insegnamenti e mai ti sarò grato
abbastanza, ma ora ti chiedo, fratello, fai lo stesso con mio figlio:
salva la sua vita.»
Cornelius
pianse coprendosi gli occhi, singhiozzando come un fanciullo ed Eric
gli si avvicinò e attese che sollevasse lo sguardo. Il sole
spuntava da dietro l'orizzonte, e illuminava le lacrime sulle sue
guance.
«Non
posso lasciarti solo...» sospirò asciugandosi
inutilmente gli occhi. «Non voglio.»
«Completerò
la mia missione e vi raggiungerò» promise una
menzogna.
Cornelius
quasi lo capì.
«Lo
ucciderai? Quel sire?» chiese ed Eric annuì.
«Sì.»
Cornelius
lo abbracciò, pianse ancora mentre il mattino li raggiungeva
e mille ceneri salivano nel cielo. Cornelius si aggrappò
alle sue spalle con forza, quasi fosse un addio.
Eric sapeva
lo era.
*
Era un
piccolo carretto con due cavalli. Pochi sacchi e molte cibarie per il
lungo viaggio.
«Ti
invierò una missiva quando saremo arrivati» disse
Cornelius stringendo le redini.
Eric
carezzò il cavallo e sorrise. Negli occhi di Cornelius c'era
una richiesta, una supplica. Vieni
con noi, lascia tutto e scappa con noi.
Non avrebbe
mai potuto farlo.
«Padre,»
Christopher si sporse dal carretto per abbracciarlo. Era bello, il suo
bambino, aveva i capelli e gli occhi di sua madre. La sua dolcezza e il
suo calore. «Raggiungici presto.»
Eric
inghiottì un urlo e sorrise.
«Certo.»
Un'altra
promessa, un'altra menzogna.
*
Le lettere
di Cornelius parlavano di un'abazia, maestosa e protetta, in cui
nessuno avrebbe mai osato cercarli.
Christopher
lo chiamava zio, ma nelle notti più buie, arrivava a
chiamarlo padre. Cornelius lo scriveva con profonda tristezza ma Eric
ne era sollevato. Sapeva che adesso il suo bambino era al sicuro.
Non rispose
mai a nessuna di quelle missive, ma le conservò tutte
accanto al suo diario che invece continuava a riempire pagina dopo
pagina. Scriveva di tutto, i suoi pensieri, le sue colpe, la sua
rabbia. Scriveva della paura che provava ogni notte quando fra i mostri
che affrontava non c'era mai il volto di Adam e allora si chiedeva dove
fosse, se li stesse cercando, se avrebbe fatto loro del male. Scriveva
di come la caccia adesso fosse più silenziosa, di come
l'assenza di Cornelius facesse rabbuiare il suo animo.
Gli
mancava, la sua compagnia e la sua voce, il suo sorriso. Gli mancavano
le domande di Christopher, la sua allegria, il suo calore, il ricordo
di Sarah che brillava nel fondo dei suoi occhi castani.
E
così, dopo la caccia, dopo aver scritto una nuova pagina,
Eric beveva, ogni volta un po' di più, ogni volta annegando
un po' del vuoto che piegava il suo cuore.
Quella sera
barcollò fino al camminò e gettò
dell'acqua per spegnere la fiamma prima di coricarsi, ma
mancò completamente il bersaglio bagnando solo il pavimento.
«Pessima
mira.»
Era troppo
ubriaco per sorprendersi, troppo stanco per spaventarsi.
Si
voltò e Adam era lì, nella sua cucina, seduto al
suo tavolo.
Ed era lo
stesso di sempre, lo stesso uomo che aveva incrociato la prima volta al
vicolo, lo stesso che aveva maledetto la sua vita, bello e letale come
solo il male poteva essere.
Gli anni
invece avevano pesato su Eric, adesso sembravano decenni quelli che li
dividevano. Qualche filo d'argento fra i capelli, una fronte
più aggrottata, un cuore più opaco.
Gli sorrise
e si sedette a terra, sentendo la testa dolere.
«Vieni
qui come un angelo della morte per portarmi via una volta per
tutte?» ridacchiò poggiando la nuca al muro.
«Mh...
l'alcol ti rende poetico, cacciatore» ribatté Adam
sarcastico ed Eric rise senza allegria. «Ho visto tuo figlio,
l'altro giorno.» Quelle parole lo gelarono. Il sorriso
morì e così quasi ogni riflesso di ebbrezza.
«Tu!»
ringhiò provando a rimettersi in piedi ma Adam si
alzò dalla sedia e lo tenne seduto a terra piantandogli un
piede sul petto.
«Non
lo toccherò. Né lui né il tuo amato
fratello di caccia» disse con voce cupa. Ed Eric non gli
credette.
«E
pensi che mi fidi delle parole di un mostro?»
sbraitò scacciando via il piede con il braccio e
strascinandosi con le spalle al muro rimettendosi in piedi.
Adam lo
guardava a pochi centimetri con il viso perlaceo e i capelli nerissimi
a circondarlo.
«Promisi
lo stesso a Victor e mantenni la mia parola. Tu ne sei la
prova.»
Suo padre,
il suo mistero più grande.
«E
perché lo faresti?» gli chiese e Adam finalmente
piegò le labbra seppure fu un sorriso quasi gelido.
«La
nostra lotta, Eric. È solo questo che mi importa»
rispose e gli accarezzò il viso con quelle dita calde capaci
di creare musiche meravigliose.
«Sarai
tu a vincere. Lo abbiamo sempre saputo, tutti e due.» Non gli
costò neanche ammetterlo, ormai gli anni e gli affanni,
avevano abbassato il suo orgoglio come un ramo che si piega sotto il
peso del bianco inverno.
«Posso
donarti la mia stessa forza, se vuoi... potremmo lottare ad armi pari
per sempre.»
Eric
tremò a quella proposta riuscendo ad ascoltare
ciò che Adam non disse.
«E
diventare come uno di quei mostri disgustosi?»
ringhiò allontanandolo ma Adam lo schiacciò
ancora contro il muro prendendogli il viso fra le mani e inghiottendolo
con il suo sguardo.
«Saresti
come me non come loro, saresti un Sire e non conosceresti vecchiaia
né dolore o debolezza. Per sempre giovane e
immortale.» Poi lo baciò, intenso e violento come
solo lui sapeva essere. «Dammi la tua anima, Eric, e avrai
tutto questo» sospirò sulle sue labbra.
«La tua anima in cambio dell'Eternità.»
«No»
disse soltanto guardando alle spalle di Adam la sua piccola casa
solitaria, che un tempo Sarah aveva reso accogliente e calda, dove
Christopher aveva emesso i primi vagiti, dove Cornelius si era preso
cura di lui e l'aveva illuminata con la sua allegria.
No, Eric
non voleva l'eternità, non voleva vivere in eterno. Voleva
solo la pace dei ricordi, la speranza che gli regalava sapere
Christopher e Cornelius lontani dal suo baratro.
Adam rimase
silente alla sua risposta e si allontanò senza dire nulla,
continuando a guardarlo freddamente.
«Se
vuoi uccidermi adesso, va bene. Se vuoi lottare e umiliarmi, va bene lo
stesso... ma non chiedermi di darti l'unica cosa che mi
resta» disse stanco, in attesa di una lama che lo
trafiggesse, di una mano che lo soffocasse.
«Come
vuoi» sospirò Adam abbassando il capo con un gesto
d'assenso. «Ma nella tua casa non oserei portare morte,
perciò per stanotte sei graziato, Cacciatore.»
«La
tua parola!» Lo fermò prima che andasse via.
«Dammi la tua parola che non farai mai loro del male...
neanche dopo.»
Adam lo
guardò a lungo e annuì.
«Hai
la mia parola, Eric...» Ma prima di uscire gli sorrise e
disse: «Così come il mio cuore.»
Mentiva,
pensò Eric.
Un'ultima
beffa per il suo rifiuto, o forse una verità che non era
disposto ad accettare altrimenti avrebbe dovuto accettare anche il
riflesso di quella verità: anche Adam aveva sempre posseduto
il suo.
*
Era una
notte d'estate, calda, afosa, con sudore attaccato alla pelle e ai
capelli, con sangue appiccicato alle mani.
Eric
attaccò i due demoni e poi il terzo. Stanco e ferito a una
gamba, fu costretto a subire l'aggressione del quarto che lo
colpì allo sterno con una ginocchiata. Poi arrivarono pugni
e calci, finché un sottile ramo non colpì la sua
schiena come una frusta.
Il dolore
gli bloccò il fiato e li udì ridere istericamente.
«È
la tua ora, Cacciatore!»
«Morirai
come il cane che sei, sporco umano!»
Ancora
colpi, ancora risate. Eric sentiva il sangue che scivolava sulla sua
schiena dilaniata mentre, obbligato in ginocchio a terra, era tenuto
fermo per le mani da due esseri immondi.
L'alba era
lontana, il sole non sarebbe venuto in suo soccorso. Nessuno lo avrebbe
fatto.
Era solo.
Doveva lottare per non morire.
Ignorò
così la sofferenza e spezzò la morsa con cui
veniva costretto dai due.
Afferrò
i due paletti di frassino infilati negli stivali e li colpì
specularmente, uno a destra e l'altro a sinistra.
Con la mano
raggiunse quella specie di frusta improvvisata e riuscì a
mettere a terra quel mostro prima di impalarlo lì al suolo.
Ne mancava ancora una, era una donna dai capelli biondi e due occhi
troppo azzurri.
Sembrò
indietreggiare mentre lui si avvicinava raccogliendo da terra la
balestra e puntandogliela contro, la balestra di Cornelius.
La donna
affannò cercando con gli occhi una via di fuga ed Eric era
lì, pronto a finirla, quando la vide sorridere in maniera
sinistra e non capì finché qualcosa non lo
colpì alla schiena, fino a trafiggerlo: la lama di un
pugnale.
La balestra
gli cadde dalle mani mentre altre pugnalate si univano ed Eric fini a
terra, in ginocchio, a stringersi lo stomaco per il dolore.
Udì
una risata stridula: un quinto demone che non aveva visto fino a quel
momento.
Sollevò
a fatica la testa e vide i due guardarlo perversamente divertiti, fra
le mani di lui un lungo stiletto d'acciaio ricoperto di sangue, il suo.
La vista si
annebbiò, le voci risultavano sempre più confuse,
si sentiva debole, sfiancato, e attorno a lui si allargava una pozza
cremisi.
Farsi
colpire così, come non avesse cacciato in ogni notte per
tutti quegli anni, come non fosse stata la sua vita stanare e uccidere
quei mostri. Morire così, per colpa di uno stupido pugnale.
Il pensiero
corse al suo bambino, adesso un ragazzo, che viveva felice nella
compagnia del suo amico più fidato. Cornelius gli aveva
spedito un suo ritratto ed Eric lo teneva in quel diario e lo guardava
tutte le sere.
Avrebbe
voluto vederlo ancora una volta prima di morire, avrebbe voluto
rivedere Cornelius, abbracciarlo, e dirgli quanto ancora gli fosse
grato per tutto. Ma non c'era più tempo, né
parole. Tutte le occasioni erano perdute oramai, ed Eric poteva solo
vedere i due esseri avvicinarsi, pronti a completare la loro opera.
Ma poi li
vide arrestarsi, sgranare gli occhi senza fiato mentre una macchia di
sangue si allargava dai loro petti. Quando caddero entrambi al suolo
capì.
Adam, di
fronte a lui, stringeva nei palmi i loro cuori che lasciò
cadere a terra accanto ai loro cadaveri.
Poi la
vista si confuse ancora, così come ogni altra sensazione ma
percepì qualcuno sollevarlo e poggiargli la guancia su
qualcosa di morbido.
Aprì
le palpebre: Adam lo teneva sulle sue gambe e gli stava spostando i
capelli dalla fronte.
«Sono
ferite mortali.» Udì debolmente.
«Lo
so...» annaspò tossendo sangue. «Un
modo... patetico di ... morire... vero?» provò a
sorridere ma non riuscì. Altro sangue abbandonò
le sue labbra.
«Posso
curarti, posso salvarti.»
«No...»
«Dammi
la tua anima, Eric. Lascia che ti salvi.» C'era una nota
strana nella sua voce, un tremolio, qualcosa che Eric non seppe
definire.
Troppo
stanco, troppo debole.
Adam gli
stava accarezzando ancora il viso ma lui non riusciva a sentire
più le sue dita.
«Com'è
l'Inferno?» gli chiese con un fiato, ormai pronto a varcarlo.
«Non
troppo diverso da questa Terra.»
Prese un
respiro, profondo, doloroso.
«Credi
che lo rivedrò?... Mio padre...»
Adam non
rispose ed Eric sentì qualcosa di caldo che gli stava
avvolgendo il corpo. Erano le braccia di Adam.
«Eric,
posso salvarti...»
Stavolta
capì che era una supplica, ma il suo tempo era finito.
In fondo
era felice che lui fosse lì, con lui, per un'ultima volta.
«Adam...
Avrei potuto ucciderti» disse.
«Sì,
avresti potuto farlo.» La voce era rotta ma Eric aveva lo
sguardo buio per vedere le sue lacrime. «Nessuno gli
farà mai del male. Hai la mia parola.»
Eric
sorrise.
«Adam...»
Il suo nome
sulle labbra fu il suo ultimo respiro.
*
*
*
Qualcuno
bussò ma quando Cornelius andò ad aprire non vi
era nessuno sulla soglia. Cercò chi potesse aver bussato ma
in basso scoprì una piccola scatola. La raccolse e la
studiò portandola dentro.
Quando
sollevò la parte superiore vide un libro in pelle rossa e
molte lettere.
Bastò
una sola occhiata per capire che fossero sue quelle lettere, per capire
che quel libro era in realtà un diario, per capire che quel
diario portava il nome di Eric.
Sapeva cosa
volesse dire.
Lo
portò al petto con le lacrime a rigargli il viso.
Il suo
amico più caro, suo fratello.
Stette
intere ore in silenzio, senza più lacrime da versare, senza
più perdono da chiedere.
Lo aveva
lasciato, abbandonato.
Il sole
calava ignaro e Cornelius cadde pesantemente sul divano.
Accarezzò la pelle rossa del diario con dita tremanti.
Tirò su con il naso e aprì la prima pagina.
*
All'ultima
pagina, Cornelius capì che quelle parole finali erano state
scritte da qualcun altro, e comprese anche chi fosse.
Pianse
ancora, di fronte a ogni frase, a ogni segreto che Eric era stato
costretto a serbare, pianse della sua cecità e della sua
stoltezza, pianse per quel dolore e quella colpa che lo aveva dovuto
accompagnare per tutti quegli anni.
Pianse la
sua anima lacerata, il suo cuore ferito.
Le ultime
parole che chiudevano quel diario erano una richiesta, un comando: proteggilo.
E Cornelius
l'avrebbe fatto.
Raggiunse
il focolare e vi gettò dentro il diario e lo
guardò bruciare lasciando che fossero le fiamme a conservare
quella storia, quei segreti, quell'amore illecito.
Cornelius
avrebbe protetto Christopher da qualunque minaccia, soprattutto dalla
più pericolosa: la verità.
Mai avrebbe
saputo.
Avrebbe
vissuto ricordando un padre amorevole e generoso, che aveva sacrificato
la vita per permettergli di vivere libero la sua.
Christopher
avrebbe vissuto libero da una missione, da un obbligo divino e, che il
Signore avesse pietà della sua anima, Cornelius avrebbe
ucciso chiunque avesse voluto fargli del male.
Avrebbe
fatto di lui un ragazzo colto e gentile, come sognava Sarah; avrebbe
fatto di lui un brav'uomo, che voleva Eric.
E un
dì, nel Regno dei Cieli, lo avrebbe ritrovato e sarebbero
stati di nuovo insieme, come due fratelli.
*
Tornò
molti anni più tardi nel vecchio villaggio. Christopher non
era con lui, era insieme alla sua sposa e ai suoi tre bambini.
Christopher, che suonava il violino come un angelo e sorrideva sempre.
Un uomo
vecchio, dai capelli bianchi e le ossa dolenti, Cornelius si
avvicinò alla croce di legno accarezzandola e guardando
anche l'altra al suo fianco.
Stette ore
in silenzio con il solo sostegno del suo bastone, con la sola compagnia
dei suoi ricordi.
Le notti di
caccia, le risate alla locanda, il calore di quella piccola cucina.
E poi i
pomeriggi seduti sull'erba a narrar storie, a sentirsi deridere eppure
godendo di ogni attimo.
Quel
ragazzo con troppa fede e poca resistenza all'alcol.
Le sgridate
di padre Gregory, le cene semplici al tavolo di Sarah, la compagnia di
Eric, il suo braccio teso che lo rimetteva in piedi, quel sorriso
sempre così timido.
“Sceglilo tu. Dagli un nome che
lo protegga...”
“Christopher.”
Oh, quale
onore era stato. Quale onore era stato crescere suo figlio.
E in fondo
l'aveva cresciuto bene.
Annuì
a se stesso, con un sorriso, come se qualcuno gli avesse dato una pacca
sulla spalla, come se il vento avesse sospirato grazie.
Dei passi
si avvicinarono e Cornelius scorse un giovane uomo con una rosa stretta
fra le dita. Si inginocchiò e la poggiò in mezzo
alle due croci.
L'aveva
veduto una sola volta in tutta la sua vita, una notte fugace e confusa
come un sogno, ma mai avrebbe dimenticato quegli occhi e quello sguardo.
Non si
dissero nulla. Restarono silenziosi uno a fianco all'altro a guardare
la tomba di qualcuno che, in un modo o nell'altro, avevano amato
entrambi.
Fu
Cornelius ad andar via per primo, tenendosi al suo bastone, sentendo la
schiena dolere per il troppo tempo trascorso in piedi.
Non si
voltò per vedere se lui fosse ancora lì.
Si disse
che era sempre stato lì.
Si disse
che lì sarebbe sempre restato.
Non lo
rivide mai più. Non tornò mai più al
villaggio.
In un
mattino d'estate, troppo caldo e assolato, mentre Christopher gli
teneva la mano, Cornelius chiuse gli occhi con un sorriso.
Eric lo
stava aspettando.
***
E
siamo giunti alla fine, nobili lettori e io so che domande angustiano
la vostra mente perché di Adam si vuol sapere il destino, di
Christopher la vita, e di quella lunga guerra biblica, l'esito.
Ma
non possiedo tali risposte, sono solo un narratore, una voce nell'oblio
che racconta una storia taciuta, fatta di segreti e silenzi, di colpe e
peccati. Perché Eric fu un Cacciatore come tanti, eppure un
uomo come pochi, un uomo che ha amato più di quanto ne fosse
conscio, che ha dato più di quanto non fosse stato dato a
lui.
Perciò,
vi chiedo, non porgete domande, non cercate altre risposte, fate solo
tesoro di quanto la mia povera lingua ha saputo raccontare
perché anche questa voce non venga dimenticata.
Perché
si ricordi e si narri di una storia fatta di sconfitte e di sangue, di
vergogne e di colpe, eppure di amore e speranza, di brandelli di luce
nelle infinite ombre.
Si
narri di Eric, Cacciatore e uomo, padre e marito, si narri di un
fratello che il buon Dio mi ha concesso di incontrare e amare. Si narri
della sua vita fugace eppure intensa.
Si
narri di questo.
Il
resto non conta, il resto è solo leggenda.
C.
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