09 AmarezzaGuy
diede una lunga sorsata alla sua birra mentre cercava di scaricare il
nervosismo. Si guardava intorno, con il piede che frenetico
tamburellava contro la gamba del tavolo; fissava i propri compagni di
band seduti al tavolo con lui, che festeggiavano e brindavano in
continuazione. In particolare guardava Spike, seduto dritto davanti a
lui, che cingeva le spalle di Ginger con il suo braccio e seguitava
ogni due secondi ad alzare il bicchiere verso il soffitto. Era felice,
si vedeva; lo erano tutti, in realtà. Da quando quel vecchio compagno
di scuola era entrato nella band, in pochissimo tempo erano arrivati un
contratto discografico, promosso proprio da "Mayfair" che i due avevano
composto, un videoclip da girare e, soprattutto, una marea di concerti
in più. Doveva essere felice anche lui, il suo sogno di campare di
musica stava diventando sempre più palpabile ed invece era lì, quasi
isolato, che beveva la sua Tennent's con i nervi tesi come fili
dell'alta tensione. Di nuovo un altro sorso di birra e le sue iridi
castane che fissavano Ginger, il suo compagno di sei corde: non gli
piaceva, non gli era mai piaciuto e, molto probabilmente, non gli
sarebbe mai andato a genio. Ma non era questione di "sentirsi messo da
parte"; gli altri, Spike compreso, avevano sempre mantenuto lo stesso
atteggiamento nei suoi confronti. Quello che lo infastidiva davvero era
il comportamento dell'ultimo arrivato: sempre pronto a sbeffeggiarlo, a
schernirlo in modo velato; magari per il modo in cui si vestiva, magari
per il suo modo di essere naturalmente un po' burbero oppure - e questo
non lo sopportava - per il suo modo di suonare. Gli altri non se ne
accorgevano quasi, ma lui sentiva tutte quelle frecciatine
conficcarglisi sotto pelle e provocargli un prurito crescente. Espirò
pesantemente e si alzò dalla sedia: «Vado a fumare».
Camminò fino al bordo del marciapiede e, dopo essersi lasciato il
locale alle spalle, con gli occhi fissi verso la strada, si accese la
sua sigaretta. Sentiva il fumo caldo scendergli giù nei polmoni che lo
accarezzava e cercava di calmarlo, quando una voce alle sue spalle lo
fece voltare: «Ehi Guy, cos'è tutto questo silenzio?». Spike era
arrivato senza farsi sentire e anche lui stava per unirsi a lui in quel
rito di rilassamento; fissò la fiamma dell’accendino poi rivolse i suoi
occhi blu al coinquilino, attendendo una risposta.
Il chitarrista scosse il capo deglutendo una boccata di tabacco, come
se volesse minimizzare il suo non essere partecipe, ma sapeva bene che
quegli occhi blu, innocenti come li descriveva lui, non gli lasciavano
scampo. Il cantante capì immediatamente qual era il problema:
«Da quando c'è Ginger sembra quasi che...»
«Ha qualcosa che non va» lo interruppe Guy con un tono di voce che non
ammetteva repliche. Picchiettò con l’indice la Marlboro e guardò Spike
dritto negli occhi; tutta quell’innocenza e benevolenza che li
riempivano quasi lo commuovevano, ma sapeva bene che, in questo caso,
doveva vomitare la verità e metterlo al corrente del reale corso delle
cose. Così come aveva già fatto per metterlo in guardia da Leah: «È
come se nascondesse qualcosa... come se fosse marcio».
«Marcio?» ripeté Spike incredulo «Impossibile, non Ginger».
Guy annuì, respirando dalla sigaretta: «Facci caso: cerca sempre di
sminuirmi, di criticare il mio modo di essere e suonare. Non si può
piacere a tutti, è vero, ma mi sembra che lui manchi di obiettività».
Spike fece per ribattere, per dire che forse stava esagerando, che
Ginger scherzava solamente, ma il chitarrista proseguì: «Ma poi, quello
che più mi fa rabbia, è che pretende sempre di andare lui a prendere il
cachet».
Spike, di nuovo, cercò di difenderlo: «Non è che lui pretende... è che si presta»
«Può darsi, ma mancano sempre soldi».
Il cantante rimase senza parole; adesso non aveva davvero nulla con cui
scagionare Ginger. Non che dai compensi mancassero grandi somme, erano
sempre una decina di sterline circa; però, obiettivamente, venivano
immancabilmente tolte.
Per il servizio bar, diceva lui, effettivamente beviamo tanto.
Ma, da accordi, le bevande dovevano essere gratis; fosse stata soda,
birra o anche il whisky più costoso della loro cantina. Spike si
mordicchiò il labbro: era strano. Ed era ancora più strano il fatto che
nessuno di loro se ne fosse accorto; o, magari, non avesse dato il
giusto peso alla questione. Guy fece un respiro profondo: «Vedrai,
succederà anche stasera».
«Secondo me no» il cantante lanciò la sigaretta in mezzo alla strada e
facendola spegnere da una macchina in corsa «Te la stai prendendo un
po' troppo, per cosa poi...».
Guy corrugò le sopracciglia: «No. Non capisci. Non è il fatto che ha
suonato la mia bimba senza permesso o che mi ha preso la birra dal
frigo o che, ancora, mi ha sfiocchettato il jack l'altra sera a fine
concerto. Non sono questi singoli episodi, anche se l'avrei pestato
molto volentieri. È tutta la situazione, nel complesso. Non va Spike,
non va. Ha qualcosa di sbagliato».
Spike scosse il capo, amareggiato; abbassò gli occhi e fece un passo
per ritornare nel pub: «Non pensavo potessi essere invidioso, Guy.
Sono...» deluso? Incredulo? Attonito? Non
lo sapeva. L'unica cosa di cui era certo era che questa situazione gli
creava ansia. Il cantante desiderava che anche Guy apprezzasse Ginger,
ma invano. Ma, come era già capitato per Leah, improvvisamente, una
voce "antagonista" urlò alla sua mente che forse Guy così torto non
aveva. In fondo, lui stesso aveva notato che Ginger non era più lo
stesso di quando andavano a scuola a Newcastle; sembrava essere più
sfacciato, con meno scrupoli. Rabbrividì mentre tornava verso il
tavolo: ecco che ritorna quella schifosa sensazione di cattivo presagio. La stessa che avevo provato per Leah.
Al momento della chiusura del pub, mentre tutti stavano smontando e
caricando la strumentazione, Ginger diede in mano la propria chitarra a
Spike e gli disse di caricarla al posto suo poiché sarebbe andato a
ritirare il compenso per il concerto. Non appena quelle parole giunsero
alle orecchie di Guy, il chitarrista si spicciò a caricare il suo
amplificatore e fece finta di correre in bagno per la troppa birra
bevuta. Spike lo guardò camminare con passo spedito verso la grande
sala del pub, corrugando le sopracciglia e con un crescente senso di
inquietudine.
«Ehi» Nigel vide il cantante assorto nei suoi pensieri e cercò di
attirare la sua attenzione «secondo me stasera prenderemo cachet pieno;
non abbiamo bevuto molto, a parte Guy che si è scolato sei birre».
Spike si limitò a mugolare, così il bassista proseguì: «Sai, se
dovessimo calcolare quante decine sterline abbiamo perso per la nostra
sete d’alcol, a quest’ora avremmo già degli amplificatori nuovi ed
anche un mixer decente».
«Già» Spike sospirò e, tenendo il capo chino, caricò la chitarra di
Ginger, con la crescente sensazione che di lì a poco qualcosa sarebbe
andato storto.
Intanto, all’interno del pub, appena girato l'angolo per il corridoio
del bagno, Guy si fermò e fece capolino con le orecchie tese; vide
Ginger ringraziare con un sorriso falso il gestore, un uomo
immensamente grosso, e quest'ultimo che si allontanava per andare nel
retrobottega. Il ragazzo alzò per un attimo lo sguardo e poi si mise a
far frusciare le banconote fra le dita; le contò due volte, prima in un
verso ed in seguito nell'altro, poi sfilò una banconota da dieci
sterline e la nascose fulmineo nell'elastico dei pantaloni. Guy
digrignò i denti e dovette chiamare a raccolta tutta la calma in suo
possesso per non tirargli immediatamente una manata fra capo e collo e
prenderlo poi a calci. Si accontentò di uscire semplicemente allo
scoperto e di bloccargli il passaggio: «Sistema subito».
Il tono con cui aveva pronunciato quelle parole non ammetteva repliche.
Ginger si fermò, con lo sguardo fisso sui soldi; si soffermò per
qualche secondo a guardare la Regina Elisabetta, che lo fissava
ricamata con colori diversi, poi ebbe il coraggio di reggere lo sguardo
di Guy, nascondendosi dietro un ciuffo mogano che gli rotolava sulla
fronte.
L’altro chitarrista fece un passo verso di lui e lo afferrò per il
colletto della giacca, alitandogli in faccia la sua rabbia come un
serpente: «Hai sentito quello che ti ho detto, o devo chiamare qualcuno
per farti pulire le orecchie?».
«Levami le mani dosso Bailey, puzzi di birra» Ginger si attaccò ai
polsi dell'altro cercando di allontanarlo, ma con scarso successo.
Nel vedere che tentava di ribellarsi, Guy lo mise violentemente al
muro, generando un tonfo che fece vibrare le assi di legno che lo
rivestivano; gli si fece ancor più vicino al viso, sentendo la propria
temperatura corporea salire: «Rimetti a posto i soldi che hai preso».
«Sei ubriaco secco, non ho preso nulla» disse l’altro chitarrista a denti stretti.
«Potrò essere ubriaco» Guy aumentò ancor di più la pressione «ma ci vedo da dio».
Ginger, con le spalle al muro, cercò di discolparsi: «Mi spettano quelle sterline».
Guy, livido, alzò il tono di voce: «Ci spettano in ugual misura, stronzo».
«Attento a come parli, bastardo» finalmente Ginger riuscì a spingerlo
via da sé e a fargli picchiare il fondoschiena contro una sedia
«ugual misura un cazzo».
Il proprietario abbandonò il retrobottega, preoccupato dai rumori che
provenivano dalla sala, appena in tempo per vedere Guy rilanciarsi
contro Ginger e rovinare a terra insieme a lui: «'Sti ubriaconi!». Con
la pancia prorompente ancora fasciata nel grembiule da lavoro, corse
intorno al bancone e cercò di interporsi fra i due ma con scarso
successo; si mise in mezzo proprio nel momento in cui il pugno di
Ginger, diretto allo zigomo di Guy, lo colpì in pieno viso, facendolo
retrocedere con il sangue che iniziava a colargli dal naso. Emise un
grugnito degno di un orso bruno guardandosi le mani sporche, poi
afferrò entrambi i ragazzi per le braccia sbraitando: «Se volete far
rissa, ve ne andate fuori sul marciapiede. E se mi avete danneggiato
qualcosa, mi riprendo i soldi che vi ho dato».
«Meno dieci» Guy allungò la mano libera verso la vita dei pantaloni di
Ginger, ma l'altro gli bloccò il polso girandogli malamente la mano e
facendolo urlare: «Figlio di puttana, MOLLAMI!».
«Di' ancora una parola e ti giro il polso sottosopra, così per il prossimo mese non suoni più, pezzo di merda».
Il padrone del pub stava per picchiare insieme i ragazzi alla pari di
due cimbali, quando arrivarono di corsa Nigel, Spike e Rudy, attirati
dal fracasso.
Il cantante fece saltar fuori gli occhi blu dalle orbite: «Ma cosa state facendo?».
«Fuori dai coglioni, subito!» il padrone del locale aveva le labbra
ormai completamente ricoperte dal proprio sangue e fissava Ginger in
cagnesco «Prima che chiami la polizia e ti denunci per aggressione
immotivata».
Il respiro di Spike si bloccò per lo stupore; non è possibile che Ginger abbia intenzionalmente colpito lui! «Aspetti, aspetti, se ne parliamo possiamo...»
«Sta' zitto Jon, per dio, taci!». Guy aveva strillato con tutta la
forza possibile; ritrasse la mano dalla morsa di Ginger e poi guardò
Spike dritto negli occhi: «Qui non c'è bisogno di parlare» spostò lo
sguardo sul bassista: «Nessuno deve essere difeso».
Nigel e Rudy si sentirono raggelare; in un istante capirono che Ginger li aveva traditi.
Spike rimase di sasso. Non può essere vero. No, Ginger non ne sarebbe capace.
Tenne per qualche secondo la bocca chiusa, poi, a passo spedito e
pesante, con gli stivali texani che rimbombavano contro le assi del
pavimento, si diresse verso Guy e gli parlò dritto in faccia con un
filo di voce, mal celando il nervosismo: «Certo che sei davvero
subdolo, da te non mi sarei aspettato una cosa simile! Tutto questo
casino per cosa?» deglutì con difficoltà; colpa del cuore che gli stava
ostruendo la gola: «PER GELOSIA?». Quasi fischiò quelle ultime due
parole. «Sai bene che non devi, siete due chitarristi eccezionali...»
«Questo lo so» lo interruppe Guy, poi aggiunse: «ma il tuo compagno di scuola è proprio un uomo di merda» Capiscila Jon, per dio! Non so più come dirtelo.
Ginger fece per graffiargli il viso, ma il padrone del locale, che
ancora teneva i due, gli diede uno strattone con cui lo fece finire a
terra; poi mollò Guy e si affrettò a mettere un piede sull'altro
ragazzo, proprio sulle palle, impedendogli così di muoversi: «Se solo
provi a rabbrividire, faccio una bella marmellata con i tuoi gioielli».
Spike era sempre più senza parole; guardava Ginger a terra, tremante e
bianco in viso, con le palle quasi schiacciate da un energumeno che era
tre volte lui e Guy che si avvicinava a loro due, lentamente. Cercò di
fermarlo: «Adesso basta Guy!». Fece per allungarsi verso il
chitarrista, voleva assolutamente chiedergli spiegazioni, ma Nigel gli
mise una mano sulla spalla; Spike si voltò a guardarlo, con gli occhi
blu che cercavano spiegazioni. Il bassista si limitò a scuotere il capo
in silenzio. Il cantante smise di respirare mentre si voltava a
guardare i chitarristi, con il cuore che gli rimbombava
inspiegabilmente sempre più potente nelle orecchie. Vide il coinquilino
chinarsi all'altezza dell'elastico dei pantaloni di Ginger, allargare e
sfilare una banconota da dieci sterline. Lo stomaco si contrasse in una
morsa dolorosissima che gli fece salire le lacrime agli occhi. In un
secondo collegò le parole di Guy con il comportamento di Ginger e capì
per quale motivo il suo vecchio compagno di scuola, quella sera in cui
si erano rivisti fuori dal Dark Crimson Velvet, si era preso un cartone
dal poliziotto nel vicolo. Aveva
rubato. Ginger ruba. Ha rubato fino ad ora. Ha rubato ai locali che
frequenta. Ha rubato perfino a me, che siamo amici da una vita. Ha
rubato i soldi che ci siamo guadagnati insieme. Mentre quelle
parole gli rimbombavano nella mente, il cuore prese a battergli così
forte che la testa cominciò a girare come un uragano. La nausea
cominciò a farsi sentire sempre più prepotente, insieme con il sapore
della birra parzialmente digerita che saliva per l'esofago,
accarezzandogli il palato; il sapore della delusione. Lo stesso di una sbronza finita male. Gettò giù nervosamente il conato di vomito che cercava di farlo soffocare e guardò Ginger dritto negli occhi: «Perché?».
Il silenzio scese mentre il sangue che scorreva nelle vene di Spike
faceva sempre più rumore. Nessuno si mosse, solo il gestore del locale
sparì per andare a pulirsi il sangue dal viso; tutti fissavano quel
ragazzo con i capelli ribelli e mogano, che si stava rimettendo seduto.
Il cantante, pilotato dai suoi sentimenti di delusione, lo rimise in
piedi con forza, sollevandolo malamente per un gomito: «PERCHÈ GINGER?».
Il chitarrista rabbrividì leggermente; fu solo capace di dire: «Mi servono».
«Servono anche a noi, pezzo di stronzo» Guy stava per rimettergli le
mani addosso quando Nigel bloccò tutti, dicendo di lasciarlo parlare.
«Mi servono… faccio fatica a tirare avanti». A Ginger tremavano le mani.
Spike si sentì soffocare; oltre il danno, la beffa. Il mio amico non si fida di me.
«Te li avrei prestati volentieri, se li avessi chiesti». Il suo tono di
voce si faceva sempre più acuto e le sue pupille sempre più piccole,
mentre nella mente si accavallavano mille pensieri, uno più doloroso
dell’altro. Ginger ruba, Ginger mente, Ginger non si fida di me. Il tutto stava sfiorando l’assurdo.
Anzi, lo sfiorò: «Chiudi la bocca Spike». Ginger, sprezzante, lo guardò
con odio non giustificato: «Sei squattrinato almeno quanto me e poi, ti
prego, chi ha scritto “Mayfair”? Chi ha scritto il singolo che ti sta
facendo guadagnare?».
Il cantante si sentì raggelare il sangue, mentre il parquet sotto i
suoi piedi si sgretolava alla velocità della luce; aveva paura di
sapere cosa stava per dire il chitarrista.
«Quei soldi, oltre che a servirmi, mi spettano» Ginger fece un passo
verso di lui con l’indice puntato contro il suo petto «Hai capito che
MI SPETTANO?».
Quelle parole taglienti come lame, lanciate contro di lui con violenza ed astio, spensero per un attimo il cervello di Spike. Era la nostra canzone quella. NON LA TUA, LA NOSTRA.
Vide letteralmente nero per pochi secondi, giusto il tempo di sbattere
le palpebre per cercare di far luce. Quando le riaprì, Ginger era
inginocchiato a terra che si teneva il muso fra le mani e le nocche
della sua mano destra erano imbrattate di un liquido rosso scuro e
appiccicoso. Sangue. Le membra erano tutte un tremito e lacrime colme
di delusione iniziavano a scendere copiose dai suoi occhi. Prese fiato
come se dovesse andare in apnea per sempre: «Sei fuori. Fuori dalla
band, fuori dal pub, fuori dalla mia vita. FUORI!». E poi corse via,
diretto da nessuna parte, lasciando gli altri membri della band soli
con Ginger. Di sicuro, anche loro avranno da dire qualcosa.
E prese a correre per le strade buie di Londra, con le lacrime che si
mescolavano alla pioggia ed il sangue che, dalla mano, colava sul
marciapiede, maculandolo in modo irregolare.
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