a dead city
A
Dead City
Una città
morta da mille anni
Una
città che doveva vedere con i suoi occhi.
La
fine del suo viaggio.
In
fondo l'aveva sempre saputo. Quello non era il suo mondo. Tutto nei
colori e negli odori di Spira l'aveva gridato disperatamente al suo
cuore, da quando aveva aperto gli occhi nella bruma del tempio
sommerso.
Era
un'altra dimensione, un altro mondo....quindi non poteva essere....
Non
aveva potuto esserlo fin dall'inizio.
Zanarkand.
La
sua Zanarkand.
Tuttavia
la consapevolezza razionale di questa profonda diversità era
sempre stata annegata dalla follia dei sentimenti.
Una
speranza fievole e sfuggente come la nebbia nel biancore del mattino.
Tuttavia
solo ora si rendeva chiaramente conto della dimensione delle cose.
Quella
non era la sua città, e prendere atto di quella consapevolezza
con tutta la profonda materialità dei sensi aveva distrutto
tutte le sue illusioni.
Era
come uno specchio distorto che si era spezzato e i suoi frammenti si
erano conficcati nel suo cuore.
Sentiva
il freddo delle schegge penetrare sempre più a fondo nella
carne e nell'anima e arrestare piano piano i suoi battiti.
Avrebbe
voluto piangere, ma le lacrime non scendevano.
Si
era annullato tutto d'improvviso.
Avrebbe
voluto urlare contro il destino, se un destino esisteva, ma la voce
sembrava non uscire dalla sua bocca, come se non volesse profanare
quel tempio di silenzio.
Piano
piano anche il dolore cessava di esistere e rimaneva solo un
opprimente vuoto.
La
sua faccia era ridotta ad una maschera bianca, senza espressione. Lo
sguardo perso e allibito verso l'orizzonte.
Non
vedeva nulla ad eccezione degli scheletri imponenti dei grattacieli
attraverso i quali filtrava la luce irreale del tramonto (quello era
lo stesso della sua Zanarkand, quello stupendo, doloroso, infinito e
fuggevole tramonto ).
Sembrava
soltanto un grande fossile adagiato sulla costa.
Le
forme si stagliavano alte e smunte come lapidi millenarie in un
cimitero sacro.
Un
monumento alla grandezza perduta e alla stoltezza dell'uomo, vinto
dalle leggi di un mondo che non era il suo....ma che gli
assomigliava.
Non
solo la luce era la stessa, anche in quei fossili ricoperti da
centinaia di anni di sabbia granulosa e rossastra, i suoi occhi
leggevano chiaramente i fantasmi del suo mondo.
Ma
era sparito tutto.
Tutto
ciò che per lui significava Zanarkand, ciò che
significava casa, ciò che significava vita.
Erano
sparite le luci perenni della città, le vie gremite di gente,
il chiasso della vita urbana inestinguibile.
Rimanevano
soltanto i ruderi austeri e minacciosi, silenziosi guardiani di quel
luogo sacro.
Non
c'erano più luci se non l'irreale alone rosso del tramonto che
sconfinava nell'infinito dell'orizzonte, al di la del mare.
Non
c'erano più i suoni di mille e più vite frenetiche,
sostituite dal silenzio di mille anni di morte e decomposizione.
Tutto
odorava di morte in quel luogo.
La
sabbia che vorticava trasportata dal vento, i bagliori dei vetri
infranti delle finestre, che fissavano i rarissimi visitatori con
orbite vuote, come teschi lasciati come monito per coloro che
sarebbero giunti in futuro.
Per
ricordargli che ormai in quel luogo è rimasto solo il
tramonto....che si estingueva inesorabilmente verso la notte, la fine
del loro viaggio.
La
fine della sua storia.
Il
gruppo silenzioso cominciò a muoversi all'unisono, mossi da un
legame invisibile ma chiaro, tipico di tutti quelli che hanno
condiviso la loro storia in ogni aspetto per molto tempo.
Tipico
di coloro che avevano legato i loro cuori in uno stesso destino.
Loro
due però rimanevano immobili, ancora. Fermi a fissare il vuoto
mortale davanti a loro.
In
quel momento loro erano estranei a quel legame con il resto del
gruppo. Perchè loro due più di tutti avevano bisogno di
raccogliere le idee in quel momento.
Lui
si voltò verso Yuna e nel vuoto del suo viso ritrovò la
sua stessa espressione di smarrimento e vuoto.
Quasi
come se lei leggesse nel suo cuore.
Ma
non era così...
Perchè
lui non aveva detto tutto...manteneva ancora un piccolo segreto che
di fatto lo rendeva diverso da tutti gli altri.
Comunque
fosse finita, non avrebbe condiviso il loro destino fino alla fine. E
quella era la fine.
Tutto
in quel paesaggio gridava che quello era l'ultimo capitolo della sua
storia, e lui non poteva fare nulla se non affrontare l'accettazione
del suo destino.
In
quel momento lei gli prese la mano, di colpo, senza preavviso.
Non
ci furono sguardi fra loro. Non ce ne fu bisogno.
In
quella mano piccola e debole sentiva tutta la forza della volontà
di quella splendida creatura.
Così
fragile.
Così
delicata.
Eppure
così forte.
Sentì
che un po' della sua forza era stata ceduta a lui da quel tocco.
Dopotutto
lui sarebbe stato il sostegno di lei, e lei quello di lui.
Intrecciarono
le dita e la stretta si intensificò.
Si
avviarono lungo la stradina scoscesa e polverosa mano nella mano
,come due bambini, senza guardarsi e senza parlarsi, accompagnati dal
requiem che il vento suonava per loro soffiando fra gli anfratti dei
palazzi.
Camminando
con lei il cuore gli si strinse.
Quante
bugie le aveva detto.
Quante
false speranze, destinate sia a lei che a lui.
Non
avrebbero mai visto la sua Zanarkand, lo sapeva e lo aveva sempre
saputo.
“Stai
con me, fino alla fine.”
“Non
fino alla fine. Per sempre.”
L'eco
di quelle parole gli rimbombava nelle orecchie ancora con prepotenza.
Era
stato così sicuro quando l'aveva detto, così certo,
così convinto.
Così
stupido.
Senza
che neanche se ne accorgesse la fine era già lì.
E lui
non sapeva ancora come salvarla.
Aveva
già tradito una volta la parola data, ma almeno avrebbe voluto
che lei si salvasse.
Non
voleva scomparire lasciandosi dietro la tomba del suo amore.
La
strinse più forte, come se volesse impedirle di andarsene, di
volare via da lui, lontano, verso quel tramonto che sapeva di fine.
Era
strano. A lui era sempre piaciuto il tramonto, ma oggi sapeva
decisamente troppo di morte.
La
fine della sua storia.
Il
suo terrore e la sua ossessione.
Al
campo nessuno aveva voglia di parlare, sembravano tutti essere
contagiati da quel presagio che aleggiava nell'aria, che si insinuava
prepotentemente nell'anima.
Le
facce di ciascuno erano stanche e tristi, gli occhi bassi, la mente
rivolta nella contemplazione dei propri problemi e nel resoconto di
quanto era accaduto fin li.
Si
chiedevano dove avessero sbagliato.
Se
davvero non c'era modo di evitare il destino.
Di
evitare una morte in cambio di una pace falsa e fuggevole.
Se
davvero era possibile scrivere da soli il proprio copione nella
triste commedia di Spira.
Anche
Yuna si era seduta, lontana da gli altri. Non gettava occhiate
distratte al fuoco danzante che sembra così ipnotico e
confortante nei momenti neri.
Lei
continuava a guardare triste il paesaggio.
Tidus
capiva come si sentiva e stava ancora più male per questo.
Non
gli era davvero rimasto nulla oltre alla rassegnazione e a quel
dolore muto?
Andò
verso di lei e l'accarezzò dolcemente.
Avrebbe
voluto dirle di smettere. Di abbandonare tutto proprio alla fine.
Ma
sapeva che lei non sarebbe tornata indietro.
Preferiva
soffrire piuttosto che vedere soffrire gli altri.
E
ormai l'ultimo capitolo era iniziato e non rimaneva altro che una
ineluttabile discesa verso l'epilogo.
Staccò
la mano e si diresse verso una piccola altura di ruderi.
Contemplò
la devastazione di fronte a lui e la sensazione di somiglianza tra
questa e la sua Zanarkand si acuì.
In
fondo ,verso il mare, riusciva a scorgere lo stadio semi crollato e
parzialmente inghiottito dall'acqua.
Aveva
bisogno anche lui di prendersi un attimo di riflessione.
Ormai
era buio da un po' e se ne rese conto solo in quel momento.
Quanto
tempo era passato da quando si era lasciato gli altri alle spalle e
aveva cominciato a vagare nei meandri della città distrutta?
Non
lo sapeva.
A lui
era sembrato un attimo e un'eternità nello stesso tempo.
Non
sapeva come descrivere quella rinnovata sensazione di soffocamento
che opprimeva il suo cuore, ma era qualcosa di diverso dal vuoto
devastante che lo aveva colpito quando aveva visto le macerie per la
prima volta.
Era
qualcosa di più sottile.
Gli
sembrava un tempio profanato, i muri abbattuti, i colonnati
spezzati, la maestosità che sfociava nella decadenza, la puzza
di antichità che sembrava contrastare con la parvenza di
eternità che da sempre trasudano le rovine.
Percorrere
quelle strade così simili alle sue (perchè doveva
convincersi che la sua Zanrkand non era quella, anche se forse anche
la sua ormai era morta allo stesso modo) gli aveva aperto la morte
portando il dolore a una nuova dimensione. Più dolce, ma più
sconcertante.
Decise
che sarebbe tornato dagli altri.
Forse
si stavano preoccupando per lui.
Si
alzò in piedi (si era seduto su un traliccio sradicato dal
tempo impietoso) e contemplò un' ultima volta la città
deciso a imprimersela a fuoco nella mente.
Non
aveva mai pensato alla sua Zanarkand come in quel momento, e vederla
ora distrutta e invasa dai lunioli con la loro luce spettrale e
ipnotica, trasmetteva una sensazione di disturbata sacralità.
Si
figurò come mai il credo distorto di Yevon l'aveva eletta come
suo centro nevralgico.
Stava
dunque ripercorrendo i suoi passi quando la vide.
Una
macchia candida nel buio della notte.
“Yuna”
la chiamò e lei sembrò sollevata nel sentire la sua
voce.
Gli
corse incontro e quando lo raggiunse gli disse.
“Ero
preoccupata. Sei stato via tutto quel tempo.”
“Avevo
bisogno di stare solo.” disse lui evitando di incrociare i suoi
occhi.
Ancora
si preoccupava per lui. E lui si sentiva un verme.
“Lo
so. E' dura vero?”
Lui
annuì.
“Hai
voglia di urlare?”
“No.
Questa volta non servirebbe.”
Perchè
la sua voce sembrava così scoraggiata alla vigilia della fine?
Perchè
sentiva già l'amaro della sconfitta in bocca.
“Sai,
questa non è...”
“Questa
non è la tua Zanrkand, vero?”
“Già”
ancora una volta aveva letto nel suo cuore
“L'avevo
capito, sai. Tutte le volte che me ne parlavi me l'ero immaginata
così viva, sempre brulicante di gente, illuminata
costantemente a giorno.
Però
la luce del tramonto era proprio come me l'ero immaginata.
Bellissima, e struggente”
Lei
sorrise verso di lui così dolcemente, e lo fece soffrire in
quel modo in cui soltanto la dolcezza riesce a ferire i colpevoli.
“Mi
di spiace Yuna.” sussurrò “Non riuscirò mai a farti
vedere la mia Zanarkand.”
Lei
scosse la testa.
“Non
importa. Me l'hai già fatta vedere tante volte. Tutte le volte
che me ne parlavi con gli occhi di un bambino, io lo vedevo insieme a
te.”
Lui
la guardò e si odiò di nuovo, infinitamente.
“Sai,
forse anche quella Zanarkand era soltanto un sogno, in fondo”
“No
– disse ferma lei – io ti credevo allora, e crederò sempre
in te.”
“Yuna,
io non merito la tua fiducia. Riesco solo a fare promesse che non
riuscirò a mantenere. Yi ho detto che sarei stato con te per
sempre, e che ti avrei salvata. Ma adesso siamo davvero alla fine, e
capisco quanto siano vani i miei sforzi.” si sedette e si prese il
volto tra le mani.
“Mi
dispiace. Ho mentito a tutti, e a me stesso per primo. Non starò
con te per sempre, ma almeno lascia che io sia la tua forza.”
Lei
si sedette vicino a lui, e semplicemente gli prese la mano e lo
baciò.
“Non
caricare tutto su di te. Siamo in due in questa battaglia. E saremo
sempre insieme, anche se questa è la fine.”
Lui
non riuscì più a reggere il rimorso.
“Yuna,
credimi davvero...io non”
Ma le
gli premette un tenero dito sulle labbra.
“Grazie.
Tutti i momenti che ho passato con te sono stati un sogno per me.
Comunque vada a finire tu mi hai già salvata. Quindi ti prego,
sorridi, questa non è ancora la fine. Per quanto poco c'è
ancora tempo.”
Lui
allora sorrise e gli sembrò di farlo per la prima volta.
“Stai
con me, fino alla fine.” disse lui
“Non
fino alla fine, per sempre.” disse lei
Tidus
decise che alla fine anche lui poteva concedersi di sognare, e lui
stesso era la prova che i sogni a volta diventano realtà. E
comunque era ancora notte, e il mattino che fa svanire i sogni
lasciano solo la loro irreale presenza nelle nostra anime, era ancora
lontano.
“Per
sempre.” fece lui..
Ed
insieme si avviarono verso il mattino...
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