Era
mattina.
Non
ero ancora del tutto sveglia, le palpebre rifiutavano di collaborare
e sentivo il corpo pesante e terribilmente stanco, ma lo percepivo:
era mattina.
Dei
timidi raggi di sole, sfuggiti al grigiore, filtravano attraverso la
tenda, mentre i primi clacson cominciavano a farsi sentire.
La
città prendeva vita, di nuovo.
Per
quanto avessi fatto sempre fatica ad accettarlo, il mondo là
fuori
avrebbe sempre ripreso a vivere, nonostante tutto. Quella
mattina però questo pensiero non toccò le corde
della mia mente,
perché io, ne ero certa, avrei ripreso a vivere assieme al
mondo.
Aprii
gli occhi e mi guardai intorno.
Le
tende... le tende erano strappate, i cassetti giacevano scomposti sul
pavimento assieme al loro contenuto.
Mi
tirai su a sedere su quel letto sfatto.
C'era
uno specchio rotto e in mezzo ai pezzi di vetro un oggetto
luccicante, ma avevo la vista troppo appannata per capire di cosa si
trattasse.
Abbassai
lo sguardo e scoprii di indossare ancora lo stesso abito della sera
prima, le calze erano strappate e sporche di sangue all'altezza delle
ginocchia. Un breve ricordo mi attraversò la mente senza che
potessi
carpirlo. Tastai i capelli e tolsi il fermaglio che li teneva
raccolti, dando sollievo al capo indolenzito.
Ebbi
un momento di esitazione, perché l'idea di rimanere chiusa
lì, in
quella camera in cui era esplosa una guerra lampo contro me stessa,
su quel letto che aveva accolto tutte le mie lacrime nero inchiostro,
mi sembrava la migliore possibile. Pensai alle conseguenze, alle
spiegazioni che avrei dovuto dare a tutti quelli che conoscevo, alle
parole di rito, alle frasi fatte, ai "Passerà!", ai
"Capita, ma tu sei forte, ti riprenderai!" che avrei dovuto
ascoltare, come un tormentone pop, di quelli che ci si ritrova ad
ascoltare impotenti ovunque si vada.
Cosa
mi avrebbe condotta giù da quel letto, fuori da quella
stanza? Cosa
mi avrebbe indotto a raccogliere tutti i pezzi, ad incollarli e a
rinascere? Semplice. Il passato.
Ritornai
con la mente al passato, a chi ero stata fino a quel momento. Chiesi
scusa a me stessa e mi perdonai. Non mi ero amata come meritavo, ma
al contrario ero rimasta in attesa di qualcuno che mi donasse un po'
del suo amore. Come una mendicante, non avevo fatto altro che
elemosinare tutto, sguardi, gesti e sentimenti. Fino ad allora ero
stata solo un personaggio secondario all'interno della mia storia,
sempre in secondo piano, vigliacca e incapace di prendere in
mano il Destino e stabilirne la direzione. Mi ero nutrita di
illusioni e mi ero lasciata abbagliare da false speranze costruite su
un terreno paludoso e cedevole. Avevo lasciato agli altri il compito
di definire la mia strada, avevo permesso a chiunque di dirmi chi
fossi. Il mio cuore era passato tra le mani di tanti finti
estimatori, ciarlatani che non ne avevano capito il reale valore. Ma
da quel giorno tutto sarebbe stato... diverso.
Mi
sentii improvvisamente lucida, il mio corpo era lì, era vivo
e lo
sentivo davvero per la prima volta pulsare. Chiusi gli occhi e per un
momento l'energia dell'universo era lì, fluiva attraverso di
me.
Io
ero parte di quell'energia.
Non
sarei mai più stata il fragile agnello da proteggere, no!
Ero
rinata, una leonessa pronta a ruggire e a prendere a morsi la vita,
ad afferrare i propri sogni, pronta a rischiare e a correre...
correre lontana, veloce come una sferzata di vento.
Io avevo
distrutto la mia camera e tutto ciò che mi teneva ancorata
al
passato.
Io avevo
scagliato con violenza quel portafoto contro lo specchio che mi
restituiva l'immagine di una donna disperata.
Non
sarei stata più debole.
Non
sarei stata più facile preda.
Avrei
conquistato il mondo, non un timido passo alla volta, ma con una
sola, graffiante, zampata.
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