E
anche oggi sono riuscita a finire il nuovo capitolo. Doveva essere più breve di
quel che è, ma comunque penso che sia coerente lo stesso. La narrazione è
sempre in terza persona, per adesso mi serve molto per velocizzare la situazione.
In fondo, in questo momento, sono più importanti i fatti delle riflessioni. Un
bacio a Sabri che continua a leggere e commentare la
storia! Non preoccuparti, via via si farà tutto
chiaro!
Al prossimo capitolo, Kla
Cap. 21 – Hope
- Continuo a non capire – esclamò lei portandosi le
ginocchia al petto, e sembrando così ancora più piccola su quel letto tanto
grande – Quindi quando tu tornerai nel tuo futuro, non sarà cambiato proprio
niente? –
Trunks sorrise, un sorriso quasi d’imbarazzo, mentre
abbassava lo sguardo sul guanciale che aveva a fianco – Sì, è così – ammise
parlando piano. Si portò tutto sul letto, incrociando le gambe. Lei, lì davanti
a lui, lontana quanto la distanza di un letto e vicina quanto la distanza di
un’occhiata.
Com’era difficile, da un po’ di tempo, sostenere il suo
sguardo. Non era più la stessa cosa.
- Ma il fatto è che l’importante per me e mia madre era
riuscire a creare un mondo dove nessuno soffrisse come abbiamo sofferto noi –
aggiunse lui sistemando le lenzuola leggermente increspate dai suoi movimenti.
- Molto eroico – lo canzonò lei. Quando Trunks alzò lo
sguardo per capire dalla sua espressione quale fosse il tono della frase,
all’udito totalmente sterile, la trovò a sorridergli – Stavo scherzando – aggiunse
allora Mirai, presa in pieno dallo sguardo inquisitorio – Io ti trovo
sorprendente –
Il ragazzo sussultò leggermente, e come suo solito arrossì,
riportando lo sguardo sul proprio letto. Non era abituato ad avere un certo
tipo di rapporti con altre persone, non era abituato affatto. Amicizia,
affetto, conoscenza… concetti così distanti dalla sua mente. Si ritrovò a
pensarci, in quell’istante, e se ne rammaricò. L’unico amore mai provato, era
quello per sua madre; l’unica amicizia mai avuta, quella di Gohan.
E poi? Poi il niente.
Nel momento in cui era diventato abbastanza grande per avere
un qualsiasi tipo di legame, il mondo era già stato quasi totalmente raso al
suolo dai cyborg: le persone si nascondevano al mondo, rimanendo nascoste anche
ai suoi occhi; ogni giorno andava trascorso nella segretezza, nascosti nelle
macerie di quello che sembrava il ricordo di un imponente edificio, importante
e prestigioso.
Ciò che rimaneva della Capsule Corporation.
Gli unici rapporti umani che era riuscito ad avere, si erano
materializzati nelle rare occasioni in cui era riuscito a strappare qualche
vita dalle mani assassine dei cyborg. Rapporti che iniziavano con un timido –
Tutto ok? – e terminavano nello stesso istante con le urla della persona tratta
in salvo, che scappava gridando da quel terribile incubo ad occhi aperti.
Quella realtà distrutta dall’orrore, sterile di sua natura,
sembrava oltremodo essergli avversa.
Forse era questa la sua punizione per essere l’unico in
grado di salvare quel mondo, e non essere ancora riuscito a farlo.
- Non trovi? – le parole di Mirai, come un eco, lo
distolsero dai suoi pensieri. Quando alla fine arrivarono forti alle sue
orecchie, alzò gli occhi di scatto su di lei. Lo sguardo dubbioso della ragazza
parlava chiaro: era diverse volte che gli poneva una qualche domanda.
- Eh… sì… sì certo – rispose lui frastornato. Provò a
mentire, in maniera goffa, quasi inutilmente. In fondo, anche se mezzo saiyan, era pur sempre un uomo.
Mirai sorrise debolmente. La intenerì l’atteggiamento così
indeciso di un ragazzo tanto forte e coraggioso. Aveva capito perfettamente che
Trunks non l’aveva ascoltata, ma non volle infierire su di lui, e lasciò
correre, soddisfatta comunque di averlo strappato a quei pensieri che
probabilmente gli affollavano la testa, e che sicuramente erano molto tristi.
Trunks era sempre così quando parlava del suo futuro, si
perdeva nei discorsi, accennava pochi particolari e poi sembrava sprofondare
senza ritorno nei propri pensieri.
- Ma scusa… se non ricordo male… non mi hai forse raccontato
che tu e tuo padre avete combattuto Cell alla sua
seconda trasformazione, e che avreste potuto tranquillamente batterlo? – parlò
d’improvviso, Mirai, quasi le fosse tornato in mente qualcosa di molto
importante, un pensiero che le era sfuggito dalla mente persa nell’osservare
Trunks immerso nei suoi ricordi.
- Certo, al suo secondo stadio lo avremmo eliminato senza
alcun problema… - assentì lui. Nei suoi occhi, una vena di dolore. Ancora una
volta, non era riuscito a salvare il mondo dall’incombente minaccia.
- E allora com’è che non riesci ad eliminare i cyborg nel
tuo tempo? Sono forse più forti di quelli in questa realtà? Sono più forti di Cell? – chiese Mirai sempre più incalzante.
Trunks tornò a sorridere; stavolta il suo sorriso era soddisfatto,
illuminato di speranza, e al contempo bonario e gentile, stupito da tutte le
attenzioni e le curiosità di quella ragazzina ingenua.
- No- scosse lentamente il capo – La loro forza è la stessa.
Sono io che mi sono allenato in questo mondo… e la mia forza è aumentata da
quando sono arrivato –
- Ma allora! – squillò lei battendo un pugno sul palmo
dell’altra mano – Quando tu tornerai nel futuro, non è vero che non sarà
cambiato proprio niente! Sarai cambiato tu! – sentenziò indicandolo.
Il giovane saiyan, rimanendo in
silenzio, portò gli occhi sorridenti sulla ragazzina che, di fronte a lui,
sembrava tanto entusiasta.
- Questo è ciò che mi auguro – le rispose semplicemente. E
ancora una volta si trovava a non capire quella ragazza, il suo entusiasmo e quel
modo di affrontare le avversità, l’idea costante che la nebbia è solo presagio
di una bellissima giornata.
Aveva tratto molta fiducia dalle parole di Mirai. Da come ne
parlava lei, sembrava che fosse già tangibile la certezza che il suo mondo ben
presto avrebbe visto e vissuto la bellezza della pace. Questa sensazione lo
calmò molto, e non riuscì a trattenersi dal ringraziarla col pensiero.
Al contempo, stranamente, sentì forte una strana sensazione.
Lui che pensava di conoscere bene il proprio scopo, quel solo ed unico obiettivo
della sua vita, ora che questo era ad un passo dalla realizzazione, scoprì in
quel momento non essere la sola cosa importante.
La pace. Il suo percorso.
Fino a quel momento l’aveva attraversato guardando in basso,
passo per passo, dove metteva i piedi.
Alle parole di Mirai, aveva finalmente alzato lo guardo, e
constatato con gioia che quel percorso arrivava davvero alla sua meta. Ma al
contempo, aveva intravisto lontano, ma sempre più vicino, qualcosa che sembrava
distogliere la sua attenzione.
Non era un ostacolo, né un impedimento. Ma era qualcosa che
offuscava la vista del suo traguardo.
Non c’era solo la pace, alla fine di quel tragitto. Adesso
qualcosa oscurava il suo obiettivo.
E gli venne da chiedersi se quello fosse un prezzo da
pagare, o una rinuncia da dover affrontare.
Ormai era passato quasi un mese, da quando erano entrati
nella stanza dello spirito e del tempo. I primi giorni non erano stati facili,
né da un punto di vista emotivo per entrambi, né da un punto di vista fisico
per Mirai. Le condizioni di quella stanza le erano davvero avverse. Tuttavia,
con impegno, si trovò ad adeguarsi il meglio possibile a quella situazione.
Trunks si era rivelato un buon insegnante, riuscendo ad
iniziare Mirai alla tecnica del controllo dell’aura. Purtroppo, però, trascorso
quasi un mese la parola giusta da usare era sempre “iniziare”. La ragazzina non
mostrò fin da subito grande propensione per le tecniche spirituali di
autocontrollo, e per nessuna tecnica specifica.
A dirla in maniera semplice, era totalmente negata.
Solitamente quasi tutta la giornata veniva impiegata
nell’allenamento, e mentre Mirai cercava di mettere in pratica ciò che Trunks
le insegnava, il ragazzo, per impiegare in modo costruttivo il suo tempo,
spesso andava nello spazio bianco fuori dall’abitazione ad allenarsi un po’. O
semplicemente a far finta di allenarsi, ma almeno rilassava la mente. Spiegare
a chi non capiva era terribilmente stancante.
Un giorno, il saiyan aveva appena
finito di allenarsi. O meglio, aveva sentito odore di cibo provenire dalla
cucina, e aveva deciso che per quel giorno si era allenato a sufficienza.
Rientrando guardò gli scalini, spesso vi trovava un asciugamano, e quel giorno
non fu una delle rare eccezioni. Lo prese e si asciugò il sudore sul viso e sul
torace, continuando ad annusare attentamente l’aria. Quando Mirai non combinava
disastri ai fornelli, riusciva a tirar fuori anche qualcosa di commestibile.
Ultimamente era migliorata, comunque.
In cucina come in tutto, Mirai sembrava saper fare molte
cose; ma partiva facendole in maniera mediocre, per poi migliorare molto in
poco tempo. Come se non le stesse imparando sul momento, bensì le conoscesse
già bene da tempo, ma le avesse accantonate in un angolo della sua memoria e le
stesse tirando fuori lentamente dai ricordi.
A passi decisi Trunks si avvicinò alla cucina,
affacciandosi. Mirai non era ai fornelli. Ne rimase quasi stupito, e si voltò
per vedere se fosse alle sue spalle, o in un’altra stanza.
Cercandola ma non riuscendo a localizzarla, d’improvviso si
accorse di non percepirla.
- Ti fai prima la doccia o prima si mangia? – la voce della
ragazzina si palesò d’improvviso, e la sua figura apparve di fronte al giovane saiyan, intento a guardarsi alle spalle, cogliendolo di sorpresa
tanto da spingerlo ad un involontario scatto nervoso. Il braccio di lui urtò la
pentola che Mirai teneva in mano, e il suo contenuto andò diritto su metà viso
e un braccio di lei. Ovviamente, il grido che ne seguì rasentò gli ultrasuoni.
Quella specie di brodaglia non aveva un odore granché appetitoso, ma bruciava!
Bruciava eccome!
- Mi dispiace! – continuava a scusarsi Trunks – Mi dispiace
moltissimo! – e dopo essersi guardato nervosamente intorno per diversi secondi,
focalizzò l’asciugamano che aveva sulle spalle e prese ad asciugarle il volto e
il braccio.
Alla fine, bagnandole più volte le parti semi ustionare, la
fece calmare.
Riuscì a farla sedere, mentre lui, accoccolato di fronte a
lei, continuava a tamponarla delicatamente sull’avambraccio.
- Va meglio? – le chiese per l’ennesima volta. Non riusciva
ad ottenere risposta.
- Sì… - piagnucolò lei finalmente, col tono di una bambina –
Sì, sto meglio – e con la mano del braccio non ustionato si asciugò i lacrimoni agli occhi.
- Potevi scegliere un momento migliore per farmi vedere che
hai imparato! – fu il docile rimprovero del ragazzo. Lei lo guardò spaurita.
- Che? – chiese perplessa.
- L’aura! – specificò lui. Non aveva ancora capito, che il
concetto non era per niente evidente.
Mirai non mutò l’espressione inquisitoria che aveva sul
volto.
- Ci penso io alla cena – riprese lui senza obbligarla a
chiedere ulteriori spiegazioni. Era palese che era stato solo un caso.
Mentre preparava la tavola, portò più volte gli occhi sulla
ragazzina, per assicurarsi che fosse davvero calma. Ma l’unica cosa che riuscì a
vedere distintamente, fu con quanto piacere lei portava spesso l’asciugamano al
viso, per lasciarsi calmare e cullare dall’odore che questo emanava.