That
Love is All There is
Terre_del_Nord
Slytherin's Blood
Habarcat - I.003
- Yule
Sirius
Black
Amesbury, Wiltshire - dom. 20 dicembre 1970
Il 20 dicembre, alle nove di mattina, scesi con
Regulus, vestiti di tutto punto, nel salone principale: quel giorno si
sarebbe tenuta la festa ufficiale per il bambino, in occasione del
ritorno da Hogwarts, per Natale, di Rigel, suo fratello. Mio padre era
andato subito dagli Sherton, addirittura il giorno dopo aver ricevuto
la lettera, porgendo i nostri auguri, mentre mia madre si era
trattenuta dal far loro visita, ripromettendosi di essere
più presente dopo le festività di Natale. Mi
guardai allo specchio nell’ingresso e mi sistemai una ciocca
di capelli ribelli sulla fronte, squadrando Regulus che entrava nel
salone: da quella sera non ci eravamo detti una parola, lui si teneva a
debita distanza, temendo la mia vendetta, io lo ignoravo. Alla fine di
quella notte burrascosa avevo deciso che avrei in parte seguito i
consigli del caro fratellino, perché, per una volta nella
mia vita, c’era qualcosa per cui valesse la pena impegnarsi.
Inoltre certi pensieri che si facevano strada nella mia testa erano
troppo spaventosi e sbagliati, anche per me. Quando entrai nella sala
dell'Arazzo, trovai nostro padre, in un bel completo blu notte che lo
affinava e ne esaltava lo sguardo, davanti al caminetto, con un
sacchettino in mano, accanto a nostra madre, austera in un abito nero
pieno di pizzi ed addobbata coi suoi gioielli più sontuosi:
agguantò subito Regulus, il suo pupillo, appena ci vide, poi
papà porse loro la polvere verdastra e, una dopo
l’altro, pronunciando le parole "Sherton Manor, Amesbury"
scandite bene, sparirono tra le fiamme. Mio padre mi fece una predica
sui doveri dell’erede dei Black, sul rispetto, sulla
nobiltà e sulla superiorità dei Purosangue, che
non so cosa c’entrasse, visto che al ricevimento erano
evidentemente invitati solo Purosangue, anzi Slytherins, proprio come
noi; poi mi porse la polvere e sparii nel caminetto.
Mi ritrovai in una grandiosa sala, ampia e luminosa, costruita in
pietra, con un pavimento decorato con marmi, disposti a mosaico, a
rappresentare la Costellazione del Dragone; il soffitto era costituito
da sette volte a crociera, poggianti su due file di otto pilastri che
si innalzavano aprendosi in tante costoline; dal vertice di ogni volta
scendeva un candeliere d’argento a dodici fiaccole, decorato
con motivi serpenteschi. I due camini, posti ai lati corti
della stanza, erano bocche spalancate di serpenti, con enormi smeraldi,
al posto degli occhi. Sulle pareti lunghe c’erano otto
ritratti per lato, raffiguranti alcuni antenati, incastonati in cornici
di puro argento elfico, decorate ognuna con due serpi intrecciate,
dagli occhi di smeraldo e il motto di famiglia ai loro piedi. Alshain
Sherton, in una veste cerimoniale verde scuro con ricami
d’argento, ci venne incontro per darci il benvenuto e ci
abbracciò radioso, mia madre, stranamente affabile, gli
diede un civettuolo bacio sulla guancia, chiedendogli di sua moglie e
del bambino, complimentandosi e facendo un paio di battute, con cui
sperava forse di estorcergli qualche indiscrezione.
“Orion dice che è
un bambino stupendo, almeno vi ripagherà in parte della
delusione...”
“Ti sbagli, Walby cara, tutti
noi siamo felici e soddisfatti di questa nascita, più che
felici!”
Alshain, pur affabile e gentile, chiuse rapidamente la questione,
contrariato. Lo seguimmo nella stanza accanto, più piccola e
intima, ma altrettanto bella e ricca, con il soffitto decorato a
cassettoni d’argento, in cui erano rappresentate scene di
caccia e di guerra e, alle pareti, una serie di affreschi che narravano
la vita di Salazar Slytherin, mentre sul pavimento di marmo i mosaici
raffiguravano questa volta le Costellazioni di Orione e dei Cani.
Deidra e il bambino erano lì, su una poltrona davanti al
caminetto, in attesa del nostro arrivo; nostra madre, continuando a
fare quegli insoliti amorevoli complimenti, ci fece un cenno e noi,
come paggetti, le consegnammo un pacchetto piccolo ma molto prezioso:
quando Deidra l’aprì, trovò un ricco
medaglione di bianco oro elfico, su cui erano incastonati dei diamanti
di "javanna". Sherton fece un cenno di ringraziamento, Deidra, la cui
bellezza era davvero indescrivibile, pur ancora molto pallida, rimase
per un attimo senza parole, poi ci invitò a seguirla, in
attesa dell’arrivo degli altri ospiti. Nostra madre non
mollò la presa, interessata com’era ai loro figli.
“Ho proprio voglia di vedere
Meissa, Deidra, saranno quattro anni che non riesco più a
incontrarla!”
“Oh Walburga, mi spiace tanto,
Meissa è raffreddata, non scenderà per il pranzo.
Dovrai aspettare almeno fino a stasera, se vi fermerete per il rito. Ma
venite di là con me, chiacchieriamo un po', è
tanto che non abbiamo del tempo solo per noi. E anche io è
da una vita che aspetto di parlare con questi due giovanotti. Dico bene
Alshain?”
“In realtà io avrei
bisogno di parlare in privato con Orion, prima che arrivino tutti,
torniamo tra cinque minuti..."
Deidra e nostro padre lo guardarono spiazzati, per un momento,
quest'ultimo però, pur sorpreso e un po’
riluttante all’idea di non poter seguire subito la strega e
il bambino, come si era aspettato, acconsentì cordialmente.
“Mirzam intratterrà
gli ospiti. Ormai scenderà a momenti con Rigel.”
Mia madre, cogliendo tutti di sorpresa, ci ordinò di restare
lì e scivolò via dietro Deidra, Alshain, attonito
per come ci aveva mollato, entrò con mio padre in una sala
più piccola che si apriva dietro un’armatura,
nascosta lungo il corridoio, promettendoci che sarebbero ritornati
subito. Reg ed io tornammo nel salone di pietra, sollevati di
non dover stare con nostra madre e subire un probabile interrogatorio,
ma dubbiosi per il fatto di essere ora da soli, insieme, nella stessa
stanza. Per fortuna, dopo poco, iniziarono ad arrivare altri invitati
con i loro figli, accolti dal primogenito di Alshain, mentre
dell’altro giovane non c’era traccia. Mirzam era un
ragazzo di venti anni, alto quanto suo padre, portava i capelli scuri
legati alla base della nuca in una coda corposa lunga fino a
metà schiena; aveva lo stesso tatuaggio al lato del collo,
il viso era più pallido, con delle timide lentiggini, gli
occhi, più tondi, erano del colore della luna,
c’era maggiore dolcezza nei suoi tratti, e sul volto aveva
poco più di un accenno di peluria rossastra. Indossava un
bell’abito cerimoniale di taglio classico, verde bottiglia,
con intarsi serpenteschi intessuti d’oro, calzava stivali di
pelle di Drago e sembrava non indossare gioielli. Ci salutò
con appena un cenno del capo, con noncuranza, come se fossimo indegni
della sua presenza, deludendomi, ma quando mi accorsi che teneva lo
stesso comportamento formale anche con tutti gli altri ospiti, mi
rasserenai: non ce l'aveva con noi. A mano a mano che le presenze
aumentavano, decisi di allontanarmi da mio fratello per assistere in
disparte a quel continuo apparire di Maghi e Streghe di alto lignaggio,
allo sfoggio di sfarzo, eleganza ed autorità, apprezzando lo
scarso interesse che tutti mostravano nei miei confronti: era una
gradita novità, rispetto a quanto accadeva di solito a quel
genere di feste. Quando vidi apparire i miei zii e le mie cugine senza
Meda, mi sentii stringere il cuore, nessuno voleva dirmi cosa le stava
accadendo, intorno a lei avevano eretto un muro.
Sospirando, sgattaiolai in giardino: Reg giocava a scacchi con uno dei
Rosier, mio padre era con la sua cricca, mentre mia madre non aveva
ancora mollato Deidra, a sottolineare con gli altri come fossimo la
famiglia più vicina agli Sherton. Il parco era completamente
innevato ed io, mentre la casa era piena di voci, di persone e di
musica, mi diressi deciso sul retro, attratto da un silenzio irreale e
ovattato: secondo le descrizioni di Alshain, doveva esserci un laghetto
di ninfee, ora sicuramente ghiacciato, uno dei luoghi più
intimi e suggestivi di tutta la tenuta; lì non sarebbero
venuti a cercarmi, né si sarebbero accorti della mia assenza
fin all’ora di pranzo: potevo starmene da solo, isolarmi da
tutti e pensare agli affari miei. Avanzavo cauto nella neve, ogni tanto
mi fermavo, e avendo sempre cura di non sporcarmi né
bagnarmi i vestiti, mi allontanai dalla villa: durante una di quelle
soste contemplative sentii delle voci nervose provenienti da un punto
di fronte a me. Incuriosito m' avvicinai, appostandomi dietro a una
siepe di sempreverdi, senza farmi notare e senza bagnarmi con la neve
che m circondava.
“Vieni qua, piccola
Corvonero!”
Corvonero? Che cosa ci faceva una Corvonero nella casa degli Sherton la
vigilia di Yule? Una voce maschile, profondamente sarcastica e
strascicata emergeva dalle rive del laghetto, a pochi passi da me: mi
sistemai meglio, così da sbirciare e capire cosa stesse
accadendo, invano.
“Vai al diavolo e lasciami in
pace!”
“Orribile, mia piccola
selvaggia, davvero orribile ! Devi impegnarti ad imparare le buone
maniere, sai ... sei già sgradevole alla vista, ora scopro
che quando parli sembri ... un Troll, dico bene Bella?”
La risata di mia cugina sferzò l’aria, era
agghiacciante. Mi accucciai contro i rametti della siepe e trovai
un’apertura da cui sbirciare, mettendo a fuoco parzialmente
la scena. Vedevo di profilo Bellatrix, vestita con un abito rosso e una
mantellina di pelliccia, seduta scomposta sulla spalliera di una
panchina di fronte al laghetto, i lunghi capelli scuri sciolti e mossi
dal vento a incorniciarle il viso, in piedi accanto a lei, di
¾, un giovane alto, biondissimo, riccamente vestito con un
elegante abito nero e un mantello di pelliccia con inserti
d’argento, gli occhi di ghiaccio, i lineamenti affilati e
perfetti, la nobile bocca sensuale che ghignava beffarda: Lucius Malfoy.
“Se sono un Troll sono solo
affari miei, Malfoy!”
La voce alterata del terzo personaggio sembrava quella di una ragazzina
molto giovane, ma non mostrava esitazioni, era anzi furiosa e
determinata; io cercavo di spostarmi per vedere chi fosse, ma quando mi
resi conto che presto sarei finito nel campo visivo di Lucius,
trattenni la mia curiosità e mi appiattii di nuovo contro la
siepe, maledicendomi perché i risvolti dei pantaloni si era
infradiciati a contatto con le foglie bagnate e le mie belle scarpe si
erano leggermente infangate.
“Questo, purtroppo per me,
è ancora tutto da dimostrare…”
La voce del giovane era suadente ma tradiva rabbia, non riuscivo a non
immaginarmelo con le fattezze di un serpente tutte le volte che ne
sentivo parlare, ed ora, ascoltandolo, quella fantasia proruppe nel mio
immaginario: cercai di concentrarmi ed aguzzare le orecchie, era
sorprendente scoprire che qualcuno riusciva a far perdere la calma a
quell’essere freddo e calcolatore.
“Quanto è ribelle
questo cucciolino spaventato!”
“E tu taci, stronza!”
Alla risposta agitata e scomposta della ragazzina, Bella rise ancora
più forte, la voce che faceva drizzare i peli della schiena,
poi alzandosi avanzò verso di lei; Malfoy la
seguì, mettendo in trappola la giovane.
“Sarebbe bello cambiarti i
connotati, scimmietta, ma ti farei un favore, persino un "DensAugeo" ti
migliorerebbe!”
La voce di Bella, fino a quel momento simile a una cantilena, divenne
cupa e feroce: da tempo pensavo che fosse completamente pazza, e quella
scena non faceva che convircemene; Malfoy allungò una mano
verso la ragazza sollevando delle ciocche corvine tra le sue dita
guantate.
“Hai ragione, non ci sono
speranze: non sarà mai civilizzata, non sarà mai
nemmeno al livello delle scarpe di un Malfoy!”
Si mise a ridere odioso e trionfante insieme a mia cugina, ma le risate
non durarono a lungo: sentii il suono inequivocabile di uno sputo e,
subito dopo, quello di piedi rapidi e leggeri che correvano nella neve,
in direzione opposta alla mia. Scrutai meglio dalla siepe, sporgendomi
persino un po’, e vidi Bellatrix rimanere attonita per
qualche istante, per poi riprendere a ridere sguaiatamente, mentre un
fiotto di saliva scivolava dalla guancia, a macchiare il
bell’abito di Malfoy.
“Lurida... !”
Il giovane era furioso e schifato, estrasse la bacchetta e si diede una
ripulita, mentre Bella rideva tanto che sembrava stesse per soffocare.
“Merlino, che
ridere!”
Bella lo aiutò a sistemarsi il mantello
e gli passò sensuale le mani nascoste nei guanti tra i
capelli biondissimi, parlandogli divertita all'orecchio. A quelle
parole, che non sentii, Lucius l’afferrò con
rabbia, guardandola negli occhi come se la volesse fulminare. Bella
sorrise, nei suoi occhi c’erano avidità e
crudeltà pure. Sempre tenendole serrate le mani, Malfoy si
inchinò, le sfilò i guanti neri e le
baciò le dita una alla volta, poi la lasciò
andare con delicatezza e, passato il braccio intorno alle spalle,
provò a baciarle le labbra, ma lei si ritrasse.
“Cattivo cattivo, Lucius, che
non pensa già più alla sua piccola
Cissa.”
Mormorò lei civettuola, a bassa voce, ma non tanto che non
riuscissi a sentirla. Lucius si ritrasse di scatto, il viso rosso e gli
occhi enigmatici persi in quelli divertiti di mia cugina. Bella gli
prese la mano e se lo tirò dietro, verso la villa; io mi
nascosi tra i ciuffi d’erba della siepe, cercando di sparire
alla loro vista: ero perplesso da tutto questo e, soprattutto, ero
curioso di sapere chi era la Ravenclaw che aveva sputato sul rampollo
dei Malfoy, noto per essere pericoloso e vendicativo. Appena si furono
allontanati, uscii dalla siepe, pregando che il disastro alle scarpe e
ai pantaloni non fosse tale da mandare in bestia mia madre, poi ripresi
a camminare, fin oltre un grande recinto di legno, seguendo le tracce
della ragazza in fuga: non riuscivo a vederne la figura, in qualsiasi
direzione guardassi. Ebbi paura per lei, forse era caduta e si era
ferita. Come potevo trovarla e soccorrerla?
“Tu sei Sirius Black,
immagino...”
Mi voltai, sobbalzando un poco, verso quella voce ironica che aveva
rotto la pace innevata: un ragazzino sui dodici anni, dai tratti
inconfondibilmente Sherton, stava appollaiato sulla staccionata che
avevo appena superato, a guardare bene sembrava proprio il recinto di
un maneggio. Annuii e lui saltò giù, agile, cinto
in un bel cappotto scuro attillato, la mano ornata da Rune tesa al mio
indirizzo, il sorriso pieno e gli occhi d’acciaio di Alshain
che occhieggiavano dietro ribelli capelli corvini, lunghi quasi fino
alle spalle.
“Mi chiamo Rigel, e sono qui
per evitarti una settimana di punizione, se ti interessa...”
“Una punizione? Ma che
cosa…?”
“Tuo padre ti sta cercando e
promette fuoco e fiamme se non salti fuori, ma se fai come ti dico,
forse riesci a cavartela con un giorno, due al massimo...”
Ammiccante, estrasse la Bacchetta dalla cinta e me la puntò
addosso. Indietreggiai.
“Che cosa credi di fare? Non
puoi usare la Magia fuori dalla scuola, non sei maggiorenne!”
“Credi che m’importi
qualcosa del Ministero? Con tutti i Maghi che ci sono qui oggi, sfido
chiunque a capire che sono stato io ad aiutarti con i calzoni e le
scarpe! Piuttosto, fifone, vedi di stare fermo!”
Roteò appena il polso e mi ritrovai perfetto, come appena
uscito di casa, poi mi diede le spalle per andarsene.
“Aspetta!”
“Dai, Sirius, se ci sbrighiamo
posso far credere a tutti che eri dentro lo scantinato,
c’è una porta che non si apre senza Magia:
conoscendomi, nessuno dubiterà che sia stato io a chiuderti
dentro per… diciamo... "sbaglio"!”
“E perché lo
faresti?”
Mi guardò sornione, scrollò le spalle ma non
rispose, capii che era un piantagrane peggiore di me, il che mi diede
la certezza che avrei preso due settimane di punizione, non un giorno,
se mi avessero visto con lui.
“Qui c’era una
ragazzina, è scappata, temo si sia fatta male cadendo da
qualche parte: dobbiamo trovarla!”
"E tuo padre ti definisce una "mammola"?
Hai dieci anni e già tendi agguati alle ragazzine!”
Non sapevo se sentirmi più offeso da mio padre o
più esasperato da Rigel, che ora ghignava.
“Guarda che non
c’entro niente io, stava litigando con Malfoy e mia cugina
Bella, poi è scappata e loro sono tornati in casa come
niente fosse. Io sono arrivato fin qui per cercarla, ma non la vedo
più.”
Rigel aveva smesso di ascoltarmi quando avevo pronunciato il nome di
Malfoy: stringeva i pugni, tanto da sbiancarsi le nocche, e gli occhi
avevano ormai un’aria truce che prometteva vendetta. Mi
rispose con una voce sbrigativa e scocciata.
“Da casa in questo momento
manchiamo solo noi due, Black. Andiamo!”
“Allora tu sai
chi...”
“Tuo padre dice la
verità su di te: non sarai una "mammola", ma un impiccione
lo sei di certo!”
Non lo disse con cattiveria, sul viso era ritornata
l’espressione scanzonata, ma mi prese la mano deciso e mi
trascinò verso lo steccato, fu allora che vidi le impronte
della ragazzina finire lì. Mi guardai attorno confuso, non
c’era nulla, a parte la staccionata.
“E’ una Passaporta,
sì, ma non dirlo a nessuno, per favore: io e mio fratello
l’usavamo da piccoli se ci ferivamo nel parco.”
All’istante capii tutto, ero stato proprio un idiota a non
esserci arrivato prima.
“Era tua sorella vero?
È lei che ha sputato in faccia a Malfoy!”
Mi guardò di nuovo, incredulo.
“Gli ha davvero sputato in
faccia?”
Annuii, paonazzo, temendo di aver fatto un' altra gaffe, ma lui si mise
a ridere, orgoglioso.
“Certo che era mia sorella!
Salazar, avrei voluto vederlo, quel lurido pallone gonfiato!”.
Ero incuriosito, ma Rigel non aggiunse altro, mi prese la mano e
l'appoggiò sul legno; subito mi sentii arpionare alla
pancia, sbalzato in aria con quell’asticella che sembrava
diventare fuoco puro tra le dita, e infine mi ritrovai steso a terra,
in cantina, accanto a Rigel che, di nuovo in piedi, si sistemava i
capelli e teneva il cappotto arrotolato sul braccio.
“Lascia qui il mantello, ci
penserà Kreya, e fai parlare me, tuo padre mi adora, ti
assicuro che non ti torcerà un capello.”
Ritornai nel salone, un po’ sottosopra, due passi dietro a
Rigel, raggiunsi subito mio fratello e mi resi conto, con sollievo, che
davvero il più giovane dei fratelli Sherton aveva un
ascendente notevole sui miei genitori: raccontò di avermi
trovato di sotto, intrappolato dietro una porta che lui stesso aveva
lasciato aperta per scherzo. Alshain, preoccupato per la mia scomparsa,
si prese tutta la responsabilità, si scusò per
l’incidente e fulminò Rigel con lo sguardo, ma mio
padre, intuendo in parte la verità, mi lanciò
un’occhiataccia. Poco dopo ebbe inizio il pranzo,
l’unica cosa che dovevo fare a quel punto era far finta di
non esistere, se non avessi combinato altri disastri forse per una
volta me la sarei davvero cavata.
Il ricevimento si tenne nel salone grande fino a sera, noi ragazzini
eravamo stati sistemati ad una lunga tavolata, mentre gli adulti e i
ragazzi più grandi stavano al tavolo principale; rimasi in
silenzio quasi tutto il tempo rispondendo a monosillabi a Reg che mi
chiedeva dove fossi finito: mi conosceva tanto da sapere che avevo
mentito e non era il caso di vantarmi, se non volevo mettermi nei guai
o coinvolgere Rigel ancora di più. Speravo invano che il
ricevimento finisse presto per potergli parlare ancora, inoltre ero
incuriosito dalla bambina che aveva affrontato Lucius, ma Alshain si
scusò con gli ospiti sostenendo che sua figlia era a letto
raffreddata: vidi Bella e Malfoy sorridere perfidi e la cosa non
sfuggì ai fratelli Sherton, che confabularono, lanciando
occhiatacce all’indirizzo dei due. Malfoy rimase sempre con
le mie cugine, il figlio minore di Lestrange e vari altri giovani,
figli degli amici di mio padre: nessuno di loro ci fece più
di un tiepido cenno di saluto, neanche dopo la fine del pranzo. Io, non
avendo molto da fare, non staccai mai loro gli occhi di dosso,
scoprendo che Cissa era letteralmente rapita da Lucius e che Bella la
stuzzicava per questo, lanciando poi occhiate eloquenti al ragazzo: in
quella stanza era più che evidente l’interesse
ricambiato che Malfoy provava per la più giovane delle mie
cugine; notai inoltre che il maggiore dei figli di Lestrange,
più grande dei giovani presenti, non staccava gli occhi da
dosso a Bellatrix, la quale invece, ogni volta che non si sentiva
osservata, lanciava fugaci sguardi ammirati all’indirizzo di
Mirzam, perso in pensieri tutti suoi.
“Vieni a giocare con me in
giardino?”
Da un po’ Regulus mi stava prendendo per la manica della
giacca, e io continuavo a fingere di non essermene accorto, ma alla
fine cedetti, purché non facesse più la lagna,
attirando su di me gli strali di nostra madre: presi il mio mantello,
che si era fatto portare speranzoso da un Elfo e lo seguii in giardino,
sospirando esasperato.
“Allora me lo dici
dov’eri questa mattina? Perché lo so che quel
ragazzo ha mentito per te.”
“Certo, vado a dirlo a uno che
mi tradirebbe dopo un secondo! E comunque è Rigel Sherton,
non "quel ragazzo", e mi ha tolto dai guai, vero, al contrario di
quello che avresti fatto tu. Sei dispiaciuto per questo?”
“E perché
l’avrebbe fatto?”
Il moccioso aveva la solita faccia da schiaffi, che mi ispirava sempre
le mie performance migliori, ma non era quello il momento di agire.
“Perchè al
contrario di te non si diverte a vedermi nei pasticci! Mi puoi lasciare
in pace adesso o devo sopportarti ancora a lungo?”
Senza aspettare una risposta avanzai nel giardino: ovunque
c’erano "luci fatate" che rischiaravano il parco immerso nel
buio del pomeriggio inoltrato, e panchine, siepi e fontane dai motivi
Slytherin; una Magia diffusa teneva lontano il freddo invernale.
Arrivato ai piedi di un imponente platano, alzai lo sguardo ad ammirare
il maniero degli Sherton, probabilmente costruito
nell’ottocento, con una meravigliosa veranda e le finestre a
bow-window. Fu allora che vidi una figura alla finestra del secondo
piano, rivelata dal chiarore della stanza alle sue spalle. Guardai con
attenzione, sperando di cogliere qualche dettaglio in più,
ma la tenda calò improvvisamente: chiunque fosse, si era
accorto che mi ero fermato ad osservare.
“Sirius, vieni
corri!”
“Che cosa vuoi ancora?
Possibile che non puoi lasciarmi in pace un momento?”
Lasciai perdere la finestra e mi diressi scocciato verso mio fratello:
non avrei avuto più pace per quel giorno, lo sapevo, ma dopo
essermela cavata al mattino, era meglio non sfidare oltre la sorte.
“Guarda laggiù,
stanno duellando!”
“Cosa ti inventi
adesso?”
“Scemo, laggiù! Non
li vedi?”
Feci appena in tempo a voltarmi verso la zona più buia e
nascosta, quando vidi due figure fronteggiarsi a suon di sinistri
sibili e scintille di luce rossa che li illuminavano di un bagliore
quasi satanico; uno scoppio più forte e una luce
più intensa attirarono l’attenzione anche di chi
ancora era in casa e rivelò l’identità
dei contendenti: Rigel Sherton era finito a terra, nella neve, e
provava a rialzarsi con difficoltà, mentre Lucius, in piedi,
con un livido sulla faccia, si teneva il braccio sinistro, ferito
all’altezza del gomito ed era stato appena disarmato. Urlando
qualcosa di incomprensibile in gaelico, Mirzam, cupo come la notte
più oscura, li raggiunse brandendo la Bacchetta nella mano
sinistra, ponendo fine allo scontro, poi aiutò Rigel a
sollevarsi; il fratello, pulendosi del sangue sulla guancia, guardava
con disprezzo e sarcasmo all’indirizzo del cugino, con
l’aria di chi aveva appena dimostrato qualcosa, ma Mirzam lo
strattonò rispedendolo in casa e squadrò con
disgusto Malfoy, mentre gli ridava la Bacchetta. Io sogghignai. Di
certo non era stata una giornata esaltante per Lucius, dalla cui faccia
ora era sparito il ghigno sprezzante: era stato messo in
difficoltà davanti a tutti da un ragazzino ed ora filava in
casa, stizzito, con Rabastan Lestrange che gli faceva scudo, in attesa
che Malfoy senior finisse il rapido giro di imbarazzati saluti, per
potersene finalmente tornare a casa. Mentre i bisbigli si alzavano tra
i presenti, con le Streghe scandalizzate e i Maghi che commentavano chi
con severità chi con chiaro entusiasmo, Alshain aveva
lasciato i suoi ospiti per parlare con Mirzam, poi tornò a
fare gli onori di casa rassicurando i presenti che si era trattato
soltanto di una spiacevole disputa tra compagni di Casata, favorita
dalle abbondanti libagioni. Gli ospiti sorrisero e ripresero le proprie
ciance, a me però non sfuggì l’aria
seria con cui Mirzam continuò a bisbigliare con suo padre:
quando vidi Alshain rivolgermi uno sguardo preoccupato, mi fu chiaro
che ormai sapeva la verità anche sugli eventi della mattina.
Col finire del pomeriggio, un po’ per volta, la maggior parte
degli invitati salutò e se ne andò,
finchè anche nostra madre ci chiamò per salutare
e tornare a casa. Ormai mi avviavo mestamente al tedio di Grimmauld
Place, quando Alshain invece di salutarci, ci invitò ad
assistere con la sua famiglia al rito di Yule, che si sarebbe tenuto
quella notte sulle rive di Loch Achall. Quando sentii mia madre
accettare senza esitazioni, mi trattenni a stento dal gridare dalla
felicità. Sicuramente c’era qualche losco motivo
se Walburga Black era tanto entusiasta di quell’invito, ma a
me in quel momento non importava nulla: per la prima volta avremmo
celebrato il Natale secondo gli antichi Riti, il Solstizio di solito, a
casa nostra, veniva ignorato e le festività natalizie si
riducevano alla visita con scambi di regali ai vari zii e un sontuoso
cenone a cui erano invitati amici e parenti. Nostro padre, un
pò incerto all'inizio, finì col dare l'assenso
definitivo poi, mentre nostra madre rimase in casa con i nostri ospiti
a chiacchierare, ci invitò a seguirlo in giardino. Nostro padre ci invitò a sederci
accanto a lui, su una panchina.
“Sono onorato di aver ricevuto quest’invito per voi
due, sono poche le
persone al di fuori della Confraternita del Nord a cui è
concesso di
assistere al Rito, quindi fate in modo di meritarvelo. Non
tollererò
nulla di anche solo lontanamente sconveniente! Se doveste disonorare il
mio Nome, questa notte, passerete il resto dei vostri giorni in
soffitta, a pane e acqua, sono stato chiaro?”
Annuimmo, non era una minaccia poi tanto diversa dalle solite.
“Non stiamo andando a una cena tra amici, non saranno ammessi
scherzi,
risate, schiamazzi, non potrete allontanarvi da me e non potrete fare
nulla senza il mio permesso, hai capito Sirius?”
Odiavo quando
mi trattava da idiota di fronte a mio fratello, ma non era il caso di
fare polemiche, quindi annuii. Mi guardò a lungo, ansioso,
come per
assicurarsi che potesse davvero fidarsi di me, poi si voltò
verso
Regulus, cui rivolse uno sguardo meno dubbioso.
“Più tardi
indosserete questi.”
Estrasse
dalla "tasca porta-tutto" fissata all’interno della sua
giacca due
vesti cerimoniali bellissime, verdi scuro, con ricami Slytherin in
argento: evidentemente sapeva dell' invito per lo meno dal giorno prima.
“Quando arriveremo, ci troveremo subito nel bosco, che non
è luogo per
ragazzini incoscienti, qualsiasi cosa vediate o crediate di vedere,
fate solo quello che faccio io, non costringetemi a farvi del male. Se
avete domande…”
“Padre, cosa
c’è nel bosco?”
Mi osservò a lungo, incerto se fosse il caso di rispondermi.
“A Loch Achall, come in tutte le Terre del Nord,
c’è ancora una Magia
Antica, diversa, no Regulus, non si tratta di Magia Oscura, ma anche
Maghi con anni di esperienza, se non adeguatamente preparati, perdono
se stessi, in quelle foreste. E i Maghi del Nord non vanno certo a dire
in giro i trucchi per superare le prove. I miei inviti a comportarvi
adeguatamente servono a non farvi correre rischi, non solo a non farmi
disonorare da voi due. Adesso tornate dentro da vostra madre,
è quasi
ora di andare!”
Nel salone, trovammo la mamma in piedi davanti
al caminetto, già avvolta nella sua calda pelliccia, che
chiacchierava
con Alshain e Rigel, anche loro già pronti. Era il momento,
mancavano
solo un paio d’ore alla mezzanotte e gli altri si erano
già
smaterializzati: Alshain cinse suo figlio e si
smaterializzò, mia madre
si avvicinò a Reg, gli cinse le spalle con un braccio e si
smaterializzò con lui a sua volta. Un attimo dopo mio padre
fece lo
stesso con me.
***
Sirius
Black
Loch Achall, Highlands - dom/lun. 20/21 dicembre
1970
Mi ritrovai in una radura innevata, immersa
nell’oscurità, rischiarata appena dalla luce di un
quarto di luna, che occhieggiava dietro le fronde imbiancate. Mio padre
non mi sciolse dal suo abbraccio ma mi tenne stretto a sè
mentre, orientandosi solo con le stelle, prendeva deciso una direzione,
al buio; io scrutai il nero della notte, guardandomi attorno confuso,
sembrava che gli alberi al limitare sussurrassero qualcosa di
importante, io tesi l’orecchio per ascoltare, ma ero lontano,
dovevo penetrare tra gli alberi se volevo capire. Stavo per disobbedire
senza saperlo, quando un rumore di passi soffici dietro di noi mi fece
tornare in me, rivelandomi dove si trovavano mio fratello e nostra
madre.
“MUOVETEVI! E NIENTE
DISTRAZIONI!”
Mi lasciavo condurre incerto da mio padre, aiutato dalla luce che
emergeva dalla Bacchetta di mia madre alle nostre spalle, ora sembrava
che le voci fossero meno sinuose, ma con la coda dell’occhio
mi sembrava di vedere occhi che mi osservavano tra le piante e un paio
di volte, ne ero sicuro, doveva essere emerso un Centauro o
un’altra creatura simile tra i rovi. Mio padre mi
strattonò e mi guardò severo e io smisi di
distrarmi: per fortuna altre tre Bacchette si illuminarono e Alshain,
con i suoi figli, avvolti nei loro caldi mantelli neri, ci vennero
incontro, in silenzio, indicandoci con appena un cenno del capo la
direzione; si muovevano con passo rapido e sicuro, facendo apparire
delle "luci fatate" che si muovevano davanti a noi, per svelarci gli
eventuali ostacoli e allontanando definitivamente le ombre sussurranti
della notte. Camminammo per diversi minuti nel bosco, fino a
raggiungere una radura più grande, circondata da alture
aspre ricoperte di una vegetazione selvaggia, quando guardai
nell’unica direzione aperta, mi accorsi che ci trovavamo su
una spianata che aggettava su strapiombi a picco sul lago. Attorno a
me, tra la neve e gli alberi, si ergevano numerose tende, ai cui
ingressi scoppiettavano piccoli falò, e intorno, seduti su
tappeti e pelli, con in mano ricchi calici di bevande fumanti, vidi
Maghi e Streghe, vestiti con gli abiti rituali del Nord.
Raggiungemmo la nostra tenda, dove Kreya, l’Elfa, ci
attendeva all’ingresso, prese i nostri mantelli e scomparve
dietro a un sipario di broccato borgogna, di fronte a noi una tenda di
leggeri veli semi trasparenti nascondeva una specie di salone,
illuminato dai bracieri e addobbato dai colori della Confraternita,
sulla sinistra un pesante drappeggio di seta verde scuro, con i due
serpenti intrecciati degli Sherton, indicava l’area
padronale: Mirzam e Rigel sparirono là dietro, mentre
Sherton ci indicò sulla destra il sipario di seta verde con
i ricami d’argento Slytherin destinato a noi. Dentro
c’erano altri ricchi drappeggi che celavano le "vasche
rituali", necessarie a eseguire la Cerimonia di Purificazione: dovevamo
lavare i piedi per non violare la Sacralità della Terra, le
mani per accettare puri il Dono del Fuoco e il Viso, per avere Occhi
Nuovi quando fosse rinato il Sole. Eseguito il Rito, nostro padre,
già nella sua sontuosa tunica verde, ci diede le vesti
cerimoniali e una volta pronti, mi permise di cercare Rigel
purché rimanessi nella tenda. Regulus decise di non seguirmi
mentre io andavo in avanscoperta: non trovai il ragazzo, ma suo padre,
di cui spiai la vestizione attraverso i veli del sipario.
Stava finendo il Rituale della Purificazione ripassando con un unguento
incolore i tatuaggi che aveva addosso: le Rune alle mani e al collo
erano solo una minima parte di quelle che gli ornavano il corpo,
formando un racconto che si dispiegava raffinato ed enigmatico sulla
sua pelle. Mentre mi chiedevo il senso di quei disegni e dove fossero i
suoi familiari, indossò una tunica verde scuro, con i soliti
inserti argentei, si pettinò e si passò qualcosa
sugli occhi; conclusa la preparazione congedò Kreya, che
l’aveva assistito, indossò il caldo mantello nero,
si voltò e mi sorrise: non so da quanto si fosse accorto che
ero lì a spiarlo, ma non sembrava infastidito. Uscimmo
insieme dalla tenda, dove ci aspettavano Reg, mio padre e i suoi figli,
e, in disparte, mia madre, la signora Deidra e la bambina, con il capo
velato, tutti in silenzio. Alshain si diresse di nuovo nel folto del
bosco, oltre il Cerchio delle Tende, da cui si levarono altre figure
velate e uomini avvolti nei mantelli: alcuni, tra cui Mirzam, portavano
delle lunghe spade al fianco, nascoste tra i tessuti.
A un cenno della mano di una Strega anziana, le donne rimasero
indietro, formando un cerchio, nel buio, mentre il corteo di uomini e
ragazzi proseguì fino ai piedi di una quercia, su cui
spiccava un folto cespuglio di vischio. Ci disponemmo in circolo, un
vecchio Mago fece tre giri attorno alla quercia, estrasse la spada e
tracciò a terra il Cerchio del Sole, poi accendendo il
falò in mezzo al cerchio, parlò in gaelico,
rivolgendosi ai quattro punti cardinali: la cerimonia aveva inizio. Il
Mago ritornò nel circolo, un altro, vestito di bianco, si
avvicinò all'albero con una piccola falce dorata, e in
gaelico ricordò la Morte del Vecchio Anno, la Fecondazione
della Terra, la Nascita del Nuovo Anno; una Strega uscì dal
bosco seguita da quattro ragazzine col capo velato, si disposero sotto
il ramo della quercia con un panno candido così che il
vischio tagliato non si macchiasse cadendo a terra, poi la donna porse
un rametto di vischio ai presenti e "trasfigurò" per loro
vino e focacce, mentre il Sacerdote tracciava in terra la Croce Celtica
ed invocava gli Spiriti dei Padri. A quel punto il nostro
falò fu spento e con un tizzone di esso, tornammo ad
accendere il falò del Cerchio delle Donne, per festeggiare
tutti insieme la nascita della luce intorno al fuoco: pronunciata la
formula di benvenuto, iniziarono i brindisi e la distribuzione di
dolci, le donne si scoprirono il capo e fu allora che, tra i canti
rituali, le fiaccole e un’atmosfera quasi sacra, ammirai per
la prima volta Meissa Sherton. Mirzam si staccò dal nostro
gruppo, per unirsi agli altri giovani impegnati nelle danze rituali:
crearono delle suggestive figure muovendo corpi e spade con eleganza,
completando elaborati disegni tracciati nell’aria dalle
spade, chiudendosi a formare stelle a cinque o otto punte, e lasciando
a terra le tracce dei Cerchi del Sole e di altre figure Cabalistiche.
“E’ bravo mio
fratello, vero?”
Rigel mi distolse dalle mie fantasie, annuii ancora ammaliato dai
movimenti delle spade, mi voltai e vidi nel suo sguardo la totale
ammirazione per il fratello. Lo invidiavo: perchè non avevo
con mio fratello un rapporto simile? Perchè Regulus doveva
sempre remare contro, invece di fare fronte comune con me? Mentre mi
raccontava il significato di quelle danze, mi ritrovai a lasciar
scorrere lo sguardo alle sue spalle, alla ricerca di Meissa: era una
bambina ancora minuta, con i capelli corvini, lisci, lunghi fino alla
vita, del padre aveva il taglio allungato degli occhi, i lineamenti
fieri, anche se ancora bambini, della madre aveva i colori,
l’incarnato da bambola, gli occhi verdi come smeraldi, timide
efelidi sul viso, a darle un’espressione un po’
monella. Sul suo collo e sulle sue dita c’erano le Rune di
famiglia: sembravano arabeschi di seta nera sulla sua pelle diafana. Mi
ritrovai a pensare che Malfoy doveva essere pazzo o cieco, se
l’aveva definita un Troll, perché era una delle
ragazzine più carine che avessi mai visto, di certo la
più bella tra le figlie degli amici di mio padre. E sentii
il rossore salirmi dal collo fino alla punta delle orecchie, quando mi
accorsi che mi guardava, studiandomi come io stavo studiando lei.
“Lei è Meissa, in
realtà non serve presentarvi, vi conoscete dalla
nascita...”
Deidra fece una presentazione poco formale per non imbarazzarci, io le
strinsi la mano, aveva la pelle morbida e delicata che profumava di
rose, un sorriso grazioso e gentile e gli occhi semplicemente
meravigliosi, sembrava simpatica, però mi sentivo
stranamente in soggezione e oltre ai saluti non mi veniva nulla da
dirle. Al contrario, mio fratello sembrò entrare subito,
stranamente, in armonia con lei. La Cerimonia del Solstizio aveva
lasciato il posto a danze e convivialità ed io, attorno al
fuoco, mi godevo la compagnia più rassicurante di Rigel, che
mi spiegava quello che mi circondava, mentre i nostri genitori
banchettavano chiacchierando con gli Sherton: Meissa sembrava
affascinata da mio padre, che, in effetti, si comportava in modo
parecchio inusuale, scherzava e faceva delle Magie per lei e sua madre,
mostrando un’affabilità che con noi non aveva
pressoché mai, Alshain chiacchierava con mio fratello e
Mirzam era sotto lo strenuo attacco di nostra madre interessata ai suoi
progetti futuri, gli chiedeva se avesse già in mente di
darsi al Quidditch o se preferisse una carriera politica al Ministero,
e, soprattutto, se aveva già progetti matrimoniali. Il
ragazzo si destreggiò con abilità parlando dei
suoi progetti come cercatore nel Puddlemere, dove anni addietro aveva
giocato anche suo padre, ma parlando di matrimonio, perse la sua
baldanza, assumendo un’espressione imbarazzata, che
interessò parecchio mia madre.
A poco a poco il cielo iniziò a rischiararsi, ad est,
preannunciando la nascita del nuovo Sole, i canti e i balli si
interruppero, il Mago-Sacerdote si levò in piedi e
declamò una preghiera al Sole per l’Anno che
iniziava; tra i brindisi, il fuoco fu ridotto a tizzoni ardenti e
distribuito. Quando la Confraternita si sciolse, i maghi si ritirarono
singolarmente e a gruppi nel sentiero del bosco, chi diretto alla
propria tenda, chi per smaterializzarsi a casa appena al di fuori del
sacro recinto. Alshain abbracciò mio padre per le spalle e
si avviarono alla tenda discutendo allegramente, seguiti da sua figlia
e poi da sua moglie e nostra madre, sicuramente impegnate in
pettegolezzi. Rimasti appena un po’ indietro, Mirzam ci
dedicò la sua attenzione: non era affatto scostante e
antipatico, era anzi simile a suo padre e a suo fratello, anche se un
po’ più timido e riservato di entrambi.
“Vi è piaciuta la
festa di Yule?”
“Oh sì,
è stato meraviglioso e tu sei davvero bravissimo con la
spada.”
Mio fratello lo guardava in adorazione e Mirzam non poté
fare a meno di sorridere.
“Lo pensi solo
perché era la prima volta che vedevi qualcuno farlo! Volete
osservarla meglio?”
Ci fermammo e lui estrasse la spada da sotto il mantello, lasciandocela
ammirare.
“E’ la spada degli
Sherton, realizzata con i metalli della Madre Scozia da più
o meno mille anni, ora è solo un bel cimelio, ma ha avuto i
suoi momenti di gloria, contro Babbani e Rinnegati.”
Era antichissima, con lo stemma degli Sherton inciso
sull’elsa, riccamente decorata con altri disegni serpenteschi
e medievali, con smeraldi di varie dimensioni incastonati sul pomolo,
al termine della guardia e sulla coccia, era lunga circa un metro e
mezzo, bellissima e affilata, con la scanalatura in cui era inciso a
caratteri gotici il nome del fondatore : “Hifrig
Sherton”.
“Sembra che i ragazzi abbiano
legato, che cosa ti dicevo, Orion?”
Alshain si era girato verso di noi, entusiasta di vederci
già così affiatati, nostro padre
annuì, aveva fatto bene a fidarsi e, per una volta, sembrava
orgoglioso e sollevato.
“Sì, si comportano
da Black, se adeguatamente motivati. Sarete nostri ospiti a Grimmauld
Place per Natale, vero Alshain?”
“Ti ringrazio, Orion, ma
durante le festività saremo per lo più in
Irlanda, dai parenti di Dei.”
“Allora sarete nostri ospiti a
Capodanno. Ci saranno molti amici, e Cygnus con Druella e le
ragazze!”
Nostra madre lanciò uno sguardo penetrante a Mirzam quando
pronunciò queste parole e lui arrossì
leggermente; mamma sorrise, beandosi di aver centrato un difficile
bersaglio.
“Non ti prometto nulla, Walby,
ad Hogmanay avrei già un impegno con la
Confraternita…”
“Ma non potete disertare
Londra per tutte le festività! Non dopo tutti questi anni di
esilio!Voglio organizzare una festa meravigliosa per il vostro ritorno!
Inoltre sarebbe un peccato privare Mirzam delle occasioni che Londra
può offrire in questi giorni, e sarebbe un peccato privare
Londra di un giovane tanto bello e intrigante, che ha unito
evidentemente il meglio dei genitori …”
Si avvicinò e gli accarezzò il viso,
guadagnandosi un’altra occhiataccia dal ragazzo.
“Puoi invitare Mirzam quando
vuoi, non c’è bisogno nemmeno del mio permesso!
Certo, se hai altri piani, mi appello al tuo buon Nome e
all’intelligenza di mio figlio…”
“Questo è chiaro!
Allora mio caro, posso invitarti per Capodanno a Grimmauld
Place?”
“Veramente ho già
impegni a Inverness per Hogmanay, mi spiace, signora Black.”
“Impegni galanti?”
Mirzam non le rispose, il suo sguardo ormai era decisamente scocciato.
“Pazienza Walby,
sarà per un’altra occasione! Adesso è
meglio andare, ci rivedremo a gennaio, vi auguro di passare delle buone
feste!”
Alshain sorrise divertito, mia madre abbozzò un sorriso,
mentre l’uomo le baciava le guance e Mirzam la guardava
infastidito; la signora Sherton e mio padre avevano assistito alla
scaramuccia in silenzio, attoniti come noi più piccoli. Dopo
gli abbracci e gli auguri, ci smaterializzammo nelle nostre rispettive
case: arrivati a Grimmauld Place, io e Reg andammo a riposare in camera
nostra, non mi ero reso conto di quanto ero stanco fino a che non mi
sdraiai nel mio baldacchino, ero sveglio in pratica da quasi
ventiquattro ore, eppure non riuscivo a prendere sonno,
perchè nella mia mente si agitavano i flash della giornata
trascorsa e sentivo che c’era qualcosa che mi sfuggiva. Non
avevo idea di cosa avesse in mente mia madre, ma era più che
evidente che stesse tramando qualcosa.
*continua*
NdA:
Ringrazio quanti hanno letto, hanno aggiunto a preferiti/seguiti/ecc,
hanno recensito e/o hanno proposto/votato questa FF per il concorso sui
migliori personaggi originali indetto da Erika di EFP (maggio 2010).
Valeria
Scheda
Immagine
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