The Sky Breaks.

di Hollister
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Prologo.
Dolore.




Appena aprii gli occhi, sentii un gran mal di testa e una fitta al fianco.
Non ricordavo più nulla, ero così concentrata sul dolore che provavo che non mi accorsi di ciò che stava attorno a me.
Alzai lo sguardo: ero vicino alle Mura, lontano da Chicago. Non c’era più niente.
Niente.
Non sapevo nemmeno che giorno fosse, o che ore fossero; era tutto terribilmente confuso.
Mi alzai con fatica, cominciando a camminare.
Chicago non era poi così lontana; vedevo i palazzi, le case in lontananza.
Ero stanca, non ero lucida e la mia forza stava venendo a mancare.
Camminai per non so quanto tempo, mentre le nuvole oscuravano sempre di più il sole.
Pioggia.
 
Ci mancava solo questa, maledizione!
 
Non c’era nessun posto per ripararsi, e cominciò a fare freddo.
Tentai di coprirmi con i vestiti pieni di polvere e stracciati. Non avevo un aspetto da Intrepida.
Assomigliavo ad un’Esclusa ferita, affamata, ma soprattutto, delusa.
Il mio cuore era a pezzi.
Ero sola, in mezzo a quella sterpaglia gialla, in mezzo ad un dolore incredibile.
Dov’era Eric? Dov’era Quattro? Dov’erano tutti?
Delle lacrime bagnarono il mio viso. Ero distrutta. Piena di ferite. Sola. Debole. Una falsa Intrepida.
L’unico ricordo che avevo, erano gli occhi glaciali e d’acciaio di quel ragazzo che mi aveva fatta sentire vera.
Libera, per almeno una volta.
E invece, ora che stavo crollando come un castello di carte, c’era solo la solitudine a tenermi compagnia.
Il dolore.
La delusione.
 
Continuai a camminare, mentre la pioggia m’infradiciava i vestiti, i capelli, il viso.
Tossii, ma una fitta di dolore mi fece fermare di botto. Gemetti, sperando ardentemente di morire in quel preciso momento.
Sarebbe stato meglio, più liberatorio. E invece ero costretta a soffrire.
Avrei voluto lasciare perdere tutto in quel momento.
Invece, continuai ad andare avanti come un automa.
 
Sentii le gambe cedermi.
Ero troppo stanca, ferita, morta.
Mi accasciai sul terreno duro, mentre il buio mi avvolgeva di nuovo come una morsa.
 
-
 
“La cerchiamo da giorni, Quentin!”,esclamò qualcuno, scocciato.
“Non mi interessa. Lei non è morta. Non può essere morta. So per certo che l’hanno portata da qualche parte!”.
 
Rabbia, nella sua voce.
Frustrazione.
 
“Quentin, dannazione! Lo so che stai male, ma non puoi negare la realtà! Lexis era una Divergente, lei è morta. Lei non c’è più”.
“ZITTO!”, urlò qualcun altro, gemendo dal dolore.
 
Una luce. Piccola, che si intravedeva in tutto quel buio.
Come una salvezza. Una piccola certezza di essere viva e di non essere in un sogno.
 
Lexis cercò di urlare, ma la sua voce le morì in gola.
“Quentin…”, sussurrò, mentre la luce si allontanava da un’altra parte. “Quentin!”.
Riuscì ad alzare la voce, e finalmente, la luce fu puntata contro di lei.
Il ragazzo dai capelli rossi corse verso quella figura stesa a terra, mentre il compagno lo seguì a ruota.
 
“Lexis!”, gemette, tirandola su, facendola sedere. “Sei viva!”.
“Quasi…”, borbottò Edward, abbassandosi alla sua altezza.
 
Era ridotta parecchio male: il labbro rotto, lo zigomo violaceo e un occhio mezzo chiuso e gonfio.
In più era fradicia e sporca, i suo capelli erano appiccicati al viso stanco.
 
“Dio, portiamola al Rifugio”, disse Quentin, prendendola in braccio.
“Eric… dov’è Eric?”, mormorò la ragazza, la voce rotta.
“E’ morto Lexis, morto”.

**


Eccomi qui!
Finalmente, ho postato il sequel di 'Sangue di Divergente'!
In questo piccolo e corto prologo, ho voluto distruggere i vostri poveri feels... scusatemi, ma dovevo assolutamente farlo.
Ma forse nel corso della storia sarete un po' più felici, chi lo sa!
Vabbé, ora vi lascio.
Non siate silenziose, ditemi tutte le vostre opinioni. E se volete linkarmi le vostre storie, ben venga! Alla prossima! <3




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