la luna del passato - Jasmine

di lunadelpassato
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La notte  brillava attraverso ogni sua parte. Era silenzio. Buio ricopriva le case deserte, mutava i contorni delle cose facendoli sembrare pericolosi.
Ma non si poteva avere paura in quella notte. Il silenzio era innocente. Il nero era deserto. I pochi cespugli duri gemevano dolcemente appena udivano un refolo di vento. Anche quello leggero, che non andasse a rompere la dolcezza di quella notte. Veniva a balzi, quando più te lo aspettavi. Non era abbastanza forte da scompigliare i suoi capelli neri.
L’uomo sedeva nei gradini di una casa, la bottiglia di vetro vuota tenuta pigramente nella mano destra. Non era ubriaco. Dio solo sapeva se quella notte gli era vietato bere. Era la fine del giorno, un giorno duro e aspro e pesante, troppo pesante per le sue spalle provate. La notte lo avvolgeva. Rendeva il castano dei pantaloni grigio, ma lasciava intatto il bianco sporco della camicia. Nel suo viso risplendeva l’amarezza più pura. Portava i piedi nudi. I suoi occhi risplendevano di lacrime.
sussurrò appiattendosi quei capelli scuri, corvini nel buio. Con l’altra mano abbandonò la bottiglia a terra. Il rumore dei cocci echeggiò per le vie mute.
L’estate e la notte rendevano dolce l’aria, ma l’uomo respirava fiele. Jasmine… la Donna Ridente.
Colei che, mille anni e qualche ora prima gli era caduta davanti. Un fiore (Per me? Ti ringrazio, o uomo) gli ornava la tempia. La dolcezza di quelle parole riverberava ancora in lui.
Jasmine era ancora ragazza, la sua Jasmine, quando quella mattina cadde. Malattia, avevano detto. Quale, l’uomo aveva deciso di non volerlo sapere. L’aveva presa tra le braccia, l’aveva cullata, e il suo corpo era diventato sempre più freddo. I capelli scuri di lei –presi dal padre, le dicevano- si tingevano perfettamente del colore dei suoi, identici. L’uomo l’aveva chiamata. Lei non aveva risposto. L’aveva chiamata più forte, tanto finché le luci dagli occhi non avessero incominciato a scendergli come ora, che la notte lo inghiottiva, benefica e malefica, nel suo destino.
Poggiò la mano laddove si era posata la maggior parte dei cocci e premette. Premette finché non sentì l’odore del suo stesso sangue penetragli le narici, ma non gli importò. Sangue del suo sangue, la sua Jasmine, era caduta nel giorno. Malattia.
Le lacrime dai suoi occhi ricominciarono a sgorgare. La notte lo osservò, lo accarezzò, gli passò attraverso come un fantasma; non lo consolò.
Tutto intorno all’uomo era grigio. Singhiozzò.
Guardò in alto, ma non vide il cielo. Vide la luna. Piena e gravida di luce. Lei, al contrario della notte, gli parlò. Le sue parole furono soavi e sussurrate, ma l’uomo le capì. Sorrise in mezzo al pianto.
disse all’enorme luce che stazionava nel cielo.
E la luna raccontò.
 
Quando finì, le guance dell’uomo erano asciutte. Si alzò dal suo gradino tenendo lo sguardo alto e, con dolcezza, salutò la luna.
Dopodiché abbassò gli occhi e tornò a casa. Nel suo volto l’espressione di dolore era scomparsa.
 
La Luna del Passato aveva narrato la sua storia.
E ora ne possedeva un’altra.




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