Una notte lontana da te
e attendevo il giorno come una liberazione.
Un giorno senza i tuoi
occhi ed ella ne muore, ragazzina di Nevers, monella di Nevers.
Un giorno senza le tue
mani ed ella crede all’infelicità dell’amore.
Ragazza da niente, morta
d’amore a Nevers.
Piccolo fantasma
di Nevers, io ti lascio partire,
stasera, storia da quattro soldi.
Come fu per lui,
l’oblio comincerà dai tuoi occhi, uguale.
Poi, come fu per lui,
l’oblio avrà la tua voce, uguale.
Poi, come fu per lui,
esso trionferà su di te tutto intero, a poco a poco, e tu diventerai una
canzone …
Sekai.
Il mio nome è Sekai Saionji.
Sono stata la compagna
di banco di Makoto Itou.
Ora sono
all'aeroporto, con la valigia rossa ed il berretto nero. Un
berretto di lana tipo basco parigino da foto di Doisneau, fa freddo, siamo a Gennaio.
Fa freddo.
Sono in partenza,
sì.
Da me stessa, prima di
tutto.
Poi da Makoto. Non mi
sento di parlarne.
Da Katsura, Hikari e tutte quelle
sgualdrine che se lo portano a letto.
Da Katsura,
soprattutto, e da tutto ciò che direttamente o indirettamente mi collega
a lei.
Da Katsura, e dalla consapevolezza
di aver sempre perso con lei.
Da Katsura, e da quel
biglietto imbucato nella cassetta della posta di una bellissima ed accogliente
casa, non la mia topaia. "È tutto tuo,
lo è sempre stato".
Non serve la firma né
l'augurio di plastica ad essere felici insieme, perché probabilmente non
lo saranno affatto, perché il mio cuore non può andare oltre.
Cuore o kokoro, quel suono gutturale
che ti rimbomba in gola, pronunciato dal labbro tremulo di chi sta per
partire. O che probabilmente non è mai arrivato.
Sto imparando ad
apprezzare la precarietà dell'attesa all'aeroporto, tutte quelle persone
che camminano a passo svelto inseguendo vacue promesse, la voce
all'altoparlante che ti ricorda quanto sia grande il mondo là fuori. E tu,
misera nullità che sanguini nell'attesa e quasi ti compiaci di quel sapore
ferroso che avverti nella bocca, sei invisibile alla massa frettolosa, perché
il mondo scorre troppo velocemente per chi si crogiola lentamente
nell'infelicità.
Chiudo gli occhi.
Li riapro e ho sopra di
me un soffitto, un soffitto sconosciuto.
Ma no, è solo il
soffitto della mia camera, mi dico, è lui a non riconoscermi.
Perché questa non è la Sekai sopra Makoto, sotto Makoto, dentro
Makoto. Non è la Sekai che piange
stringendo forte il cuscino, ma tenendo d'occhio tra le lacrime la spia
luminosa del cellulare, in attesa del suo messaggio. Non
è la Sekai che si addormenta sapendo di aver
dato l'ultimo bacio della buonanotte a Makoto.
È solo una bambola di pezza,
rammendata alla bell'e meglio da quello stupido istinto di autoconservazione
che si preoccupa solo dei parametri vitali.
***
So a cosa state
pensando, e cioè che è sempre stata solo colpa mia dato che ho tollerato la
libertà sentimentale e sessuale di Makoto, io che ho sempre sognato l’ Amore.
Sono stata io a
spingerlo a comportarsi in quel modo, quando lui davvero stava cominciando a
provare qualcosa. È il pensiero che mi fa più male. Non posso darvi torto.
Makoto mi è
piombato all’improvviso, non riuscivo materialmente a distoglierne lo sguardo,
il solo sorriso scioglieva quel gelo che in tanti anni mi si era
diligentemente stratificato dentro.
Non mi importava come,
ero disposta a giocare tutte le mie carte per far colpo su di lui, persino
coesistere assieme al suo grande e primo (unico?) amore, persino aiutarlo a
tornare da lei.
Tutto, pur di non perderlo.
Sapevo anche che
era uno sforzo inutile in verità, ma ormai avevo superato l’idea del possesso,
Makoto non era più qualcosa di mio, non era nemmeno parte di me, bensì qualcosa in
una terra desolata. Un qualcosa che riusciva a scaldarmi, seppure per un paio
d’ore, a scatti intermittenti, per poi lasciarmi intere giornate ad
agognare quel calore.
Un amore del tutto
disinteressato, quindi, ma che brava! Me ne ero quasi convinta, perché sapevo
che era l’unico modo per tollerare la sua poliamoria.
Tuttavia, non avevo fatto i conti con i miei
sentimenti che, si sa, nascondono sempre una componente di egoismo.
Sapevo essere così
generosa solo quando lui era al mio fianco, a pancia piena.
Poi cominciava il
digiuno, le crisi, mi sentivo uno schifo perché non ero capace di dargli tutto
ciò di cui aveva bisogno, mi detestavo.
Makoto non si rendeva
conto di tutto ciò, per lui ero solo la Sekai gelosa che si arrabbiava quando lo vedeva con le altre
ragazze.
Era divertente a
guardarsi da fuori, per carità!
Se tutto fosse stato
così semplice non sarei qui, adesso, a combattere contro me stessa tra passanti
sconosciuti.
Uno scontro perenne tra
razionalità e passione.
La razionalità ha sempre
avuto ragione, era inutile parlarne con Makoto perché gli avrei soltanto messo
pressione, come ho finito per fare con la storia del bambino. Ormai avevo
imparato a capirlo grazie all’intimità che si era stabilita tra noi e sapevo
che ciò che mi dava era il massimo che poteva.
Ma ogni fibra di Sekai sente prima di pensare, proprio come ora avverto con tutto il mio essere la sua
mancanza, per quanto provi a giustificarla.
Aspettate… L’aereo parte tra 40 minuti, devo cominciare ad avviarmi al gate!
Dove ero rimasta? Ah,
sì. Per me l’unica cosa importante era continuare a restare al suo fianco, su
questo punto ragione e cuore hanno sempre concordato. Quindi bisognava trovare
il modo per superare questo ostacolo, poi ero convinta che col tempo le cose si
sarebbero sistemate da sole.
Se ha rivisto Katsura è giusto così,
magari ci ha anche fatto l’amore, non devo pensarci, non devo arrabbiarmi,
prima saracinesca. C’è quel messaggio di Katou che ho intravisto, cavolo sapevo che c’era lei dietro, in qualche
modo Makoto stava cercando di parlarmene e… seconda saracinesca e “Ciao Makoto! No, non sono sovrappensiero …”.
A volte non avvertivo
quasi dolore, sembrava funzionare. I tessuti cicatrizzati sono i più
resistenti.
Eppure qualcosa continuava a ferirmi, in maniera capziosa, proprio quando ero
convinta di aver superato.
Pensavo che Makoto fosse
con qualcun’altra, ma una volta che sapevo, beh,
il crollo.
Che significa crollare?
Crollare vuol dire
trascinarsi con quel poco di forza che rimane e tornarsene a casa, sola.
I passanti mi guardano,
forse il mascara continua a colarmi, chissene.
La rabbia.
Il desiderio di non sentirlo più.
Cancellare il numero, cancellare tutte le
foto, tutte le canzoni, qualsiasi segno esterno che poi possa ricollegarmi a
lui.
Torno a casa.
Riesco solo a buttarmi
sul letto, vestita, il cellulare accanto, la spia che non si accende.
Passo dal pianto al sonno, dal sonno al
pianto, ancora una mattina gelida di Gennaio, ancora tutto bianco.
Dalla rabbia alla disillusione, ore passate a
letto con gli occhi sbarrati.
Il soffitto che mi schiaccia, pur essendo così
lontano.
Dalla disillusione alla disperazione, Makoto
non sarà mai mio, che idiota che sono!
Meglio dirglielo, meglio di no, non oggi.
Passano altre giornate, Makoto si fa sentire,
torna a dormire da me, sono felice, un altro crollo.
Tutto da capo.
Ho ripercorso questo
cerchio, nel deserto, tante volte. Poi mi sono accasciata, un’altra volta
con lei, non ce la faccio più…
Agire, non solo pensare,
perché da questo pantano non se ne esce a suon di riflessioni e compromessi.
Ammettere che Makoto non
è innamorato di me, proprio non può esserlo, mentre io lo sono, e proprio non
posso farne a meno.
Distacco, se
nessuno dei due riesce ad adattarsi all’altro, ammesso che sia giusto farlo.
Smettere di fare la
bambina, i sogni sono fuori luogo.
Non posso fare più nulla
ormai, meglio sparire.
Due anni fa sono andata
con la mia classe a visitare un museo, non conoscevo ancora Makoto.
Passeggiando per i corridoi luminosi con
sguardo distratto mi colpì una piccola tela, in un angolo della galleria.
Non so come descriverla,
era un groviglio di figure geometriche
dipinte con colori scuri nel cui centro urlava qualcosa di inafferrabile.
I contrasti sono l’unica verità che ci è data
conoscere, ci ho sempre perso la testa.
Mi sedetti sulla poltroncina rossa, spensi l’audioguida e cominciai ad osservarlo intensamente, ogni nervosa sfumatura, ogni
piccola imperfetta incrostazione di colore che rivelava i tormenti di un cuore
autentico.
Ero troppo presa dal
caos che per la prima volta si palesava in tutta la sua sincerità per leggere
chi fosse l’autore o il titolo dell’opera.
L’incanto mi sembrò
durare poco quando fui richiamata da una compagna di classe, non so quante ore
erano trascorse ma bisognava rientrare sul pullman.
Tutto il resto del museo
aveva perso interesse, il tempo si era fermato in silenzio, c’eravamo solo io e
quel quadro.
È stato un po’ come morire, forse.
Al mio ritorno sul
pullman, niente sarebbe stato uguale, perché adesso sapevo che esisteva quella bellezza che ho sempre ricercato.
***
La testa vuota, la
valigia vuota, il viaggio a Kyoto che ho sempre desiderato.
Non so se Makoto abbia
già letto il messaggio che gli ho lasciato, poco cambia, non verrà.
Per un momento mi chiedo
con chi sia in questo momento, forse con Katsura. Sospiro. Anche lei troverà il mio messaggio, in fin
dei conti è una brava ragazza, ha sempre amato Makoto quanto me, in maniera
diversa.
Mi sistemo sulla
poltrona turchese, spero che accanto a me non si sieda nessun passeggero perché
non mi va di parlare con nessuno.
È solo una settimana,
nel luogo dell’anima. Può darsi che al mio rientro tutto resti esattamente
com’è, solo un po’ di amaro in bocca.
Non è vero che la
valigia è del tutto vuota, ci sono i momenti bellissimi che ho passato con
Makoto, da quelli proprio non voglio separarmi.
Avreste preferito che
salutassi Makoto prima di partire, con magari un bel coltello vermiglio
nascosto dietro l'esile schiena?
Davvero la violenza, il
litigio, le recriminazioni possono rappresentare l’unica soluzione di continuo?
È molto romantico
aspettarsi tutto ciò, ma forse anche un po’ spettacolarizzato e forzato.
Non voglio essere
l’eroina dark né impersonare la catarsi dell’amore non corrisposto.
Guardatemi bene: sono
solo una ragazzina che probabilmente ha il suo diario con la copertina rosa
rigida nascosto nel cassetto e che si mangia le unghie quando è nervosa.
Auguratemi buon viaggio!
…
È solo tuo e mio il finale.
Le canzoni non dicono
mai la verità, purtroppo.