SOLO
GRAZIE.
Nonostante
le sedie della sala
d’aspetto vip fossero abbastanza comode, non vedevo
l’ora di alzarmi e prendere
l’aereo per Atlanta.
Sulle
labbra avevo ancora il
sapore di Nikki.
Feste,
ricevimenti, mondanità, tutto
ciò fa parte del mio lavoro, ma avevo
voglia di tornare sul set: dovevo dirigere la puntata e la cosa mi
stava
caricando di adrenalina.
Sentii
la porta aprirsi e capii
che era lei.
L’avevo
vista al party la sera
prima, stupenda in quel vestito nero da principessa della notte.
Era
stato imbarazzante doverla
incontrare alla presenza di Nikki.
So
di essere espansivo, troppo. Non
riesco tenere le mani lontano dalla mia donna. Non ci riesco con Nikki
… non ci
riuscivo con Nina.
Credo,
inoltre, che Nikki
segnasse il territorio, strusciandosi un po’ più
del dovuto, provocandomi un
po’ più del solito (non che la cosa mi
dispiacesse, anzi), ma lo sguardo di
Nina, quello sguardo che mi rimproverava silenziosamente quando baciavo
Nikki
sul set, quando infilavo le mani sotto la sua maglietta in sala mensa,
quando
le sbattevo in faccia la mia felicità per farla impazzire di
gelosia … quello sguardo
era ancora in grado di incenerirmi.
E,
ieri sera, mi aveva lasciato
parecchie bruciature.
-Cosa
ci fai qui? Non mi sembrava
che dovessi prendere questo volo. – le domandai, appoggiando
i gomiti sulle
ginocchia e raccogliendo la testa tra le mani per non voltare lo
sguardo verso
di lei.
-Sapevo
di trovarti qui e volevo
semplicemente ringraziarti: i fiori che mi hai fatto avere per il mio
compleanno erano stupendi e so che farmeli recapitare in Nuova Zelanda
non deve
essere stato facile, senza farti scoprire da mezzo mondo. –
La
voce si stava avvicinando.
Il
mio sguardo era rivolto verso
terra, immobile.
Vidi
i suoi piedi fermarsi
davanti a me, un solo attimo, prima che si sedesse sulla sedia accanto
alla
mia.
-Nessun
disturbo: è bastata una
telefonata. –
No.
Non
era bastata solo una
telefonata.
Avevo
approfittato di una pausa
da Nikki per andare in centro a LA, da un fioraio diverso dal solito
dove vado
per comperare i fiori alla mia attuale compagna.
Scelsi
con cura il bouquet su un
catalogo: girasoli con fiori di campo della stessa tonalità
di arancio, caldo
come il suo respiro, solare come il suo carattere, intrecciati con
foglie di
mais e spighe di grano.
Nina
non era da rose rosse:
troppo banali.
Avevo
dovuto calcolare il fuso
orario, affinché il fioraio potesse telefonare in Nuova
Zelanda, dove Nina
stava passando le sue vacanze, per verificare che quei fiori fossero
disponibili, che fosse possibili recapitarli per il giorno del
compleanno.
Avevo
scannerizzato la mia firma
e l’avevo mandata via e.mail al referente neozelandese
affinché ne facesse un
semplice bigliettino.
Nessun
augurio.
Nessuna
frase ad effetto.
Solo
Ian.
Era
il suo compleanno e non avrei
potuto fare niente di meno.
-Grazie,
comunque. – insistette.
-Non
era necessario che venissi.
–
-Non
era necessario, infatti. È qualcosa
che volevo fare: venire qui, adesso, dove non ci vede nessuno, per
poterti
ringraziare come si deve.-
La
sua coscia era incollata alla
mia, fasciata in un paio di leggins neri che esaltavano le sue gambe
perfette.
Avevo
spostato solo gli occhi:
ostinatamente tenevo la testa tra le mani per non cedere alla
tentazione di
rivolgere lo sguardo verso di lei, ma la sua mano sui miei jeans mi
costrinse a
stingere più forte la presa sui miei capelli, tanto da far
cadere il cappello
modello Borsalino che indossavo.
-Guardami
Ian. – mi disse in un
sussurro. –Non voglio attentare alla tua virtù:
voglio solo dirti grazie, solo
grazie. –
Quella
voce, quella mano, quel
contatto non erano un attentato alla mia virtù, ma un colpo
diretto in mezzo al
petto.
Trattenni
il respiro e ostinatamente
non alzai lo sguardo.
Nina
tolse la mano dal mio
ginocchio e si alzò.
Temetti
e sperai che se ne
andasse per riprendere il controllo di me stesso.
Avevo
fatto l’amore con Nikki
quella mattina e il bacio in macchina aveva confermato quanto le fosse
piaciuto, quanto intensamente mi amasse, quanto il suo corpo fosse
un’oasi in
cui rifugiarmi, un lago in cui calmare la mia sete.
Invece
Nina si accucciò di fronte
a me, cercando il mio sguardo stretto tra le palpebre chiuse.
Delicatamente
mi prese le mani e
me le tolse dalle tempie a cui erano ancorate.
-Guardami,
Ian … -
Il
fiato mi scoppiava nei polmoni
mentre il sangue cominciava a scorrere più velocemente nelle
vene, tese nello
sforzo di trattenere un bacio, un abbraccio.
La
sua vicinanza mi provocava
ancora reazioni che non riuscivo a controllare, istinti che non potevo
cancellare.
La
guardai negli occhi e affondai
nella pozza calda delle sue iridi marroni.
“Non devo reagire … non dovrei
… non devo proprio: è solo un’amica, la
più cara, la più …”
Sapevo
bene che quel pensiero era
la bugia più grande che potevo raccontarmi: io e Nina non
avremmo mai potuto
essere solo amici, mai.
-Ian
… -
-Shh
… per favore. – la implorai.
Non potevo sentirla pronunciare il mio nome in quel modo e continuare a
tenere
le mani ferme, bloccate nelle sue.
-Perché?
–
-Perché
lo sai, lo sai bene che
effetto hai su di me! –
-Ancora
… Ian … -
-Sì,
ancora purtroppo! –
Amavo
Nikki con tutto me stesso,
ma non con tutto il mio cuore: un pezzo avrebbe vissuto in Nina, per
sempre e
con Nina sarebbe morto.
Desideravo
Nikki con tutta la
passione, ma la mia pelle avrebbe sempre reagito al tocco di Nina.
Avevo
scelto Nikki, l’avrei
sposata, ma Nina mi avrebbe posseduto, sempre e per sempre.
Liberai
le mie mani dalla sue,
solo per poggiarle sul suo volto.
-Spero
tu abbia avuto un
compleanno felice, Nina.-
Lei
inclinò la testa di lato e mi
sorrise.
-Ti
piacerebbe la Nuova Zelanda …
-
-Mi
piacerebbe anche l’inferno se
ci fossi tu … - mi scappò detto.
La
mia voce era gonfia di desiderio
trattenuto.
Il
contatto con i suoi occhi era
quasi insopportabile: lei sa scavarmi dentro come nessuna e in qual
momento
stava leggendo ogni emozione, ogni maledetta sensazione che mi lacerava
l’anima
e la coscienza.
Mi
alzai, trascinandola con me, i
palmi incollati alle sue guance.
Eravamo
pericolosamente vicini:
il suo alito caldo m’inebriava i sensi.
La
sentii fremere, ma il suo
sguardo era fermo, deciso, dentro di me.
Ogni
centimetro che ci divideva
era una distanza insopportabile, ogni respiro doleva contro il cuore.
-Vieni
qui. – dissi con la voce
rotta.
La
avvolsi in un abbraccio, le
mie labbra contro la sua fronte.
Non avevo dimenticato quanto
fosse bello
stringerla, ma ogni volta mi sorprendeva
l’intensità del bisogno che avevo di
lei.
Non
avevo dimenticato quanto
fossero deliziose le sue labbra, ma non la baciai: se lo avessi fatto,
non
avrei potuto fermarmi.
Mi
separai da lei e fu come
strapparmi la pelle del petto.
Le
posai una carezza delicata
sulla guancia appena velata di rosa.
-Ancora
auguri … - le sussurrai
sulle labbra, senza sfiorarle.
Lei
ricambiò la carezza,
lasciando scorrere le dita lentamente dalla guancia fino al centro del
petto,
dove posò la mano aperta ad ascoltare il ritmo impazzito dei
miei battiti.
-Grazie,
Ian – rispose posando in
lieve bacio sulla mia guancia ispida.
Voltandomi
le spalle si diresse
verso l’uscita, tirandosi sulla testa il cappuccio della
felpa che l’avrebbe
nascosta da sguardi indiscreti.
-Eri
bellissima ieri sera … -
dissi alla sua schiena curva.
-Tu
stai meglio in Armani, lo sai
e … sistemati i capelli! –
La
porta si chiuse silenziosa.
Un
sorriso ebete mi strappò le
labbra mentre le parole sgorgarono dalla gola per straripare dalle
labbra:
-Grazie
a te Nina … grazie di
esistere … solo grazie. -
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