Freddo
e tenebra
Erano
le sette di sera di
un giorno di gennaio. Sebbene nelle giornate precedenti il clima
fosse stato piuttosto mite, in quel particolare momento un vento
gelido aveva abbassato di molto la temperatura, dissuadendo molte
persone dall'uscire di casa.
Io
tornavo in bicicletta
dalla palestra, intabarrato dalla testa ai piedi per far fronte alla
crudele tramontana, pedalando di buona lena per arrivare a casa il
prima possibile, dove mi aspettavano il caldo abbraccio del divano e
una tisana rilassante.
Il
sole era orami calato
da un pezzo, e i lampioni diffondevano la loro luce gialla a macchie
lungo la strada deserta. Non sembrava esserci alcun segno di vita,
nessuno camminava sui marciapiedi, o passava sfrecciando sulla
carreggiata in automobile. Non vidi neanche un gatto o un cane
randagio vagabondare in cerca di qualche rifiuto da poter
sgranocchiare, neanche un uccello volare timido da un tetto
alll'altro alla caccia di qualche insetto. Gli alberi erano forse
l'unica altra cosa vivente oltre a me che affrontava il gelo eppure,
per quanto fossi consapevole che essi continuassero a vivere anche in
inverno, pensai che non fossero più vivi dei sassetti
dell'argine e
dell'asfalto stesso. I loro rami si protendevano neri contro la luce
dei lampioni, ondeggiando furiosi ad ogni nuova raffica di vento. Il
fiume che scorreva alla mia destra sembrava solo un lungo crepaccio
aperto su un baratro nero come la pece.
Eppure
in principio la
cosa non mi turbava, poiché io stesso avevo scelto di fare
quella
strada per avere un po' di tranquillità, in quanto quella
via
passava un po' all'esterno della città, lontana dai suoi
rumori e
della folla che si assembrava nelle sue strade.
Continuai
a pedalare,
accompagnato soltanto dal lieve dolore alle gambe residuo dagli
esercizi e dal ticchettio sommesso della catena.
Il
vento continuava a
soffiare forte.
Mi
strinsi nel cappotto,
infossando il mento nella lunga sciarpa. Staccai le mani dal manubrio
e me le ficcai in tasca per proteggerle dal vento che sembrava
tagliare i guanti e affondare feroce i suoi denti nelle mie dita.
Strinsi gli occhi, che cominciavano a lacrimare per il freddo e mi
costrinsi ad accellerare l'andatura, ingnorando le proteste delle mie
gambe, ansioso di poter riposare e di potermi sottrare all'aria
impietosa.
Un
lampione sfarfallò
leggermente, emettendo un debole ronzio e creando una zona d'ombra
intermittente poco davanti a me. Un cane abbiò in
lontananza. Era il
primo suono emesso da un essere vivente che sentivo da quando avevo
imboccato quella via qualche minuto prima,e per la sorpresa, quasi
caddi dalla bici.
Una
luce si spense alle
mie spalle, e anche altre sembrava avessero qualche problema, magari
qualche filo che faceva contatto.
L'animale
continuava a
latrare, lontano eppure con volume sempre crescente.
Ebbi
un tremito, tornò
ancora più vivo in me il desiderio di non trovarmi in quel
posto, di
essere al sicuro alll'interno delle mura familiari della mia
abitazione, unita ad un presentimento diverso, che potrebbe sembrare
una conseguenza logica della mia prima sensazione, ma che occupava la
mia mente in maniera più cupa e minacciosa, inaspettata
eppure in un
qualche modo conosciuta, non sorprendente ma incredibilmente,
totalmente inquietante: la netta percezione che non mi sarei dovuto
trovare dove mi trovavo.
Senza
quasi rendermene
conto scalai le marce fino a quella più dura e comincia a
pedalare
sempre più forte. Altre luci si estinsero alle mie spalle,
creando
una vasta zona di tenebre insondabili.
La
voce minacciosa del
cane di fece più flebile, e ben presto il furioso abbaiare
si
tramutò in un guaito sommesso.
Un
altro brivido mi
attraversò tutto il corpo.
Il
vento si alzò ancora,
ululando fra le fronde degli alberi, facendo sbattere violentemente i
rami e le fronde, che ora quasi mi ghermivano, voraci del calore che
nascondevo sotto lo spesso strato di indumenti.
I
lampioni scomparivano
ad un ritmo sempre maggiore, il buio si avvicinava come trasportato
dalle raffiche.
Mi
sentivo come un topo
che, girato un angolo, si trovava faccia a faccia con un grosso
persiano. Nulla aveva più importanza, solo la fuga, solo la
mia vita
da salvare, solo le tenebre che avanzavano crudeli e implacabili.
Dimentico
del dolore alle
gambe mi alzai per pedalare con più forza, ma
l'oscurità non aveva
freni, incalzava alla mie spalle riducendo sempre più lo
spazio che
ci separava. O forse ero io che vi venivo risucchiato dentro?
Cominciai
a rallentare il
frenetico movimento de pedali. Volevo ancora salvarmi, eppure una
parte di me si era arresa. La sensazione di essere perduto, quel
senso di cedevolezza verso il proprio destino mi portò poco
dopo a
lasciarmi cadere sull'asfalto. Ero insensibile a qualunque cosa, non
provai alcun dolore nella caduta.
Mi
guardai alle spalle.
Tre lampioni mi separavano nalla notte più nera.
Due
lampioni.
Uno
solo.
Poi
tutto fu solo freddo
e tenebra.
Salve!
questo testo sarà accompagnato da una serie di altri simili
che mi serviranno come test prima di lanciarmii ufficialmente nella
stesura di una lunga storia thriller su cui sto lavorando, ergo vorrei
che tutti voi lettori, e sicuramente accaniti recensori, vi lanciaste
barbaramente su questo scritto dando libero sfogo alla vostraviolenza
verbale per farmmi rilevare tutti gli errori. Ho davvero bisogno dei
vostri pareri per poter migliorare e offrivi poi una storia davvero
figa, quindi sotto con i commenti! grazie in anticipo a tutti quelli
che vorranno aiutarmi. vi manderò dei biscotti per mail.
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