The spanish emperor and the italian king

di Usuallyshadow
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~~CAPITOLO 2

Salirono su una grandissima nave, Romano non credeva ai suoi occhi. Dopo essersi giurato di non salire più su una nave, ci era riandato. Ma era diversa da tutte le altre navi, lì non c’erano schiavi che lavoravano al posto dei marinai ed era piena di merci. Mentre camminava si guardava intorno. Ad un certo punto entrò nella stanza del capitano, col capitano. Lo spagnolo si sedette sul letto, lui su una sedia.
“E-ehm…” Disse per “spezzare” la tensione.
“Mh?”
“P-potrei…potrei sapere il vostro nome?” Arrossì leggermente.
L’imperatore rise leggermente e sorrise, guardandolo.
“Da quando mi dai del voi?”
Romano lo fulminò con lo sguardo.
“Scusami, scusami!” Alzò le mani in segno di arresa.
“Mi chiamo Antonio, comunque.”
“Antonio…” Ripeté.
“Sì?”
“N-niente…ripetevo solo il vostro nome…è proprio bello…”
“Il mio nome, o io?” Disse, ironico.
“Entrambi…” Sussurrò.
Antonio arrossì di colpo.
“Siete tutto rosso…state bene?” Chiese, avvicinandosi.
“C-certo che sto bene! Non potrei stare meglio!”
“Se lo dite voi…” Si avvicinò al finestrino.
“Ma…quanto è lungo il viaggio?”
“Un paio di orette…credo.”
“C-COSA?!” Esclamò, allibito.
“Un paio di orette.” Confermò.
“La Spagna è così lontana?”
“Che ti interessa? Due ore passano in fretta.”
E infatti fu così, le ore passarono. E Romano manco se ne accorse. Quando sbarcarono al porto spagnolo il popolo accorse per vedere l’imperatore che tornava vittorioso, col suo nuovo schiavo. I soldati tentarono di allontanare la gente, ma vennero bloccati da Antonio.
“Lasciateli avvicinare, non hanno fatto nulla di male.”
A quel punto i soldati tornarono ai loro posti.
Romano si nascose dietro Antonio, stringendosi alle spalle, mentre la gente non gli staccava gli occhi di dosso. Entrarono nel palazzo dell’imperatore, subito vennero accolti da tutta la corte.
“Ehm…A-antonio…” Disse Romano, a bassa voce.
“Sì?” Rispose, Antonio.
“H-ho freddo…potrei avere dei vestiti?”
“Certo! Appena andiamo in camera mia ti do dei vestiti.”
Mentre camminavano a Romano venne in mente una scena di quando era piccolo, di quando suo padre gli disse che un giorno sarebbe diventato re, di quando lo portava con sé in alcuni viaggi in nave. Gli venne in mente soprattutto quando lo portò in un punto del mare in cui c’era il nulla, solo la distesa d’acqua.
-Flashback-
-Quel giorno con loro c’era anche il suo addestratore, gli chiese come mai lo aveva portato fino a lì.
“Tuo padre voleva farti capire cosa si prova quando non si ha nulla, come quando ti privano della libertà.” Fu la sua risposta.
Non aveva capito il significato di quella frase, dato che la sua famiglia era ricca e possedeva ogni bene più prezioso.
“Papà, un re cosa deve fare se perde la libertà?”
“Deve ubbidire a ogni ordine del suo padrone, impegnarsi al massimo nel lavoro per essere ricompensato. Ogni persona che perde la libertà deve comportarsi così.”
“Tutti tranne te, vero papà? Nessuno ti priverà della libertà, sei così forte e bravo!”
Il re sorrise a quelle parole.
“Figlio mio, a questa domanda non so risponderti. Un giorno potrei perdere io la liberà, come potrebbe succedere a tua madre o a te.” Si abbassò alla sua altezza e gli accarezzò i capelli, sorridendo.
“Ma spero di no”
Romano sorrise, mentre una lacrima gli rigò il volto.
“N-non è vero! Tu e la mamma sarete sempre liberi! E anche io!” Sbatté il piede a terra, iniziando  a piangere.
“Amore di papà…non fare così…non siamo noi a decidere, è il Fato a farlo..”
“NON LO ACCETTO!” Urlò in preda alle lacrime di rabbia e tristezza.
“Romano…ora calmati. Siamo ancora liberi, tua madre sta bene e tu hai tutto ciò che ti necessita. Mi fai un sorriso?”
A quel punto si calmò, si asciugò le lacrime e sorrise.
“Ti voglio bene, papà!”-

Gli scappò un sorriso ripensando a quel momento. Suo padre aveva ragione, non essere liberi era come non avere niente.
Ad un tratto qualcosa catturò la sua attenzione, era il quadro di una ragazza. Assomigliava alla sua amica d’infanzia, com’è che si chiamava…? Ah, già, Hercilia. Scosse la testa, arrossendo di colpo, per scacciare via il ricordo. Da piccolo era innamorato di lei, o meglio, credeva di esserlo.
"Tsk…mi chiedo come faceva a piacermi…" Pensò, soffermandosi a guardare il quadro.
"Certo, era carina…ma era…invadente. Ecco."
Ed ecco che si perse nell’ennesimo ricordo, di quando la ragazza gli aveva insegnato a dipingere.
-La ragazza era intenta a dipingere, quando Romano si avvicinò a lei timidamente.
“S-senti…” Chiese.
“Mh?” La bambina si voltò, sorridendo.
“Come fai a dipingere così bene?”
“Vuoi che ti insegni a dipingere?” Sorrise di più.
“E-eh? C-cosa? N-no!...C-cioè sì! Aaaah, lascia perdere!” Sbuffò, arrossendo.
Lei ridacchiò, poi gli prese una mano e gli diede un pennello. Immerse il pennello nei colori e mosse la sua mano sulla tela. Ovviamente tutto ciò non migliorò il rossore di Romano.
“M-ma che fai?!”
“Ti insegno a dipingere, no?” Disse, con un sorrisino.
“I-idiota..non intendevo così…”  Ma la lasciò fare comunque.-

I suoi pensieri furono interrotti dalla voce di Antonio.
“Romano! Muoviti, vieni!”
“Arrivo mio signore!” Disse, per poi raggiungerlo in camera.





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