Titolo: Come un
fantasma
Autore:
Alexiel
Mihawk | alexiel_hamona
Fandom: Avatar: the
last Airbender
Personaggio/Coppia: Sokka/Toph
Beifong
Rating: sfw, verde
Prompt: Ho conservato
la tua cravatta
(Syllables of time) | Abito (Cow-T) | Ogni cosa falla per te
Conteggio
Parole: 902 (fdp)
Avvertenze: introspettivo,
angst
Disclaimer: inutile dire
che nessuno dei
personaggi di Avatar mi appartiene, vero? Mi piacerebbe tanto, ma non
è così.
Tabella: click
Note: questa storia
partecipa alla M1
della quarta settimana del Cow-T di maridichallenge,
questa è parte della tabella
di Syllables of Time su
Sokka/Toph che sto fillando. Va anche a fillare il prompt del FanFiction
Meme
lasciatomi da Kuruccha: Avatar: the last airbender, Toph/Sokka, Ogni
cosa falla
per te.
Ci sono
dei riferimenti ad al terzo capitolo della mini-long Tokka che ho
scritto l’anno
scorso e trovate qui, ma non è necessario leggerla per
capire il senso, sono
molto scollegate. Lin parla un po’ sgrammaticata
perché è ancora una bambina.
Come
un fantasma
La
luna sparisce lentamente dietro ai palazzi di Republic City mentre il
capo
della Polizia cammina silenziosamente per le strade; i suoi occhi
bianchi non
hanno mai avuto bisogno di nessuna luce per riuscire a vedere, a Toph
basta
appoggiare i piedi per terra e tutto diventa chiaro. Il più
lieve movimento, il
più tenue frullio, ogni sommesso bisbiglio, lei riesce a
udirlo, e grazie al
suo dominio la cecità non le è mai stata di
ostacolo.
Passo
dopo passo raggiunge il suo appartamento; le sue figlie dormo
placidamente nei
loro letti e lei accarezza dolcemente le testoline ricciute prima di
dirigersi
stancamente nella sua stanza. Se non fosse per Katara, che la aiuta a
prendersene cura durante il giorno, Lin e Suyin sarebbero costrette a
crescere
da sole; è oramai lontano il tempo in cui non doveva
preoccuparsi di queste
cose perché a casa c’era sempre lui,
soprattutto quando “il prode capo della polizia”
(come amava chiamarla) era
fuori di notte.
La
presenza di Sokka aleggia per tutta la casa, come un fantasma che le
risulta
impossibile allontanare, e ci aveva provato, Dio se ci aveva provato;
ma era
stato tutto così inutile, perché come poteva
impedire a Lin di parlare di lui? Come
poteva dire a sua figlia di non nominarlo? Come poteva svuotare la casa
di
tutti quegli oggetti che gli erano appartenuti o che aveva portato
lì la prima
volta che si era presentato da lei?
«Prima
di tutto un
peluche di un tasso-talpa, non deve dimenticarsi le sue origini; poi ho
portato
un sonaglio della tribù dell’acqua, era mio di
quando ero bambino; una miniatura
di un boomerang, l’ho inciso io nel legno, meraviglioso non
trovi?»
La
sua voce le riecheggia nelle orecchie e Toph scuote il capo con forza,
cercando
di scacciarla, è in quel momento che un mormorio sommesso di
Lin richiama la
sua attenzione.
«Mamma?»
la bambina si arrampica sul letto della madre stringendo nelle mani un
sottile
indumento celeste.
«Ehi
pulce, dovresti essere a letto a quest’ora» la
riprende la donna, ma nel suo
tono non c’è critica né alcuna traccia
di disapprovazione.
Lin
le si avvicina e si siede accanto a lei, porgendole ciò che
tiene stretto tra
le dita sottili: una cravatta azzurra.
Trattiene
il respiro nel sentire la stoffa leggera sfiorarle la pelle e anche se
non
riesce a vederla, capisce immediatamente cosa sia.
«Dove
l’hai trovata?» mormora piano.
«Nel
tuo armadio –» borbotta la bambina, prima di venire
interrotta.
«Lin!
Ti ho detto migliaia di volte di non frugare in camera mia!»
«Pensavo
che se gli dicevo che ce l’avevi tu veniva a
riprendersela» risponde la
maggiore delle sue figlie con le lacrime agli occhi. Toph la stringe a
sé,
pensando che probabilmente Sokka nemmeno immagina il deserto che si
è lasciato
alle spalle, le ferite profonde che ha inferto ai loro cuori e il
devastante
senso di abbandono che ora le perseguita. No, Sokka è sempre
stato tipo da
pensare solo alle cose migliori, scacciando la tristezza a suon di
battute
sarcastiche, e Toph non riesce davvero a fargliene una colpa, non per
avere
scelto, per una volta, di fare ciò che era suo dovere.
Abbraccia
Lin, aspettando che il pianto sommesso si spenga e che la bambina si
addormenti, per quella notte potrà dormire in camera sua,
dopo tutto non capita
spesso che la sua primogenita si lasci vedere in quello stato; come si
accorge
che il suo respiro è tornato regolare, la infila sotto le
coperte e, stringendo
tra le dita la cravatta, si avvicina all’armadio.
Dietro
l’anta, nascosto tra i suoi vestiti, più in fondo
rispetto agli altri e più
nascosto rispetto a tutto il resto, giace un abito azzurro della
tribù dell’acqua,
un abito da uomo, un abito da cerimonia.
Lo
indossava l’ultima volta che si sono visti,
l’ultima volta che ha presieduto
una riunione del Concilio, la sera in cui è venuto a dirle
che sarebbe partito
e non sarebbe tornato, perché il suo popolo aveva bisogno di
lui (suo padre
aveva bisogno di lui). Estrae l’ometto e per un attimo si
concede un breve
istante di debolezza, abbracciando l’abito e inalandone il
profumo – che è
ancora lo stesso, dopo tutto quel tempo; vi riappoggia sopra il sottile
pezzo
di stoffa sottratto da sua figlia e lo rinfila nell’armadio.
Chissà,
forse Lin ha ragione, forse dovrebbe presentarsi da lui e dirgli:
«Ho
conservato la tua cravatta». E Sokka scoppierebbe a ridere e
le risponderebbe
che il capo della polizia di Republic City sarebbe ancora
più affascinante con
una cravatta, che dovrebbe indossarla lei, poi le prenderebbe la mano e
le
direbbe che forse è il caso di tornare a casa. E lei
è perfettamente
consapevole di tutte le implicazioni che avrebbero quelle parole, degli
insieme e dei nostra
che aleggerebbero insieme a troppi altri sottintesi. E per
qualche secondo pensa che potrebbe farlo davvero, che potrebbe lasciare
tutto e
seguirlo, o per lo meno provarci lo stesso, ma poi scuote il volto e
chiude l’armadio.
No,
Toph Beifong è troppo orgogliosa per rinunciare a qualcosa
per chiunque; Toph
Beifong non si piega e non cede a compromessi, continua dritta per la
sua
strada, anche quando questo significa vedere il proprio cuore andare in
pezzi.
Ma, in fondo, come può, lei che è cieca, vedere
una cosa simile? Così scegliere
di fare finta di niente, sceglie di ignorare la verità e
lascia che la presenza
di Sokka continui a perseguitarla.
Perché
con una presenza e un ricordo può riuscire a convivere, ma
non è sicura che
sarebbe in grado di farlo se dovesse incontrarlo di nuovo per poi
vederlo
scivolare via ancora una volta.
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