Il Sospiro del Drago

di Ayr
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I giorni a seguire furono abbastanza imbarazzanti per entrambi: non riuscivano a rimanere nella stessa stanza senza che i loro sguardi si incrociassero e subito le loro guance prendessero colore. Arden passava la maggior parte del suo tempo disteso sul divano o sul letto. 
Ailea gli aveva dato dei libri da leggere, per rompere la noia, ma per la maggior parte del tempo, Arden sonnecchiava, guardato a vista dai draghi di Elleboro. Il ragazzo stava guarendo, ma molto lentamente; l’unguento portentoso di Ailea era molto efficace, ma spesso la donna usava la sua magia curativa per velocizzare il processo. Nel contempo, però, aveva paura che i rimedi prima o poi avrebbero potuto ledere la pelle, molto più fragile, delicata e provata dalle continue ustioni.  
Elleboro, invece, nonostante il bando, passava molto tempo fuori casa e aveva continuato ad andare a trovare Nartex. Quella sera stava proprio tornando da una visita dal drago. 
La prima volta che si era presentata senza Arden, il drago aveva subito chiesto cosa fosse successo ed Elleboro era stata costretta a raccontare dell’attacco e dell’esilio. Nartex non aveva commentato nulla, ma lo sguardo impresso nei suoi occhi diceva molto più di quanto avrebbe potuto la sua bocca. 
La ragazza passava molto tempo con Nartex, soprattutto per evitare di arrossire ogni volta che sorprendeva Arden guardarla. Ogni volta che il ragazzo posava lo sguardo su di lei, le veniva subito in mente il bacio mancato e se stringeva un poco le labbra, poteva ancora sentire un ricordo del sapore e del calore di quelle di lui. poco più che un lieve sentore, rimasto intrappolato tra le sue. Per questo evitava accuratamente di non ritrovarsi troppo spesso sola con lui o semplicemente nella stessa stanza. Da quella sera non avevano mai avuto occasioni di rimanere soli ed Elleboro, molto spesso, evitava di proposito che questo potesse accadere.
La ragazza camminava spedita, mentre il cielo già declinava nei colori della sera e l’aria fredda della notte iniziava a soffiare, insinuandosi sotto il suo mantello e facendola rabbrividire. Improvvisamente davanti a lei si stagliò una figura scura, Elleboro si fermò sorpresa.
«Cosa ci fai qui?» domandò la figura, ed Elleboro riconobbe la voce di sua sorella.
«L’essere bandita non mi pare mi impedisca di fare visita ad un amico» replicò lei
«C’è anche il tuo amico cacciatore?» chiese Passiflora, allungandosi per vedere se sarebbe sopraggiunto alla spalle della sorella
«No, per la tua felicità» rispose sarcastica Elleboro incrociando le braccia. Le due sorelle rimasero una di fronte all’altra in silenzio. Passiflora fissava i propri stivali, imbarazzata.
«Io non volevo che succedesse» disse dopo un po’
«Eppure l’hai permesso» replicò la sorella
«Cosa avrei potuto fare?» domandò la ragazza
«Prendere le mie difese sarebbe stata un’idea» rispose Elleboro, mordendosi poi la lingua. Non poteva rimproverare nulla a sua sorella, lei non poteva fare niente, sarebbe stato inutile e che, molto probabilmente, ci avrebbe rimesso anche lei. Ma se le parti fossero state invertite, Elleboro non ci avrebbe pensato due volte e si sarebbe schierata in difesa della sorella, pur essendo a conoscenza delle conseguenze. Forse era per questo, che, comunque era rimasta delusa e non riusciva a cancellare quella nota di rimprovero nella sua voce.
Passiflora rimase in silenzio e tornò a guardarsi i piedi.
«Scusami» disse dopo un po’ «Io non sapevo davvero cosa fare. Caleisha mi fa paura e se avessi osato anche solo dire una parola in tuo favore, non oso immaginare cosa mi avrebbe fatto» la voce di Passiflora tremò e tutta la rabbia e la delusione di Elleboro svanirono all’istante. Si avvicinò alla sorella e l’abbracciò.
«Mi dispiace» sussurrò Passiflora accarezzandole i capelli.
Le due sorelle rimasero in silenzio per un po’, abbracciate nella notte che avanzava.
«Devo andare» sussurrò Passiflora, rompendo il silenzio e l’abbraccio.
«Dove?» domandò la ragazza. Passiflora non rispose
«Vai a caccia anche oggi, non è vero?» domandò
Di nuovo nessuna risposta da parte della sorella e la ragazza, interpretò il suo silenzio come una riposta affermativa 
«Perché lo fai, Leisha?» domandò, con voce dolce, stanca, quasi rassegnata.
Temeva che la sorella avrebbe eluso la domanda o l’avrebbe liquidata con una scrollata di spalle, come le altre volte e poi se ne sarebbe andata stizzita, così si stupì quando la sentì rispondere in un flebile sussurro «Per nostro padre».
«Cosa c’entra questo con i cacciatori?» chiese Elleboro incredula.
«Sono stati loro ad ucciderlo» rispose Passiflora.
«Ma cosa dici?!» esclamò Elleboro, sbigottita «Nostro padre è morto per malattia.» 
«È quello che ti hanno raccontato e hanno voluto farti credere. Eri piccola, non avresti capito la realtà dei fatti, per cui era più semplice dirti che fosse morto per cause naturali…»
«Cosa stai dicendo?!» Elleboro era sempre più sconvolta e confusa.
«La verità. Quella che è giunto il momento che tu conosca» rispose Leisha con voce atona «Nostro padre è stato ucciso dai Cacciatori» ripeté.
«Come fai ad esserne così sicura?» domandò ancora Elleboro, anche se temeva la risposta.
«Perché io c’ero» dichiarò la sorella e ad Elleboro mancò il respiro.
«Ero uscita con nostro padre per fare legna, quando improvvisamente ho sentito dei passi e delle voci. Nostro padre mi ordinò di nascondermi e di non muovermi o fiatare, qualsiasi cosa fosse successa. L’avevano circondato quattro uomini, vestiti con lunghe cappe marroni, i cappucci che nascondevano i loro volti. Odoravano di sangue e di morte. «Cosa volete?» aveva chiesto nostro padre cercando di rimanere pacato, anche se vedevo che era visibilmente agitato. Gli incappucciati non avevano risposto ma avevano estratto dei lunghi pugnali. «Tu sei un mostro, Lingua di fuoco e come tale devi morire» aveva dichiarato uno di loro con voce stridula e ad un suo cenno lo avevano assalito. Mio padre non reagì ma lasciò che quegli uomini affondassero le loro lame nella sua carne. Non emise un solo gemito mentre lo accoltellavano a sangue. Quando se ne andarono l’avevano lasciato agonizzante a terra, coperto di sangue. Mi ero precipitata verso di lui. «Leisha» mi aveva sussurrato e insieme alla voce dalla sua bocca era uscito un rivolo di sangue «Sii forte Leisha. Sii forte, per tua sorella. Le sei rimasta solo tu e lei ha bisogno di te» mi disse «Promettimi che proteggerai tua sorella.» 
Gli chiesi disperata cosa fosse successo, chi lo avesse ridotto in fin di vita e perché, mi rispose che erano stati i  cacciatori di draghi, perché ci temevano, e ci uccidevano, per paura che potessimo farlo prima noi. «E non si fermeranno» disse «Cercheranno anche voi per uccidervi. Per questo mi devi promettere che proteggerai e veglierai su tua sorella» 
Mi aveva scongiurato di prometterlo e io lo avevo fatto, poco prima che spirasse tra le mie braccia…
Allora non avevo capito il senso delle sue parole ma è iniziato a diventarmi chiaro quando hanno iniziato a stanare e a uccidere quello come noi...»
Passiflora coprì il viso e iniziò a singhiozzare. Elleboro non aveva mai visto sua sorella piangere. Non l’aveva mai vista così fragile e indifesa, scossa dai singhiozzi e tremante. Le si avvicinò e le posò una mano tra i ricci scuri. 
«È per questo che ti sei unita a Caleisha?» domandò, Passiflora annuì. 
«È per questo che cacci i cacciatori? Per vendicare la morte di nostro padre e di tutte le altre Lingue di Fuoco che hanno ucciso?» continuò Elleboro, accarezzandole piano i capelli.
Sua sorella non rispose, non subito «Ho promesso a nostro padre che ti avrei protetto ed è quello che sto facendo. Ma poi arrivi tu, mano nella mano con il nemico» disse.
«Mi ha salvato la vita e io mi sentivo in debito con lui» rispose la ragazza, le dispiaceva molto per sua sorella, vederla in questo stato le dilaniava l’anima.
«Ma ora l’hai curato. Il tuo debito è estinto» cercò di dire sua sorella tentando di calmare i singhiozzi che le facevano tremare la voce «Perché allora continui a tenerlo con te?»
Elleboro non rispose. Sua sorella sollevò improvvisamente la testa e incatenò i suoi occhi a quelli della ragazza. Per un attimo Elleboro temette che Passiflora avesse capito e invece
«Non riesco a capire perché tu stia facendo tutto questo, Eilesha. Forse perché sei troppo buona e tendi a vedere del buono in ogni persona, ma sappi che non tutti sono buoni come credi. Loro non lo sono. Hanno ucciso nostro padre senza farsi troppi scrupoli e con lui tante altre Lingue di fuoco, e avrebbero ucciso anche noi se avessero potuto…»
«Ma Arden non è come loro, non è crudele» cercò di spiegare Eilesha.
«Ma è uno di loro e presto o tardi farà quello che hanno fatto altri prima di lui. Stai attenta Eilesha, ti dico solo questo. Che la tua immensa bontà non sia la causa della tua morte» rispose con tono lugubre la sorella prima di rialzarsi e ricomporsi. La maschera di severità e finta spietatezza tornò al suo posto «E ricordati quello che ti ho raccontato. Loro non vedono l’ora di stanarci e di ucciderci come hanno fatto con nostro padre. Stai molto attenta Eilesha. Io cercherò sempre di proteggerti. L’ho promesso» detto questo gettò un ultimo sguardo alla sorella, prima di andarsene, lasciandola sola e sconvolta.
*

Elleboro si precipitò in casa, facendo sussultare Ailea e Arden, e senza rivolgere loro nemmeno uno sguardo corse su per le scale, il volto nascosto dalle mani e dai capelli. Improvvisamente la videro ridiscendere e fermarsi a metà della scala.
«Tu lo sapevi?» domandò rivolgendosi ad Ailea. La donna la guardò sorpresa e incredula
«Tu sapevi che papà era stato ucciso dai Cacciatori?» Arden sussultò. Ailea annuì
«Perché non mi avete mai detto nulla? Io per anni ho sempre creduto che fosse morto di malattia e invece…» la ragazza corse via. 
Elleboro si fiondò in camera sua e si gettò sul letto. Solo allora iniziò a dare davvero sfogo a tutta la sua tristezza e la sua rabbia.
Non riusciva a credere a quello che Passiflora le aveva appena raccontato, non poteva credere che suo padre fosse morto, ucciso dai cacciatori. Non voleva crederlo.
Qualcuno bussò cautamente alla porta. Elleboro alzò il viso e si ritrovò davanti Arden, visibilmente preoccupato. Ailea aveva provato a fermarlo, ma quando il ragazzo aveva visto Elleboro così sconvolta nulla era riuscito a trattenerlo e non aveva esitato a seguire la ragazza.
Elleboro si asciugò le lacrime, ma ben presto altre vennero a sostituirsi.
Vattene via avrebbe voluto dirgli, ma non ebbe il coraggio di cacciare il ragazzo. Benchè fosse un Cacciatore, non era stato lui a uccidere suo padre.
«Io mi sento terribilmente in colpa» mormorò Arden, ancora fermo sulla porta
«Non sei stato tu ad ucciderlo» rispose Elleboro, cercando di frenare il tremore nella voce
«Ma sono stati quelli come me, dei Cacciatori e io mi sento in colpa, come se mi fossi macchiato io di quel delitto…»
«Smettila» lo interruppe la ragazza «Tu non c’entri niente e io non ti sto accusando di nulla»
Lasciami sola, per favore aggiunse mentalmente.
Arden parve capire e se ne andò. Al suo posto subentrarono i draghetti che si precipitarono sulla padrona cercando di consolarla in tutti i modi. Fobos si allungò verso la ragazza e le asciugò una lacrima con la lingua ruvida. Elleboro sorrise debolmente e gli diede un buffetto sulla testa. Tanatos dava dei colpetti sulla mano della ragazza, per ricevere una carezza anche lui ed Elleboro l’accontento.
Quella notte i draghi rimasero a guardia della ragazza addormentata. 
Elleboro, raggomitolata nelle lenzuola, cercava di addormentarsi, ma il suo sonno era inquieto, le sue guance umide e il suo respiro spezzato dai singhiozzi. Arden dalla sua stanza riusciva a percepirli e ne veniva straziato ogni volta che ne sentiva uno. Non riusciva a sopportare l’idea di saperla soffrire così. Anche lui ci era passato e sapeva quanto fosse terribilmente lacerante la perdita di un padre, in un modo così orrido ed efferato per giunta, e per nessun motivo.
Arden si alzò, con somma protesta delle sue braccia e si avvicinò alla camera della ragazza.
Esitò sulla porta, incerto se entrare o meno. In fondo, perché andare da lei? Molto probabilmente le avrebbe dato solo fastidio.
Un nuovo singhiozzo, ed Arden entrò.
Si avvicinò cautamente al letto della ragazza, una creatura piccola e gracile squassata dai singhiozzi e consumata dalle lacrime. Mai come in quel momento le era sembrata fragile, lei che di solito appariva sempre così forte.
Lentamente, con delicatezza, iniziò ad accarezzarle i capelli. La ragazza sussultò e si voltò. Anche Arden sobbalzò, non credeva che la ragazza fosse sveglia. I suoi occhi, lucidi di lacrime, nelle tenebre della stanza parevano bruciare.  
«Cosa ci fai qui?» domandò Elleboro, riconoscendo la figura del ragazzo alla debole e morbida luce della luna che filtrava dalla finestra. Non suonava come un rimprovero, quanto come una domanda sorpresa.
«Non potevo sopportare di sentirti piangere, non senza fare nulla…» rispose Arden imbarazzato.
La ragazza lo fissava incredula. Il ragazzo continuava a tormentarsi le mani, ripetendosi di aver appena commesso l’errore più grande della sua vita. Elleboro sorrise e una lacrima luccicò sul suo zigomo, come una goccia di rugiada.
Arden si precipitò ad asciugarla, gentilmente, sfiorandole appena la guancia. La sua mano indugiò sul volto della ragazza, rimasta impigliata nella morbidezza della pelle. L’accarezzò con il pollice, lentamente, timoroso che la ragazza l’avrebbe cacciato via in malo modo. 
Poi, inaspettatamente, rispondendo ad un impulso improvviso, l’abbracciò. 
Elleboro sussultò, sorpresa, ma dopo un attimo di esitazione si lasciò avvolgere da quelle braccia possenti e si lasciò cullare dal loro calore. Il forte odore dell’unguento le invase le narici e le pizzicò il naso, ma non accennò ad abbandonare quel caldo e morbido abbraccio.
Il viso contro il suo petto, Elleboro tornò a piangere e a singhiozzare, inondando la camicia di Arden di lacrime. Le parole, in quel momento, sembravano  ad Arden terribilmente fuori luogo e di troppo, così si limitò a cullarla tra le braccia, accarezzandole i capelli, senza sapere cosa altro fare per consolarla. 
Elleboro si strinse ancora di più a lui, artigliando la stoffa della camicia. Era una situazione così paradossale e assurda: essere abbracciata a un Cacciatore, al suo peggior nemico. Quelli come lui avevano ucciso suo padre!
La ragazza ebbe un fremito ed un sussulto, Arden, preoccupato, la allontanò da sé quel tanto che bastava per guardarla negli occhi. Le asciugò gentilmente una lacrima rimasta ancorata alla sua guancia. Non osava fare di più o dire qualcosa: in fondo era stato un Cacciatore ad ucciderlo. Si sorprendeva già di poterla stringere così tranquillamente tra le braccia.
Elleboro lentamente riuscì a calmarsi, anche se il suo respiro era ancora spezzato dai singhiozzi e qualche lacrima ancora sfuggiva dalle ciglia.
Arden avrebbe voluto dire qualcosa, qualsiasi cosa per farla sentire meglio, ma rimase in silenzio.
Ailea, quando passò davanti alla stanza per andare in camera sua li trovò stretti l’uno all’altra, le braccia di Arden che avvolgevano Elleboro in un abbraccio protettivo e la ragazza che dormiva placidamente adagiata sul petto di lui.  




 
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Mi rendo conto della mostruosa quantità di tempo che è intercorsa tra un aggiornamento all'altro, ma purtroppo per mancanza di tempo sono riuscita ad aggiornare solo ora, chiedo venia.
Non sono troppo soddisfatta del capitolo, c'è qualcosa che stona ma non riesco a capire cosa, o forse non c'è niente che non va e le mie sono solo pare mentali inutili.
Non posso promettervi niente, ma sappiate che il capitolo successivo è già in cantiere.
Grazie a tutti quelli che nonostante i tempi lunghissimi continuano a seguirmi e a recensire. Grazie a tutti quelli che mi hanno aggiunto tra le prefertie, le seguite e le ricordate e grazie anche a tutti i lettori silenti :)
Ayr




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