Dunque.
Grazie
mille per l’accoglienza calorosa a “Modalità padre-figlio”. A questo giro torniamo a
concentrarci sui nostri due fanciulli, sul passato e sui…dolci.
Sappiamo
che Sasuke ha un problemino di insofferenza con i dolciumi. Io ho provato a
domandarmi per quale ragione. Naruto, invece, ha deciso di affrontare il
problema di petto.
Una
precisazione, per rispondere alla domanda di Anna Mellory: dopo una lunga ricerca e
dibattendomi tra informazioni contraddittorie, ho chiesto delucidazioni
direttamente a un’esperta del campo e mi è stato assicurato che la
parola è “nukekin”, con la n.
forse vanno bene entrambe le versioni, ma anche su wikipedia
questa è quella accreditata, e nel manga l’ho visto scritto
così di recente, rileggendo vecchi capitoli.
Questa
storia è di nuovo tutta colpa di Ciaraz, che mi ha imposto il titolo e dunque il tema.
Prendetevela con lei, anche se non avete idea di chi sia.
E’
tutto. Buona lettura.
suni
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Si
ricorda che Mikoto lo adorava.
Itachi
era un ragazzino eccezionale, uno shinobi straordinario e una persona con la
testa sulle spalle – tutto questo molto prima di diventare il nukekin, il mostro – ma lui era il piccolino della
famiglia e lei non poteva fare a meno di avere un debole per gli occhioni grandi e il nasetto all’aria del suo
secondogenito.
Sasuke
era quello che le somigliava di più: il taglio degli occhi, la linea del
viso, le pelle così chiara da sembrare quasi bianca e un certo modo
discreto di sorridere con una punta di malizia, anche se a
quell’età non si poteva davvero parlare di vera malizia, quanto
piuttosto di una confusa e inconsapevole intuizione della propria
irresistibilità. Mikoto non poteva fare a meno
di scoppiare a ridere di cuore ogni volta che lui si avvicinava a Itachi con
quella sua aria contrita da consumato attore, gli occhi ancora più larghi
e lucenti del solito, chiedendogli di giocare o di passare del tempo con lui.
Itachi, se non aveva un impegno d’importanza capitale, si rivelava del
tutto incapace di resistere e qualche volta era lei stessa a dover far notare
che il ragazzo doveva studiare. Mikoto supponeva –
qualche volta l’ha detto, ridacchiando - che se soltanto il fratellino
gliel’avesse chiesto con quell’espressione adorante Itachi si
sarebbe tranquillamente buttato anche giù da un ponte. E rideva dei suoi
bellissimi figli.
Non
poteva sapere. Rideva.
Sasuke
ricorda soprattutto la sua risata e la sua smorfia di finta severità,
col mento all’aria e la fronte vagamente corrugata. Di suo padre conserva
la memoria della serietà e della fierezza, sua madre è un sorriso
e il suono cristallino di un ridere allegro.
Qualche
volta, d’inverno, Sasuke rientrava in casa infreddolito, con i capelli
umidi e i piedini gelati: Mikoto gli sorrideva con la
sua tenerezza sconfinata, lo avvolgeva in un suo vecchio kimono caldo e lo
sistemava sulla sedia in cucina. Mentre lei rigovernava e preparava la cena
Sasuke mangiava i soffici biscottini con la cannella e il cioccolato della
madre e sorbiva un tè ai frutti di bosco pestati da lei, in cui Mikoto metteva tanto zucchero per stemperare un po’
il gusto selvatico. Era dolce e forte, proprio come la sua mamma.
Dopo
la sua morte, Sasuke non ha più sopportato nemmeno l’idea di
mangiare dolciumi. Qualcosa dentro gli ha strappato via tutta la dolcezza. Ha
smesso di sorridere come sua madre, di abbracciare come era solito abbracciare
Itachi – affondando la testa contro di lui e socchiudendo gli occhi,
sicuro che niente potesse turbare quei momenti – e gli è rimasta
soltanto l’austerità di Fugaku senza
però la suo medesima calma. Ha cominciato a correre, senza riuscire a
stare fermo, senza saper rallentare e inseguendo qualcosa che nemmeno capiva
realmente. Tutto era brusco e affilato, perché è caduto da molto
in alto frantumando il suo castello di cristallo: i cocci tagliavano e facevano
male come pugnali. Non c’era davvero niente, niente di dolce.
“Non
mi piacciono i dolci,” ha cominciato a dire freddamente, senza che fosse
vero.
Quella
frase è entrata poco alla volta a far parte del personaggio che si
è costruito intorno e che poi, gradatamente e con naturalezza, è
diventato lui. Col tempo, dopo il suo ritorno a Konoha, ha imparato di nuovo a
lasciarsi andare a qualche sporadico gesto di discreta tenerezza con Naruto, ma
quella posizione culinaria è rimasta invariata: la dolcezza non fa per
lui e i dolciumi gli fanno schifo, è la sua affermazione risoluta.
Eppure, quando gli capita o gli è capitato di pensarci, gli risulta
sempre leggermente strano che proprio nessuno si sia mai reso conto che
quand’era piccolo i dolci li mangiava, eccome.
E
infatti non è così.
Cioccolato e cannella
“Cos’è
questa puzza?”
Naruto
si volta con palese indignazione sentendosi rivolgere quella domanda brusca e
secca, incrocia le braccia e raddrizza fieramente la testa.
“Un
pasticcio speziato al cioccolato.”
Sasuke
aggrotta la fronte, lancia la giubba sulla sedia con un gesto stizzito.
“Devi
usare proprio la mia cucina per preparare schifezze?” chiede freddamente,
con una smorfia sprezzante.
Naruto
sgrana gli occhi, fa un passo in avanti con baldanza.
“Guarda
che non è una schifezza, teme!” protesta bilioso. “Ci sto
lavorando da ore e, per tua informazione, è un ricetta speciale
dell’Erosennin! Altamente afrodisiaca, tra
l’altro, anche se la cosa più importante è che è
buonissima,” continua, chinandosi a osservare il suo capolavoro nel
forno.
“Non
sai nemmeno cosa vuol dire afrodisiaco,
dobe,” ribatte Sasuke con spregio,
canzonatorio. “E poi il tuo sennin se lo
sarà inventato.”
“Ehi!”
lo minaccia Naruto, grave e severo, puntando il dito contro di lui. Ha la
fronte aggrottata, nessuna ombra di giocosità sul viso. “Io non mi
permetto certo di venirti a dire qualcosa su Itachi. Vedi di non parlare di
Jiraiya tanto per dar aria alla bocca.”
Sasuke
china lo sguardo con una smorfia che sta tra l’insofferenza e la noia, e
che in cela in realtà la colpevolezza. Poi sbuffa tracotante e scrolla
appena la testa.
“Comunque
quella roba puzza,” sentenzia petulante. “Avrai sbagliato a
prepararla.”
“L’unica
cosa che ho sbagliato è stata non lasciarti marcire sottoterra con
Orochimaru,” ribatte Naruto irritato. “Comunque quando sarà
pronta la assaggiamo e vediamo se ho sbagliato,” conclude con
sufficienza, dandogli le spalle mentre inizia a rassettare la cucina,
accatastando tutti gli attrezzi utilizzati nel lavabo.
“Io
non la assaggio, la tua schifezza,” afferma Sasuke con disgusto.
“Lo sai che i dolci non mi piacciono. E poi ha un odore nauseante. Cosa
ci hai messo dentro, le pillole del soldato di Sakura?” continua
sbuffando, prima di raddrizzare distrattamente la cornice in cui sua madre e
suo padre sorridono ignari.
“Cioccolato
e cannella, più qualche ingredientuccio
segreto,” sogghigna Naruto soddisfatto. “Assaggiala, ci ho messo
più di tre ore,” insiste, sgranando gli occhi azzurri come un gufo.
“Me
ne sbatto,” risponde sdegnosamente Sasuke, storcendo il naso. “Se
c’è una cosa che mi fa veramente schifo è il cioccolato con
la cannella,” precisa malevolo.
Volta
le spalle a Naruto e marcia fuori dalla cucina rapido, la testa alta e
l’andatura bellicosa. Finge d’ignorare l’insulto mormorato a
mezza voce da Naruto e si rintana nella sua stanza, immergendosi nella lettura
di uno spesso tomo che Sakura gli ha passato in mattinata, sotto la luce ben
direzionata della sua lampada da tavolo. L’unico modo che ha per riuscire
a leggere per più di una decina di minuti è far cadere la luce
sulle pagine perfettamente perpendicolare, così da evitare ombreggiature
sulle lettere stampate. Ogni tanto però la vista gli si annebbia
completamente, come per un improvviso strabismo, e si ferma per qualche minuto
a rilassare le cornee.
È
in una di quelle pause forzate che si rende conto del leggero languore che lo
ha assalito. Stiracchiandosi con indolenza stabilisce di fare una tappa in
cucina e non si stupisce di trovarvi ancora Naruto, che da qualche mese ha
preso l’abitudine di stanziare per mezze giornate intere a casa sua
indipendentemente dal fatto che lui lo degni o meno della propria attenzione.
Disgraziatamente Sasuke ha anche perso la benché minima voglia di
dispiacersene, anzi. Scendere le scale e trovare il suo “amato” che
cazzeggia in casa sua, colorato e vivace, è stranamente rilassante.
Naruto
sta affettando il suo dolce, ancora caldo e fumante. Sasuke quasi si sorprende
di quanto forte profumi, arriccia il naso per abitudine e per esibire il
fastidio.
“Sicuro
che non ne vuoi?” lo apostrofa Naruto, sventolando la paletta per
servire.
“Mi
sta venendo da vomitare solo a sentire l’odore,” replica Sasuke
gelido, spalancando l’anta della dispensa. “Ma non c’è
nient’altro da mangiare?” esclama stizzito.
Naruto
si stringe innocentemente nelle spalle.
“E’
casa tua,” commenta con espressione offesa. “Arrangiati.”
“Sono
sicuro che c’era del riso. E delle carote, e…” inizia Sasuke
sussiegoso, frugando in mezzo a qualche resto mezzo muffito.
“Sì,
beh, li avremo finiti,” lo interrompe Naruto, affondando il cucchiaio in
una fetta di pasticcio senza nemmeno toglierla dalla teglia. Se lo porta alle
labbra ed emette un mugolio soddisfatto. “E’ buognisshimo!”
esclama entusiasta, masticando con vigore.
Sasuke
fa una smorfia di puro schifo, lappando come se avesse ingoiato qualcosa di
molto amaro.
“Crepa,”
esclama Naruto noncurante, riprendendo a mangiare. “Digiuna pure,
teme.”
“Piuttosto
che mangiare la tua merda, volentieri,” risponde Sasuke altero.
Questa
volta il sonoro “vaffanculo” di pura
rabbia e il cucchiaio che rimbalza contro la sua nuca mentre si allontana sono
impossibili da ignorare.
Come
la fame, del resto. Col passare dei minuti il suo stomaco comincia a dare
sonori segni di protesta, tanto che alla fin fine chiude il libro con un
sospiro rassegnato. Scende di nuovo al piano di sotto col proposito di uscire a
comprarsi almeno del ramen ed è così che trova la cucina
completamente deserta e silenziosa: Naruto doveva essere davvero offeso se
è andato via senza nemmeno salutare. Ha lasciato tutte le luci accese e
il suo dolce è rimasto in mezzo al tavolo parzialmente mangiato.
Sasuke
lancia discretamente un paio di sguardi intorno, fuori dalla porta, assicurandosi
che non ci sia traccia di Naruto: diamine, poteva almeno evitare di sprecare
elettricità. Poi si avvicina al suo pasticcio, annusandolo nuovamente.
Non
ha affatto un cattivo odore: ha più o meno lo stesso profumo dei
biscotti che faceva sua madre e forse è quello, e non lo schifo, a
fargli chiudere lo stomaco come se stesse per vomitare. Ma è sicuro che,
dopo tanto tempo che non mangia dolci, non gli potrebbe piacere.
Lo
punzecchia con un dito, con l’espressione seria e scientifica che aveva
sempre Kabuto quando tagliuzzava qualcuno di quei
poveri diavoli di prigionieri. Ha una consistenza morbida, sprofonda sotto il
suo polpastrello e un angolo di crema resta attaccato alla sua pelle. Sasuke
guarda quasi stupito il dito bianco su cui contrasta il nero del cacao, poi
è quasi un riflesso condizionato: lo porta alle labbra e lo succhia. Quindi
sgrana gli occhi.
Li
sente bruciare leggermente quando il cioccolato e la cannella esplodono contro
suo palato, inondandogli le papille gustative: lui si sedeva lì, sulla
sedia che c’è accanto alle sue gambe, e Mikoto
stava là, accanto al lavabo, a mettere in infusione il tè.
È
buonissimo, quel dannato pasticcio.
Afferra
il cucchiaio tirando leggermente su di naso, compunto, e lo infila nel dolce.
Dirà al dobe che l’ha buttato via per
causa dell’odore e che se non vuole vedere sprecate le sue cose schifose
ha solo da fare attenzione a dove le lascia. Porta alle labbra un primo boccone
sostanzioso e quando il cacao e le spezie si amalgamano sulla sua lingua si
siede di schianto, afferra la teglia e se la porta verso il petto quasi
infilandoci la testa direttamente dentro come un cane. Si mette a mangiare come
se digiunasse da giorni e fosse stato nutrito a pane e acqua nei sei mesi
precedenti, mugugnando di soddisfazione. Più che servirsi zappa nel
contenitore, staccando brani di pasticcio che sembrano scodelle intere.
“Cosa
cavolo stai facendo, teme?”
Il
braccio di Sasuke si blocca a mezz’aria, la bocca resta spalancata e
l’enorme pezzo di pasticcio molle tremola, in equilibrio precario sul
cucchiaio. Il genio rimane perfettamente immobile in seguito a quella domanda
accusatoria, senza nemmeno osare voltare lo sguardo verso la porta della
stanza, da cui proveniva la voce di Naruto. La situazione è così
palese che qualunque tentativo di negare sarebbe completamente ridicolo e ancor
più umiliante.
“Ho
fame,” biascica controvoglia.
“Credevo
ti facesse schifo il solo odore,” osserva Naruto beffardo. “Da come
stai mangiando si direbbe che tu sia stato tenuto a stecchetto dalla
nascita.”
E
poi lo vede arrossire, e scoppia a ridere.
Gli
va vicino senza smettere di sghignazzare, ammaliato dal baffo di cioccolato che
gli adorna la guancia e da quello più piccolo sul naso. Sasuke ha le
labbra completamente marroni e le mani sporche, come un bambino. La sua
espressione contrita e risentita non fa che confermare l’impressione e
quando si piega a rubare il boccone dal cucchiaio Naruto vorrebbe piuttosto
mangiarsi lui, e si abbandona contro la sua schiena circondandolo in un abbraccio.
“Allora,
teme,” sogghigna trionfale, “come la mettiamo con questa caduta
d’immagine?”
“Idiota,”
bofonchia Sasuke con sommo imbarazzo. “Ma non te n’eri
andato?” esclama ostile.
Naruto
tuffa il viso tra i suoi capelli, ridendo perfidamente.
“Ho
nascosto tutta la roba da mangiare. C’erano davvero del riso, delle
carote e persino qualche porzione di tagliatelle di soia. Ero sicuro che la
fame ti avrebbe fatto capitolare,” rivela soddisfatto, prima di scorrere
le labbra sulla sua guancia lavando via il cioccolato con la punta della
lingua.
Sente
Sasuke irrigidirsi tra le sue braccia, vede la sua espressione farsi truce.
“Mi
stai dicendo che era un trappola?” chiede gelido.
Naruto
annuisce soavemente accomodandosi a cavalcioni sulle sue gambe e prima che
l’improperio che Sasuke ha già negli occhi gli fuoriesca dalle
labbra le lambisce, mordendole piano.
“Buonissimo,”
mormora beato.
Sasuke,
indignato, aggrotta la fronte dopo appena un paio di secondi di intontimento.
“Crederai
mica di intortarmi così, dobe?” ringhia,
irato, mentre Naruto sembra ponderare sul quesito. “Adesso ti
spacco…”
Naruto
affonda un dito nel dolce e poi lo passa sul suo collo, come se niente fosse,
quindi si china a succhiarlo e lecca via, lentamente, il cioccolato. Sasuke si
zittisce all’istante, trattenendo il fiato. Deglutisce pesantemente
piegando involontariamente la testa indietro.
“Io
mi stavo incazzando,” gli ricorda, compreso, mentre Naruto ripete il
gesto dall’altro lato, un po’ più in basso.
“Dopo,”
lo liquida il jinchuuriki sottovoce, annuendo. Si spalma un po’ di
pasticcio sul collo, proprio nell’incavo sotto il pomo di Adamo; Sasuke
si china in avanti e lo assapora, strappandogli un leggerissimo gemito che ha
il duplice effetto di infiammare entrambi. Naruto strattona la propria maglia
per levarsela e Sasuke caccia la mano nella tortiera e poi gliela fa scorrere
sul petto, piega la testa su di lui mentre scivolano verso il pavimento.
Nella
teglia, abbandonata accanto al letto, non c’è più
l’ombra di pasticcio. In compenso ve n’è qualche traccia
sulle lenzuola aggrovigliate intorno alle loro gambe.
I
due shinobi hanno ancora il fiato corto. Sasuke è allungato sul
materasso con espressione assorta, Naruto gli sta rannicchiato contro con un
sorriso compiaciuto. Lanciando un’occhiata a quella sua faccia da
schiaffi il genio sbuffa rumorosamente, rigido.
“Come
mai questa sceneggiata?” chiede brusco.
Naruto
sbuffa pazientemente, tamburellando le dita sul suo torace.
“Perché
ero sicuro che cacciavi balle,” esclama diretto, tamburellando dispettoso
le dita sul suo fianco. “Questa storia dell’odiare i dolci, voglio
dire.”
Sasuke
solleva un sopracciglio, scettico. La sua espressione astiosa cozza con il
leggero movimento ripetuto delle sue dita sul braccio del jinchuuriki, che si
guarda bene dal farlo notare.
“Da
che ci conosciamo ho sempre detto che non mi piacciono,” osserva il
genio, sicuro.
“No,”
ribatte immediatamente Naruto, ricevendo in risposta un’occhiata cinica,
condiscendente.
“No?”
ripete Sasuke sarcastico.
Naruto
ridacchia, sfregando la testa prima nel cuscino e poi contro la spalla di
Sasuke.
“Il
primo giorno all’accademia,” inizia, attirandosi uno sguardo
segretamente attento del genio, “avevi una scatola per la merenda, con
dei biscotti dentro. Cioccolato e cannella, me lo ricordo perché io non
avevo nulla e morivo di fame e i tuoi biscotti avevano un odore
buonissimo,” racconta, sorridendo assorto. “Quando li hai tirati
fuori ne hai annusato uno e hai fatto una faccia veramente contenta.”
Sasuke
fissa silenziosamente il soffitto. Non risponde, riflette intensamente cercando
di ricordarsi quel preciso momento che sembra essere rimasto impresso
così nitidamente nella memoria di Naruto ma che lui non rammenta. Il
viso di Mikoto fa capolino nei suoi pensieri ma lui
lo allontana morbidamente.
“Come
fai a ricordartene?” chiede perplesso, fingendo di trovarlo oltremodo
patetico.
Naruto
accomoda meglio la testa nell’incavo del suo collo. Ha il respiro che sa
ancora di cioccolato e sospira in modo quasi malinconico.
“Non
ti ho mai più visto con quell’espressione estasiata, dopo,”
ammette, schietto e lontanamente triste. “Ieri me ne sono ricordato
quando ho ritrovato quella ricetta in mezzo a dei vecchi appunti di Jiraiya.”
Sasuke
riflette per qualche istante in silenzio. Poi la sua espressione si fa
risoluta, quasi solenne.
“Non
mi piacciono i dolci,” annuncia maestoso.
Naruto
sbuffa, punzecchiando il suo collo.
“Ti
sei appena fatto fuori un chilo di torta,” commenta divertito.
“Tu
prova a dirlo a qualcuno e non vedrai l’alba del tuo ventiduesimo
compleanno,” ringhia Sasuke minaccioso, strappandogli un risolino. Poi si
gira sul fianco con un lieve gemito, affondando il viso nel cuscino. “Sto
per vomitare,” annuncia drammaticamente, biascicando contro la federa.
“Oh,
non ricominciare con…” protesta Naruto, schiaffeggiandogli la
spalla nuda.
“Dico
sul serio,” sbotta Sasuke con voce fievole. “Credo di aver fatto
indigestione. Mi fa male lo stomaco. Non mangerò mai più dolci in
vita mia.”
Naruto
scoppia a ridere di gusto, impietoso.