Slipknotfanfiction1
The negative one in me
At the beginnig
Pensavo che non avrei mai scritto qualcosa su me stessa; mi ero
ripromessa di non comporre mai un'autobiografia e di non tenere mai
qualcosa che assomiglisse a un diario segreto. Perchè?
Perchè la mia vita non è mai stata nulla di interessante.
Ora però, vi chiederete per quale motivo ho deciso
proprio ora di
scrivere questa storia, la mia storia. Vedete, il fatto è che
ormai
sono molto vecchia, la mia memoria và e viene e spesso mi
dimentico
anche di mangiare, se non ci fosse mia nipote che mi chiama tutti i
giorni probabilmente morirei di fame. Mio marito è passato a
miglior vita da ormai
quattro anni, oggi sarebbe stato il nostro anniversario di matrimonio e
mi è sembrato giusto iniziare in questo giorno a scrivere della
nostra
storia, di come l'ho conosciuto e di quanto ci siamo amati. Ma la
verità è che ho paura, ho paura di dimenticare tutto.
Quindi oggi ho deciso di iniziare a scrivere, e per parlarvi del mio
grande amore mi sembra giusto partire dall'inizio ...
Se ripenso alla mia infanzia e alla mia adolescenza riesco solo a
sentirmi una cretina; la mia famiglia era economicamente più che
ben disposta dal momento che mia madre era un
cardiochirurgo in una clinica privata mentre mio padre esercitava la
professione di notaio ed era particolarmente famoso per le sue parcelle
ben poco caritatevoli; ma, come era solito affermare in caso di
contestazioni, si paga per ciò che si vuole e il signor Damiani
era solito eseguire qualsiasi lavoro con meticolosa precisione. Avendo
quindi una certa disponibilità economica la mia famiglia si era
stabilita in una villa storica in
periferia -mia madre preferiva guidare tutti i giorni un'ora per
raggiungere il posto di lavoro piuttosto che abitare in una
città caotica ed inquinata- che avevano restaurato completamente
e fatto diventare un vero e proprio locus amoenus da mostrare con
orgoglio.
Tuttavia mia madre, la signora Silvia Cecchetti, era arrivata
all'età di trentanove anni senza riuscire a realizzare il suo
più grande sogno: avere un figlio, o meglio, una figlia. Non che
l'istinto materno le appartenesse, per carità, semplicemente era
preoccupata che tutto il loro patrimonio andasse perduto alla loro
morte o che, nella peggiore e più infausta delle ipotesi,
finisse nelle mani di quei pezzenti dei suoi fratelli che in
sessant'anni di vita non erano riusciti, sicuramente non si erano
nemmeno impegnati, a ottenere nulla se non un misero stipendio da
impiegati. Ma non disperate: ovviamente la fortuna era stata dalla sua
parte anche in questa occasione e non ci volle molto prima che Silvia
scoprisse di aspettare una bella bambina. Il nome da assegnarle fu,
ovviamente, motivo di stress e discussione per la povera Signora
Cecchetti che si sentiva vessata dai partenti che volevano importle chi
questo chi quel nome. Alla fine il signor Damiani decise che, dal
momento che doveva essere stata concepita in una serena notte d'estate,
l'avrebbero chiamata Luna. E nove mesi dopo tutto ebbe inizio.
Della mia infanzia non c'è molto da dire, e penso sia anche di
scarso interesse, semplicemente mi sentivo completamente estranea a
quella famiglia bene dell'alta borghesia milanese, ma nei primi anni
non potevo fare molto per ribellarmi e mostrare il mio disappunto,
così mi limitavo a trascorrere le giornate in cortile,
giocando con l'altalena di legno che uno dei miei zii nullatenenti mi
aveva costruito pensando che forse quella casa-museo dovesse essere
resa più idonea ad una bambina di cinque anni.
In realtà di questo periodo non ricordo molto, tuttavia qualche giorno fa
ho trovato uno di quei diari che si usava regalarsi ai compleanni, quei
libricini con le pagine possibilmente rosa Schiapparelli e con un
lucchetto talmente facile da aprire che rendeva imbarazzante anche solo
provare a scassinarlo; come detto prima non usavo tenere un diario
segreto poichè lo trovavo inutile, ma su questo quadernino,
sulla prima pagina, ho trovato una promessa scritta, un giuramento che
avevo fatto a me stessa; vedete bisogna innanzi tutto dire che, come
vi sarete ben immaginati dato il ritratto idilliaco della mia famiglia
che vi ho fornito, che i miei genitori non si amavano, e spesso sentivo
mia madre dire che avrebbe dovuto sposare Robert Redford quando ne
aveva avuta l'occasione, per poi dirmi che non l'aveva fatto per motivi
-ovviamente- economici, ovvero il povero attore inerbe non aveva il
becco di un quattrino e quindi era automaticamente diventato un
candidato improponibile -ammesso poi che mia madre l'avesse conosciuto
davvero-. In ogni caso, su quella pagina
avevo scritto le parole più importanti della mia vita, che mi
sarei dimenticata per poi ricordarle nel giorno del mio matrimonio:
"Luna, prometti di sposare l'uomo che ami e non quello più
ricco".
Ma i veri problemi giunsero con l'arrivo dell'adolescenza.
All'età di quattordici anni ero ormai una ragazzina che aveva
quasi del tutto abbandonato il corpo paffutello da bambina per
trasformarsi in una teen ager dai lunghi capelli rame e gli occhi blu
pieni di un'acerba speranza e di una curiosità morbosa per tutto
quello che si trovavano davanti; Avevo iniziato a frequentare il liceo
classico da qualche mese quando la mia compagna di banco, Rachele, mi
aveva fatto ascoltare per la prima volta quella che lei definiva vera
musica: gli Slipknot. Inizialmente, in realtà, mi avevano fatto
piuttosto schifo. Insomma, ero poco più che una bambina e avevo
passato la mia vita a suonare Mozart e Behetoven, tutto quel caos mi
sembrava un'orda disorganizzata di barbari che producevano rumori
casuali. Per non parlare del cantante. Aveva intenzione di fottersi le
corde vocali strillando in quel modo?! Ma questa fase di disgusto
durò ben poco. Infatti, la prima volta che Rachele venne a casa
mia, notai una cosa che avevo trovato spettacolare e fastidiosa al
tempo stesso: mia madre si comportava come se ne fosse intimorita. La
fissava da lontano, con gli occhialetti rotondi abbassati sul naso,
come se non riuscisse a spiegarsi per quale motivo un genitore dovrebbe
perettere alla propria figlia di andarsene in giro con i jeans
strappati, una maglia da ragazzo col disegno della morte e,
soprattutto, tutto quel trucco nero attorno agli occhi. Da quel momento
Rachele divenne la mia fashion stylist e gli Sliknot la mia band
preferita.
Quegli anni trascorsero in fretta, doveva essere il 2003 quando io e
Rachele andammo al nostro primo concerto, ovviamente era la nostra band
preferita, avevamo tenuto da parte mesi di risparmi per poterci
pagare i biglietti, ma ne valse la pena. Da quel momento iniziammo a
fondare una nostra band, lei suonava la chitarra e io il basso, avevamo
provato a scrivere qualcosa che sinceramente non era un granchè
ma solo allora capimmo il valore della musica che ascoltavamo e
riuscimmo a liberarci di quel guscio di ribellione per apprezzare
davvero quello che le nostre canzoni preferite ci strillavano nelle
orecchie. Poco dopo trovammo un batterista e un cantante e dopo qualche mese arrivò il primo ingaggio.
Più mi piaceva quello che stavo diventando, più la nostra
musica prendeva forma più i miei genitori mi odavano. Erano
diventati ormai schivi e mi trattavano come qualcosa da evitare come la
peste senza capire che più si comportavano così,
più la mia voglia di trasgressione cresceva. Era stupido,
infantile e assolutamente incoscente, ma mi faceva stare bene.
All'età di appena diciotto anni la nostra band iniziava ad avere
un discreto successo in Italia, quasi ovunque ci conoscevano e, grazie
soprattutto alla grande abilità vocale del nostro cantante,
avevamo iniziato a raccimolare recensioni positive sui giornali di
musica. Ma non ci bastava, volevamo che la nostra arte arrivasse in
tutta l'Europa, in tutto il mondo. La nostra casa discografica decise
quindi di mettersi in coontatto con quelle che distribuivano musica a
livello planetario ma ricevemmo numerosi rifiuti, finchè, un
giorno di qualche anno dopo, ci arrivò una mail. Il mittente era
la Roadrunner Records e ci stavano chiedendo di fare da gruppo spalla
agli Slipknot per il tour di All Hope is Gone. Era esattamente quello
che volevamo, eravamo arrivati in alto, da soli eravamo riusciti a
conquistarci il nostro successo; ma la casa discografica ci avvertiva,
questo tour poteva essere una lama a doppio taglio: potevamo diventare
famosi, tanto da arrivare ai livelli degli Iron Maiden oppure cadere
nel dimenticatoio, essere solo una delle tante band che avevano aperto
altre band, e non diventare mai nessuno, se non addirittura essere
odiati.
°*°*°*°*°*°*
Premetto che, nonostante la ff sia
scritta in prima persona, la protagonista ovviamente non sono io, non
lo vorrei essere ed è completamente diversa da me.
Gli Slipknot sono una delle mie band preferite e sono la prima su cui
io abbia scritto qualcosa quindi mi sembrava bello dopo anni e anni di
fanfiction (sì ho avuto diversi profili su efp) tornare a
scrivere su di loro. Tutto ciò che produco è ovviamente
pura fantasia ed è qui solo perchè mi mette di buon
umore. Spero quindi che anche voi possiate apprezzare il mio lavoro e
che, se qualcosa vi fa storcere il naso, me lo diciate poichè il
motivo principale per cui scrivo su questo sito è proprio
cercare di migliorare.
Mi scuso in anticipo se non riuscirò ad aggiorare in fretta
poichè lo studio mi rende impossibile anche solo pulirmi il culo
ma cercherò di essere puntale. Grazie a chiunque si voglia
avvicinare a questo delirio programmato.
A kiss from hell,
Persephone.
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