Nella Culla dei
Ricordi… Ritrovo Te
Passi
pesanti.
Passi
rumorosi che si fanno più affrettati.
Corro
via, incurante del rumore che provoco sul pavimento d’ebano con i miei geta
levigati.
Il
fiato viene meno, mentre il pesante kimono elaborato con ricami delicati ed
eleganti impedisce i miei movimenti.
Sento
sempre più lontano il chiacchiericcio della gente, mentre mi allontano in tutta
fretta.
Non
mi devono vedere.
La
musica grave arriva alle mie orecchie come un fastidioso rumore.
Sono
stanco. Devo fermarmi a riprendere fiato.
Sono
un ninja di Konoha, anzi, il migliore. Possibile che
dopo soli quattro corridoi attraversati correndo, io abbia già il fiatone?
Il
mio cuore è in subbuglio.
Varie
sensazioni si agitano dentro di me e un sentimento simile alla paura si è
infiltrato nel mio organismo e mi logora da dentro.
Ma
il Genio della Foglia non può avere paura di nulla.
Nulla
può sopraffarmi.
Poso
una mano sul petto e sospiro.
Fisso
lo stagno del giardino interno, con malinconia. Il rigagnolo d’acqua, che
scorre per le pietre lucide, riflette i raggi violenti del sole estivo.
Il
kimono comincia ad essere davvero soffocante, oltre che ingombrante.
L’aroma
delle mille squisitezze che ci aspettavano per pranzo arriva a stuzzicare il
mio naso. Sento un languorino allo stomaco piuttosto pressante, ma lo ignoro,
mentre ascolto i battiti accelerati del cuore.
Finalmente
sono lontano da quella folla opprimente, da quegli sguardi di disprezzo, da
tutto e da tutti.
Ora
sono solo con i miei pensieri, con le mie paure, il mio sgomento.
Come
tutti gli anni, giunge questo fatidico giorno festoso.
Festoso
per tutti, tranne che per me.
La
primavera è terminata, gli alberi cominciano a produrre i loro frutti e l’aria
si riempie di calore.
Ma
in questo giorno particolare, il Signor Hiashi
organizza ogni anno una cerimonia degna di questo nome. Sono arrivati centinaia
di invitati, qualche ora fa, gente importante e gente insignificante.
Gente
elegantemente vestita è entrata in casa nostra a portare doni, prelibatezze,
auguri di tutto cuore. Persone all’apparenza gentili ed educate, ma
profondamente false, ingannevoli ed approfittatrici.
Il
Signor Hiashi ha preteso che io mi presentassi in
splendida forma, per quel giorno. Ha ordinato appositamente un kimono nuovo per
me e mi ha riempito di direttive e accorgimenti per tutta la giornata, sempre
con quel suo tono freddo e perentorio.
Pare
quasi un controsenso.
Per
quale ragione cercare di farmi fare a tutti i costi una bella figura di fronte
a quelle persone, se sa benissimo che verrò deriso? Deriso per la mia posizione
di infimo livello…
Ma
sono un illuso se penso che la loro regale attenzione si posi su uno sputo
della società come me…
Loro
oggi sono qui per lei.
Oggi
è il giorno a lei dedicato, nulla e nessuno potrebbe catalizzare l’attenzione
su qualcos’altro.
Oggi
è il giorno del diciottesimo compleanno di Madamigella Hinata.
Una
voce possente e imperiosa riecheggia per i corridoi della casa. Chiama il mio
nome.
Deglutisco
a vuoto, pensando che se il Signor Hiashi ora mi trovasse,
potrei passare dei guai seri.
Col
gelo del panico alla bocca dello stomaco, ricomincio a correre, il sudore che
mi scende dalle tempie, un po’ per il caldo e un po’ per l’ansia di non essere
scovato.
Giro
l’angolo, affannosamente.
Non
posso più sopportarlo, questo calore.
Giro
di nuovo per un altro corridoio e mi ritrovo in un’ala della casa da cui sono
passato rarissime volte. Ma forse è meglio così, sarà più difficile per gli
altri sapere che mi sono nascosto qui.
La
voce che chiama il mio nome ora è più lontana.
Tiro
un lungo sospiro, appoggiandomi spasmodicamente al muro.
Improvvisamente
sotto le dita della mano, tocco una maniglia intarsiata. Giro la testa e dietro
di me trovo una porta. È in legno scuro, un po’ rovinato dal tempo. Inspiro il
profumo umido e odoroso che emana, rimanendo incantato dalla scoperta.
In
una casa come la nostra, abbiamo soltanto le porte scorrevoli. Non avrei mai
pensato di trovare una porta a cardini.
La
curiosità sale sempre più veloce e sento che presto mi vincerà.
L’incanto
si spezza quando sento la voce potente che s’avvicina velocemente, seguita da
passi pesanti. Di nuovo l’agitazione s’impossessa di me e tento di entrare
nella stanza misteriosa.
Il
legno però fa resistenza. Probabilmente il tempo e l’umidità l’hanno ispessito
e ora è difficile smuoverlo.
Abbasso
di nuovo la maniglia e faccio forza, ma di nuovo la porta si sposta di poco,
senza permettermi d’entrare.
-Hyuga Neji!-
Quell’ultimo
urlo mi riempie la testa.
Con
una forte spallata, finalmente la porta cede e mi fa cadere all’interno della
stanza con poca grazia.
Mi
rialzo in fretta e furia e mi butto sulla porta, chiudendola con forza.
Rimango
immobile qualche secondo, il fiato corto e il sangue che pulsa nelle vene. Alle
orecchie non mi giunge più alcun suono, ma non lascio ancora la maniglia
decorata.
Quando
il mio cuore placa i suoi battiti furiosi, allento la presa lentamente, fino a
staccarmi del tutto. Fisso la porta ed il suo legno liscio e profumato.
Poi
lo sguardo mi cade sul kimono nuovo. Con un gemito di orrore, mi accorgo che è
completamente sporco di polvere. Gettando un’occhiata sul pavimento, noto
l’impronta perfetta che ho lasciato sulla polvere con la mia caduta di poco fa.
Lancio
un ringhio d’ira, pensando che in questa giornata non mi è ancora successo
qualcosa di buono.
Comincio
così a spazzarmi il kimono con le mani, cercando disperatamente di far andar
via lo sporco.
Il
risultato è a dir poco penoso. Il bel color nocciola del mio abito ormai ha
impronte di grigio un po’ ovunque, senza contare le ragnatele che mi si sono
attaccate alle maniche.
Come
un lampo, mi passa per la mente il pensiero di correre da Madamigella Hinata.
Fino
a qualche anno prima, se qualche vestito mi si scuciva o si sporcava, non
esitavo ad andar da lei a farmelo rammendare o ripulire. Non si era mai tirata
indietro ad una mia richiesta. Con un sorriso gentile, accettava di buon grado
di svolgere un così semplice lavoretto per me.
Era,
alla fine, una patetica scusa per passare un po’ di tempo insieme a lei...
Sospiro,
passandomi una mano fra i capelli. Ma cosa mi è saltato in mente, di punto in
bianco?! È da stupidi lasciarsi sopraffare dai ricordi, momenti che non
torneranno mai più.
Scuoto
ancora un po’ il kimono con le mani e, notando che la situazione non cambia, ci
rinuncio definitivamente.
Non
appena alzo gli occhi sulla stanza, un mondo sconosciuto si apre davanti a me.
La camera ha un odore acre, chiara conseguenza del fatto che per molti anni è
rimasta chiusa, senza che un refolo d’aria sia mai entrato a correre fra i
mobili.
Dando
una veloce scorsa all’arredamento, mi pare a tutti gli effetti una camera da
letto. È povera e un po’ spoglia.
Ma
ha punto un nervo scoperto del mio animo. Questa stanza è intrisa di
malinconia.
Mi
avvicino, assorto, al letto dai pomi d’ottone. Tocco la coperta grigia,
compostamente sistemata, e uno strato impressionante di polvere mi rimane sul
palmo. Senza preoccuparmene, sollevo la coperta polverosa, che rivela delle
lenzuola splendidamente candide.
Sorrido,
guardando quella purezza. Di nuovo l’immagine di Hinata
torna ad invadere i miei pensieri, ma cerco di sopprimerla scuotendo forte la
testa.
Perché
oggi non riesco a non pensare a lei? Forse perché oggi è il suo compleanno ed
io, come un vigliacco, sono scappato a gambe levate dalla cerimonia,
nascondendomi in questa misteriosa camera da letto.
Sì,
è certamente per quello.
Risistemo
la coperta pesante, alzando una nuvola di polvere, e ricomincio a guardarmi
intorno.
Anche
se la stanza è spaziosa, i mobili sono pochi e un po’ logorati. Non sono
affatto in buono stato e nella casa è matematicamente impossibile trovare
arredamento di scarsa qualità.
Il
Signor Hiashi si occupa personalmente della cura
dell’abitazione. Non vi dev’essere un singolo strato di polvere su ogni
suppellettile.
È
talmente strano che questa camera sia rimasta così incustodita. È davvero troppo strano.
Mi
rialzo e mi dirigo verso una finestrella, dal lato opposto alla porta.
Il
vetro sporco ed opaco non riflette alcun soggetto. Abbasso lo spioncino e
faccio forza.
Ancora
una volta quel legno umido fa attrito. Tiro più forte e finalmente la
finestrella si spalanca.
Do
un’occhiata furtiva all’esterno e scorgo del verde.
Dopo
aver studiato un poco l’ambiente, riconosco il giardino interno della nostra
casa.
Rimango
a guardarlo ancora un po’. C’è un tale silenzio.
Spesso
quel giardinetto viene usato dal Signor Hiashi quando
vuole allenarmi personalmente. Tempo addietro però, lo utilizzavamo anche io e
Madamigella Hinata, quando potevamo svagarci.
Il
nostro piccolo rifugio…
D’improvviso,
mi pare di scorgere una fugace figura dai lunghi capelli mori, correre per il
prato.
Stupito,
chiudo la finestrella sbattendola malamente.
“Questo
è davvero troppo” penso, adirato con me stesso.
Quest’oggi
è una giornata fin troppo bizzarra.
La
scoperta di questa camera così particolare, io che mi lascio prendere dai
ricordi come un moccioso… Ormai ho diciannove anni, sono stufo dei
sentimentalismi.
In
fin dei conti, non servono a diventare forti.
Decido
però di rimanere lì dentro ancora un po’. Forse l’idea di tornare alla festa mi
spaventa più di quel che credevo.
Aspetterò
fino a quando tutti gli invitati se ne saranno andati e poi andrò incontro al
mio destino. La strigliata di Hiashi non sarà poi
così dura da digerire.
Le
sue parole taglienti ormai non hanno più effetto su di me.
Gli
unici mobili della stanza sono un armadio ad un’unica anta e un piccolo
comodino, proprio a fianco del letto.
So
di invadere probabilmente la privacy di qualcuno, ma non ho nulla da fare per
le restanti quattro ore e sono certo di non poter trovare alcunché dentro a
quei vecchi mobili.
L’armadio
si apre con facilità, sotto la mia pressione. Non è nemmeno chiuso a chiave,
constato, notando la serratura posta sopra l’anta.
Mi
guardo intorno, ma della chiave nemmeno l’ombra.
Scrollando
le spalle, apro lo sportello e sotto i miei occhi si staglia…
il nulla più assoluto.
Sospiro,
sentendo la curiosità scivolare via pian piano dal mio corpo.
Con
gli occhi percorro l’antro vuoto e profumato. Un piccolo ragno, spaventato
dalla luce improvvisa, scappa velocemente via. Ma nient’altro di particolare
attira la mia attenzione.
Sotto
all’anta vi è un secondo sportello, decisamente più stretto.
Incrociando
le dita e sperando fermamente che dentro ci sia qualcosa che possa permettermi
di scovare, ad esempio, l’identità del proprietario della stanza, apro la
porticina.
Finalmente
sotto i miei occhi appare qualche vecchio oggetto.
Con
l’indice e il pollice, raccolgo una grossa chiave arrugginita.
Mi
domando subito se potrebbe essere la chiave dell’armadio, così mi alzo e la
infilo nella serratura dell’anta.
Ci
entra perfettamente. Così faccio pressione a sinistra e, con un suono
meccanico, l’armadio si chiude. Sorrido, pensando di aver svelato almeno uno
dei mille segreti di quella stanza.
Lascio
la chiave nella serratura e torno al mio piccolo cassetto.
Dentro
vi sono ancora dei fogli ripiegati, un bottone ed un coprifronte.
Ovviamente
della Foglia.
Lasciando
perdere il bottone, afferro i fogli piegati. A giudicare dal simbolo sul coprifronte, forse il proprietario di quella stanza era un
abitante di Konoha. Ma potrebbe anche non appartenere
ad egli.
“Così
tornerei al punto di partenza” penso, aprendo piano i fogli.
Un
anomalo batticuore agita il mio animo, mentre fisso quella calligrafia modesta
e frettolosa. Vi sono inoltre degli schizzi di corpi umani in movimento o del
sistema circolatorio.
Leggo
con gli occhi quegli appunti precisi ed accurati.
Dopo
le prime righe, ho già riconosciuto il tema principale di quegli scritti.
Sono
tutte tecniche.
Tecniche
fondamentali per il clan Hyuga.
Vi
è spiegata l’arte del Juken, il flusso del chakra che
si può scorgere con l’abilità innata del Byakugan e
molto altro ancora.
Nell’ultima
pagina di appunti, infine, vi è riportata la Tecnica delle 128 Chiusure. Rimango
a bocca spalancata, nel vedere riportato fedelmente ogni minimo dettaglio, ogni
singolo passaggio.
“Questa
persona… doveva essere stata un membro molto influente della nostra casata…”
rifletto, scorrendo ancora una volta con gli occhi tutti gli appunti.
Sono
stati riportati con precisione assoluta.
Ripiego
i fogli lentamente, senza riuscire a cacciare quell’agitazione che mi si muove
dentro.
Invece
che riporli nuovamente nel cassetto, me li infilo dentro al kimono, con fare
furtivo, come se qualcuno potesse vedermi. Sarebbe un grandissimo spreco farli
rimanere lì dentro a marcire col tempo. Inoltre sento il bisogno di studiarli
meglio, magari per applicare in seguito questi utili suggerimenti.
Mi
chino ancora una volta e sbircio dentro al cassettino.
A
parte il bottone ed il coprifronte, ora non c’è più
nient’altro dentro. Così lo chiudo, perso l’interesse per quella parte della
stanza.
Mi
volgo così all’ultimo mobiletto che mi aspetta.
Quel
piccolo comodino sembra avere qualcosa di familiare. Ma più lo guardo e più
sembra che mi sfugga il nesso.
Mi
avvicino ad esso e mi inginocchio, come fossi conscio che conterrà una moltitudine
di segreti da analizzare e impiegherò parecchio tempo.
Ignorando
il fatto che il mio kimono si sta completamente ricoprendo di polvere, rimando
a dopo il timore per la predica del Signor Hiashi.
Il
comodino è l’unico oggetto che pare in buono stato, in quella camera. La
superficie levigata è decorata dai nodi che percorrono il legno.
Ha
tre cassetti, con un piccolo pomello per aprirli.
Faccio
un gran respiro e parto dall’ultimo. Si apre con facilità ed è molto leggero.
Infatti, quando lo scorro del tutto, si rivela essere totalmente vuoto. Sospiro,
desolato, capendo di aver sperato troppo presto.
Eppure
quella sensazione non lascia ancora il mio corpo. Sento che c’è ancora un
mistero importante che dev’essere svelato.
Apro
così il secondo cassetto, quello in mezzo. È un po’ più pesante del primo e il
mio cuore accelera il suo battito.
Una
piccola risma di fogli troneggia al centro, un po’ disordinata.
Mille
colori appaiono a sprazzi sopra essi, mentre qualche matita e pastello rotola
per il cassetto appena aperto. Li prendo con cura, anche se non sono affatto
rovinati dal tempo, probabilmente perché sono abbastanza recenti.
Mi
sistemo meglio per terra, senza togliere gli occhi da quei colori sfavillanti.
Sbatto per un po’ le palpebre, quando mi rendo conto di cosa c’è sopra.
Sono
disegni. Sono tutti disegni coloratissimi e molto elementari, tutti sicuramente
provenienti dalle mani di un bambino.
Guardo
il primo, dove troneggia un omino in una camera, mentre gioca con pezzi di
legno. Con fretta, butto il foglio per terra e guardo il secondo.
L’omino
tiene un kunai in mano e si allena con un altro omino
più alto, molto simile a lui.
Il
cuore mi si stringe in una morsa d’acciaio.
Butto
l’altro foglio e guardo il terzo, col fiato corto. L’omino ora è circondato di
persone. Ce ne sono due piccole e due grandi, tutti che sembrano trasmettergli
affetto.
Con
un gemito, lascio cadere i restanti disegni, che si spargono per tutto il
pavimento.
-Non
può essere! No, no, no!- dico, tenendomi con la mano
la fronte aperta, senza coprifronte, per presentarmi
degnamente alla festa.
E
per essere deriso per quello stramaledettissimo marchio.
Ora
però devo calmarmi. Non è da me lasciarmi andare allo sconforto in questa
maniera. Faccio due o tre profondi respiri e poi torno a raccogliere
confusamente i fogli, con quel pesantissimo nodo in gola che mi blocca il
respiro.
Do
un’occhiata ai restanti disegni, ma il soggetto si ripete sempre, nelle azioni
di vita quotidiane. L’ultima pagina è più stropicciata delle altre…
Il
soggetto è sempre il medesimo omino, solo con l’altro omino adulto.
Ma
entrambi hanno qualcosa di diverso. Entrambi hanno la fronte priva di alcuna
copertura e mostrano, tristemente, il segno della maledizione.
Stringo
i denti, cercando di resistere dal mettermi a urlare, mentre quella vecchia
ferita torna ad aprirsi, a sanguinare.
Metto
i fogli da un lato, chiudo violentemente il secondo cassetto e, con altrettanta
foga, apro l’ultimo.
Quando
si apre, non senza aver fatto un po’ di resistenza, la forza di trazione fa
scivolare in avanti qualche piccolo foglietto.
Appena
mi rendo conto che sono fotografie, chiudo di scatto il cassetto e mi alzo in
piedi.
A
grandi passi mi dirigo verso la porta e afferro la maniglia con decisione. La
mia mano esita e continua a tremare, senza avere la forza di abbassarla e
permettermi di uscire da quella stanza così soffocante.
Un
mare di sensazioni si accavallano dentro al mio corpo, veloci come fulmini,
senza lasciarmi un attimo di respiro.
Ho
svelato il segreto. Ormai il proprietario di quella stanza non è più un
mistero. Eppure… in questo momento desidererei così tanto non averlo scoperto!
Rimango
qualche secondo, che mi pare interminabile, nell’indecisione più totale. Nella
mia testa continua a ruotare l’idea che la festa e la sgridata del Signor Hiashi ora sarebbero molto più piacevoli del rimanere in
questa prigione. Ma ora che il Destino mi ha portato qui, non posso voltargli
le spalle in questa maniera.
Questa
non è una camera qualunque. Qui ho passato la mia infanzia ed è stata l’unica
scintilla di gioia nella mia vita maledetta.
Non
posso rinnegare un posto simile.
Non la stanza
di mio padre.
A
passi lenti ed estenuanti ritorno alla mia precedente postazione.
I
disegni di quando ero bambino sono ancora sparsi per terra ed il cassetto
contenente le fotografie sembra mi stia chiamando.
Guardo
i fogli colorati con disprezzo, respingendo la gioia ed il candore che emanano
tutti… tranne l’ultimo. L’unico, vero ritratto del mio Destino. L’unico che
riesce a trasmettermi quel dolore violento e vivo, che sarò destinato a provare
per l’eternità.
Faccio
scorrere il primo cassetto, che prima avevo sbattuto malamente, con mano
tremante. Le foto sono lì, con quei volti che mi sorridono, maligni.
Le
prendo in mano e fisso lo sguardo sulla prima.
Il
volto arrogante del Signor Hiashi mi rivolge un
sorriso di superiorità.
“Riesce
a farmi sentire un verme anche in foto…” penso, l’odio che arriva alle mani e
la crescente voglia di strappare quella diapositiva in mille pezzi che avanza
inesorabile.
Ma
non mi muovo, se non per farla scorrere sotto alle altre.
La
seconda provoca in me una sensazione così forte, che pare travolgermi come
un’onda in tempesta.
Quel
viso si specchia perfettamente nel volto della foto precedente.
Sembra
di vedere la medesima persona, solo in un’ambientazione diversa.
Ma
ciò che differisce fra le due diapositive è l’espressione del viso.
Il
primo uomo ha un sorriso beffardo, superbo ed arrogante. Il secondo ha nel viso
un velo di malinconia. Il suo sguardo rassegnato si nasconde dietro alla
fierezza e alla tenacia che dimostra in superficie.
Mi
mordo forte il labbro inferiore, fino a farlo sanguinare. Ma ciò è necessario
per non farmi prendere dalle emozioni, dalla nostalgia che quella foto mi
provoca.
Senza
il coraggio di abbandonare la fotografia, me la metto in grembo, passando
all’ultima.
Su
questa vi sono immortalate quattro persone. I due gemelli e i loro figli.
Sgrano
gli occhi quando mi riconosco, all’età di circa quattro anni.
La
mia fronte aperta e pulita risalta maledettamente tanto. Inoltre, il mio
sorriso sincero sembra scaldare l’animo di mio padre, che mi guarda con
tenerezza, posandomi una mano sulla spalla.
Gli
occhi di Hiashi, invece, sono freddi come ora, nel
portare davanti a sé la figlia, un’Hinata di tre
anni, come sempre schiva e restia alle foto.
Hanabi probabilmente non era ancora nata,
il giorno in cui fu scattata quella diapositiva.
Nel
guardare quel quadretto familiare, il cuore mi si stringe in una morsa. C’è
così tanta falsità. Così tanto odio traspare dai due adulti.
Mentre
io, ancora fragile e sereno, aspettavo che si compisse il mio Destino. Maledetto, come tutta la casata cadetta.
Sorrido,
guardando i membri di quella principale con scherno.
Bugiardi.
Falsi e corrotti. Mi hanno sempre schernito alle spalle, si sono burlati della
mia infima posizione.
Ma
i tempi ora sono cambiati. Io sono cambiato. Ora ho superato di molto il
livello dei semplici cadetti, grazie al mio impegno e alla vendetta che si
nutriva del mio corpo.
Con
le dita, percorro la mia fronte da lato a lato.
Ora
mio padre non c’è più. Ciò che mi rimane sono soltanto queste vecchie
fotografie ed una grande solitudine interiore. Mi ha lasciato solo in questa
casa dove non sono benaccetto, dove i suoi membri desidererebbero eliminarmi
dalla società, dove non ha più senso continuare a vivere, oppresso dal loro
senso di superiorità e dai ricordi dolorosi.
La
soluzione sarebbe scappare. Ma scappare significherebbe mancare ai doveri di un
cadetto come me, di un semplice schiavo in questa ingiusta gerarchia.
Con
le unghie ripercorro il segno maledetto.
Scappare
significherebbe essere fermato e riportato indietro, ovunque io mi trovi,
ovunque io mi nasconda. Ciò significherebbe una punizione esemplare, degna di
far sentire potente colui che detiene la mia vita nel proprio palmo.
Non
posso scappare. Ma non posso nemmeno continuare a vivere in questo modo. Quale
potrebbe essere la mia ragione di vita, d’ora in poi?
Mentre
penso a tutto ciò, non mi accorgo che calde gocce salate piovono dai miei
occhi, cadendo sopra alle immagini scolorite della famiglia Hyuga.
Un singhiozzo scuote il mio corpo, facendolo vibrare forte.
Mi
ero ripromesso di non lasciarmi andare ai sentimentalismi.
Mi
mordo forte il labbro sulla ferita e il dolore mi annebbia i sensi,
permettendomi di non pensare a nient’altro.
Quando
la porta della stanza si apre lentamente, la sorpresa prende il sopravvento e
non posso fare altro che trattenere il fiato d’un colpo.
Con
un cigolio, l’uscio si ferma ed io, con un gesto d’ansia, volto di scatto la
testa nuovamente verso il cassetto ancora aperto di fronte a me.
Il
rumore dei geta entra nella camera e si ferma. Sono passi così leggeri e
delicati che si fa fatica ad udirne il suono.
Il
silenzio mi riempie la testa, nel frattempo il panico si acquieta e lascia il
posto alla curiosità di scovare il proprietario di quei passi aggraziati.
Finalmente
prendo coraggio e mi giro lentamente verso la porta.
Ancora
con la maniglia sotto le dita affusolate, Madamigella Hinata
si guarda attorno, meravigliata di aver scoperto quella camera così misteriosa.
Io,
sbigottito dallo stupore e dal conforto, sbatto più volte le palpebre per
scacciare quella fastidiosa nebbia di lacrime che mi appanna la vista.
Per
l’occasione, lei indossa un lungo kimono scuro come la notte, adorno di fiori
pallidi color della luna, dai grossi petali.
I
lunghi capelli corvini le cadono delicati sulle spalle, mentre due ciocche sono
state intrecciate e fermate dietro alla nuca da un austero fermaglio, che
accentua ancor di più il contrasto col suo viso puro e perfetto.
Gli
occhi dalle lunghe ciglia sono accesi di stupore e curiosità, mentre l’avorio
delle sue pupille perlustra l’antro da cima a fondo.
Le
sue labbra di rosa sono appena schiuse, quasi volessero far uscire un sussurro
di sorpresa, ma non rivelano alcun suono, custodendolo gelosamente.
Il
piccolo capo si gira verso di me in maniera lenta, senza ancora accorgersi
della mia presenza. Ma non appena il suo sguardo incontra il mio, l’esile corpo
le si scuote in un tremito di spavento.
Rimane
qualche secondo inebetita, coi grandi occhi sgranati per lo stupore di trovarmi
lì, sempre sulla soglia della camera.
Io
contraccambio l’espressione meravigliata, senza sbattere le ciglia nemmeno per
un attimo, mentre, segretamente, la studio minuziosamente e ammiro la sua
semplice bellezza.
Finalmente
lei pare risvegliarsi e cerca inutilmente di ricomporsi.
-Oh…
Neji-kun… sei qui. Ti… ti ho cercato, fuori, ehm…-
L’incantesimo
di armonia che prima la circondava pare cadere in frantumi, lasciando il posto
al timore e all’insicurezza che la caratterizzano.
Ora
pare un’altra persona.
Ora
è solamente una snervante ragazzina che si agita senza motivo e senza riuscire
a creare una frase di senso compiuto, evitando pause inutili.
Sbuffo
e mi alzo dalla mia posizione rannicchiata.
Assumo
nuovamente quella maschera di odio e sicurezza che ho indossato per anni e ciò
mette ancora più in crisi la ragazza.
Hinata prende una ciocca dai capelli lisci
e la comincia a rigirare fra le dita lunghe e bianche, facendo guizzare lo
sguardo da una parte all’altra della camera.
-Non
pensavo di… di trovarti qui. Alla festa ti aspettano tutti…- balbetta, con un
filo di voce, apposta per non innervosirmi.
Ma
il semplice ricordo della cerimonia che mi aspetta fuori di qui mi mette già
una grande irritazione in corpo.
-Speravo
di non essere scoperto, a dire la verità- ammetto, senza abbandonare quell’aria
di superiorità che solo il Signor Hiashi avrebbe
potuto insegnarmi.
All’improvviso
lei si accorge di qualcosa. Quando prende il coraggio a due mani ed alza gli
occhi sui miei, rimane a fissarmi con meraviglia.
Ciò
non può far altro che farmi arrabbiare ancora di più.
-Che
c’è ora?- chiedo bruscamente, scrollando le spalle.
Lei
apre la bocca senza far uscire parole, ma si porta una mano vicino al viso. Poi
finalmente parla:
-Neji-kun… stavi piangendo.-
Come
se avessi appena ricevuto un pugno in pieno viso, perdo l’equilibrio ed
indietreggio di un passo. Velocemente mi pulisco le lacrime restanti con la
manica del kimono, peggiorando ancor di più la situazione e sporcandomi completamente
il volto di polvere.
-Non…
Non è affatto come credete!- esclamo, stupidamente.
Lei
in un attimo perde quel suo tentennare nervoso e mi si avvicina con
un’espressione dolce. Ma l’ultima cosa di cui ho bisogno è la compassione degli
altri.
Soprattutto
di un membro della casata principale.
Cerco
di scansarmi da lei, ma Hinata non demorde e continua
ad avanzare.
-Smettetela
di guardarmi in quel modo. Vi ho detto che non stavo piangendo, mi è soltanto
andato qualche granello di polvere negli occhi e li ha fatti lacrimare.-
Arrivata
a pochi centimetri da me, i polmoni mi si riempiono del suo aroma dolce e
delicato. Inspiro una seconda volta quella fragranza inebriante, mentre sento
che la mia maschera di impassibilità si sta completamente sgretolando sotto il
suo sguardo luminoso.
Le
gote cominciano a bruciare, nel momento in cui le sue dita vellutate e fresche
si posano sul mio volto.
-Sei
pieno di polvere- constata a bassa voce, -ed anche il tuo kimono è tutto impolverato.-
Io
distolgo lo sguardo con fatica e lo dirigo in un’altra direzione.
-Non
è difficile, questa camera ne è piena.-
Lei
ritira la mano e sento già la mancanza del suo tocco delicato sul mio viso. Poi
abbassa lo sguardo a terra.
Ora
la sua espressione ha lasciato il posto ad una sincera malinconia.
-Neji-kun… posso sapere il motivo per cui sei scappato dalla
festa?-
Serro
i denti, pensando che dare spiegazioni per ciò che ho fatto sarebbe alquanto
fastidioso, oltre che il minimo che possa fare per lei.
-Non
sono affari che vi riguardano.-
Le
mie parole fredde la feriscono.
Alza
nuovamente gli occhi ed il suo sguardo pieno di delusione colpisce un nervo
scoperto del mio cuore. Ma soltanto perché fa un po’ gli occhi dolci, non
significa che mi farò intenerire da lei.
Abbasso
gli occhi sulle sue mani. Tremano un po’ quando se le porta al petto.
-Hai
ragione, scusa…- soffia, prima di voltarmi le spalle e dirigersi verso la
porta, mestamente.
La
guardo allontanarsi con un viso alquanto buio ed impenetrabile.
Non
mi tocca d’averla ferita e delusa. Non mi importa del fatto che, uscita di qui,
vada a sfogare il suo dolore nella sua stanza oppure che vada a raccontare al
padre cos’è successo qui dentro.
Non
mi importa di lei. Punto.
Mentre
cerco di convincermi disperatamente di tutto ciò, non mi accorgo che il suo
sguardo è caduto sopra a ciò che è ancora sparso sul pavimento.
Lo
noto unicamente quando, con un’espressione di stupore, si china a guardare
meglio i disegni e le fotografie.
Una
fitta di panico gelido mi attraversa la schiena.
Con
uno scatto felino, mi lancio sui fogli per terra e li proteggo col mio corpo,
in un gesto di possessione.
-Non
toccarli!- le grido, con un ringhio.
Hinata, presa alla sprovvista, si ritrae
d’improvviso, terrorizzata dalla mia reazione.
Anch’io
mi ritraggo, spaventato dalle mie parole e dal mio comportamento innaturale.
Così cerco di correggermi, mentre mi passo stancamente una mano fra i capelli.
-Perdonatemi…
Ma ciò che è qui per terra non è cosa che vi riguarda.-
Quando alzo il viso sul suo, la mia
maschera d’impassibilità cede definitivamente e lascia il posto ad
un’espressione afflitta.
L’ho
sconvolta. L’ho scossa terribilmente e ora rimane immobile a fissarmi con i
suoi occhi enormi ed espressivi.
È
sempre stata un libro aperto per me. Non è mai riuscita a nascondermi nulla. Con
me ciò che pensava si è sempre rivelato senza fatica.
Bastava
tuffarsi nel candore dei suoi occhi così simili ai miei, per scoprire in lei
paure, segreti, verità.
Ma
ora, ciò che i miei occhi riescono a vedere, anche senza l’aiuto della mia
abilità innata, è spiacevolmente acre.
Ma
so anche che, dentro a quella corazza di vetro che si è costruita per anni,
arde un coraggio senza eguali. E me lo dimostra ancora una volta.
-Erano
fotografie… Io… Mi pare di avere visto le nostre foto…- balbetta, tenendo lo
sguardo fisso sul mio, senza vacillazioni.
Serro
la mascella e poi raccolgo frettolosamente le carte, ammucchiandole e
sistemandole dentro ai cassetti, senza rispettare l’ordine in cui le ho
trovate.
-Credo
di essermi già spiegato…-
-Neji-kun, ti prego…-
I
suoi occhi luccicano immensamente. Un velo di lacrime le impedisce di tenere
fisso lo sguardo e sbatte più volte le palpebre.
Anche
la voce ormai è un tremolio continuo.
-Non
nasconderti più… ti prego… come posso aiutarti se non mi spieghi mai cosa ti
affligge…?-
-Credete
che io abbia bisogno del vostro aiuto? Beh, vi sbagliate di grosso! Non verrò
di certo a dire a voi ciò che mi riguarda.-
Lei
fa uno sforzo tremendo per ritrovare la sicurezza. Stringe le labbra e i pugni
al petto, prima di asciugarsi in fretta le lacrime.
-Ciò
che riguarda te, riguarda anche me…-
Poi
aggiunge, con voce così bassa che mi tendo un po’ per sentire:
-Voglio
sapere che cosa ti succede, Neji-kun… Ci tengo
molto…-
Infine,
abbassa gli occhi a terra e mormora:
-Una
volta non ti chiudevi in te stesso con me…-
-Una
volta era diverso, Madamigella Hinata!- grido, fuori di me dall’ira.
Lei
sobbalza e chiude gli occhi per non guardare la mia furia.
Ne
ho davvero abbastanza. Vorrei tanto farla uscire da questa camera a forza, ma
solo il pensiero di toccarla mi mette addosso una sensazione di malessere.
E
questo bisogno impellente di sfogarmi, di rivelarle il mio dolore è così
pressante da mozzarmi il fiato. Le giro le spalle e fisso le travi in legno.
-Erano
le foto di famiglia… Erano le fotografie che conservava mio padre gelosamente.-
Posso
sentire chiaramente il respiro di Hinata farsi più
veloce.
-Quindi…
questa è…-
-Sì.
È la camera di Hizashi.-
Il
silenzio riempie l’aria pesante della camera, mentre solo i nostri respiri
possono essere vagamente uditi.
Mille
dubbi si affacciano alla mia mente, pensando se sia stato un bene rivelarle il
segreto di questa stanza. Ma Hinata non è una persona
scorretta, so che di lei posso fidarmi.
-Mi-mi
dispiace… Scommetto che… che è stato un duro colpo per te.-
-Lo
è stato. Ma mi sento appagato da questa scoperta.-
Di
nuovo qualche attimo di silenzio.
-Gli
altri… erano…-
-Disegni.
Disegni della mia infanzia. Mio padre li ha conservati tutti.-
Il
ricordo dell’ultima rappresentazione mi rivolta lo stomaco.
-Sono…
ricordi molto importanti…-
-Già,
per me lo sono. Ma chi può dire che il Signor Hiashi
non decida di distruggerli, una volta ritrovati…-
Posso
sentire il movimento brusco dei suoi geta sul pavimento di legno, mentre si
sporge verso di me.
-Sono…
sono sicura che mio padre non lo farebbe mai!-
Mi
giro a guardarla. In confronto con quel kimono scuro, il viso pallido e le gote
arrossate per lo sforzo di parlarmi spiccano ancora di più.
È
così rassomigliante al Signor Hiashi, con quell’espressione
corrucciata in viso. Ed io provo un odio incontrastato per quell’uomo.
Perché
è l’uomo che osa portare lo stesso volto di mio padre.
Hinata perde la sua poca sicurezza e torna
ad essere docile e fragile, non appena si accorge che i miei occhi la scrutano.
Adoro
farla sentire a disagio, mentre col solo potere di uno sguardo riesco a farle
perdere la ragione.
Ora
non riesce più a reggere la situazione e abbassa il capo, cercando di evitare
di guardarmi.
-Non
posso fidarmi ciecamente di voi e lo sapete. La casata principale mi ha causato
soltanto dolori fino ad adesso.-
So
ciò che sta pensando. Lo posso leggere meravigliosamente bene.
Sta
pensando all’infanzia, ai giorni felici trascorsi nella beata ignoranza della
fanciullezza. Pensa che questo sia ancora possibile recuperarlo.
Ma
non capisce che è un’assurdità. Quei giorni non torneranno mai più.
-Tu…
non fai altro che darci la colpa… Ma sei sicuro che tutta la tua sofferenza…
sia stata solo causa nostra?-
Le
sue parole mi fanno rimanere basito.
Rimango
qualche secondo in silenzio, cercando di captare l’eco della sua voce.
Spero
seriamente di aver sentito male.
-Credo
di non avervi inteso bene.-
Hinata tiene sempre gli occhi bassi, per
non cedere ancora una volta sotto il mio sguardo.
-Ho
solamente detto che non credo… sia tutta colpa nostra.-
Sul
mio viso si allarga un sorriso. Un sorriso crudele.
Ha
superato ogni limite con questo.
Non
doveva farmelo. Non doveva dirlo!
Mi
avvicino con passo lento e pesante, senza toglierle gli occhi di dosso.
-Quindi…
voi credete che la colpa sia mia, in sostanza.-
Lei
alza gli occhi, allarmata.
-No,
non intendevo…-
Ma
le parole le muoiono in gola, nel momento in cui vede il mio volto.
Sento
il sangue ribollire nelle vene.
-Voi
credete che tutte le sofferenze che ho passato siano state solo frutto di un
mio capriccio.-
Posso
leggere il terrore puro nei suoi occhi. Indietreggia lentamente, cercando con
gli occhi una via di fuga.
Non
ha scampo, non potrà mai sfuggirmi.
Deglutendo
a vuoto, tenta comunque di parlare, ma le esce una frase stridula e spezzata
che suona come un:
-Non
è vero…-
Ormai
ha le spalle al muro. È sotto il mio controllo.
-Voi
credete che sia mia la colpa per la morte di mio padre!-
grido, la frustrazione che si libera dei freni che le avevo imposto.
Hinata chiude gli occhi e si porta le mani
al petto.
Una
lacrima le riga una guancia.
-Non
ho mai detto questo!- urla, la voce rotta dal pianto.
Con
un sopracciglio alzato, la fisso scetticamente.
-Allora
cosa volevate comunicarmi con le vostre parole?-
Lei
si copre il viso con le mani, scuotendo la testa.
-Non
è colpa tua per tutto ciò che è successo, Neji-kun!
Ma io… io sono convinta che se ci avessi raccontato il tuo dolore, noi ti
avremmo compreso… Ma tu non hai mai parlato a nessuno del tuo risentimento… Tu…
hai deciso di ignorarmi, da quel giorno… hai deciso di chiuderti nel tuo dolore,
lasciandomi fuori…-
Sembra
sinceramente dispiaciuta.
Pare
quasi che… ci tenga davvero a vedermi felice.
-E
voi siete certa che mi avreste veramente compreso?-
Hinata abbassa le mani, sempre guardando a
terra.
-Io…
io ci avrei provato. Mi sarei sforzata di riuscire a comprenderti. Ma so… che
ti avrei ascoltato senza giudicarti…-
Perché
appare ora così sincera, ai miei occhi?
Forse
mi sta solo influenzando e sta riuscendo nel suo intento.
Ho
vissuto troppo tempo nell’inganno.
-Voi
non potete volere la mia felicità… Siete di un rango molto superiore al mio.
Perché vi dovreste interessare a ciò che mi affligge?-
-Invece
è così… Neji-kun. A me non importano le differenze di
rango che ci separano…- mormora, la voce tremante e flebile.
Un
nuovo moto d’ira mi sale su per il corpo.
Sbatto
i pugni sul muro a qualche centimetro dalle sue orecchie, sbarrandole così
anche ogni possibilità di fuga, con le mie braccia.
Lei,
per la paura, chiude gli occhi e si appiattisce contro la parete.
-Non
mentite! A voi non è mai importato di me, come a vostro padre!-
Lei
apre piano gli occhi e li dirige adagio verso i miei.
Ricolmi
di lacrime, mi rivolgono uno sguardo sincero che non può essere più frainteso.
Non c’è menzogna nel suo cuore. Non c’è mai stata.
Tenta
di sussurrare qualcosa, ma lo sgomento glielo impedisce. Il suo corpo è scosso
da forti tremiti, il viso pallido sembra voler cedere alla paura da un momento
all’altro.
Ma
i suoi occhi non mi lasciano un attimo. Ed io non riesco ad abbandonare i suoi.
Non
so quanto darei per sapere ciò che vorrebbe dire in questo momento.
Ma
le sue labbra di rosa non smettono di tremare ininterrottamente.
Così
faccio cessare una volta per tutte il loro tremore, con decisione.
Finalmente
la sua angoscia si scioglie, lasciando il posto allo stupore. Il suo corpo
dapprima s’irrigidisce, poi lentamente si rilassa, senza lasciare il muro alle
sue spalle.
Nel
momento in cui separo le nostre labbra, posso notare la visibile differenza di
colore del suo volto. Incendiato dall’imbarazzo, ora appare decisamente più
colorito.
Le
sue gambe cedono e l’afferro prima che cada a terra, priva di forze.
Lei
di rimando affonda il suo viso nel mio kimono color nocciola, per non mostrarmi
il rossore delle sue guance.
Fra
le mie braccia, il suo corpo snello ed aggraziato mi pare così fragile che
potrei spezzarlo con un gesto troppo azzardato.
D’improvviso
mi tornano alla mente le parole di Hizashi, di un
giorno d’estate proprio come questo.
Appartengo
alla casata cadetta. Per questo avevo ricevuto l’incarico di proteggere la
casata principale con tutte le mie forze e fino alla morte, se necessario. Agli
occhi di un semplice bambino di quattro anni, questo sembrava il compito più
nobile ed importante che si potesse mai ottenere.
Ma
alla scomparsa di mio padre avevo perso l’interesse a rispettare i miei doveri.
L’unica cosa che desideravo era vedere la casata principale distrutta per
sempre.
Hinata ora pare aver ripreso le forze e
allontana il volto dal mio abito, per rivolgerlo verso di me. Il suo sguardo
ora mi sembra così indecifrabile.
Il
contatto con le labbra di lei ancora brucia sulla mia bocca.
-Madamigella
Hinata…-
Come
poterle spiegare ciò che ho appena fatto e ciò che ho compreso?
Ma
lei sembra già aver capito e scuote la testa.
Non
senza sforzarsi, riaffronta i miei occhi e sorride.
-Vorrei
tanto… entrare anch’io nel tuo mondo, anche solo per un istante…- bisbiglia, le
gote ancora rosse e calde.
Chiudo
gli occhi e faccio un lungo respiro. Dopodiché prendo la sua piccola mano nella
mia e, guardando la porta di legno rovinata e ispessita dall’umidità, dico:
-Avete
ragione.-
****
Mano
nella mano, cominciamo a percorrere a ritroso i corridoi che avevamo
precedentemente attraversato, prima di incontrarci nella camera.
La
camera che custodisce un segreto proibito, il nostro segreto.
Mentre
camminiamo, senza fretta, per tornare alla cerimonia, mi assale il ricordo di
un particolare. Al ripensarci, la malinconia torna a prendere possesso di me.
Madamigella
Hinata se ne accorge e mi guarda, preoccupata.
-Neji-kun… c’è qualcosa che ti turba?-
Questa
volta non le terrò nascosto il mio dolore, penso fermamente.
-Stavo
soltanto pensando che… sono trascorsi esattamente 15 anni dal giorno in cui…-
Mi
tocco la fronte con le dita, guardando le travi in legno del pavimento.
Poi
rialzo lo sguardo e mi giro verso di lei.
-Era
il giorno del vostro terzo compleanno. Lo ricordo perfettamente.-
Gli
occhi di Hinata luccicano di tristezza. Anche lei sta
pensando che, oltre ad essere il giorno del suo compleanno, questo è
sicuramente l’anniversario di una disgrazia.
Perché
dovevano cadere entrambi nella medesima data?
Rimaniamo
in silenzio per qualche momento e solo il rumore dei nostri geta ci accompagna
nel labirintico intreccio di corridoi.
Improvvisamente
Hinata si ferma e, con lei, anch’io mi devo
arrestare.
La
guardo interrogativamente. Quando noto il suo volto corrucciato, mi sciolgo
nella tenerezza che mi provoca ogni volta.
Si
vede che si sta impegnando seriamente per dire qualcosa di molto serio.
Quando
alza il viso su di me, noto il rossore delle sue guance.
-Ti…
ti prometto, Neji-kun, che non userò mai il tuo
simbolo maledetto per punirti! Mai, per nessuna ragione al mondo.-
Le
sue parole mi scaldano il cuore più di quanto avessi mai immaginato.
Le
sorrido, un sorriso sincero e puro, questa volta.
-È
un pensiero molto carino da parte vostra, Hinata.-
Lei
mi sorride timidamente e proseguiamo, sempre tenendoci per mano.
Dopo
qualche passo, cominciamo ad udire il suono dei musicisti e il chiacchiericcio
allegro della gente invitata.
La
festa si sta avvicinando e, con essa, anche la strigliata del Signor Hiashi è sempre più imminente. Questa volta non me la farà
passare liscia.
Stringo
più forte la piccola mano di Hinata per farmi
coraggio e scendiamo le scale che portano alla sala principale, completamente
imbandita.
Il
padre di Hinata ha proprio organizzato una
celebrazione coi fiocchi, questa volta.
Una
grossa tavola impreziosita da mille e più cibarie troneggia al centro della
stanza, adorna di fiori. Gli ospiti sono intenti a mangiare, altri invece
chiacchierano e ridono scompostamente, mentre i restanti osservano i musicisti
suonare l’oboe.
In
una posizione privilegiata, ad uno dei capitavola del banchetto è seduto il
Signor Hiashi, che intavola cordialmente una
discussione ora con uno e ora con l’altro ospite.
La
piccola Hanabi è al suo fianco, visibilmente annoiata,
che spilucca una fetta di carne, probabilmente ormai fredda.
Quando
i suoi occhi si posano sui nostri, le si accende una luce gioiosa nello sguardo
vispo. Sorridendo, si alza di fretta e corre verso di noi, senza rispettare
minimamente il codice d’educazione che il Signor Hiashi
ci impone di seguire alla lettera.
Infatti
egli, notato il comportamento poco educato della figlia, la richiama alla
compostezza. Ma lei, felice del nostro ritorno, non ci bada più di tanto e
corre da noi.
-Nee-san, finalmente! Non ne potevo più di aspettarti.-
Poi
si volta verso di me, con un’espressione confusa.
-Fratello
Neji, si può sapere dove ti eri cacciato?-
-Mi
ero allontanato per portare al Signor Hiashi un libro
che avevo trovato molto interessante, ma girando per i vasti corridoi della
villa ho perso l’orientamento.-
Lei
sembra accontentarsi della mia risposta e prende Hinata
per mano, trascinandola verso il suonatore di oboe. Io le guardo allontanarsi,
con un sorriso sulle labbra, pensando a quanto siano differenti le due sorelle
fra loro.
Le
risate di alcune persone attirano la mia attenzione e mi volgo verso di loro.
Quando noto gli sguardi di disprezzo che mi stanno rivolgendo, l’odio torna a
crescere in me. Coprendosi coi loro ridicoli ventagli, mi guardano di sottecchi
e sghignazzano fra loro.
Cerco
di passarci sopra ancora una volta, anche se sento tornare il disagio che
sentivo al principio della festa. Ma il solo movimento leggiadro di quel kimono
blu notte mi acquieta l’animo e mi permette di tornare sereno.
L’occhiata
inceneritrice del Signor Hiashi mi fa perdere
d’improvviso totalmente le forze. Tuttavia mi avvicino al tavolo con sicurezza
e mi siedo al mio posto, senza scompormi.
Gli
occhi di Padron Hiashi non mi lasciano per un
secondo.
Smette
ad un tratto di parlare ad un uomo elegante e mi invita ad avvicinarmi. Col
sangue gelido che mi scorre all’interno delle vene, mi alzo e raggiungo il
posto prima occupato dall’ospite.
Il
suo sguardo incute ancora più timore, ora che è così vicino.
-Neji, ti ho cercato per un’ora. Esigo delle spiegazioni per
il tuo comportamento.-
Io
abbasso il capo, rispettosamente.
-Chiedo
scusa, non intendevo mancarvi di rispetto.-
Lui
mi scocca uno sguardo agghiacciante e poi sposta i suoi occhi sulla figlia,
poco lontana da noi.
-Oggi
è un giorno importante per Hinata. Non credo serva
spiegarti che non è stato una mancanza di rispetto nei miei confronti, bensì
nei confronti di mia figlia.-
-Ho
già provveduto a scusarmi con lei.-
La
mia risposta pare non soddisfarlo completamente. Anzi, mi rivolge un’occhiata
di disgusto, mentre fa scorrere gli occhi sulla mia intera figura.
-Inoltre,
non posso credere a ciò che vedo. Come hai fatto a conciare il kimono che ti
avevo fatto cucire apposta per l’occasione, in questo stato?-
Alcune
persone che, curiosamente, stanno origliando la nostra conversazione, scoppiano
sonoramente a ridere, mentre mi fissano.
Sono
ben conscio di essere ancora completamente sporco di polvere.
L’arrivo
di Madamigella Hinata rinvia di qualche istante il
rimprovero che mi sarebbe toccato.
Il
padre la guarda sedersi, con a fianco la piccola Hanabi.
-Ti
ringrazio, Hinata, di aver riportato indietro Neji.-
Lei
mi guarda di sfuggita, arrossendo e non avendo la forza di dire nulla.
Hiashi fa scorrere lo sguardo ora su di me
e ora su sua figlia, sempre con la fronte corrugata. Che sia riuscito in qualche
modo a capire cos’è successo?
No,
è impossibile.
-Neji, pretendo che ora tu porga il tuo omaggio a mia figlia.
Il tuo comportamento per il giorno del suo compleanno è stato davvero
scorretto. Non credi sia il minimo che tu possa fare?-
Ecco
cosa tramava…
Vuole
farmi fare ancora una volta una degna figura di un membro della casata cadetta.
Lo guardo lasciando trapelare l’odio che non smetterò mai di provare contro di
lui e poi faccio un lungo sospiro.
Hinata, allarmata, comincia ad agitarsi,
mentre scuote nervosamente le mani.
-No,
padre, non è necessario… Io… non ho bisogno di nulla…-
Con
un'unica occhiata, il Signor Hiashi riesce a far
ammutolire la ragazza.
Sono
sempre più convinto di aver imparato da lui, questa tecnica altezzosa.
-Non
è un problema per me, Madamigella Hinata.-
Lì
dentro sanno tutti quanti, ospiti, membri della famiglia e persino le antiche
mura che sorreggono questa casa, che l’odio provato per la casata principale è
sempre stato molto forte nei cuori di noi membri di quella cadetta.
Ma
per un giorno speciale come il compleanno, i membri cadetti sono tenuti a fare un omaggio al festeggiato.
Ma,
come tutti suppongono correttamente, io oggi non ho preparato nulla per Hinata.
L’orgoglio
che mi consumava non mi ha permesso nemmeno di sfiorare l’idea. Inoltre, fin da
giorni prima sapevo di non poter resistere alla repulsione di un giorno tanto
gioioso per lei ed infelice per me.
Eppure
ciò che è successo in quella camera riscoperta, le nostre parole, il nostro
bacio… sono stati tutti elementi
decisivi per la decisione che voglio prendere. Non ho più dubbi.
Mi
alzo e raggiungo Madamigella Hinata, sorpassando Hiashi e facendo ammutolire la stanza, mentre solo il
suonatore di oboe continua con la sua melodia ipnotizzante.
Arrivato
nel posto di fianco al suo, noto il rossore delle gote che le colora il volto,
mentre con gli occhi mi prega di essere cauto, di fronte a tutta quella gente
pronta a deridermi senza pietà.
Ma
con un dolce sorriso riesco a tranquillizzarla.
Mi
inginocchio al suo fianco e calo piano il capo, fino a prostrarmi completamente
dinnanzi a lei. La sala si riempie di mormorii confusi.
-Devo
porgervi le mie più sentite scuse, Madamigella Hinata,
poiché in questo giorno così gaio non vi ho portato alcun dono materiale.
Chiedo di essere perdonato per la mia scorrettezza.-
Hinata, sempre più rossa ed ansiosa per
tutti gli sguardi puntati su di noi, si porta le mani alle labbra.
-No…
non ti preoccupare… io-io non necessito di nulla, davvero!-
balbetta, seriamente in colpa.
Così
rialzo il capo e la guardo dritta negli occhi.
-È
vero, non vi ho portato beni materiali… ma oggi voglio porgervi un’importante
promessa, che mi impegnerò a mantenere a costo della vita. In più, vorrei
donarvi qualcosa di più prezioso di un bene costoso.-
Sento
di avere attirato l’attenzione anche dei più indifferenti e sento gli occhi di Hiashi perforarmi la schiena, con la loro influenza
negativa.
Ma
tutto ciò non mi importa più.
Ora,
in quella stanza, ci siamo soltanto io e Madamigella Hinata.
-Il
Destino ha voluto che io nascessi nella disgraziata casata cadetta e ciò l’ho
sempre sentito come un grosso peso, capendo di essere impotente di fronte al
verdetto divino. Pensavo che il mio ruolo nella casata non fosse necessario e
non avevo mai trovato una vera ragione per cui vivere e morire.-
Lentamente,
senza provocare in lei troppo timore, le prendo una pallida mano e la stringo
fra le mie.
Sento
la gente scaldarsi, agitarsi nei loro posti, poiché un gesto simile non era mai
capitato nella storia del Casato Hyuga. Anche Hiashi è pronto a riprendermi, ma non lo lascio iniziare.
Ho
bisogno di esternare, per la prima
volta, ciò che penso veramente, ciò che ho appena scoperto, che mi turba così
tanto.
-Dal
giorno stesso in cui vi ho incontrato, ho capito che un legame molto più forte
di quello sanguineo ci legava. E quando ho appreso la mia missione, il mio
compito principale che dovevo svolgere come cadetto, non mi sono tirato indietro.-
La
guardo con tenerezza, al ricordo di quel giorno.
-Ero
soltanto un bambino e cosa ne potevo sapere di doveri morali? Il Destino poi ci
ha separato per lungo tempo e non ho più assolto al mio compito. Ma oggi voglio
promettervi che non accadrà più.-
Gli
occhi di lei si stanno riempiendo di lacrime, intuendo già la mia promessa.
-Vi
prometto che da questo momento fino alla fine dei miei giorni, vi proteggerò a
costo di rinunciare a tutto ciò che ho di più caro. E rinuncerò anche alla
vita, se necessario. Perché ho finalmente trovato una persona da difendere,
perché desidero condurre un’esistenza dedita alla vostra felicità e perché la
mia esistenza non avrebbe significato, senza di voi. Vi dono la mia vita,
Madamigella Hinata.-
Alcune
lacrime iniziano a rigare il volto della ragazza, vinta dalla sorpresa e
dall’emozione.
Le
sorrido ancora una volta, asciugandole le gocce salate con la manica del kimono
color nocciola.
-Buon
compleanno, Madamigella Hinata.-
Non
appena finisco la frase, un pacato e leggero battito di mani giunge alle mie
spalle.
Mi
volto e scorgo Hiashi, con l’espressione corrucciata
di sempre, battere le mani, con serietà. Poco a poco, tutti gli invitati
cominciano anche loro a seguire l’esempio del capo-clan, applaudendo e
sorridendomi.
Sorrisi
sinceri, emozionati e commossi.
Il
mio cuore si riempie di gioia nel sentirmi finalmente apprezzato per ciò che sono
e non per ciò che mi sono costruito per anni.
Madamigella
Hinata si appoggia contro il mio petto, cercando di
trattenere i singhiozzi e improvvisamente sento anch’io il pizzicore delle
lacrime agli occhi.
Le
accarezzo dolcemente i capelli mori, fiero di me e del Destino che mi è
capitato.
La
piccola Hanabi si avvicina a me, con la bocca ancora
semi-aperta, e tirandomi leggermente per una manica.
-Neji-kun… Potresti fare un regalo del genere anche a me,
per il giorno del mio compleanno?-
Rido
un poco della sua richiesta e poi devo rifiutare.
-Sono
veramente mortificato, Madamigella Hanabi, ma vedete…
ciò che mi lega a Madamigella Hinata è qualcosa di
importante. Un qualcosa che si può donare ad una persona sola nel corso della
propria vita.-
Lei
pare un po’ dispiaciuta, ma ritorna sorridente nel giro di poco tempo.
Nel
frattempo io stringo a me l’oggetto del mio desiderio, la persona che mi ha
cambiato la vita.
E
benedico il Destino che mi ha affidato il compito di proteggere la vita della
persona di cui mi sono, inconsciamente, innamorato.
+-+-+-+-+-+-+-+-+-+-+-+-+-+-+-+-+-+-+-+-+-+
Ebbene,
dopo ben 5 anni d’inattività, sono tornata alla carica più forte di prima!
Questa fanfic è stata creata nel 2011 in verità e
solo ora ho avuto il coraggio di pubblicarla (e addirittura partecipare al mio
primo contest!). Sono felicissima di aver ripreso a pubblicare e spero tanto
che questa fic, in cui ci ho messo davvero il cuore,
piaccia anche a voi.
A
presto! ^^