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3) IL CLAN
Spazio, ultima frontiera.....
Oltre alla celebre opening della storica serie televisiva fantascientifica STAR
TREK, la frase era più o meno il primo pensiero che nasceva nella mente di chi
per caso, solcando le invisibili vie dello spazio, si fosse trovato a passare
presso il piccolo sistema solare Alpha 1, costituito da 5 pianeti, di cui la
superficie dei satelliti quasi non si vedeva più, celata da uno schermo
debolmente lucente di detriti di tutti i generi, orbitanti come automi stanchi
attorno ad essi. Se poi si aveva la ventura di scendere sul suolo di detti
satelliti, ci si ritrovava con strati di altri detriti ferrosi, ferruginosi,
arrugginiti, che potevano arrivare anche fino al punto vita di un essere
umano....
Colui, o coloro che si fossero trovati ad atterrare in simili posti, si
sarebbero chiesti, appunto, in quale misero angolo dell'universo fossero
finiti....
Pianeta Beta 1
Chi invece non se lo chiedeva (più) era lo staff componente l'equipaggio del
grosso cargo scuro che da Beta 1 era decollato da alcune ore in direzione Terra,
l'ultima speranza di trovare ancora qualche metro quadro libero per poter
depositare ciò che ormai non stava più né su Beta, né sui satelliti, né in alcun
altro angolo del sistema solare e della galassia.
Sul loro mondo, l'evoluzione tecnologica era stata talmente veloce da provocare
un accumulo esagerato di materiale metallico, non immediatamente smaltibile, che
aveva costretto gli abitanti, non molto inclini a sbarazzarsi subito dei vecchi
modelli, a creare depositi su depositi per poter accatastare tutto
l'antiquariato e il modernariato industriale che si era venuto ad ammucchiare
nel corso degli ultimi anni, colpa anche del carattere nostalgico dei Betani, i
quali amavano conservare ogni singolo oggetto come testimonianza delle tappe
segnate dal progresso della popolazione.
Se si camminava per le strade delle città di Beta, ogni cinquanta, cento metri
s'incontravano negozietti, bottegucce e banchetti in cui erano esposti modelli
di computers, cellulari, portatili e altri elettrodomestici di ogni foggia,
colore ed epoca, messi in bella mostra per invitare gli abitanti ad acquistare,
anche solo per pochi cents, gloriosi reperti che dimostravano l'evoluzione
cerebrale della specie. Ma negli ultimi tempi, quelle "sirene" non incantavano
più nessun compratore, ormai sepolto da strati di progresso metallurgico ed
elettronico.
Nonostante la mole, il cargo scivolava silenzioso nello spazio come se stesse
procedendo spedito su rotaie invisibili, dritto, filato verso la Terra.
L'equipaggio addormentato non vide un veicolo più piccolo avvicinarsi a freccia
verso di esso. Ma i sensori distribuiti nelle intercapedini delle pareti,
all'interno del veicolo, avvertirono quell'avvicinamento e cominciarono a
trasmettere impulsi di avviso, incanalati poi nei cavi che arrivavano alle celle
di animazione sospesa in cui i componenti dell'equipaggio riposavano. Conor
Ukkoos aprì gli occhi per primo e azionò l'apertura del coperchio della sua
cella. Una volta fuori, sbandando leggermente a causa del lungo periodo di
inattività fisica e psichica, raggiunse il primo monitor a disposizione e lo
accese.
Quando l'immagine che lo schermo restituì fu chiara, desiderò che non lo fosse
stato. Desiderò non vedere quel che stava vedendo. Ma ormai era troppo tardi. Il
"suo"cargo era stato agganciato e bloccato da una delle astronavi piccole e
scure del famigerato CLAN, un'organizzazione spaziale malavitosa, composta da
individui provenienti da vari pianeti - inclusi Beta 1 e Ariel -, che campavano
di rapine e di ricatti.
"Vuoi arrivare vivo e con la pancia piena fino alla Terra? - gracchiò,
sprezzante, il capitano dell'astronave nemica, riempiendo il monitor con la sua
faccia larga e segnata dagli innumerevoli sfregi che marcavano la sua vita
costellata di battaglie, duelli, scontri corpo a corpo e incidenti dai quali,
non si era mai saputo come, era sempre uscito, anche più morto che vivo, ma
sempre uscito - C'è bisogno che ti ricordi cosa devi fare o te lo devo ricordare
anche adesso?".
Ukkoos fremette di rabbia. Contro il CLAN c'era poco da fare se si voleva
sopravvivere. E quello spregevole individuo, assieme alla sua ciurma di
criminali, era lì, intenzionato ad ottenere due cose in alternativa: la merce o
il denaro per proseguire e far proseguire il viaggio alle vittime.
Quegli sgradevoli incontri si ripetevano ormai da anni, cioè, da quando era
iniziato il trasporto dei detriti fuori dall'orbita dei pianeti invasi. Quella
gentaglia aveva trovato un ottimo sistema per vivere a spese del prossimo. Ma
Ukkoos decise che non sarebbe più stato a quel tipo di ricatto e, non visto,
lanciò un allarme premendo con un piede un pulsante sul pavimento, rammentando
improvvisamente che prima di lui nessuno era mai riuscito a farlo senza morire.
Perché lui era riuscito a farlo e gli altri no? Semplice: i componenti del CLAN
erano diventati così sicuri di spaventare le loro vittime con la loro sola
presenza, e spavaldi, da non cercare più la lotta fisica e la battaglia,
limitandosi a scontri verbali. Ukkoos non aveva la certezza matematica che il
suo appello avrebbe potuto avere una risposta, ma ci aveva provato. Ed ora era
pronto alla seconda fase, ovvero: la maledetta trattativa con i delinquenti.
Nel frattempo, anche gli altri del suo equipaggio erano usciti dalle celle di
animazione e fissavano afflitti la facciona sfigurata del brigante che li
guardava a sua volta, attraverso lo schermo, col tipico ghigno sfrontato di chi
è certo della vittoria.
Sganciarsi dal veicolo dei criminali era praticamente impossibile. Questi
avevano trovato il modo di bloccare le astronavi, anche le più grosse, con la
forza di attrazione di grandi calamite che non permettevano il benché minimo
movimento fuori dal fascio attrattivo. E non mollavano finché non avevano
ottenuto ciò che chiedevano. Nel peggiore dei casi facevano saltare i mezzi dei
resistenti, ma negli ultimi tempi non erano più ricorsi a questi metodi estremi,
avendo capito che in questo modo anche loro andavano a perderci, quindi,
l'incontro/scontro con la banda del CLAN si risolveva spesso, purtroppo, in
estenuanti trattative.
"Quanto vuoi?" chiese infatti Ukkoos, freddo e laconico.
Gangu - questo era il nome del comandante del veicolo del CLAN - torse bocca,
già storta, e faccia in una smorfia di spocchiosa sufficienza che provocò un
ulteriore, seppur contenuto e silenzioso, moto di rabbia nell'animo del capitano
di Beta 1.
"Sai come funziona, no? - replicò Gangu, mellifluamente, disgustosamente calmo -
Metà della pappa così com'è o in altro metallo dal suono più dolce". E Ukkoos
sapeva che, di solito, la prima alternativa era la più conveniente. Non si
viaggiava mai con denaro e, oltre tutto, con certi personaggi circolanti, le
transazioni finanziarie erano sempre un rischio. I membri del CLAN trovavano
spesso scuse e trucchi per ottenere più denaro possibile, anche in quantità di
molto superiore all'effettivo valore della merce.
Ma era proprio a questo punto che l'inganno più grosso veniva messo in scena.
Il CLAN non si accontentava di prendersi la merce e andarsene.
No.
Le loro astronavi mantenevano arpionate quelle delle vittime con le calamite e
si facevano trainare fino a destinazione risparmiando sul carburante,
costringendo invece i mezzi degli avversari ad un consumo doppio a causa del
traino. Il massimo dello sfregio e del disprezzo nei confronti di qualunque
altro essere umano.
Tuttavia, i malviventi non avevano idea di cosa li stesse aspettando dietro
l'angolo.
Il cargo riprese tristemente il viaggio verso la meta con la zavorra attaccata a
poppa e il sangue dei componenti dell'equipaggio che ribolliva dalla rabbia per
l'impossibilità di reagire.
4) UNA DECISIONE TERRIBILE
Immagini confuse di scene di panico e disperazione nelle quali individui di
vario aspetto si assalivano, assalivano e venivano assaliti da altri individui
che non sembravano avere più remore ad uccidere, si sovrapponevano l'una
sull'altra come in un video montato con frequenti transizioni di dissolvenza
incrociata. Al Heron si vedeva poco più che bambino, poco meno che adolescente,
stretto al fianco di suo padre, che lo rassicurava:
"Non ti preoccupare, Al. - gli diceva l'uomo, dolce - Ce ne dobbiamo andare, ma
andremo a star meglio, vedrai". Poi, non sapeva come, davanti a lui e tutto
intorno, si levavano alte fiamme e lui si trovava a correre in mezzo a
quell'inferno di fuoco, uscendone stranamente e miracolosamente illeso. Subito
dopo, di solito, si svegliava di colpo, in un bagno di sudore, ma non riusciva a
ricordare altro di quello strano, ricorrente, tremendo sogno.
L'elegante lunga freccia argentea solcava velocissima lo spazio nero verso la
Terra.
All'interno, il silenzio irreale e palpabile del riposo in cui galleggiavano gli
occupanti dell'astronave nelle loro celle fu interrotto con discreta fermezza
dagli impulsi del sistema di comunicazione che stava ricevendo un messaggio di
soccorso.
E l'ultimo impulso giunse alla mente e al corpo immobile del comandante Heron
sotto forma di piccola e leggera scossa elettrica che fece fremere le sue membra
svegliandolo di soprassalto dal suo sonno e dal suo consueto incubo. Sentendosi,
come sempre, immerso in una vasca di sudore ma, tutto sommato, libero dal sogno,
Heron aprì un occhio e guardò oltre il vetro brunito sopra di lui. Sbatté le
palpebre per schiarirsi la vista e qualche secondo dopo il coperchio della cella
di animazione sospesa si aprì automaticamente da solo, invitandolo in modo
subdolo ad uscire dalla "cuccia" per andare a vedere cosa stava succedendo. Per
quanto il macchinario fosse sofisticato, i circuiti di un computer non
arrivavano sempre a capire che avrebbe potuto trattarsi di un inganno o di un
falso allarme, ma Heron sapeva che, in ogni caso, quando il sistema di
comunicazione riceveva un messaggio di richiesta di aiuto, in qualche modo,
bisognava almeno scoprire se di inganno si trattava.
Il comandante uscì dalla cella, si stiracchiò per sciogliere i muscoli
rattrappiti dalla prolungata inattività, uscì anche dalla stanza del "lungo
riposo" e mentre compiva queste azioni, le luci nell'astronave sembrarono
accendersi a "domino", una dopo l'altra al suo passaggio, come se ogni suo
movimento attivasse ciascuna delle funzioni del veicolo. L'orologio al polso
destro rinnovò il promemoria del motivo che lo aveva destato dal suo sonno
indotto. Una lucina rossa indicava richiesta di aiuto. Col polpastrello
dell'indice destro, Heron sfiorò la superficie vetrosa dell'oggetto facendo
comparire sul display la parola AIUTO in una lingua che non conosceva ma che il
traduttore simultaneo tradusse nella sua. Era davvero una richiesta di soccorso
o era una trappola? L'avrebbe saputo presto e se così fosse stato non ne sarebbe
rimasto nemmeno troppo sorpreso. Nel corso di quei viaggi, eventi del genere non
erano una novità.
In sala comando, tuttavia, apprese qualcosa che gli fece piacere.
Non erano lontani dalla destinazione.
Lo schermo acceso gli mostrò lo spazio e i dati riguardanti il percorso già
coperto e quello ancora da coprire. La Terra era già visibile, sebbene in
formato puntino sul radar.
Ma un altro schermo gli mostrò altri dati meno piacevoli: quelli concernenti la
richiesta di aiuto, e a sinistra dello schermo, nell'area rotonda del
rilevatore, apparvero due cerchi di cui il secondo più piccolo del primo in
ordine di comparsa. Heron fissò lo sguardo sullo schermo, avvertendo
misteriosamente crescere una certa ansia nell'animo. In quel momento, nella sala
fecero il loro ingresso Addok e Ollen.
"Comandante. - esordì il giovane ufficiale - Che succede?".
"Sembra che qualcuno abbia bisogno di noi" rispose Heron in apparente buon
umore.
"Non sarà una trappola?" osservò Ollen, diffidente.
"Lo sapremo presto, credo. - rispose Heron - Ben svegliati" concluse girandosi
verso di loro e abbozzando finalmente un mezzo sorriso. A distanza di pochi
secondi, uno dopo l'altro, entrarono in sala anche gli altri tre
dell'equipaggio: due donne ed un uomo.
Trascorsero probabilmente cinque minuti allorché all'angolo sinistro dello
schermo più grande fece capolino la punta di un veicolo spaziale che procedeva a
buona velocità ma non eccessiva permettendo così ad Heron e il suo equipaggio di
sapere cosa li aveva svegliati.
Nervi e muscoli dei sei occupanti l'astronave si tesero in contemporanea nel
momento in cui la massiccia nave spaziale si rivelò in tutta la sua possanza,
avanzando quasi con fatica, seguita da un altro mezzo che la teneva "ancorata"
ad un magnete. I sei impiegarono pochissimi secondi a capire la situazione.
"Oh no! - mormorò Heron vedendo la scena - Il CLAN! Tutti ai posti di
combattimento!" ordinò ad alta voce. Si disposero tutti e sei nelle loro
postazioni, con le dita pronte a premere i pulsanti giusti.
Le due astronavi procedevano ad una certa distanza dal veicolo di Heron, ma un
raggio che fosse partito dalla nave del CLAN avrebbe disintegrato il suo
gioiello. A quel che capì di trovarsi di fronte, Heron sentì la colonna
vertebrale attraversata da un lungo, potente brivido e si sentì posto davanti ad
una decisione tremenda: sparare sul mucchio e distruggere entrambe le astronavi
! Il CLAN non perdonava! Avvertì fisicamente l'intensità degli sguardi degli
altri suoi compagni di viaggio conversi su di lui. Non possedeva facoltà
psichiche; non era in grado di leggere nel pensiero altrui, ma in quel momento
non era difficile immaginare cosa gli altri stessero pensando. Salvare
l'equipaggio dell'astronave attaccata dal CLAN avrebbe voluto dire essere poi
aggrediti dai criminali nel peggiore dei modi. Anche Heron sapeva che i
delinquenti del Clan non uccidevano più nello spazio, ritenendo più conveniente
essere "accompagnati" a destinazione, salvo poi sterminare le vittime una volta
atterrate nel pianeta, ma non accettava di sottostare alle condizioni di quegli
sciagurati. Essendo la ricerca di uranio e materiali radioattivi lo scopo del
viaggio che aveva intrapreso, la sua astronave non aveva carico nella stiva,
tuttavia lo avrebbe avuto dopo, e il Clan gli avrebbe chiesto il "contributo"
per la salvezza dell'equipaggio e del carico. Fu assalito da un dubbio atroce: e
se suo padre fosse morto proprio per questo motivo? Se anche lui avesse
incontrato il CLAN? Se non avesse accettato il loro ricatto? Gli era stata
riferita la modalità della sua morte, ma non la causa. I secondi successivi
passarono lentissimi come se tutto intorno a lui avesse perso peso, spessore e
velocità. Gli sguardi dei membri dell'equipaggio lo stavano trapanando in attesa
di una sua decisione, di un suo ordine. Poi, un evento lo scosse dal torpore. Il
grosso volto sfregiato, la testa pelata e la voce gracchiante, uscita dalla
bocca deformata del capo banda, lo scrollarono dall'impasse.
"Ci vediamo sulla Terra, vecchio mio!".
"Non esserne troppo sicuro" si sorprese a rispondere Heron, glaciale ma con il
fuoco della rabbia dentro di sé. Granya Addok si era girata verso di lui e lo
fissava tanto che lui si sentì radiografato dal suo sguardo scuro e obliquo. A
sua volta, Heron si girò verso di lei.
Silenzio siderale nel vero significato del termine.
Le due astronavi unite scivolarono e cominciarono ad allontanarsi.
L'ultima immagine che apparve sullo schermo fu il volto magro, teso, ma fiero e
composto di quello che doveva essere il comandante del cargo il quale scrutò
Heron nella sua muta richiesta di soccorso, la cui risposta, forse, già
conosceva e si aspettava quasi come una liberazione.
Un minuto dopo, a debita distanza e giusta posizione, la volta nera del cielo fu
rischiarata da un gigantesco lampo di luce dopo il quale Heron abbassò la testa
per non vedere.
Era consapevole di aver ucciso degli esseri umani, fra i quali anche degli
innocenti, ma la testa del mostro era stata staccata e distrutta. Non che
l'azione in sé avrebbe del tutto risolto il problema, tuttavia, senza la testa,
senza più i capi dell'organizzazione, il mostro del CLAN avrebbe perso molto
del suo potere.
Heron teneva ancora lo sguardo basso quando l'ufficiale Ollen lasciò la sua
postazione per avvicinarsi a lui.
"Dovevamo farlo, comandante" giustificò l'atto, serio e compreso.
Heron rialzò la testa e tornò a guardare lo schermo ora riempito solo di punti
luminosi.
"Già. - asserì, scuro in faccia e con timbro profondo della voce - Dovevamo
farlo".
Nessuno degli altri si pronunciò né a favore, né contro la decisione del loro
superiore e non per paura. Tutti erano stati addestrati a prendere provvedimenti
drastici nelle occasioni in cui fosse stato necessario. E quella era stata una
delle occasioni. Heron si concentrò ed esercitò tutto il potere di persuasione
di cui era capace su se stesso per convincersi che perfino il comandante del
cargo gli aveva tacitamente chiesto di farlo pur di non dover sottostare ai vili
ricatti di quegli esseri abominevoli, ma il decidere nella simulazione durante
l'addestramento e il trovarsi in situazioni del genere nella realtà erano cosa
ben diversa e lo spirito con cui si faceva fronte a tali situazioni non era mai
lo stesso. Non era la prima volta che Heron aveva dovuto arrivare a simili
soluzioni, ma questi atti gli lasciavano sempre un sapore amaro in bocca.
"Comandante. - esordì Addok - Abbiamo sicuramente distrutto l'astronave del
CLAN, però non è del tutto sicuro che abbiamo distrutto anche l'altra".
Heron si voltò verso di lei. Il suo sguardo era fermo e fiero.
"Non cercare di consolarmi, Addok - la rimproverò blandamente e stancamente
Heron - Sai anche tu che per estirpare il maligno, spesso bisogna colpire anche
il buono".
A quel giro, furono gli altri ad abbassare lo sguardo.
"Torniamo a dormire, comandante?" chiese un altro giovane ufficiale.
"Si. - rispose Heron - E' meglio. Fra non molto dovremmo entrare in fase
d'ingresso nell'atmosfera terrestre, che è la più difficile, e meno energia
consumiamo, più ce ne sarà per la fase" e nel dirlo, si alzò dalla postazione di
combattimento premendo contemporaneamente il pulsante di sospensione energia.
Man mano che si avvicinavano alla sala delle cuccette, le luci si spensero al
loro passaggio e dopo pochi minuti, l'interno dell'astronave tornò buio e
silenzioso.
Heron si stese nella cella e attivò il dispositivo del sonno. Si addormentò con
l'immagine dell'esplosione negli occhi.
Ciò che avvenne nell'arco di tempo successivo fu molto strano e violento.
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