4. Squarci nel buio - ribellione
With
every lie that I lived
Part
of me would fade
Into
this empty shadow I've become
And
now I feel so numb
I
no longer know myself
But
I still know you
Un movimento pulito dell'asta fendette
l'aria notturna, accompagnato dal pensiero proiettato dell'evocatore,
e un monaco di guardia cadde a terra addormentato. Il suo compagno
seguì lo stesso fato prima che potesse rendersi conto di
quello che stava succedendo.
“Via libera”, comunicò
Auron sottovoce.
“Lo spero”, rispose Braska
con un sorriso forzato mentre lo seguiva all'interno del tempio.
Jecht chiudeva il gruppo. Se li avessero catturati, o se avessero
torto un capello a una sola delle guardie la cui unica colpa era
quella di stare facendo il proprio dovere, il loro viaggio sarebbe
finito all'istante. Ma, come aveva fatto notare Auron, Maife era
passato nel torto marcio arrogandosi il diritto di giudicare un
evocatore in pellegrinaggio: se la Fede, unica autorità
competente in materia, l'avesse accettato, rendere pubblici gli
eventi della giornata avrebbe aiutato più loro che lui.
Avevano quindi preparato le loro cose in silenzio, ben oltre il
coprifuoco, e si erano fatti strada nell'ombra, aiutati
dall'occasionale incantesimo di sonno.
Entrati nel tempio, Braska si diresse a
sinistra, verso la statua di Gandof, primo Alto Evocatore dopo Lady
Yunalesca.
“Mio Lord...?”
“Un
momento solo, Auron. Precedetemi alle Prove, non tarderò.”
“Ma che...?”, protestò
Jecht mentre l'altro guardiano lo trascinava su per le scale e oltre
la porta che segnava l'ingresso al Chiostro delle Prove.
“Prega.”
“Fin lì
c'ero arrivato.”
“Le tre statue qui fuori
rappresentano i tre evocatori che in passato hanno sconfitto Sin.
Lord Ohalland e Lady Yocun sono illustri modelli di quello che
significa essere un evocatore, ma è a Lord Gandof che Lord
Braska guarda con particolare stima.”
“Hai fatto bene
i tuoi compiti...”
“Ne parliamo spesso”,
rispose Auron, piccato. “E in un certo senso capisco il suo
punto di vista. Per quattrocento anni, dalla sua nascita e immediata
prima morte, Sin ha regnato incontrastato. Yevon predicava e
predicava, ma senza risultati e la gente era inquieta, il
pellegrinaggio visto con occhi diversi. Lord Gandof era un uomo
anziano, un ingegno fino, un costruttore... diventare evocatore e
partire dev'essere stato un atto di fede senza eguali.”
“Sembra
il tizio che cercherei anch'io, nella sua situazione. Dubito che mi
starebbe ad ascoltare, però.”
“Per il momento,
limitati a non farti ascoltare da sacerdoti in giornata storta.”
“Un
senso dell'umorismo, Auron? Da quando ne hai uno?”
“Da
quando mi serve una qualche protezione per sopportarti”, tagliò
corto. “E ora ascoltami bene. Potrebbero arrivare altre guardie
e non mi fido di te, qui.”
“Reciproco, baci abbracci e
tutto, grazie Auron, sei commovente.”
“Il che significa”, riprese
cupo Auron zittendolo con un gesto, “che avrai un ruolo più
importante. Accompagnalo oltre le Prove e resta nell'anticamera fino
a quando non sarà uscito. Sarà molto debole:
sorreggilo. Che ti entri in quella testa dura: veglia e non perdere
d'occhio quella dannata porta, perché ci sarà bisogno
di te. Se vengo a sapere che hai sgarrato non esci vivo di qui,
parola.”
Jecht lo osservò a braccia
conserte, divertito. Senza dargli la soddisfazione di una risposta,
si fece un appunto mentale di 'tenere d'occhio la dannata porta': per
quanto il suo modo di stare vicino al loro evocatore non fosse
proprio quello di Auron, fare bene il suo mestiere era il meno che
potesse fare per iniziare a sdebitarsi.
Braska li raggiunse poco dopo e i due
si immersero nelle profondità elettriche del Chiostro delle
Prove.
***
La Sala della Fede, col suo silenzio e
i suoi sigilli, gli sembrava un grembo materno. Dopo le angosce della
giornata, culminate in quell'incursione notturna al limite
dell'incosciente, per Braska fu un sollievo inginocchiarsi in quel
luogo protetto e invocare l'apparizione di Ixion del Tuono, potere
nascosto di Djose.
Lo spettro che gli si presentò
era un uomo dall'aria allegra e con un mento pronunciato, che un
tempo poteva essere stato capitano di un vascello e ancora si
fregiava di un giaccone verde cupo con gradi e mostrine. Lo salutò
toccandosi il tricorno, con un sorriso ben inciso nelle rughe
profonde e, come già con Shiva, Braska sentì che i
ruoli si erano invertiti: lui era un ignorante, a stento
riconducibile sulla via della saggezza, e quel buon signore di un
tempo passato la luce, la verità, la forza. Trovarsi all'altro
estremo dello stesso tipo di placida curiosità che lui stesso
era solito rivolgere al mondo non faceva che rinforzare
l'impressione.
“Saluti, giovane evocatore. La
strada è breve alle tue spalle, ma ti guida un impeto che ti
fa onore. Questa visita era a lungo attesa e ci riempie di gioia.”
Braska si inchinò, senza
comprendere a cosa si riferisse con il plurale né perché
la sua presenza potesse essere così importante.
“Ma il tuo sogno è
disturbato.”
***
Torna.
Il canto riempiva ogni spazio e ogni
fessura dell'anticamera, discendendo dalle linee dorate che imitavano
il fulmine, diffondendosi assieme alla luce rossa e azzurra
scintillante delle lampade. Non c'era scampo. Jecht scacciò
l'aria e si rannicchiò con la testa fra le ginocchia, camminò
in circolo lungo il mandala che ornava il pavimento e infine si
arrese rifugiandosi in una nicchia nella parete, sotto una finestra
ricoperta di roccia.
Torna. Chiudi gli occhi a questo
mondo imperfetto.
Sentì due braccia esili
stringerglisi attorno al petto, un dito seguire il contorno del suo
tatuaggio come se non avesse mai conosciuto altro. Sentì della
stoffa ruvida appoggiarsi alla sua schiena.
“Tidus...?”, chiese piano,
sentendo la forma minuta sussultare al ritmo dei battiti del suo
cuore, che sovrastavano ormai il canto, la voce e la ragione.
Abbassò lo sguardo.
Le braccia che lo cingevano erano nude
e scure.
Torna, nostro figlio adorato.
Jecht chiuse gli occhi e si fece
coraggio e si preparò a voltarsi e nulla di questo era mai
accaduto.
Stremato da un'emozione ignota, si
addormentò al suono profondo della voce della Fede col suo
canto di sogni ed eternità. Sognò un tramonto che si
stendeva per sempre, scendendo la sera nel mare e rinascendo come una
nube di luci fatue in ogni lampione, ogni finestra, ogni faro
abbagliante da stadio puntato su di lui – fino all'alba.
Torna a Zanarkand.
***
“Dubito del mio compito, Lord
Ixion.”
“Tu dubiti?”, rise. “Fai
bene! È questa la strada, giovane evocatore. Devi iniziare dai
tuoi dubbi per trovare la forza che ti condurrà oltre
Zanarkand. Ne passano tanti, da qui, che non dubitano. Fanno poca
strada. Ma poi dovrai superarli affinché non ti sommergano!
Vieni, lascia che il mio sogno ti guidi in un galoppo sfrenato verso
il Nord!”
“Speravo in risposte”,
ammise Braska.
“Le avrai!” L'energia di
Ixion era contagiosa e l'evocatore si sarebbe abbandonato volentieri
alla corsa promessa, ma restò attento. “Oltre. Non è
mio compito fornirle.”
“Ma forse è il mio”,
disse una voce sottile alle sue spalle: la Fede bambina che l'aveva
iniziato all'evocazione, Bahamut il saggio dalle vesti stracciate,
era apparsa al fianco di Ixion. “È giunto fin qui oltre
una grettezza che non dovrebbe fregiarsi dei miei poteri né
dei tuoi: penso che le abbia meritate.”
“Proprio tu!”, lo salutò
Ixion saltando i convenevoli. “Sicuro che mandarlo in
pellegrinaggio sia la cosa migliore? Rischia fin troppo e lo sai.
Arriveranno, sì, ma sono solo in due.”
“È quello che abbiamo
votato, Ixion. Il nostro figlio deve tornare, i fratelli sulla
montagna sono incompleti... ma ha bisogno di una scorta e senza gli
uomini non abbiamo potere. Ho fiducia in lui.” Incrociò
le braccia e squadrò il compagno dal basso in alto. Questi non
osò rispondere.
“E ora a te, allievo, figlio”,
riprese rivolto a Braska, che aveva ascoltato in silenzio una
conversazione che certo non pensava lo riguardasse. “Cosa ti
turba?”
“L'immensità del compito,
mio Lord Bahamut. Sin è immortale. Quando anche Yevon mi volta
le spalle, mi rendo conto di quanto io non lo sia.”
“Vieni da un Eone a parlare di
immortalità? Il nostro sogno è eterno, più
antico di Sin. Affidati ad esso e non smarrirai la strada.”
“È questo che comandate?”,
chiese approfondendo l'inchino e nascondendo la smorfia di
disappunto. Era una rassicurazione quella, non una risposta. “Vi
confido oggi di aver perso ogni fiducia in Yevon, o perlomeno nei
suoi rappresentanti mortali. Non ho che voi cui appoggiarmi,
perdonate quindi la mia insolenza se vi chiedo: è questa la
via?”
“È l'unica che Spira può
sognare.”
Non c'è davvero altro, dunque,
pensò, ma tenne per sé la sua amarezza. “Ma che
differenza posso fare?”
“Differenza?”, chiese
Bahamut, quasi faticasse a familiarizzare col concetto.
“Sin rinascerà prima che
l'umanità possa aver raggiunto un qualsivoglia livello di
purezza, non è vero? L'ho visto oggi per la prima volta e mi
sono scoperto cieco da trent'anni.”
“Sconfiggerai Sin”, rispose
lentamente, studiando ogni parola. Non era abituato a consolare. “E
porterai un raggio di speranza. Non è così che vi
chiamano? E la speranza è... in sé... fonte di
cambiamento”, mentì. “Noi tutti guardiamo al tuo
viaggio con grandi aspettative. Ti aiuteremo. Chiamaci, nell'ora del
bisogno o quando il dubbio s'insinuerà alle tue spalle.
Dimentica Yevon e torna... a Zanarkand.”
“Torna...?”
Bahamut lo guardò con
compassione, protetto dall'ampio cappuccio. Scosso dal lutto che
ricopriva tutta la città di sogno e chi la manteneva in vita,
costretto per la prima volta in mille anni ad affrontare un destino
incerto come quello dei mortali che aveva sempre guardato dall'alto,
si vergognò delle risposte che stava dando a un uomo onesto.
“È ora che io lasci queste
sale, ché non sono a me dedicate e mantenere la presa sul
sogno vivente si fa faticoso. Saluti, evocatore. Trova in te la forza
in virtù della quale ti abbiamo scelto e accettato.”
Bahamut svanì.
***
“Non penso proprio”, disse
Auron con inedito autocompiacimento, appoggiato a una colonna, mentre
giocherellava con un sacchetto mezzo vuoto di polvere sonnifera. Ai
suoi piedi, i corpi di quattro guardie giacevano inerti – salvo
che per un leggero russare. Se Jecht aveva preso il suo posto, in
fondo, lui poteva benissimo prendere il suo, atteggiamenti inclusi.
Scoprì quella notte che il tutto poteva essere piuttosto
divertente. Avrebbe avuto dieci anni per perfezionarlo.
***
“Hai le tue risposte, giovane?”
“Ho una via”, rispose
Braska pensieroso. “Ed è più di quanto avrei
potuto chiedere a chi, come me, non vedrà l'alba di un nuovo
secolo. Forse le risposte non possono essere impartite. Le
cercherò... sulla strada, con i miei mezzi e i miei compagni.”
“Quindi combatterai
Sin?”
Sostenne il suo sguardo. “Donerò a Spira
la speranza di cui ha bisogno.”
“Eccellente. Possiamo iniziare.”
“Un'ultima domanda, se mi è
concessa.”
Ixion lo squadrò divertito. “Ci
tieni impegnati, giovane. Concessa, concessa.”
“Riguarda
l'inno che cantate. Desidero sapere, se non è troppo audace,
quale sia il suo significato e quale la sua origine. Mi è
stato insegnato che è un dono per chetare gli animi, ma vedo
oggi che non è così, o che non sempre lo è
stato.”
Il volto di Ixion si corrugò in
un largo sorriso. “Ti darò una risposta sincera, se è
questa che cerchi. Il nostro inno è... un canto che non può
non morire: per questo lo intoniamo. Se la sua eco si spegnesse in
noi, smetteremmo di essere quelli che siamo per diventare quello che
i vostri sacerdoti vorrebbero che fossimo.”
“Ammetto
di non comprendere, ma terrò a mente queste parole”,
disse Braska vedendo le sue certezze scivolare sempre più
lontano. Sentì il peso di tutto quello che non capiva e seppe
che né i suoi maestri, né i compagni di strada, né
a quel punto le sue uniche guide l'avrebbero mai alleviato. Temette
che sarebbe morto senza conoscere la verità, squarciandone
solo a tratti il velo, come lampi nella notte più buia. Ma
avrebbe continuato a cercare.
“Per comodità lo
ammantiamo di lodi”, riprese Ixion, “o lo intessiamo nei
sogni di un bambino, ma ogni parola effimera muore sotto le note che
ci insegnarono le nostre madri, e le madri delle nostre madri, quando
ancora calcavamo le terre del Nord. Il nostro canto attraversa i
secoli e non ha che un significato, il ricordo: ricordo di
ribellione, sconfitta, vendetta giurata. Non ti dirò altro e
forse già questo mi costerà, ma riconosco in te la
forza calma entro la tempesta e quella ho voluto omaggiare. Saluti,
cercatore di dubbi, sia veloce la tua andatura.”
La Fede scese dal cristallo al centro
della stanza e lo abbracciò; la sua pelle sapeva di tuono e
burrasca. Mentre scompariva e i loro sogni diventavano uno, Braska
sentì la stanchezza di mille anni entrargli in corpo e arrancò
a stento fino alla porta. Oppresso da una forza che ancora non
controllava e dai nuovi interrogativi cui quelle risposte avevano
portato, pregò di potersi abbandonare a un abbraccio fidato,
umano. Ma Auron non c'era e Jecht dormiva in un angolo, così
non poté che appoggiarsi al muro, respirare a fondo e
prepararsi al viaggio.
Ricordò in seguito che
all'ultimo Ixion si fosse tolto il cappello e, calcandoglielo in
testa come si farebbe a un bambino, l'avesse salutato così:
“Guidalo bene. Corri, evocatore. Supera il tramonto.”
***
Auron li attendeva fuori, circondato da
corpi, con la spada pulita e l'espressione seria. Ripartirono prima
che la Roccia del Fulmine rendesse nota la loro bravata al tempio
tutto.
Maife il sacerdote fu espressamente
invitato al silenzio dalla Fede che aveva giurato di servire. Anche
se così non fosse stato, fare rapporto a Bevelle in merito a
una divergenza d'opinioni con Lord Ixion difficilmente sarebbe
rientrato nelle sue priorità.
Un attacco di Sin lo uccise anni dopo,
appena prima che venisse a sapere cosa gli eretici Al Bhed avevano
intenzione di fare dei terreni consacrati alla sua Djose. Yu Yevon la
chiamò vendetta; Jecht, pietà.
Ixion aveva visto la tempesta
addensarsi attorno a quell'evocatore e sognò a lutto, acqua
scrosciante sulla terra scura, fino a che una giovane carica di
pioggia non gli ridiede la speranza di un ultimo tuono e poi di pace
eterna.
I tre pellegrini proseguirono per
Kilika, Besaid e infine il Nord, dove la morte li divise.
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@sony1987: Grazie, sono felice che ti sia rimasta impressa quella scena, probabilmente è anche la mia preferita nel capitolo! Quella, e i vari accenni che rendono 'sto racconto più un manualetto di come si sta con gli abiti di Braska addosso che un pezzo di prosa XD E Auron resta nel cuore, sì, sempre. Caro, caro fedelissimo a modo suo, prima e dopo. Oh, sulla voglia di dettagli son con te, del tutto! Ci son tanti modi di approfondire... avrebbero potuto ampliare un po' i flashback, o anche solo dedicar loro qualche rigo in più sull'Ultimania - Jecht ha praticamente la stessa quantità di testo di O'aka o Maechen, voglio dire. é_é Su Auron invece c'è un bel pezzettino, se già non lo conosci lo trovi in un topic stickato su Gamefaqs!
E con il prossimo capitolo, l'epilogo, si chiude! :3 |