Nuova Genesi - 01
I
Stanza buia, stanza fredda. Appoggio una mano sul vetro,
contemplando la vastità del
cielo. Nell’infinito nero
turbinano nubi che promettono tempesta. Nei piccoli sprazzi liberi fra
l’una e l’altra, oltre il viola e il grigio,
brillano le
stelle; luci radiose, fievoli, sfavillanti. Da qui si vedono benissimo.
Appoggio la fronte sulla finestra, pelle calda su superfice
fredda.
“Le vedi quelle stelle? Una stella un desiderio. Una volta
sognavamo divenissero nostre, Jesse. Te lo immagini? Quando ancora
pensavamo di essere soli in questo universo, soli in questo nero. Una
stella per un desiderio, non dimenticarlo mai.”
Passo le dita sull’anello che porto appeso al
collo. «Madre» sussurro. Scuoto la testa.
Riprendo a
guardare fuori. Al di sotto delle nubi, per un tuffo di centinaia di
metri c’è l’ultima città.
Contemplo le luci
fra le strade, dietro i palazzi di vetro e metallo.
Fumo sprizza fuori dai bassifondi, dove fango e terra soppiantano il
cemento. A vederla da qui sembra una macchia marrone. Le persone, da
questa distanza, sono grandi come formiche. E, proprio come delle
formiche, sono uno sciame indaffarato, in movimento. «Sarebbe
bello se fossimo anche così coordinati» penso ad
alta
voce. Ben poche cose sembrano più grandi di una formica
quando
le contempli dall’alto dei cieli, in fondo. Il dissenso
però, quello, il caos, è una prerogativa tutta
nostra.
«Visto qualcosa di
interessante?».
«Zio!»
«Nipote – fa lui venendomi incontro con
un sorriso,
mi mette le mani sulle spalle – ma guardati! Non sei cambiato
di
una
virgola!».
«Neppure tu» gli
rispondo.
Fa un sorriso triste «Non serve mentirmi, ragazzo. Il tempo
non
è stato clemente con
me».
«Prima o poi tocca a tutti – rispondo
voltandomi di
nuovo verso la città – qui invece sembra non sia
cambiato
nulla».
«Eh, potresti stupirti – mio zio solleva una
fiaschetta-
vuoi?».
«Ancora Whiskey?» faccio io portandomi la
fiaschetta alla
bocca.
«Bevi».
E io per bere, bevo. Il bruciore mi scende dritto in gola.
Tossisco. La risata di mio zio riempie la stanza «Vacci piano
ragazzo! E’ roba
forte».
Mi passo una mano sulle labbra «Non è il
solito».
«No – ne beve un sorso- questo lo abbiamo
trovato
nelle rovine. Ovviamente non era nelle migliori condizioni, ma con il
giusto trattamento.. » fissa la fiaschetta, riporta lo
sguardo su
di me. Il suo viso si incupisce «I bassifondi sono
sull’orlo della
rivolta».
«Non mi
stupisce».
«Non dovrebbe infatti, in buona parte è
merito
tuo».
«Mi
sopravvaluti».
«Io? » Mi ghigna in faccia. Una volta
chiamavano mio
zio “la iena”. Era un soprannome azzeccato.
«No
ragazzo, io so di cosa sei capace. Ce l’hai scritto in
faccia.
Questo – indica l’esterno- questo non è
un caso.
Quando si tratta di te Jesse, il caso non esiste. E oltre a tutto
questo ora abbiamo anche i Caduti alle
porte».
«Se non fossero abbastanza vicini da minacciare la
città
non mi avrebbero mai richiamato». Un’affermazione
la mia,
non una domanda. I suoi occhi azzurri mi studiano.
Nonostante l’età i suoi occhi continuano a scavare
nell’anima con la stessa dimestichezza di sempre. Mi guarda
bevendo dalla sua fiaschetta. La ripone in tasca. Posa gli occhi
sull’anello «Tua madre lo indossava
sempre».
«Zio..».
Lui alza una mano «No, no lasciami finire. Lo portava sempre
al
dito. Diceva sempre che era il suo legame indissolubile. “Un
anello è per sempre” diceva, poi mi guardava con
quei suoi
occhi scuri. E io mi dimenticavo come si faceva a respirare. Ci
crederesti? Gran donna tua madre. Hai i suoi stessi
occhi».
«Mph».
Sprofonda nella poltrona dietro di me, sorride «Ma
tu non
sei lei. Hai ereditato molte cose da parte sua ragazzo, ma la tua
spietatezza è tutta nostra. Ma non è questo che
vuoi
sentirti dire, non è vero? Non sei venuto qui per vedermi.
Sei
venuto qui perché vuoi qualcosa da
me».
Anche quella di mio zio è un’affermazione. Ed
è corretta. Drammaticamente corretta. Forse persino diabolicamente.
«Sì»
rispondo.
Fa una smorfia «Sei un Cambria. Non farmi perdere tempo e
dimmi
cosa vuoi,
ragazzo».
«Se seguiremo il piano del consiglio siamo tutti
morti».
«Ah – si passa una mano sulla barba
canuta – il
consiglio
».
«Non possiamo semplicemente ingaggiare battaglia
all’aperto. Una squadra deve infiltrarsi al Divario del
Tramonto
e attivare le
torrette».
«Ah! Ah! – apre la bocca, mi guarda,
sbatte le
palpebre- e scommetto che vorresti essere tu a farlo, non è
vero?».
Risposta secca, risposta unica:
«Sì».
Mio zio socchiude gli occhi
«Perché?».
«Se non lo faremo l’umanità
cadrà».
«Ti sto chiedendo il perché, ragazzo.
Non insultarmi
dicendomi balle. Sì, sono vecchio. E no, non sono
così
vecchio».
«Glielo
devo».
«Glielo devi? Glielo devi?! – urla lui-
non ti ha
insegnato niente la storia di tua madre? E’ quasi morta di
dolore
dopo che tuo padre… che mio fratello – scuote la
testa- e
tu, tu, tu vorresti seguire le sue orme? Oh no». Il vecchio
che
mi ha cresciuto mi guarda in cagnesco «Scordatelo. Non ho
salvato
il figlio di Jim e Jessica per vederlo morire come un cane
là
fuori!».
«Era mio
padre».
«Sì, lo vedo ragazzo. Lo vedo
– stringe i
denti- Hai gli occhi del colore di tua madre, ma il fuoco che
c’è in essi è tutto di mio fratello; ci
puoi
giurare. Aveva sempre quello sguardo. “Per il
popolo!”
diceva prima di andarsene. Pfui. E tentando di prendere il Divario del
Tramonto cosa ha ottenuto se non di lasciare sola tua madre e
te?».
«Non mi fermerai zio. Non questa volta»
stringo i
pugni. Lo guardo respirare profondamente, mentre i suoi occhi
continuano a studiarmi. Nessuna novità in questo:
l’avevo
previsto.
«Sei tutta la mia famiglia Jesse. Sei tutto
ciò che
mi rimane» sussurra
lui.
Chiudo gli occhi «E ti ringrazio per
questo».
«Non ti ho cresciuto e allevato? Non mi sono preso cura di
te?».
«L’hai
fatto».
La sua mano cerca la mia. La trova «Dove ho
sbagliato con
te,
ragazzo?».
«Non sei mio padre. Non comportarti come se lo
fossi»
rispondo
respingendolo.
Questo lo ferisce. La sua schiena si incurva sotto il peso delle mie
parole. Il suo sguardo spento, fissa il
vuoto.
«Mi
dispiace».
Lui scuote la testa. Una singola lacrima gli solca la guancia. La
asciuga con un gesto rabbioso. «Parlerò al
consiglio. Lo
farò. Ma da questo momento in poi non considerarti
più un
membro della mia
famiglia».
«Non volevo finisse
così».
«Ah no? Il mio unico nipote spunta fuori dal buco che si era
scavato e non mi da neanche il tempo di riabbracciarlo che
già
si è scavato in un’altra fossa. Vuoi seguire la
strada di
tuo padre, Jesse? Sei abbastanza cresciuto da fare quello che ti
pare– si prende la testa fra le mani- ma non chiedermi di
farmelo
andare bene- alza gli occhi verso di me, sono di un azzurro
così
profondo da perdercisi- non
chiedermelo».
Annuisco, incapace di dire altro. Cosa posso dire a un uomo uguale a
me? – mi domando fra me e me. Mio zio mi ha insegnato chi
sono.
Mi ha insegnato come pensare, come combattere e sopravvivere. Mi ha
cresciuto e amato. Ma non è abbastanza. Mi volto. La sua
voce mi
raggiunge prima che arrivi alla soglia «Cosa ti ha reso
così Jesse? La ferita? – chino la testa- quella
donna? O
la mancanza
di…».
Tu non sei mio
padre.
«Qualsiasi cosa sia stata zio – lo interrompo- il
ragazzino
che conoscevi è morto molto tempo fa. Ora sono Jesse delle
Bande
Nere».
«Non mentirmi Jesse. Non ne hai bisogno. Pensavo di
avertelo detto: non sono così
vecchio».
«Secondo te zio, mio padre pensava a me
quando..»
stringo i pugni, tacendo per l’emozione. Eh sì,
l’emozione. Così forte da stritolarmi da
dentro.
«Ah, adesso capisco – dice lui- leiaspetta
un
figlio».
«Devo farlo. Per un futuro
migliore».
«Allora lascia perdere. Resta qui, occupati della tua
famiglia e
lascia fare a qualcun altro il lavoro
sporco».
«No».
«Perché ragazzo, perché ti
ostini a seguire
quella
strada?».
«Perché qualcun altro non è
abbastanza». Varco la soglia della stanza. Cammino lungo il
corridoio, lontano dal panorama, lontano dal cielo. Lontano dal mio
patrigno. Digrigno i denti.
Per quanto seguirai le sue orme? Cosa ha ottenuto se non di lasciare
solo tua madre e te?
La testa pulsa, in balia di ricordi che battono contro le tempie. Un
padre e un figlio, una storia che si è vista tante,
così
tante volte. Ma di chi
sono figlio io? Di mio padre o di mio zio? A chi devo di più?
Guardo l’anello. Sospiro.. Dietro le palpebre abbassate, nel
buio
primevo della mia mente, c’è solo un ricordo a
pulsare, un
ricordo ben preciso. Lei.
Una speranza prima, in qualsiasi luogo e tempo, una che segni
l’inizio e la fine di ogni nostra azione.
Riapro gli occhi, riprendo a camminare lungo la
torre.
Ora sono Jesse delle
Bande Nere.
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