Ti guardo mentre mi osservi, gli occhi sbarrati e l’espressione
incredula, subito dopo che ti ho ammanettata ai comandi del mio mezzo.
Che strano. Mi sembra di leggere della paura sul
tuo volto.
Ma non avevo scelta.
So bene quanto eri affezionata a Momoka, e temo per quello che potresti fare se ti lasciassi
qui.
D’altra parte, Embryo non
ci permetterà mai di fuggire. Qualcuno deve restare indietro.
Verrà il tempo della vendetta; il momento in cui
quel pazzo edonista pagherà per tutto quello che ha fatto. Anche se non sarà
oggi.
«Devi vivere.» ti dico dopo aver impostato il
pilota automatico verso l’unico luogo in cui ti saprò al sicuro.
Mi guardi di nuovo, sempre più incredula, mentre
nel tuo sguardo vedo montare la paura.
Probabilmente pensi che sia sul punto di commettere
qualche sciocchezza.
Ma non temere. Non ho alcuna intenzione di morire.
Devo tornare da te. Tu sei la mia luce, il calore
che mi ha riscaldato la mia vita, proprio quando stavo per convincermi che non
dovesse esservi più alcuna ragione per voler andare avanti.
Tu mi hai dato quella ragione: quello scopo.
Proteggerti è diventata la mia missione.
Non perché sono il Cavaliere del Villkiss.
Perché ti amo.
Ti amo, Ange.
E appena tornerò da te, ho intenzione di dirtelo
una volta per tutte, sperando che non finisca come al solito; mi domando come faccia
ad essere ancora vivo dopo tutte le volte che mi hai picchiato, frustato,
legato e sparato.
Ma è anche questo che mi piace di te: il tuo fuoco.
La tua anima è rossa come i tuoi occhi, un fuoco
divampante capace di restituire la speranza anche in un mondo marcio e corrotto
come il nostro.
Ma ora quegli occhi sono velati, umidi, e quando me
ne rendo conto mi viene da sorridere.
Chi l’avrebbe mai detto che tu fossi capace di
piangere?
Chissà per quanto tempo ti sei tenuta dentro quelle
lacrime, presa com’eri dalla necessità di apparire forte, quel maschiaccio
incorreggibile che forse non sei mai stata: non fino infondo, almeno.
In te c’è ancora qualcosa della Principessa Angelise; la parte più pura, l’unica che valesse la pena
conservare, e che fino ad oggi hai sempre voluto tenere nascosta, nel timore di
apparire una debole; o forse, perché ti ricordava ciò che eri, e che adesso
detesti con tutte le tue forze.
Quelle lacrime sono come lame.
Non sopporto di vederti piangere.
È la vera Ange che voglio vedere: la guerriera. Perché
la vera battaglia è solo all’inizio, e ora più che mai abbiamo tutti bisogno di
quel calore che solo tu sai sprigionare.
«Tornerò al tuo fianco» ti rassicuro. «Te lo
prometto.»
«Non farlo, Tusk!» mi
urli con uno sguardo che non ti ho mai visto.
È troppo. Non ce la faccio più.
So che non è il momento migliore, ma è più forte di
me.
Mi protendo in avanti, veloce, cogliendoti
impreparata, sfiorando le tue labbra con le mie. In un’altra occasione probabilmente
mi avresti sparato, invece ora sembri quasi assecondarmi.
E allora, la mia memoria corre alla prima volta, a
quella fredda notte.
Ne approfitto per metterti in mano il pendente,
quel regalo che mi hai fatto quel giorno, in un momento in cui, per un breve
periodo, siamo stati felici.
È un modo per assicurarti per tornerò: spero solo
che tu lo capisca. Non potrei mai separarmi da un oggetto così prezioso, come
non potrei separarmi da te.
Il veicolo si mette in moto; faccio qualche passo
indietro, ma continuo a guardarti, ostentando quel mio sorriso infantile che
tante volte hai criticato, e dal quale ora invece sembri non volerti più
staccare.
Il suono della tua voce sovrasta per un attimo ogni
cosa.
«Tusk!»
Ma non ho tempo di risponderti.
Embryo è ancora qui. E sembra
anche parecchio incavolato.
Dura per un narcisista simile accettare l’idea di
vedere la propria donna nelle braccia di un altro.
Seguo con l’udito il rumore del veicolo, per
accertarmi che sia abbastanza lontano.
Ecco. Ora sei in salvo.
Probabilmente pensa di catturarti di nuovo subito
dopo che avrà sistemato me, ma non immagina neanche quale sorpresa io abbia in
serbo per lui.
«Lurida scimmia!» urla, e spara l’ultimo colpo del
suo revolver.
Ancora una volta il giubbotto di kevlar fa il suo
dovere, anche se il colpo fa saltare via la cintura della pistola.
Poco importa. Ormai non mi serve più.
«Detesto quelli che no si arrendono!» urlo tirando
fuori tutta la mia rabbia.
Anche io non vedo l’ora di sventrare questo maiale,
ma so bene che per ora mi è impossibile.
Eppure, non posso fare a meno di sentire un
sentimento gagliardo montarmi dentro nel vederlo farsi bianco come un lenzuolo
quando, aprendo il giubbotto, gli faccio notare il regalino che ho legato
attorno al torace.
Per essere uno che si crede un Dio si è fatto cogliere
piuttosto impreparato.
Davvero pensava che mi sarei limitato a restare
immobile a farmi sparare?
Forse non posso ancora uccidere il suo vero corpo,
ma godrò nel sapere almeno questo ridotto a brandelli.
Ma se spera con questo di non rivedermi più, si
sbaglia di grosso.
Io non posso ancora morire.
Devo tornare da lei.
Anche se, per ora, è più prudente lasciare che mi
creda morto; chissà che così non abbassi la guardia, dandoci un vantaggio al
momento della rivincita.
Senza farmi vedere, lascio cadere una granata
luminosa, che esplode al contatto col terreno.
Sarà pure immortale, ma neppure i suoi occhi di
sedicente dio possono sopportare tremila watt di luce improvvisa, che infatti
lo lasciano momentaneamente accecato e stortido.
Quell’istante è tutto ciò che mi serve.
Con il congegno di emergenza apro la cintura e allo
stesso tempo la attivo, gettandomi subito dopo giù dal tetto dritto nel
precipizio.
L’esplosione per poco non mi investe, portandosi
via un intero piano del palazzo e facendomi piovere addosso una raffica di
macerie.
Lancio il rampino telescopico, ma l’appiglio non è
dei più solidi, anche se fortunatamente mi rallenta quanto basta per salvarmi l’osso
del collo, e i rami degli alberi sottostanti fanno il resto.
Per un attimo ho pensato che non ce l’avrei fatta.
Invece, aperti gli occhi, mi ritrovo lì, nel
boschetto ai piedi della rupe, il cielo rosso per le fiamme e annerito dal
fumo.
Ce l’ho fatta.
Ange dopotutto ha ragione a dire che sono uno che
non muore neanche se lo si ammazza.
Potrei fare concorrenza ad Embryo.
Provo a rialzarmi. Sono tutto un dolore.
Per fortuna i flaconi di antidolorifico sono ancora
intatti, anche se me ne servono due per riuscire quantomeno a zoppicare.
Comincio a camminare, diretto verso la baia, quando
uno strano bagliore verde smeraldo, circondato dal rosso vermiglio del fuoco, cattura
la mia attenzione.
È il Mana.
Le guardie imperiali mi hanno già trovato!?
No, impossibile. Per quanto ne sa, Embryo mi ha appena visto saltare per aria. E poi quella
luce resta immobile, seminascosta tra i cespugli bruciati o anneriti.
Qualcosa mi suggerisce di andarle incontro, mentre
un sospetto ai limiti dell’impossibile si fa strada nella mia mente.
Quando, varcato l’ultimo ostacolo, un albero centrato
in pieno da un pezzo di autocarro e sradicato di netto con tutte le sue radici,
mi trovo dinnanzi ad un corpicino svenuto, non riesco a non lanciare un’esclamazione
di stupore.
«Momoka!?»
Incredibile.
Altro che il sottoscritto. È quella cameriera a
prima vista così timidina e remissiva ad avere sette vite come i gatti. La luce
del Mana la avvolge completamente, tenendola al sicuro dalle fiamme che le
avvampano intorno.
Mi viene da ridere. Chissà se l’aveva preventivato
o se si è trattato solo di un incredibile colpo di fortuna. Si vede ancora il
buco nella sua veste, lì dove Embryo le ha sparato, e
mi pare di scorgere una superficie metallica al di sotto di esso.
Sarà mica un robot? Questo spiegherebbe la sua
invincibilità.
Fattomi strada tra le fiamme, la prendo delicatamente
tra le braccia, e lei sentendosi muovere, apre gli occhi, riprendendo
conoscenza per qualche attimo.
«T… Tusk…»
«Và tutto bene, Momoka. Ci
sono io qui.»
«A… Angelise-sama…»
«È in salvo. Grazie a te.»
Lei sorride, quindi, di colpo, si addormenta,
mentre la luce attorno a lei si spegne; tra il volo dal precipizio e l’uso di
tutto quel Mana, poverina, deve essere esausta.
Ma non c’è tempo di stare a guardarla mentre dorme.
Embryo manderà
sicuramente qualcuno a cercare tracce di noi.
Dobbiamo tornare indietro.
Al rifugio.
Lì dove si trova Ange.
Dove la nostra… no, la
mia luce, mi sta aspettando.
Nota dell’Autore
Salve a tutti!^_^
Questa è la mia prima fanfic introspettiva in prima persona, quindi vi prego di
non essere troppo cattivi.
Ricordo ancora i
giorni passati a disquisire all’indomani dell’episodio in cui Tusk e Momoka apparentemente si
sacrificavano per salvare Ange.
Sono morti? Non sono
morti?
E anche dopo, quando
sono tornati, le polemiche non si sono placate, con un mare di speculazioni e
supposizioni circa gli eventi avvenuti che non hanno mai trovato una conferma.
Così, ho voluto
provare io ad ipotizzare un possibile svolgimento dei fatti, approfittandone
anche per cimentarmi in un genere a me completamente nuovo.
Spero che sia stato di
vostro gradimento.
A presto!^_^
Carlos Olivera