base capitoli HOLG
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[Ray]
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Nonostante tutto, l'aria che si
respira in Texas non ha eguali in
nessun altro luogo al mondo.
Mi sono disabituata alla dolcezza
del sapore di questo vento perenne,
che spira dagli altopiani del profondo Ovest e giunge fin qui,
sciogliendosi in
mille brezze che non smettono mai di accarezzare le immense pianure
baciate dal
Sole. Mi sono assuefatta al profumo di fuliggine e di pioggia che
permea Londra
in qualunque stagione dell'anno ma qualcosa, dentro di me, riconosce e
gioisce
in questa calura che, ad altri, potrebbe sembrare opprimente.
Io sono nata qui.
Io sono cresciuta qui e, nonostante
io non abbia avuto un'infanzia e
un'adolescenza particolarmente felici o serene, ricorderò
sempre con affetto
l'odore del manto dei cavalli, che sembra essere onnipresente persino
in città,
il calore tutt'altro che spiacevole di questi raggi che non mi hanno
mai bruciata
nonostante io sia pallidissima, il colore che sembra innaturale di
questo
magnifico cielo azzurro.
Questa non è
più casa mia, ma rimarrà sempre la mia terra.
Mi calco inconsciamente il mio
vecchio Stetson sui capelli arruffati –
ed è un gesto che credevo di aver dimenticato, che
credevo non facesse più
parte di me – mentre mi volto verso Ben.
Vederlo qui, anche lui con un
cappello a tesa larga in testa per
proteggersi dalla calura, che cammina tranquillamente accanto a me come
se non
stesse crepando in queste temperature atroci a cui non è
abituato, mi suscita
un insieme di emozioni che districo solo dopo un po' d'impegno: come
sarebbe
stata la mia vita se non me ne fossi andata? Lo avrei conosciuto
comunque?
-Sei sicuro di volerlo fare?- gli
domando, dando voce ad uno soltanto
dei se e dei ma che mi si
stanno affollando nella mente, alzando
gli occhi verso la villetta a schiera che, uguale a tutte le altre,
stiamo
lentamente raggiungendo.
Hanno cambiato casa.
Questa non è
l'abitazione stretta e buia da cui sono scappata io: è
una bella casetta su due piani, modesta ma dall'aspetto confortevole,
con tanti
fiori esposti nelle fioriere che sporgono dai davanzali e le finestre
tutte
aperte.
Ben aggrotta le sopracciglia ed
è davvero adorabile, quando lo fa – diventa
una cosa sola con quel cappello, ti scongiuro –,
mentre allunga una mano
per intrecciare le dita alle mie.
-Non sarà piacevole.-
borbotto, mandandomi mentalmente a quel paese
perché, lo so, la mia testa sta cercando tutti gli appigli
più strambi per
distrarsi da quello che sta per succedere; ma io devo rimanere
concentrata,
determinata, perché questa non è una cosa da poco
e in gioco ci sono il
benessere di mia sorella e la mia stessa libertà... la
libertà che, dopo tanti
anni passati a trascinarmi dietro il peso del passato, credo di essermi
ampiamente meritata.
-Sono con te. Ora, domani, fra un
anno o per sempre.- afferma, e la
determinazione nelle sue parole rimpingua anche la mia, tutt'altro che
entusiasta.
È vero.
Lui è accanto a me da
molto tempo e lo è stato anche durante queste
ultime giornate, passate negli uffici dall'odore pestilenziale degli
assistenti
sociali, in banca, da mia nonna – che credo abbia una cotta
per lui, a
giudicare da come l'ha guardato dopo essersi ripresa dalla sorpresa e
dalla
gioia di avermi trovata sulla sua soglia.
Sorrido, fra me e me, socchiudendo
gli occhi e riportando alla mente
la sensazione meravigliosa che ho provato fra le braccia di mia nonna,
la persona
che mi ha dato tutto, che mi ha insegnato tutto, che mi ha concesso la
possibilità di diventare la donna che sono.
Ben si avvicina a me e il ricordo
di quell'abbraccio si mescola a
quello in cui mi stringe lui, adesso, davanti alla casa in cui vivono i
miei
genitori, sotto il Sole cocente del Texas. Respiro, concentrandomi
sull'odore
della sua pelle, aggrappandomi alla sua camicia per qualche istante
mentre
anche il mantra che mi sono ripetuta per sedici anni torna a galla: sono
forte, sono invincibile, sono una donna.
Mi sciolgo dalla stretta di Ben,
gli sorrido e poi mi volto verso
quella porta che mi sembra molto più minacciosa di quanto,
solitamente,
dovrebbe essere una porta.
Prendo un lungo, lunghissimo
respiro, forse per prepararmi all'apnea
che potrebbe salvarmi dall'annegamento se l'odio di mia madre si
dovesse
riversare su di me, prima di fare questi ultimi passi – quanto
sembra lungo,
questo vialetto –, allungare una mano verso il
campanello – da quando ho
le mani tanto pesanti? – e premere, finalmente, il
fottuto bottone.
Posso ancora darmela a gambe, vero?
Dopo qualche secondo sento un
tramestio dall'altra parte della parete
e il suono di un catenaccio che viene aperto; poi la maniglia si
abbassa,
togliendomi ogni possibilità di fuga, inchiodandomi qui dove
sono quando gli
occhi scuri di una donna di mezz'età si riempiono di
sorpresa e sgomento nel
riconoscermi.
Sei cambiata anche tu, mamma.
Ora è meno scheletrica
di quanto la ricordassi: la depressione le
aveva tolto ogni appetito e, me lo ricordo, convincerla a mangiare
qualcosa di
più di un pacchetto di grissini era davvero un'impresa
impossibile... è persino
truccata, lei che non si truccava mai, e credo che sia stata dal
parrucchiere
di recente perché ha un taglio corto dall'aspetto nuovo
fiammante, che ben si
sposa con i suoi – i miei –
tratti affilati.
-Ciao, mamma.- esordisco e, per un
istante, mi sento fiera di me:
nella mia voce e nella mia faccia non c'è niente
– niente che faccia
trapelare l'angoscia e la paura che sto provando, niente della tensione
che ha
tirato ogni singolo muscolo del mio corpo, niente dell'attesa dello
schiaffo
che posso quasi già sentire sulla pelle.
Forse se ne accorge, lei,
perché scorgo un lampo di sofferenza
attraversarle il viso e, se fossi ancora la ragazzina che ha cacciato
di casa
anni fa, potrei anche provare compassione e rimorso nei suoi confronti.
-Ray...-
Sentire il mio nome pronunciato da
lei non fa così male come avevo
preventivato. È solo un nome, dopotutto, pronunciato da
un’estranea che non
credo di aver mai conosciuto davvero.
-Possiamo entrare?- domando,
sostenendo il suo sguardo incerto e
colpevole con una serenità e una pacatezza che non mi
appartengono, che devo
aver momentaneamente preso in prestito da Ben perché
è sempre stato lui quello
tranquillo, fra noi due, quello glaciale, quello pragmatico.
-Certo... prego.- entro in casa per
prima, seguita da Ben che, senza
una parola, supera mia madre e mi si affianca. Nonostante io non sia
mai stata
in questo posto riconosco i mobili, i colori caldi che mia madre ama
vedere
sulle pareti e che io invece ho sempre detestato, i quadri, i
soprammobili…
Mi accomodo in salotto e
l’odore della stoffa un po’ consunta di
questo divano, per un istante, mi fa vacillare: mi sono accoccolata
proprio lì,
in quell’angolo fra il bracciolo e lo schienale, almeno un
migliaio di volte…
Ben si siede accanto a me e l’ombra di quel ricordo svanisce,
evaporando come
un miraggio nel deserto.
Maddy Cooper si siede di fronte a
me, sulla poltrona, attorcigliandosi
le mani piccolissime in grembo e guardandomi dal basso verso
l’alto, a disagio.
-Ti trovo bene...- mormora, dopo
diversi secondi di spiacevole
silenzio.
-Anche tu mi sembri in forma.-
replico, sempre in questo tono di voce
calmo e serafico che, sulle mie labbra, sembra quasi alieno. -Ascolta,
sono qui
per Shirley.- esordisco, impedendo che altro silenzio si dilati in
questa
stanza già pregna di tensione: voglio che tutto questo
finisca al più presto. -So
che avete riottenuto l'affidamento.- aggiungo, ed una punta di
disprezzo
colora, per un momento, le mie parole.
È stato per Shirley che
mio padre è venuto a cercarmi: dopo anni di
cure psichiatriche e dietro ferrei controlli dei servizi sociali,
infatti, a
lui e a mia madre è stato concesso di riavere indietro mia
sorella, ma mio
padre – dando prova di un amore paterno che mi ha sorpresa,
considerando i
precedenti – ha voluto che io lo venissi a sapere prima che
gli accordi
definitivi venissero firmati, in modo che, se avessi voluto farlo,
avrei potuto
oppormi.
Mia madre coglie il sarcasmo che ha
spezzato la mia calma e sospira,
abbassando lo sguardo. Anni fa non lo
avrebbe fatto: avrebbe reagito.
-Sono cambiata, Ray. Mi sono
curata.- sussurra, fissandosi
insistentemente le ginocchia.
-Mi è stato detto.-
replico, ma mi costringo a prendere un profondo
respiro per non lasciar uscire nemmeno mezza delle miriadi di parole
che vorrei
urlare in faccia a questa donna. Devo
pensare a Shirley. -Sai quante volte ho chiesto il suo
affidamento?- le
domando, quindi, non più tranquilla ma con un odioso
tremolio nelle parole, nelle
dita che, istintivamente, cercano quelle di Ben.
-Undici volte.- annuisce lei,
tornando a guardarmi: ha gli occhi
marroni, mamma, al contrario di me. -Mi dispiace che te lo abbiano
sempre
negato.- aggiunge e, se non avessi imparato da tantissimo tempo a non
prendere
per vera nemmeno una sillaba delle sue frasi stucchevoli e piene di
sentimento,
questa affermazione avrebbe anche potuto sorprendermi.
-La mia unica consolazione era
sapere che stava con la nonna.-
commento, respirando di nuovo e poi ancora una volta, cercando di
riportare la
calma nella ragazzina spaventata in fondo al mio cuore che, nonostante
tutto,
vorrebbe davvero riabbracciare la sua mamma. -Non mi pento di avertela
tolta.-
mormoro, piano, inclinando la testa di lato per osservarla con
più attenzione.
-Hai fatto bene.- ammette, e vorrei
davvero poter credere al rimorso e
al senso di colpa che sento e vedo in lei. Lo vorrei con tutta me
stessa. -Non
ero una persona in grado di essere una buona madre.-
La morsa che mi serra il petto
è, ormai, qualcosa che conosco molto
bene.
-Direi che su questo siamo
d'accordo.- sibilo, fra i denti,
assottigliando le palpebre e stringendo la mano di Ben nella mia.
Mamma mi guarda, e vedo qualcosa
luccicarle fra le ciglia.
-Vorrei che tu potessi perdonarmi.-
-Non posso.- la risposta che mi
sale sulle labbra è talmente
istantanea che anche io impiego un secondo per registrare di averla
pronunciata. -Non lo farò.- aggiungo, drizzando la schiena
ed ergendomi in
tutta la mia altezza.
Se c’è
qualcosa di cui sono assolutamente certa è questa: non
riuscirò
mai a perdonare a questa donna l’avermi tolto la mia mamma
nel momento in cui
avevo più bisogno di lei.
-Ma posso sperare che tu sia, per
Shirley, una madre migliore di
quella che sei stata per me.- aggiungo, e sono queste mie parole ad
illuminarle
il viso e a strapparle un sorriso sollevato, pieno, che mi fa
più male di tutto
il resto.
Ho passato gli ultimi tre giorni ad
ascoltare gli assistenti sociali
che hanno seguito la mia famiglia, a leggere le relazioni stilate
durante
questi anni dagli psichiatri e dagli specialisti che hanno gestito la
riabilitazione dei miei genitori e il sostegno per Shirley.
Ho domandato fino allo sfinimento,
ho spremuto da quelle persone e da
quei documenti ogni goccia del mio passato e del loro, affogando nel
dolore e
nel senso di colpa fino a che non ho dovuto, per forza, infrangere il
pelo
dell’acqua, salata di lacrime, per respirare. Ho letto della
malattia di mia
madre, ho letto dei suoi rimpianti, ho visto il mio nome tante volte,
spesso
sbavato dalle lacrime cadute sul foglio su cui lei vergava tutti i suoi
rimorsi
nel tentativo di impedire che la lacerassero dentro.
Da quei documenti mancava solamente
la mia firma: se io avessi voluto
impedire che Shirley tornasse in questa casa avrei potuto farlo. Avrei
potuto,
finalmente, portarla via con me.
Non sono una sciocca né
una sprovveduta: i servizi sociali terranno
sotto stretto controllo la situazione fino a che Shirley non
avrà diciott’anni,
mia nonna continuerà ad essere estremamente presente nella
vita di questa
famiglia e, al minimo sgarro, mia sorella verrà riportata da
lei… ma ho deciso
che Shirley merita di avere dei genitori.
Almeno lei.
-È più di
quanto io meriti da te.- esala, mia madre, appoggiandosi una
mano sul petto come per aiutarsi a respirare. Ho insistito per essere
io a
portarle la notizia, per infliggere a me stessa l’ultimo
calvario, per spezzare
definitivamente ogni legame fra me e lei con questa decisione che, e
lei lo sa,
ho preso solamente per il bene di Shirley.
-Indubbiamente.- scuoto la testa,
chiudendo gli occhi per mezzo
secondo, esausta. -Non cercatemi mai più, né tu
né tuo marito. Non voglio avere
nulla a che fare con nessuno di voi due.-
Le mie parole, fredde come
ghiaccio, la colpiscono e vanno a segno con
una crudeltà e una precisione incredibili.
Forse sperava che io tornassi da
lei, dopotutto. Forse sperava davvero
che io la perdonassi, che io
desiderassi riallacciare un qualche tipo di rapporto con loro.
Sbagliava.
Annaspa, senza saper cosa dire, per
un paio d’attimi; poi, però, si
affloscia, abbassando la testa e annuendo, sconfitta. -Lo capisco.- no, non è vero. Ma va bene
così.
-Shirley è di sopra, se vuoi andare da lei.- aggiunge, ed io
sono in piedi
prim’ancora che lei abbia finito di parlare. Guardo Ben,
rivolgendogli una muta
domanda a cui lui risponde con un sorriso.
-Va'.- mi incoraggia e, prima che
io stessa possa accorgermene, sono
già davanti alla porta della stanza di mia sorella, che
riconosco perché, come
quando era bambina, è tappezzata di poster e di disegni
coloratissimi.
Le domande si affollano,
all’improvviso, nella mia testa, facendomi
esitare proprio quando la mia mano è, ormai, sul pomello:
chissà com’è
diventata, la mia Shirley. Chissà se mi assomiglia, se ha
ancora qualcosa in
comune con me, se mi odia per quello che ho fatto…
Stringo i denti, ricacciando
indietro le lacrime e abbassando di
scatto la maniglia, socchiudendo la porta.
-Shir?- chiamo, esitante, facendo
appena in tempo a scorgere un
piccolo, vivace mondo pieno di colori in questa stanza prima che una
marea
bionda mi travolga, affogandomi in un’onda di capelli sottili
e spettinati.
-RAY!- urla una voce nel mio
orecchio destro, mentre le mie costole
scricchiolano sotto la stretta spasmodica, terrorizzata, di queste
braccia che
sono più lunghe e più forti di quelle che
ricordavo, ma che conservano la
morbidezza della bambina che ho lasciato anni fa.
Mi aggrappo a questo corpo acerbo
con tutte le forze che ho, chiudendo
gli occhi nel lunghi capelli arruffati della mia sorellina – e c’è lo stesso profumo, lo
stesso che mi
cullava di notte, quando lei si nascondeva nel mio letto per dormire
con me.
-Ciao, sis...-
mormoro, allargando le dita sulla schiena di mia
sorella e stringendola al petto lentamente, assaporando ogni istante di
questo
abbraccio che mi è mancato più di qualsiasi altra
cosa al mondo: più di
Anthony, più di Will, più di tutto, è
Shirley che avevo bisogno di stringere
ancora ed è lo spazio vuoto nel mio petto che nessuno, a
parte lei, potrà mai
colmare.
Trema, la mia sorellina che oramai
è alta quasi quanto me, freme e
affonda il viso nel mio petto, come quando era bambina. Lacrime calde
mi
bagnano le spalle scoperte e le sue unghie mi si piantano nella
schiena, ma non
protesto. -Non ti vedo da così tanto...- mugola la stessa
voce che mi ha quasi
assordata, così simile a quella che rammentavo eppure
più adulta, diversa, ancora
infantile ma con un retrogusto di donna che mi sconvolge più
di tutto il resto.
-Oh, Ray...-
-Sssh.- sussurro, cercando di
inghiottire il grumo di lacrime e di
commozione che mi si è annodato in gola e accarezzandole la
testa, appoggiando
la guancia alla sua tempia. -Va tutto bene. Sono qui con te.-
Rimaniamo strette su questa soglia
molto a lungo, riappropriandoci
ognuna della propria sorella: gli anni non sono stati capaci di
smorzare il
legame che ci ha unite da sempre, fin da quell’assolato
giorno di agosto in cui
ho visto i suoi occhi blu schiudersi per la prima volta e ho promesso a
lei e a
me stessa che avrei protetto quella creaturina appena nata da ogni
bruttura, da
ogni sofferenza.
Solo dopo molti minuti Shirley si
separa, a malincuore, da me, ed io
posso finalmente guardare questo bel visetto che ricordavo
più paffuto, più
rotondo e più infantile.
-Sei qui per portarmi via?- mi
chiede, sfregandosi lo zigomo con il
dorso della mano. È diventata
stupenda,
la mia bambina. -La mamma è cambiata davvero, non
credo che ce ne sia
ancora bisogno e__-
-No.- la interrompo, sforzandomi di
sorridere. Ogni cellula del mio
corpo vorrebbe scappare, andare via da qui e portarla con me, ma non
voglio strapparle
la possibilità di essere amata dai suoi genitori. Non posso.
-Voglio sperare
che lei sia cambiata davvero, ma non posso esserne certa.- aggiungo, e
so che
posso essere completamente sincera con questa ragazzina che, nonostante
tutto,
ho scorto crescere e maturare fra le righe delle sue e-mail, nelle foto
che mi
mandava, nei suoi sorrisi e nella sua voce attutita attraverso un
telefono
cellulare.
Le accarezzo i capelli e la seguo,
sedendomi con lei sul suo letto. È una
camera ampia, accogliente e piena di luce e di colori: al contrario di
me, Shirley
ha sempre amato la vita, ha sempre cercato di portare la
vivacità e l’allegria
nella sua esistenza… ed è merito anche mio,
realizzo, sentendo il cuore mancare
un battito.
È anche grazie a me se
Shirley è cresciuta in modo più sereno,
protetta dalla malattia di sua madre e dai suoi scatti d’ira,
lontana il più possibile
da ciò che avrebbe potuto segnarla così
com’è successo a me.
Ho
mantenuto la mia
promessa, ma manca ancora qualcosa.
Shirley mi guarda, curiosa, mentre
prendo un lungo respiro e infilo
una mano nella borsa, estraendone un plico di fogli ben stretti in una
cartellina trasparente. -Sono qui per offrirti la libertà.-
affermo,
scaricandole tutto in grembo. Lei mi guarda, confusa, strappandomi un
altro
sorriso.
-Questi sono i dati di un conto
corrente a te intestato a cui potrai
accedere presentando in banca il tuo diploma, e solo se avrai ottenuto
un
punteggio encomiabile.- le spiego, e lei si morde un labbro,
arrossendo: è
brava, a scuola, ma tende a non impegnarsi molto. -Inoltre, potrai
usare questi
soldi esclusivamente per frequentare un college a tua scelta o, se non
vuoi
fare il college, un qualsiasi master di specializzazione o di
preparazione al
lavoro.- continuo, guardandola diventare sempre più
incredula mentre, con le
dita abili di una pittrice, scorre rapidamente i fogli e sgrana gli
occhi,
scorgendo la cifra a cui ammonta il suo fondo fiduciario. -Potrai
usarli per
andare dove più desideri: potrai venire a Londra e, in quel
caso, ti aiuterò a
trovare una casa e un eventuale lavoro, oppure restare qui, oppure
ancora
viaggiare e studiare e fare tutte le esperienze che desidererai fare.-
Ho lavorato per cinque anni,
accumulando questa piccola fortuna per
dare a mia sorella una chance di
essere felice. Ho accumulato ogni centesimo, ogni gratifica, ogni
straordinario, ho persino rischiato di dovermi prostituire pur di non
perdere
tutto, ma sono stati sforzi che, e me ne rendo conto quando lacrime
commosse cominciano
a scendere lungo le guance di mia sorella, rifarei.
-La scelta sarà solo ed
esclusivamente tua, ma solo ad una
condizione.- la avverto, ma lei ha già capito.
-Nessuno oltre la nonna ne
saprà nulla.- mormora, alzando lo sguardo:
i suoi occhi blu, innocenti e pieni di voglia di vivere, sono rimasti
gli
stessi di quella neonata spelacchiata di tanti anni fa. Annuisco.
-Ti servirà comunque la
controfirma della nonna per ogni movimento, a
proposito. Lei è il tuo garante.- le espongo, indicando la
firma della nonna
accanto alla mia.
-Come hai fatto a mettere da parte
questi soldi? Voglio dire… sono
troppi, io non posso__-
-Tu puoi e devi
accettarli, perché non ho faticato per anni per
lasciare che tu rifiuti tutto questo.- la redarguisco, inarcando un
sopracciglio: non le permetterò di rifiutare questo regalo.
Ha troppa
importanza, sia per lei che per me. -Ti sto dando una
possibilità, Shirley. Non
perderla.- la avverto, ma subito capisco che mia sorella non
rinuncerà a tutto
questo, lo leggo sul suo viso entusiasta: ha troppa fame di vita, di
felicità,
per rifiutare.
-Verrai a trovarmi più
spesso, ora?- mi chiede, speranzosa.
Scuoto la testa, lentamente. Non
tornerò mai più in questo posto, ne
sono perfettamente conscia. -Verrai tu. In quella busta ci sono anche
alcuni
biglietti prepagati di andata e ritorno per Londra.-
A queste parole Shirley si apre in
un sorriso accecante, incredibile,
che in un battito di ciglia mi riporta indietro di anni, a quando quel
sorriso
era l’unico motivo per andare avanti, per continuare a
lottare.
-E hai l'obbligo morale di
continuare a scrivermi tutte le volte che
ne sentirai il bisogno.- aggiungo, strizzandole l’occhio
appena prima che,
travolgente come sempre, Shirley mi si butti letteralmente addosso per
stritolarmi di nuovo, scoppiando in un pianto irrefrenabile contro la
mia
maglietta.
-Ti voglio bene, big sis.-
singhiozza, stringendo nei pugni i
lembi dei miei vestiti. Sorrido, stringendo forte questo pezzo di
bellezza che
renderà un po’ più luminoso il mondo di
ogni persona che incontrerà sulla sua
strada.
-Ti voglio tanto bene anche io,
Shirley.- mormoro, piano, sorridendo.
-Te ne vorrò sempre.-
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§
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Lake Cliff Park è sempre
stato uno dei posti più belli di questa
città. Tante volte, da bambina, mi sono trovata qui assieme
ai miei amici,
inscenando avventure e battaglie che possono esistere solamente nel
mondo pieno
di fantasia che è prerogativa dei bambini e degli scrittori.
Chiudo gli occhi, assaporando la
brezza calda che mi accarezza le
spalle e mi spinge un ricciolo in faccia, facendomi il solletico. Sento
senza
vederli gli occhi di Ben, in piedi accanto a me, percependo il tocco
della sua
attenzione sulla pelle, come una carezza.
-Credi che se la
caverà?- mi chiede, ed io annuisco, piano, allungando
una mano verso di lui ed incontrando le sue dita sulla mia strada.
-È mia sorella. Ce la
farà.- non aggiungo quello che, per Ben,
dev’essere
ormai ovvio: abbiamo una tempra forte,
noi Cooper.
Apro gli occhi, sorridendo quando
mi specchio negli occhi scuri e
caldi di questo meraviglioso uomo che ho imparato ad amare nel corso
degli anni,
avvicinandomi per lasciare un bacio lieve sulla sua bocca. Lui mi cinge
la vita
con una mano, allargando piano i polpastrelli sul mio fianco,
solleticandomi
lievemente e strappandomi un mugolio che vorrebbe davvero
essere di protesta.
-Hai fatto una cosa stupenda per
lei.- soffia, a bassa voce, sulle mie
labbra. -Sono fiero di te.-
Sorrido, socchiudendo gli occhi e
abbandonandomi in questo mezzo
abbraccio, negli abbacinanti raggi del Sole che gli colorano gli zigomi
di un
rosa più acceso e che profumano d’estate e di
qualcosa che, finalmente, posso
chiamare libertà.
Sono
libera.
Finalmente, dopo tanti anni
trascorsi a fuggire dal mio stesso
passato, in questi giorni ho scritto la parola fine
di un racconto perduto che non avevo mai avuto il coraggio di
scrivere, chiudendo definitivamente un capitolo di una vita che non mi
appartiene più.
Qui, con Ben, immersi in un bagno
di luce e di quiete, io sono finalmente
libera.
-Lo sono anche io.- bisbiglio,
abbandonando nel vento questa verità
che mi vede finalmente protagonista di una storia tutta nuova, che ho
iniziato
a narrare nel momento stesso in cui Ben è entrato nella mia
vita.
Ben ricambia il mio sorriso e mi
accarezza una guancia, indugiando con
il pollice sulla fossetta del mento – lo
fa
sempre quando riflette – e guardandomi per lunghi
istanti in cui non riesco
a comprendere quali siano i pensieri che si stanno affollando dietro
quei due
pozzi color cioccolato.
-Devo domandarti una cosa.-
esordisce, ad un certo punto,
riscuotendosi e scostandosi un poco da me. Inarco un sopracciglio,
divertita
dal suo repentino cambio d’espressione.
-Cosa?-
-Beh... avrei dovuto chiedertelo
tempo fa, ma non ho mai trovato il...
momento adatto?- mi osserva, passandosi le lunghe dita fra i capelli
prima di
prendermi entrambe le mani e stringersele al petto. -Ray, io voglio
tutto di
te. Il tuo passato, il tuo presente e, soprattutto, il tuo futuro. Ti
amo come
non amerò mai nessun'altra e adesso dimmi, per favore, che
vale lo stesso per
te, perché altrimenti non so davvero come potrò
continuare questo discorso
senza capo né coda.- pronuncia questo ragionamento tutto
d’un fiato,
continuando a guardarmi con quel misto di esitazione e di
determinazione che
proprio non riesco a comprendere.
-A volte sei davvero stupido.-
sospiro, scuotendo la testa. -Ti amo,
Ben. Ti ho amato da subito e ti amerò per ogni giorno della
mia vita. Non
dovresti nemmeno avere dei dubbi su questo, ormai.-
La semplicità con cui
queste parole, che non ho mai detto a nessuno e
che credo non ripeterò mai più nella vita a
qualcuno che non sia lui, escono
dalla mia bocca e dal mio cuore è disarmante tanto per me
quanto per lui.
-Era per esserne certo una volta
per tutte.- commenta, accennando un
mezzo sorriso un po' da psicopatico che mi inquieta più di
qualunque altra cosa
al mondo.
-Ben, che cosa diav__- comincio, ma
gli basta uno sguardo per
zittirmi.
Infila una mano in tasca,
estraendola chiusa a pugno per non farmi
vedere che cosa tiene stretto. Poi s'inginocchia sull’erba
tagliata di fresco,
alza gli occhi verso di me, mi mostra un anello che varrà
tipo mezza Londra e
pronuncia le parole più sconvolgenti che una donna
potrà mai sentir dire dal
proprio compagno:
-Ray, vuoi sposarmi?-
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My space
Ho scritto questo capitolo a
tempo di record, oggi pomeriggio, pur di finirlo in orario.
Sono ancora capace di scrivere qualcosa di decente spero in
tempi brevi, miracolo! Perché vi avevo detto di aver finito
anche questo capitolo, ma il salvataggio dev'essere andato storto, ho
dovuto riscriverlo -.-
Il parco della scena finale è il Lake Cliff Park di
Dallas, che potete vedere in
questa bella immagine trovata sul web. Invece la sorella di
Ray, Shirley, la potete vedere nell'immagine di copertina: il suo volto
è quello di Lily
Osment, mentre quello della madre è di Jamie
Lee-Curtis e quello del padre è di John Schneider
somebody
saaaaaave meeeeeeeeeeeeeeeeeee. La frase "sono forte, sono
invincibile, sono una donna" ("I'm strong, I'm invincible, I'm woman")
viene dalla canzone di Helen Reddy, I am Woman.
La canzone del titolo, Let it Go, non
è quella di Frozen, ma di Tim McGraw
e non c'entra proprio niente con la mia Snow Queen preferita.
E finalmente ce l'ho fatta a finire qualcosa in orario! Per me
è una soddisfazione non da poco, devo ammetterlo. Sono
assolutamente incapace di portare a termine le cose che comincio nei
tempi prestabiliti, ed è stata una bella sfida riuscire a
fare tutto in modo decente, una volta tanto. Per chi segue anche
Leggi per me, non temete! Sono tornata al lavoro anche su
quella ed
era ora.
Ed eccoci arrivati alla mia "sorpresa" finale, ossia alla
proposta di matrimonio di Ben a Ray! Sapevate già del
matrimonio e della pargoletta, Sinéad, ma spero comunque che
questo finale zuccheroso vi sia piaciuto. Inoltre ho adorato il
discorso di Ben, e sono sempre più convinta che dovrei
scrivere una guida per gli uomini su come conquistare le donne. Tizi
come il "mio" Ben si stanno estinguendo, temo!
Una scena che mi ha commossa davvero è stata quella
fra Ray e Shirley. Il rapporto fra queste due sorelle è
stato bellissimo da descrivere, lo ammetto. Inoltre queste due sono
agli antipodi: Ray è un personaggio un po' ombroso, un po'
malinconico, mentre Shirley è letteralmente un'esplosione di
vitalità: è stato bello poter descrivere queste
due personalità tanto contrastanti eppure così
legate.
Spero che questa mini-long vi sia piaciuta almeno quanto
è piaciuto a me scriverla! Vi annuncio che
pubblicherò, fra non troppo tempo, una one-shot direttamente
successiva a questa storia... ebbene sì: matrimonio is coming.
Ringrazio tutti coloro che hanno recensito, che hanno letto,
che hanno Preferito/Seguito/Ricordato o che, in silenzio o meno, hanno
dato un'occhiata a questa storia. Vi adoro tutti.
A presto!
B.
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