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10. Neve scintillante
Trickster, Peter e Nessie erano di fronte a Beling.
Finalmente era arrivato il momento della resa dei conti.
Il barbariano generò una nuvola di fumo, un astuto
diversivo per cercare di darsi alla fuga, ma un simile trucco era del tutto
inutile contro un semidio del caos: il guardiano la disperse con una potente
folata di vento, quindi fece saettare un fulmine davanti al Signore del
castello per impedirgli di andarsene.
Beling stava per scagliare un nuovo incantesimo, ma
l’orco fu più rapido: lo raggiunse, sguainò la scimitarra e lo colpì al capo
col piatto della lama. Il Signore del castello cadde a terra, un taglio
superficiale che sanguinava dalla fronte alta. Eppure non voleva arrendersi.
Caricò un globo di energia sul palmo e lo scagliò, Peter però lo deviò
facilmente con la sua arma.
«Non ho intenzione di ucciderti.» dichiarò il
giovane orco «Il tuo guerriero è stato sconfitto, gli homunculus non ci sono
più e il marchingegno che hai costruito è stato distrutto. Per te è finita, hai
perso.»
«Perché non gli diamo una bella ripassata?» propose
Trickster con un sorrisetto malevolo «Si possono fare un mucchio di cose senza
bisogno di uccidere…»
«No, non intendo fargli del male. Ti lascerò
andare, ma devi darmi la tua parola che non tornerai più qui e che non farai
più del male a nessuno.»
Lo stupore sui volti di Nessie e Trickster era
palpabile. Uno squittio di proteste accompagnò le osservazioni contraiate del
semidio.
«No, ho preso la mia decisione.» affermò Peter
«L’Isola Che Non C’è ha già visto fin troppa violenza ultimamente. Vattene, e
non tornare mai più.»
Beling, ancora incredulo per quello che stava
succedendo, lanciò una rapida occhiata al figlio di Loki e alla fata. Erano
visibilmente contrariati, ma di sicuro la seconda non si sarebbe opposta. Sul
primo aveva qualche dubbio, quindi era meglio tagliare la corda in fretta.
«Hai la mia parola.» gli assicurò in tono fermo.
Detto ciò il suo corpo venne avvolto da una flebile luce bianca e svanì nel
nulla.
«Io continuo a pensare che un calcio nel sedere se
lo sarebbe meritato.» ribadì Trickster, quasi tra sé.
Nessie non nascose il proprio assenso.
In quel momento li raggiunsero anche Prometheus e
Kenvster.
«Cos’è successo?» volle sapere il carcarodon.
«L’ho lasciato andare. Mi ha assicurato che non
tornerà, e non voglio altri scontri qui sull’Isola Che Non C’è.»
Kenvster fece un verso di stizza, Prometheus invece
rimase in silenzio. Ormai aveva capito che la violenza porta solo ad altra
violenza. L’aveva capito fin troppo bene.
«Non vorrei creare allarmismi, però credo sia il
caso di uscire subito da qui…» fece notare Trickster.
Gli altri quattro osservarono il pavimento e le
pareti e anche loro poterono vedere che lentamente si stavano dissolvendo in un
brillio di luci. Senza perdere tempo si affrettarono a lasciare l’edificio,
riuscendo a varcare il portone principale in tempo per vedere il contorto
castello che si tramutava in una massa di punti luminosi, come uno sciame di
infinite lucciole che cominciarono a salire verso il cielo stellato.
Finalmente l’Albero della Vita era libero, e grazie
ad esso tutta l’Isola tornò rapidamente alla normalità: le altre piante vennero
spogliate di quella patina bianca che le ricopriva e lo stesso accadde al
terreno, quindi venne il turno delle anime. Uscivano dalla chioma del grande
Albero come trasportate dal vento, quindi la maggior parte di loro saliva verso
il cielo insieme ai punti luminosi, solo una manciata di globi fiammeggianti
scese verso di loro, raccogliendosi intorno a Peter. Uno dopo l’altro assunsero
le fattezze di bambini di ogni specie che subito abbracciavano il giovane orco,
stringendosi a lui come ad un fratello maggiore sempre pronti a proteggerli.
Anche le fate si unirono ai Bambini Perduti nella
loro gioiosa festa intorno a Peter Pan, volando tutto intorno al piccolo gruppo
con le loro alucce scintillanti, entusiaste di essere finalmente libere dalla
minaccia del Signore del castello.
I guardiani osservarono divertiti la scena e ben
presto qualcosa riscaldò le loro menti: era un senso di sincera gratitudine,
una manifestazione emotiva che in passato avevano già provato molte volte
grazie all’Albero della Conoscenza. Ricordarlo costò a tutti e tre un attimo di
dispiacere.
«Vi devo ringraziare.» affermò Peter «Lo faccio a
nome mio, dei Bambini Perduti, delle fate e dell’Albero della Vita. Proprio
l’Albero mi ha chiesto di farvi avere questo.»
Prometheus fece un passo avanti e lasciò che l’orco
deponesse nelle sue mani un frutto dorato dalla superficie liscia e dalle forme
regolari.
«È uno dei suoi frutti. Può guarire qualsiasi male e
ha anche il potere di riportare in vita una persona. Purtroppo è l’unico che
abbiamo, ma vi prego di accettarlo.»
Il carcarodon chinò il capo. «Vi ringrazio
moltissimo.»
Trickster e Kenvster ringraziarono a loro volta per
quel gesto inaspettato, ma non per questo meno gradito.
Poco dopo i corpi dei tre guardiani cominciarono a
brillare come era accaduto al castello.
«Credo che sia giunto il momento di salutarci.»
intuì Prometheus.
«È stato divertente combattere insieme a voi.»
sorrise Trickster.
«Immagino che questo sia un addio.» fece Kenvster.
Peter si strinse nelle spalle. «Chi lo sa? Il
destino è imprevedibile. Siete arrivati qui una volta, potrebbe accadere di
nuovo.»
I guardiani, ormai quasi dissolti, rivolsero i loro
ultimi saluti agli abitanti dell’Isola Che Non C’è. L’ultima cosa che videro
furono i sorrisi delle persone che avevano appena salvato, prima che la luce li
inondasse.
Kenvster riaprì lentamente gli occhi, con cautela.
Si guardò intorno e subito riconobbe la palestra. Qua e là c’erano ancora i
corpi dei suoi compagni di classe svenuti, come se non fosse passato nemmeno un
istante dalla loro partenza. Perfino la palla con cui stavano giocando era
ancora lì, abbandonata in un angolo.
«Ragazzi, secondo voi il Signore del castello vale
come nemico sconfitto?» si chiese Trickster.
Un abbaio attirò la loro attenzione e Bit corse
incontro a Prometheus per fargli le feste. Il carcarodon lo accarezzò e gli
fece capire che era tutto a posto, quindi si alzò. «Coraggio, dobbiamo andare.»
Il semidio annuì e si preparò ad andare, la chimera
invece era più titubante. Ormai aveva capito che quella che stava per lasciare
non era la sua vera vita, eppure il tempo che aveva trascorso con quei ragazzi
ora stesi a terra era stato reale.
«Cosa succederà a tutti loro?»
«Nessuno si accorgerà della tua mancanza, se è
questo che ti preoccupa.» gli spiegò Prometheus.
Il giovane guardiano rimase in silenzio. «E si
ricorderanno di aver perso l’anima?»
Il carcarodon si strinse nelle spalle. «Ne dubito.»
Kenvster stava per dire qualcosa, ma si interruppe.
Una sorta di neve luccicante stava cadendo dal soffitto, regalando all’ambiente
un’atmosfera insolita ma rassicurante.
«È ora di andare.» ribadì Prometheus.
Questa volta anche la chimera lo seguì e, dopo aver
lanciato un’ultima occhiata a quelli che credeva essere suoi compagni, si
lasciò tutto alle spalle.
«Ehi Pro, che fine avrà fatto il Signore del
castello?»
«Non ne ho idea.» Tirò un pugno sulla testa del
semidio. «E non chiamarmi Pro.»
Uscirono dalla scuola e la scintillante nevicata li
accolse. Con ogni probabilità ognuno di quei fiocchi rappresentava una piccola
parte dell’energia rubata, che in questo modo stava tornando ai legittimi
proprietari. Ben presto il silenzio che regnava incontrastato sarebbe stato
sconfitto e la vita sarebbe ripresa. Nessuno si sarebbe ricordato di nulla.
Kenvster aprì la mano e un punto di luce si posò
sul suo palmo, dissolvendosi subito in un bagliore ovattato. Lui di certo non
avrebbe dimenticato quello che era successo. La sua vita era appena
ricominciata.
La sua vera vita.
***
Il barbariano raggiunse con passo mesto il punto dove aveva
nascosto la sua astronave.
Aveva perso tutto… Non gli restava più niente… Però
era ancora vivo, ed era libero. Non si sarebbe mai aspettato che Peter Pan decidesse
di lasciarlo andare. In ogni caso non aveva intenzione di venire meno alla
parola data: lui era un uomo d’onore e non avrebbe mai più messo piede
sull’Isola Che Non C’è. C’erano molti altri posti dove avrebbe potuto trovare
delle fate adatte alla sua ricerca.
Un leggerissimo ronzio attirò la sua attenzione.
Era appena udibile grazie al silenzio perfetto, ma soprattutto aveva qualcosa
di familiare. Si guardò intorno e dopo qualche secondo vide un insetto
volteggiare nell’aria per poi fermarsi di fronte a lui. Un insetto robotico.
Dal piccolo automa venne proiettato un ologramma.
Rappresentava un uomo dal volto in ombra con un gatto bianco dai tre occhi
sdraiato sulle sue gambe.
«Signor dei Rhirnem, finalmente ho il piacere di
parlare con lei.»
Il barbariano si limitò ad un sorriso di formalità.
«Ultimamente sono stato molto occupato. Immagino abbia qualcosa da comunicarmi.»
«Immagina bene. Lo studio che stava portando avanti
sull’Isola Che Non C’è ha riscosso il mio interesse, inoltre ho in mente di avviare
alcuni progetti e mi renderebbe molto felice se lei accettasse di prendervi
parte.»
L’ormai ex Signore del castello si concesse un
attimo per riflettere. Il suo piano aveva subito un intoppo, tuttavia avrebbe
potuto sfruttare le informazioni che aveva raccolto per recuperarlo e
migliorarlo. Senza contare che una collaborazione con quell’uomo gli avrebbe
assicurato i mezzi per portare avanti più agevolmente la sua ricerca. «La
ringrazio per avermi contattato, Coordinatore[3],
può contare su di me.»
Il misterioso individuo non nascose la propria
soddisfazione. «Eccellente. Si presenti quanto prima a questo indirizzo.»