(ricordo che…nonostante
parli in prima persona e che la protagonista sia una ragazza, io sono un
ragazzo…quindi non datemi della femmina :D)
Sentivo il rumore del legno che scricchiolava al piano di
sopra.
Sentivo i muri che mi sussurravano segreti.
Il corridoio avvolto dall’oscurità.
Una voce lontana….il silenzio eterno.
L’orrore cominciò quando io e i miei genitori abbiamo deciso
di abbandonare il nostro piccolo appartamento a Kobe, per trasferirci
definitivamente in una grande casa nella periferia di Tokyo. Per me sarebbe
stato quasi un sollievo, perché sarei riuscita finalmente a rivedere la mia
cara amica Yumi, la
mia vecchia compagna di giochi che si era trasferita a Tokyo, dopo aver passato
i primi tredici anni della sua vita a Kobe.
Erano passati quattro anni da allora e non l’ho mai più
rivista, sono riuscita a mettermi in contatto con lei attraverso sms o e-mail. Il
solo pensiero di rivederla in carne ed ossa mi avrebbe messo i brividi, ne ero
certa. Non ero pronta ad una simile emozione.
Mia madre, Meiko Kaji, che portava incredibilmente lo stesso
nome dell’omonima famosissima attrice giapponese, aveva già iniziato a
sistemare le valigie e gli ultimi scatoloni in quella casa finalmente
ammobiliata.
“Urumi!” mi gridò “Urumi!”
“Sì Mamma?” corsi da lei
“Mi puoi dare una mano?”
“Veramente…avrei preferito mettere le mie cose nella mia camera, non ti
dispiace?”
“Nient’affatto…sarebbe comunque come aiutarmi, tesoro.
È pieno di scatoloni e cianfrusaglie qui, se mi porti via un po’ di questa
robaccia non mi faresti che bene”
“Ok” annuii con un sorriso, appioppando uno scatolone
ricolmo di cd e dvd e salendo le scale.
Riuscivo a sentire l’impatto dei miei piedi contro il legno
e lo scricchiolio che si formava: mi metteva i brividi.
Mio padre, Kiyoshi Tsukamoto, era un assicuratore, ma amava occuparsi
un po’ del bar dei nonni. I miei nonni, nonché i genitori di mio padre, infatti tenevano un piccolo bar a Kobe. Questo locale
fungeva da chiosco di granite e gelati d’estate, e da chiosco di bibite calde,
come cioccolate o caffè, d’inverno. L’unica cosa che mi sarebbe mancato della
mia vecchia cittadina sarebbe stato proprio quel piccolo bar, che aveva
accompagnato le mie estati.
Ricordavo ancora quanto fosse bello camminare sulla
spiaggia, con i piedi occasionalmente bagnati dalle onde che si infrangevano
sulla sabbia. Tra le dita la stecca di un ghiacciolo e in bocca un languido
sapore di anice fresca.
Sistemai i miei dischi sulle apposite mensole e mi gettai
immediatamente nelle coperte del letto, quando notai uno scatolone gettato lì,
con noncuranza nell’angolo della mia stanza.
Mi avvicinai, scattando immediatamente in piedi dal limbo di
lenzuola e fissai il contenuto della scatola: erano i miei vecchi libri
scolastici di quando andavo a Kobe. Chiusi la scatola e decisa a portarla in
soffitta, la presi e mi incamminai verso la scala, che mi avrebbe portato,
quasi casualmente, al terrore più profondo.
La curiosità uccise il gatto.