"Calma la tua
mente."
"Lasciali andare!"
"Ti amo ancora…"
Erik
si svegliò con una sgradevole sensazione di freddo, un
ricordo ancora confuso: erano settimane che nella sua mente si
delineava, ben
chiara, la mancanza di qualcosa - qualcuno? - che aveva tuttavia i
contorni
sfumati e indefiniti di un sogno.
Sognava spesso quella voce nella sua mente; certe volte gli capitava di
sentirla anche da sveglio, come una coscienza silente, e gli sembrava
di
impazzire.
Aveva
sentito di questi sogni, una sorta di risonanza che
alcune coppie di anime gemelle sentivano e che li collegava l'uno
all'altro -
in genere si presentavano nelle anime che non riuscivano a trovarsi, le
anime
sole.
Erik
non si sentiva una "anima sola" - aveva tre
figli di cui occuparsi, una nipote splendida, e un lavoro che amava e
che gli
dava soddisfazioni e preoccupazioni in giusta misura.
Non aveva bisogno della sua anima gemella.
Non aveva tempo di cercarla.
«Papà,
stai bene? Ti ho sentito urlare»
La voce di suo figlio Pietro lo riscosse dal sonno.
Il ragazzo bussava vivacemente alla sua porta - un po' troppo
vivacemente, data l'ora tutt'altro che tarda: erano appena
le sei della mattina, secondo la sveglia che Erik teneva sul comodino.
Fuori
dalla finestra iniziava ad albeggiare.
Perché Pietro doveva
avere un ritmo
biologico così assurdo? Certe volte Erik si preoccupava per
quanto poco
dormisse il figlio - una manciata di ore per lui erano più
che sufficienti. Si
chiese se c'entrasse qualcosa la sua mutazione.
«Posso entrare?»
Erik si strofinò
il
viso con le mani e spalancò la porta con un movimento pigro
della mano,
permettendo al figlio di entrare: Pietro era vestito e aveva in mano
due tazze
di caffè.
Erik sapeva già che se ne sarebbe pentito molto
presto.
«Allora, vecchio, come ti senti? Mi hai fatto prendere un
colpo»
«Va tutto bene, Pietro. Perché tu non stai
dormendo, piuttosto?»
«In genere mi sveglio a quest'ora. Luna ha completamente
sconvolto il nostro
ritmo biologico, sai»
Erik
annuì, ancora un poco confuso per il sonno - Luna era
la figlia di Pietro e della sua anima gemella, Crystal, ed era la gioia
e
l'orgoglio di tutta la famiglia: la coppia aveva portato la bimba a
trascorrere
un po' di tempo con il nonno e le zie nella casa di famiglia. Erik non
poteva
esserne più grato.
«Spero
di non aver svegliato anche tua moglie e la bambina»
«No, no, ho chiuso la porta mentre uscivo e le ho controllate
prima che tu mi aprissi:
dormono ancora» disse Pietro, e gli allungò una
tazza di caffè facendogli
l'occhiolino - Erik, come al solito, non sapeva come rispondere alle
stranezze
del figlio, ma accettò volentieri il caffè.
«Allora…
hai avuto un incubo? Stanno diventando sempre più
frequenti, mi preoccupano. Dovresti fare qualcosa»
«Sto bene, Pietro»
«Se così non fosse, non c'è niente di
male nell'aver bisogno di un po' di
aiuto, lo sai, vero?»
Erik
sospirò; «Sì, ma io non ne ho bisogno.
Come mai sei già
vestito?»
«Lorna mi ha chiesto di passare in lavanderia a ritirare il
suo cappotto rosso,
dato che oggi starà via fino a sera. E dopo volevo passare a
trovare Wanda:
credo potrebbe farle bene un po' di compagnia»
Entrambi
si scurirono in volto - gli occhi di Pietro erano
bui come il cielo prima di una tempesta.
«Wanda…
è peggiorata, vero?» la voce di suo figlio si fece
sottile, fioca, e a Erik si strinse lo stomaco. Sapeva quanto Pietro
fosse
legato alla sorella gemella.
«Temo di sì, Pietro. La sua ricaduta mi ha molto
preoccupato, e da quel momento
in poi non ha fatto che peggiorare velocemente»
«Cosa posso fare?» ora Pietro sembrava quasi
disperato, ansioso di aggiustare
la situazione, aggiustare Wanda, fare
qualcosa.
Suo figlio era sempre stato impaziente, pensò Erik con
l'accenno di un sorriso
intorno agli occhi. Anche da bambino lo era.
«Vorrei saperlo, figliolo. La situazione è molto
delicata».
Wanda aveva perduto la sua anima gemella un anno e mezzo dopo averla
incontrata
- una tragedia simile aveva incrinato irrimediabilmente la psiche
già fragile
di sua figlia, che nello stesso periodo della morte del suo compagno
aveva
dovuto anche lottare contro i suoi poteri, ormai del tutto fuori
controllo, e
un corpo sterile.
Erik
voleva aiutarla, voleva davvero poter fare qualcosa,
qualunque cosa - condividere il suo dolore per sollevarla un po' da
quel peso,
o farle dimenticare tutto, anche a
costo
di perderla.
Non poteva sopportare di vedere sua figlia sommersa da un tale dolore.
Calma la tua mente,
Erik.
La
voce che cullò i suoi pensieri fino a un'apparenza di
serenità non era la sua - talvolta emergeva dal profondo
della sua coscienza,
talvolta gli pareva quasi di sentirla. E aveva più effetto
su di lui di quanto
non volesse ammettere.
No,
Erik decisamente
non aveva tempo per cercare la sua anima gemella.
**
Charles
passò le dita distrattamente sul tatuaggio che era
ormai comparso da qualche tempo sul suo avambraccio, chiedendosi, come
ogni
mattina, dove fosse la sua anima gemella, cosa avesse sognato - e
soprattutto,
chi fosse. Avrebbe voluto incontrarla più di ogni altra cosa
al mondo, avrebbe
voluto sentirla, toccarne la mente.
Sospirò
e srotolò la manica della camicia per coprire la
breve frase tatuata - "Credevo di essere solo" - ma non riusciva a
non pensarci: sapeva che sarebbero state le prime parole che la sua
anima
gemella gli avrebbe rivolto. Sperava di riuscire ad aiutarlo, in
qualche modo.
«Charles,
ti spiacerebbe venire un momento?»
Hank sembrava esasperato - chissà che cosa avevano combinato
i ragazzini a cui
stava cercando di insegnare Storia. Probabilmente Tempesta aveva
fulminato di nuovo le tende.
Strano, non aveva sentito
l'allarme antincendio.
«Arrivo, Hank»
**
«Erik,
buongiorno» cinguettò Crystal, mentre manipolava
l'acqua nel bollitore affinché si scaldasse velocemente -
avere una nuora che
poteva controllare i quattro elementi era una comodità non
indifferente.
«Buongiorno» replicò Erik con tono
neutrale. Erano passati un paio d'anni dal
matrimonio di Crystal e Pietro, ma ancora non era riuscito a farsi
un'opinione
della ragazza.
E le continue pressioni che la coppia gli faceva affinché
anche lui trovasse la
sua anima gemella di certo non alimentavano il suo entusiasmo nelle
conversazioni
con il figlio o la nuora - "Almeno hai il tatuaggio, no? Non sei come
quei
poverini destinati alla solitudine, dovresti cercarla, sai?" gli
dicevano
sempre, e lui ogni volta si mordeva la lingua per non rispondere che no, non gli serviva un'anima gemella, ne
faceva volentieri a meno, che avrebbe fatto volentieri a meno anche del
tatuaggio, che un partner fisso sarebbe stato un peso e voleva essere
libero di
innamorarsi di chi voleva - se poi voleva.
«No-no!
No-no!» esclamò Luna dal suo seggiolino, sbattendo
la tazza di plastica contro il tavolo e agitando le braccia con
entusiasmo.
Erik si lasciò sfuggire un sorriso e le baciò la
testa. Luna rise.
«Oh, Erik, posso chiederti un favore? Perdona il poco
preavviso» disse Crystal,
mentre trasferiva il servizio da tè su un vassoio d'acciaio.
Erik fece levitare il vassoio fino al tavolo e annuì con la
tesa, facendole
segno di continuare.
«Vedi, un mio caro amico - Johnny, lo conosci? - ha deciso di
passare qualche
giorno in città, e dato che non lo vedo da molto tempo,
avrei piacere di
andarlo a trovare… posso chiederti di tenere Luna, oggi? Se
non hai altri
impegni, sarebbe un grande aiuto. Pietro aveva intenzione di
trascorrere la
giornata con Wanda, e non vorrei essergli di disturbo»
«Ma certo, sai che per me è sempre un piacere
badare a Luna» replicò
semplicemente Erik «E avevo solo in programma qualche
commissione in città, ma
posso portare anche lei. Devo solo passare a comprare qualcosa per
sistemare la
veranda»
Crystal
batté le mani, felice.
«Perfetto! Non so proprio come ringraziarti»
«Non farlo. Sai che adoro Luna»
La bambina si sentì chiamata in causa e li
deliziò con un risolino leggero,
tendendo le mani verso Erik.
Erik la prese in braccio senza sforzo, pulendole il viso dal budino
alla
vaniglia - da quando le permettevano di mangiare da sola, Luna tendeva
a
mandare il cibo ovunque tranne che in bocca.
«Be', passerai una giornata splendida con il nonno,
tesoro!» disse Crystal, mentre
si chinava sulla figlia per darle un ultimo bacio sulla guancia
«Grazie ancora,
Erik! Non esitare a chiamarmi se hai bisogno, okay?»
Erik annuì, impassibile, spostando Luna sul fianco destro -
era decisamente
troppo giovane per sentirsi chiamare "nonno". Non aveva neanche
quarant'anni.
Mentre
Crystal usciva, Luna si aggrappò alla maglietta di
Erik, scoprendo il tatuaggio sulla sua clavicola - tre semplici parole
che
riuscivano sempre a toccare qualcosa
nella sua coscienza, una sensazione sopita, un qualcosa per cui non
aveva
neanche un nome.
"Non sei solo".
No,
aveva ha tempo di trovare la sua anima gemella.
Eppure questo non sembrava impedire alla sua anima gemella di amarlo
già.
**
«Sai,
Charles, credo proprio che dovremmo sostituire le
vetrate con qualcosa di più…
resistente?»
Charles sospirò - Hank non aveva tutti i torti. Avrebbe
trovato un materiale
più resistente - anche se credeva che nemmeno il vetro
antiproiettile sarebbe
riuscito a sopravvivere a lungo ai suoi studenti.
«Oggi girerò qualche negozio per vedere cosa posso
trovare, Hank. Tu cerca di
sistemarla come puoi».
**
Pietro
si sentì invecchiare di dieci anni quando entrò
nel
cottage della sorella gemella - suo padre aveva costruito apposta per
lei una
casetta tra i boschi vicina alla loro seconda casa, così da
tenere Wanda vicina
senza obbligarla ad abitare con lui.
Era una casetta graziosa, fatta di legno levigato e circondata dal
verde e dai
fiori, ma all'interno pareva esservi passato un uragano: vestiti e
coperte
erano buttati casualmente sulle sedie e sui pavimenti, le stoviglie
erano
ancora nel mobile, intatte, come i fornelli e il frigorifero - senza
Erik a
spronarla, Wanda non sembrava trovare un motivo sufficiente per
mangiare -
mentre lei stava rannicchiata sul divano con indosso un pigiama leggero
e una
coperta ricamata, i capelli scompigliati e gli occhi rossi per il poco
sonno.
«Wanda»
la chiamò lui, posandole gentilmente entrambe le
mani sulle sue guance.
Era peggiorata. Non sembrava neanche essere lì - forse era
persa in una qualche
fantasia, in qualche mondo virtuale, e lui non poteva riportarla
indietro.
«Pietro» sospirò lei; il tono della sua
voce pareva contento, ma gli occhi
erano vacui e assenti.
«Wanda, qui dentro regna il caos più totale -
perché non torni a vivere con
noi? Erik ha mantenuto la tua stanza esattamente come l'avevi
lasciata»
Wanda
sorrise senza un briciolo di allegria.
«Ben venga il Caos» gli rispose, guardandolo dritto
negli occhi «perché
l'ordine non ha funzionato».
**
Si
incontrarono per caso: ci fu uno scambio di sguardi, e un
piccolo brivido attraversò la schiena di Charles quando la
mente dello
sconosciuto sfiorò la sua.
Poi la bambina bionda che teneva nel carrello - sua figlia? -
cominciò a
piagnucolare, e l'uomo le dedicò immediatamente la sua
completa attenzione.
Charles
cercò di scuotersi di dosso quella sensazione, ma
era difficile - qualcosa negli occhi dell'uomo l'aveva colpito, ma non
saprebbe
dire che cosa. Eppure gli sembrava giusto,
in qualche modo.
Ma
aveva una figlia. Poteva essere…?
Non
ebbe tempo di avvicinarlo e parlargli: l'uomo sparì
dietro le scaffalature colme di articoli per il giardinaggio.
Si
rassegnò - probabilmente non l'avrebbe più
rivisto - e si
avviò verso la sezione dedicata alle vetrate, chiedendo
anche l'aiuto di un
commesso, che assunse un'aria vagamente perplessa dopo aver sentito la
sua
richiesta; Charles fece capolino solo per un momento nella sua mente
per
accertarsi che, in effetti, il povero ragazzo non aveva idea di che
cosa
proporgli.
Sospirò e ringraziò il commesso ancora confuso:
avrebbe fatto da sé.
Voltandosi, notò l'uomo di prima con la bambina che scrutava
attentamente un
catalogo di istruzioni per montare una veranda e intanto sceglieva un
attrezzo
e delle tavole di legno dagli scaffali.
Gli
eventi che ne seguirono furono confusi e Charles non li
avrebbe ricordati con molta precisione; non sapeva bene come fosse
successo, ma
nel grande negozio erano entrati due uomini armati, con volti coperti
da
maschere, che sparavano alla folla di clienti terrorizzati e
minacciavano le
cassiere con dei fucili.
Vide
l'uomo riparare con il proprio corpo la bambina, che
era scoppiata in un pianto disperato, mentre con un gesto della mano
manipolava
alcune sbarre d'acciaio affinché si stringessero attorno
alle caviglie a alla
gola degli uomini armati; privò i fucili di ogni
utilità e attirò le pistole
nascoste nelle loro giacche verso di lui, piegandone la canna
così da renderle
inutilizzabili.
Era
un mutante, concluse Charles con attonito stupore. A
quanto aveva capito, riusciva a manipolare i metalli e i campi
magnetici.
I
clienti, vista la piega presa dagli eventi, non avevano
esitato a chiamare la polizia, ma l'uomo non intendeva mollare la presa
sui due
criminali - anzi, l'acciaio sembrava stringere sempre di più
intorno alle loro
gole, e i loro volti iniziavano già a diventare paonazzi per
la mancanza
d'aria.
Fu allora che Charles comprese che era necessario un suo intervento, e
in
fretta.
Intervenne
con una prontezza che stupì anche lui: entrò con
facilità nella mente dell'uomo - del mutante - e gli disse
con voce ferma: "Lasciali andare!"
L'uomo sobbalzò e parve sorpreso - si girò,
confuso, cercando di capire da dove
provenisse la voce.
Ma era ancora turbato e arrabbiato, tremendamente arrabbiato - c'era
così tanta
rabbia in lui che Charles si stupì che ci fosse ancora
spazio per
qualcos'altro.
"Calma la tua
mente"
Gli
occhi dell'uomo si allargarono con stupore e meraviglia
e paura, e una serie di emozioni sconnesse attraversarono il suo viso -
ma i
tentativi di Charles stavano avendo l'effetto sperato,
perché la morsa
d'acciaio intorno agli uomini parve allentarsi sensibilmente.
Charles
riuscì a farsi strada tra la folla e ad afferrare
l'uomo prima che cadesse - la marea di rabbia e odio
nella sua mente minacciavano di affogarlo, e
Charles voleva solo dargli qualcosa a cui aggrapparsi, qualcosa con cui
salvarsi.
«Credevo di essere solo» gli disse, mentre nella
sua voce crescevano la meraviglia
e il sollievo. Poteva significare un milione di cose, ma entrambi
conoscevano
già la risposta.
«Non sei solo» si sentì dire Charles, e
pareva come catturato da un incantesimo.
Il tatuaggio! pensò, e
sentì
accavallarsi nel suo petto sorpresa, gioia, conforto - l'aveva trovato,
finalmente l'aveva trovato quando
si
era ormai rassegnato alla solitudine.
Aveva trovato la sua anima gemella.
Dopo
arrivò la polizia, e gli eventi sfumarono di nuovo in
una massa informe: ricordava solo di aver lasciato andare l'uomo, che
sembrava
ancora intontito e un poco instabile sui piedi, e poi più
nulla.
Nella
confusione della sua testa, Charles non faceva che
domandarsi come sarebbe stato conoscere davvero l'uomo - la sua anima gemella, e ancora non riusciva a
crederci.
Chi era la bambina?
Molte persone ignoravano semplicemente il tatuaggio che li avrebbe
portati alla
loro anima gemella, l'amore della loro vita, e sceglievano altri
compagni,
avevano figli prima di incontrare coloro a cui erano destinati: era
forse il
suo caso?
Fu
quasi sorpreso nello scoprire che non gli importava.
Voleva lui.
A qualunque costo.
**
«Ehi,
papà, cosa è successo? Stai bene?»
Erik sospirò: sapeva che in genere tre chiamate perse da
parte di sua figlia
Lorna equivalevano a una Lorna quasi isterica. E a una squadra di
ricerca
composta esclusivamente da Pietro, che avrebbe setacciato ogni
millimetro nel
raggio di una decina di Stati per trovarlo.
«Sì, c'è stato un incidente al negozio.
Io e Luna stiamo bene, non preoccuparti»
«Sicuro? Sembri strano»
«Davvero, va tutto bene, Lorna. Volevi dirmi
qualcosa?»
«Pietro mi ha mandato un messaggio. Credo riguardi
Wanda… potresti tornare a
casa? Io sono bloccata qui ancora per due o tre ore minimo»
«Ma certo, sto entrando ora in macchina. Rassicura Pietro:
sarò lì tra una
ventina di minuti»
«Va bene. Spero non sia nulla di preoccupante»
Ma la preoccupazione era tangibile nelle parole di Lorna come in quelle
di
Erik, e non riuscivano davvero ad evitare di essere preoccupati per
Wanda: il
suo terapista li aveva messi in guardia da tempo
sull'instabilità della
ragazza.
Tornando
a casa, Erik si chiese chi fosse il mutante che gli
aveva impedito di uccidere quei due delinquenti - quell'uomo dagli
occhi
gentili e limpidi. Aveva riconosciuto la sua voce: era la stessa che
aveva
udito così tante volte nella sua mente. La stessa che
l'aveva salvato tante
volte.
Un
dubbio fremeva e cresceva in lui: voleva conoscerlo?
No, non poteva, non poteva
sottoporre
una persona al casino che era diventata la sua vita.
Lorna era una ragazza allegra, come tutte le ragazze della sua
età, ma da
quando la sorella maggiore era caduta in un perenne stato di
depressione che
l'aveva quasi portata alla follia, s'era fatta più cupa,
sempre preoccupata e
ansiosa - Erik odiava vedere Lorna
in
quello stato.
Fu così felice quando Lorna incontrò Alex, il suo
ragazzo, con cui aveva avuto
e tuttora aveva una relazione duratura: nonostante non fosse la sua
anima
gemella, l'influenza rassicurante del ragazzo sembrava placare la sua
ansia.
Non poteva costringere un'altra persona a rassicurare Pietro mentre la
sua
gemella piangeva, ad ascoltare Wanda biasimare la propria codardia
perché non
riusciva a togliersi la vita nonostante non
valesse la pena vivere, nonostante fosse tutto grigio e
spento e privo di
significato - riusciva a malapena a sopportarlo lui, come poteva
chiedere a
qualcun altro di fare lo stesso?
Non
poteva costringere un'altra persona a vegliare su Wanda,
a curarla come un passerotto ferito nonostante le speranze per la sua
guarigione fossero così poche - semplicemente non poteva.
Per Erik, costringere un'altra persona a sopportare tutto questo non
poteva
essere amore, anzi.
Sarebbe stato solo egoismo.
Calma la tua mente
Ma
non poteva essere egoista, non mentre prendeva in braccio
Luna e apriva la porta di casa per correre da sua figlia - la figlia
per cui
avrebbe sacrificato ogni cosa.
Pietro fu alla porta prima ancora che potesse girare completamente la
maniglia,
e gli aveva già tolto Luna dalle braccia mentre Erik stava
ancora sfilando la
chiave dalla serratura.
«Sono
riuscito a convincerla, papà. Vieni, è in
cucina» gli
disse, fremendo per l'impazienza - un vizio di cui non era mai riuscito
a
liberarsi del tutto.
Erik si sentì alquanto sollevato - Wanda stava bene, Pietro
non sembrava in
allarme. Andava tutto bene.
«Ehi,
Wanda, guarda chi c'è!» esclamò Pietro
con
spensieratezza un po' forzata, avvicinandosi alla gemella con la figlia
in
braccio; la bambina aggrottò le sopracciglia ma tese
comunque le mani verso la
zia, toccandole le guance e il collo, aspettandosi di essere presa in
braccio.
Wanda si voltò verso il fratello e il suo viso
s'illuminò quando vide Luna - ed
eccolo, finalmente, pensò Erik, sollevato:
lo spettro di un sorriso.
Wanda scostò velocemente i capelli castani dal viso e prese
in braccio la
nipote, distogliendo per un momento l'attenzione dalle lavagne appese
sul muro
della cucina - due lavagne che, ovviamente, Erik non aveva mai visto
(ma il
trovarsi in casa oggetti di origine sconosciuta non era davvero una
novità con
Wanda e Pietro, quindi non si sorprese più di tanto); erano
bianche e sterili,
simile a quelle appese nelle scuole, e coperte
di calcoli fitti e incomprensibili
fatti con un pennarello nero.
La grafia era indubbiamente di Wanda - non che Erik fosse all'oscuro
del
talento di sua figlia per la matematica, ma si chiese lo scopo di tutti
quei
conti e quei diagrammi.
Probabilmente Wanda li usava per distrarsi.
«Ha
funzionato» disse Wanda, contenta, guardando Erik negli
occhi in un momento di bizzarra lucidità - non era una
domanda. Erik si chiese che cosa
avesse funzionato.
«Che cosa, Wanda?»
Wanda non rispose. Si sedette su una sedia e cominciò a
giocare con Luna, lo
sguardo perso in qualche ricordo di una realtà fasulla;
Wanda voleva dei figli,
nonostante il suo corpo non glielo consentisse, Erik lo sapeva.
Pietro iniziò a maneggiare con le posate sul tavolo - non
riusciva a stare
troppo fermo a lungo, doveva tenere le mani impegnate: per lui ogni
secondo
durava un'eternità.
Erik provò a non farsi distrarre troppo e a mantenere
l'attenzione concentrata sulla
figlia.
Ma
non c'era molto che potesse fare - che lui e Pietro
potessero rischiare - per alleviare il tormento di Wanda: lei si
limitava a
offrire giocattoli e piccoli sorrisi a Luna, mentre con un solo
pensiero faceva
dissolvere le due lavagne sul muro.
«Non
preoccupatevi per me» disse ancora Wanda, ed Erik si
chiese silenziosamente se sua figlia avesse sviluppato una qualche
sorta di
telepatia o se semplicemente fosse stanca di vedere le persone che
amava
rimpiangerla mentre ancora era in vita.
«Sono sempre le stesse cose, sapete»
Pietro
gemette - nulla di ciò che diceva la sua gemella non
aveva senso, e lui voleva solo aggiustare tutto.
«Che cosa vuol dire, Wanda?» le chiese, afflitto
«Come posso aiutarti?»
Wanda
scrollò le spalle e schioccò un bacio sulla testa
di
Luna, che fece un risolino contento e le afferrò i capelli.
«Il Caos sta per tornare di nuovo»
replicò, enigmatica.
«Wanda…»
«Sarà come una tempesta,
papà!» esclamò lei, con gli occhi colmi
di meraviglia «Il
Caos non è forse la più totale
libertà?»
« Ma senza alcun significato, tesoro»
«Voi avete già trovato un significato.»
e guardò di nuovo Erik con una
scintilla di felicità negli occhi.
Ed Erik si chiese se Wanda sapesse.
**
«Hank,
l'ho trovato. L'ho
trovato!»
«Trovato cosa?»
Charles
tirò su la manica della maglia per mostrare il
tatuaggio, ed Hank sorrise, genuinamente felice.
«Chi
è? Come l'hai incontrato?»
«Al negozio. E' una lunga storia» disse Charles,
sorridendo «Ma credo… credo
abbia una figlia, Hank. Secondo te vorrà essere trovato?
Potrebbe avere una
moglie»
«Suppongo ci sia un solo modo per scoprirlo, Charles: dovrai
usare Cerebro»
Charles
annuì - voleva trovarlo. Doveva trovarlo, anche solo
per subire un rifiuto.
Lo aspettava da così tanto tempo…
**
«Credi pioverà?»
l'uomo sembra pensoso mentre attorciglia il lenzuolo intorno alle dita,
ed
alterna occhiate preoccupate al cielo e al telefono.
«Non saprei. Ha importanza?» risponde Erik, ancora
assonnato, districando le
dita del compagno dalle lenzuola per intrecciarvi le sue.
«Wanda è sempre triste quando piove, e oggi volevo
portarla a fare una
passeggiata, prima di sentire la conferenza di Bruce. Credi
verrà?»
«Se riesci a convincere anche Pietro, Wanda non
potrà rifiutare»
L'uomo ride.
«Non ho speranze per Lorna, però»
«I gemelli bastano e avanzano, amico mio»
Erik
si svegliò, colto di sorpresa dal suo stesso sogno;
razionalmente, sapeva che le anime gemelle tendevano ad avere sogni
complementari, o talvolta scorci della loro vita insieme, ma non voleva
lasciare che la sua mente si adagiasse su un'illusione - non voleva
diventare
come Wanda. Quello che vedeva in lei lo terrorizzava.
Calma la tua mente
Non
poteva permettersi di desiderare qualcosa, qualcuno di
così bello - e non lo conosceva, non lo conosceva affatto,
come poteva anche
solo sperare che uno sconosciuto lo accettasse così com'era,
senza vincoli e senza
riserve?
No,
non l'avrebbe accettato, decise Erik.
Quell'uomo non avrebbe mai potuto amarlo - non dopo averlo conosciuto,
aver
scoperto tutto ciò che aveva fatto…
Non sei solo, Erik
Forse
c'era ancora speranza.
**
«Non
ci credo» sussurrò Charles, uscendo da Cerebro
«Non ci
posso credere, Hank: era così vicino. A pochi minuti di
macchina dall'Istituto.
Per tutti questi anni…»
«Ora è la tua occasione, allora» sorrise
Hank «Vuoi che ti accompagni?»
«No, posso guidare. Non vedo l'ora di incontrarlo di
nuovo»
Hanks
gli diede una pacca sulla spalla, resistendo alla
tentazione di fargli una foto per mostrargli il suo sorriso ebete - era
stato
amore a prima vista, a quanto pare.
«Devo
dirlo a Raven… devo chiamarla» disse poi Charles
quasi
fosse la cose più importante del mondo, spalancando gli
occhi come se ne fosse
ricordato in quel momento.
«Raven vorrà saperlo, è vero. Ti
prenderà in giro fino alla fine dei tempi per
averci messo così tanto»
Charles
annuì, ma non importava. Non importava.
«Io
vado, allora. Di' ai miei allievi che la lezione del
pomeriggio sarà rimandata a domattina, ok?»
Hank rise «Smetti di perdere tempo e va', Charles! Io e Raven
facciamo il tifo
per te»
**
«Ho ucciso delle
persone, è vero. Ho ucciso l'uomo che ha assassinato mia
madre, ed ero solo un
ragazzo»
«Lo so»
«Lo rifarei»
«Lo so»
«Ed è diventato più semplice,
sai»
«Erik, quella parte della tua vita è finita. Non
puoi ammazzare delle persone
senza neanche offrire loro una possibilità!»
«Alcuni non meritano neanche una
possibilità»
«Se non ti avessi fermato, quel giorno, nel
negozio… avresti ucciso quei due
uomini?»
«Sì»
«Non puoi, Erik. Non puoi più farlo - quel periodo
della tua vita è passato,
ormai. E non devi più rincorrere la tua folle vendetta. Non
riesco neanche a
pensarci - sei crudele, Erik. Crudele. Non puoi più fare
questo ai ragazzi»
«Mi dispiace. So di non meritarti, ma…»
«Ti amo ancora»
«No…»
«Ti amo ancora, Erik. Andrò fin nella tomba
amandoti»
**
Erik
era in cucina con Luna e Wanda quando Charles bussò
alla porta.
Non appena lo vide, rimase senza fiato - l'uomo dagli occhi azzurri e
dalla
voce gentile gli restituì invece uno sguardo di pura
adorazione.
«Chi
sei?»
«Mi chiamo Charles Xavier»
Rimasero
a fissarsi per una manciata di secondi, meravigliati e disorientati al
contempo - fu come se per entrambi tutta la gravità
dell'universo si fosse spostata all'improvviso.
Intanto
una vita intera parve scorrere sotto i loro occhi in un istante, con il
fluire incalzante di un fiume in piena. Volevano entrambi quella vita.
Ed
in quel momento entrambi sapevano che forse non avevano bisogno l'uno
dell'altro, ma non importava: avrebbero imparato ad amarsi.
Avevano
già iniziato.
________________
La
mia meravigliosa parabatai
merita una menzione speciale: è solo grazie a lei che questa
one-shot è stata scritta, portata a termine pubblicata qui,
quindi dedicarle queste poche pagine mi sembra davvero in minimo - come
sempre, mia cara parabatai, questa storia è per te
<3
Note finali
Salve
a tutti <3 vi ringrazio per aver letto fin qui: vorrei precisare
giusto due cose, perciò sarò breve.
"Ben venga il caos, perché l'ordine non ha funzionato",
è un noto aforisma di Karl Krauss, e l'ho usata in
riferimento ai poteri di Wanda, che lei stessa chiama "Magia del Caos"
(e ovviamente, anche al suo turbamento emotivo).
Il prompt da me scelto era ovviamente "Soulmate AU", e in questo
universo, s'individua la propria anima gemella con l'aiuto di un
tatuaggio - esso rappresenta le prime parole che si udiranno dalla
propria anima gemella (la telepatia di Charles non vale xD), e talvolta
la connessione può emergere attraverso i sogni. Come
dimostra il passato di Erik, è tuttavia possibile scegliere
un partner diverso dalla propria anima gemella.
I personaggi di Erik e Charles da me utilizzati sono stati tratti dal
film prequel "X-Men First Class", mentre Wanda, Pietro, Lorna, Crystal
e Luna sono d'ispirazione dei vari fumetti a loro dedicati.
Quanto alla situazione di Wanda, ho voluto riallacciarmi alla follia e
alla disperazione del suo personaggio in House of M e nei fumetti che
lo precedono - soprattutto riguardo al non poter avere figli, che lei
pure desidera.
Il suo talento matetamatico, invece, è stato ispirato ai
suoi poteri in Ultimate Avengers, dove per controllare la
probabilità che qualcosa accadesse, doveva calcolarla
matematicamente e poi manipolarla; questa oneshot è stata
scritta molto prima dell'uscita di Avengers: Age of Ultron, pertanto i
gemelli rappresentati nel film non hanno nulla a che fare con quelli
che ho scelto di rappresentare in questa storia.
Vi
ringrazio ancora per aver letto la mia one-shot!
Love,
Luna.
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