Ho ucciso un uomo

di Adeia Di Elferas
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Era un altro giorno nevoso. L'aveva capito dal silenzio irreale che c'era stato per tutta la notte, e per il freddo.

Era uno di quei freddi che ti entrano nelle ossa e che non se ne andrebbero nemmeno se ci si buttasse direttamente in mezzo a un fuoco acceso.

Roza scese dal letto con un brivido. La sua famiglia – i genitori, una sorella, quattro fratelli e tre fratellasti adottivi – stava ancora riposando e così lei cercò di non far alcun rumore.

Aveva preparato la sua borsa e i vestiti la sera precendente, come faceva sempre, quindi non ebbe molta difficoltà a trovare tutto ed essere pronta in pochi minuti.

Stava per uscire, quando incrociò lo sguardo di suo fratello Fyodor che l'osservava in silenzio, assonnato e desideroso di tornare a letto.

Lei lo salutò con un gesto del capo ed un sorriso, che egli ricambiò agitando la mano. C'era ancora così buio, pensò Roza, che sembrava davvero notte. Forse avevano ragione loro, a starsene ancora sotto le coperte.

Quando fu fuori di casa, la neve le colpì il viso, dapprima sciogliendosi contro il calore della sua pelle, e poi raffreddandola, fino a renderle insensibili le gote.

Il sole era ancora lontano, e di certo non lo si sarebbe visto. Il cielo era grigio scuro e ogni centimentro di orizzonte era coperto di neve.

Il kolkoz dove Roza e la sua numerosa famiglia vivevano non aveva ancora cominciato le frenetiche attività di ogni giorno.

In fondo era sabato...

Roza diede un ultimo sguardo alla porta di casa e si mise in marcia, decisa ad arrivare in fretta da sua zia a Bereznik.

Mentre camminava nella neve, sentiva il passo affondare nel ghiaccio fresco e cercava di capire da quante ore stesse nevicando. La sera prima c'era solo qualche nuvola e poi, chissà quando, durante la notte aveva ripreso a scendere quel mistero bianco che, da quando era nata, era sempre stato una presenza costante dei suoi inverni.

Berezni distava circa tredici chilometri dal kolkoz in cui viveva ed ogni giorno, domenica esclusa ci doveva andare o per frequentare le scuole medie o per prendersi un po' cura di sua zia Agnia.

Non riusciva a capire se quel villaggio le piacesse o meno. La scuola, sì, quella le piaceva. Era una grande chiacchierona e adorava stare in classe a ridere e scherzare e, soprattutto, ad imparare ogni cosa che le venisse insegnata.

Il suo sogno era diventare maestra d'asilo, quindi sapeva di dover tener duro e frequentare le medie, anche se questo voleva dire far tutti i giorni tutta quella strada a piedi.

Mentre proseguiva nel buio che cedeva il posto al chiarore dell'alba, sbadigliò. I suoi occhi blu salirono verso i rami secchi di un filare d'alberi che accostava ogni volta. Le piaceva vedere come il loro aspetto cambiava nell'arco dell'anno. Era una cosa che la intrigava e la tranquillizzava allo stesso tempo. Le piaceva chiedersi come fosse possibile che, dopo anche il più rigido degli inverni, quelle piccole piante fossero in grado di risorgere. E le piaceva ancora di più constatare che, malgrado le spiegazioni a riguardo tardassero ad arrivare, le piante risorgevano comunque, senza curarsi d'altro se non del verde vivo delle proprie foglie.

 

“Oh, Roza...” disse zia Agnia, quando la nipote entrò nella sua piccola casa piena di spifferi e parva di luce.

“Zia.” la salutò la ragazzina, scrollandosi un po' di neve dalle spalle.

Doveva avere il viso rosso per il freddo e probabilmente sua zia lo aveva notato, perchè come prima cosa le ordinò bonariamente: “Vai a riscaldarti vicino al caminetto! Con questa neve...!”

Roza si avvicinò al fuoco e allungò le mani ancora prima di sfilarsi i guanti rovinati e scoloriti.

Il fuoco le diede un piacere immenso, più ancora del riparo dalla neve o del profumo che usciva dal pentolone appeso nel camino.

“Ti ho preparato qualcosa per fare colazione.” le disse sua zia, con lo stesso dialetto che parlava anche Roza.

La ragazzina ringraziò sorridendo e si tolse i guanti e la giacca. In fin dei conti non le dispiaceva badare a sua zia un giorno alla settimana. Andavano d'accordo e il più delle volte, malgrado tutto, zia Agnia era più autosufficiente di quel che si potesse pensare vedendola.

Roza serrò un momento gli occhi, lasciando che il profumo la pervadesse completamente e si permise di immaginare per sé e i suoi fratelli un futuro bello come quel momento. All'asciutto, al caldo, con un meraviglioso aroma di cibo bollente e pronto per essere mangiato.

 

La neve si era un po' calmata, o per lo meno, così sembrava a guardarla da dietro il vetro della finestra.

Zia Agnia e Roza stavano sedute una di fronte all'altra, parlando del più e del meno, tanto per far passare prima il tempo.

“Ti piace sempre la scuola?” domandò la donna, guardando la nipote con un sorriso acuto.

“Certo zia.” confermò Roza: “Un giorno andrò a studiare a Archangelsk e poi diventerò maestra d'asilo.”

“Cosa ne pensa tuo padre?” chiese l'altra, facendosi un po' dubbiosa.

“Non lo so.” mentì Roza, che invece sapeva che entrambi i genitori erano contrari.

La scuola che voleva frequentare era troppo lontana. Sarebbe stato troppo difficile, per una come lei, con pochi mezzi e poca esperienza, a loro dire, del mondo, andare a studiare così distante da casa.

Zia Agnia sospirò, inarcando le sopracciglia: “Sarà meglio che glielo chiedi, non pensi? Ormai hai quasi finito le scuole, qui a Berensk...”

Roza deglutì e fece un'espressione vaga, con cui, forse, voleva dare ragione alla zia e cambiare argomento contemporaneamente.

“Zia...” disse improvvisamente Roza, ripensando a quello che aveva sentito dire dalla due sue insegnanti il giorno prima: “Pensi davvero che ci sarà una guerra?”

A quel punto zia Agnia si fece scura in volto, accigliandosi e assumendo una posa sofferente: “Alla tua età non dovresti pensare a certe cose.”

Tossì e, un po' come aveva fatto la nipote poco prima, fece una strana espressione di circostanze e cambiò argomento: “Mi aiuteresti ad alzarmi? Vorrei andare a coricarmi un po'... La mia schiena...!”

Così Roza dovette lasciar perdere ogni altra domanda in merito alla guerra che, secondo le sue due insegnanti, poteva essere vicina, e si alzò per dare una mano a sua zia che, sempre tossendo, la ringraziò ancora una volta.





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