Non
sarà il Tempo
a cancellare il Patto
già suggellato,
non
sarà il Tempo
a tagliare il filo
che a te mi lega,
non
sarà il Tempo
a salvare il principe
dalle tenebre,
non
sarà il Tempo.
Troppo breve è la vita
con il suo inganno.
Prologo.
Paura
Periferia
di Kovir. 1410 Dicembre
Il
lontananza risuonò un lungo e straziante ululato, seguito
immediatamente da altri, nel silenzio parevano canti funebri.
Sembrava che un branco di lupi si stesse preparando per la
caccia, tuttavia, il vento e la neve rendevano impossibile capire se
il branco fosse a una distanza sufficiente da fiutarli e considerare
la piccola casetta ai margini del villaggio e i suoi abitanti come
prede o se si stessero concentrando su altro.
Ma
l'inverno era particolarmente rigido e perfino i lupi facevano fatica
a trovare il giusto sostentamento. Quella volta si avvicinarono
pericolosamente agli umani ai margini del villaggio.
Figure
scure e scheletriche si approssimarono lentamente alle abitazioni,
fiutando e sbavando sulla neve; il caldo odore degli umani era
irresistibile per le creature affamate.
Una
giovane donna uscì dalla sua casa, portava tra le mani un
secchio
vuoto.
Ancora prima di poter vedere il pozzo, seminascosto tra le
fronde spoglie degli alberi, sentì dei movimenti nella neve,
accompagnati da respiri pesanti. Cercò di non farci caso,
convincendosi da sola che il Patto che avevano stipulato con il
signore sulla collina li avrebbe protetti da qualsiasi male.
Si
avviò a passo svelto in mezzo alla neve, per quanto la neve
alta le
permettesse di muoversi velocemente; affondava infatti a ogni passo
fino al polpaccio e, nonostante il freddo, iniziò a sudare,
complice
anche l'ansia che l'attanagliava.
Arrivò al pozzo con il fiatone
e mentre legava la fune al secchio sentì di nuovo quel
respiro
pesante, accompagnato da un leggero ringhio, questa volta molto
più
vicino di prima. Abbassò lo sguardo e lì, proprio
affianco al
pozzo, appena nascosto dalle erbacce vide una sagoma scura, con un
paio di occhi ambrati che sembravano rilucere nella penombra del
crepuscolo.
Passò un attimo, in cui rimase immobile a fissare le
fauci socchiuse e ringhianti del lupo nero, terrorizzata da quella
bestia feroce e affamata. Poi l'adrenalina iniziò a pomparle
nel
corpo e, appena prima che il lupo balzò in avanti con un
ringhio
feroce, riuscì a voltarsi e iniziare a correre, lasciando
che il
secchio cadesse nelle profondità del pozzo con un tonfo
sordo.
Non
si era accorta che c'era un'altra mezza dozzina di lupi nascosti poco
lontani; uno di questi durante la corsa riuscì a darle una
zampata
alla caviglia e a farla sbilanciare, ma non a cadere. La ragazza
continuò a correre, senza avere il coraggio di voltarsi a
guardare,
ma con gli occhi ben puntati sulla porta di casa ancora socchiusa da
cui fuoriusciva una tenue luce accogliente e sicura.
Nella sua
corsa folle gemeva e urlava, mentre le lacrime le correvano calde
sulle guance ghiacciate.
In un attimo di vaga lucidità pensò
che quei versi erano imbarazzanti.
Ma
non riusciva a smettere. Orrore animalesco. Matta disperazione. Il
gemito che fanno i morti all’inferno.
Alle
sue spalle i latrati dei lupi continuavano a perseguitarla.
Il
vento gelido le artigliava i capelli, ruggiva nelle orecchie,
fischiava tra i denti insieme al suo respiro terrorizzato.
La
spinta data dall'adrenalina però si esaurì presto
e la fatica
iniziò a premerle sul petto, la sua corsa
rallentò e i muscoli
iniziarono a bruciare, fino a che non inciampò nei suoi
stessi piedi
e non finì lunga distesa nella neve.
Adesso
era la paura a tenerla stretta, aumentando a ogni respiro mozzo. Non
riusciva a muovere la testa, non riusciva a muovere la lingua in
bocca. Riusciva ad avvertire il terrore, che le rosicchiava ai
confini della mente: una massa terribile di paura, che le premeva
addosso, schiacciandola da ogni parte, sempre peggio, e poi peggio, e
poi peggio.
In quel momento temette
seriamente di morire, poiché i muscoli le tremavano e
riusciva a
malapena a respirare.
All'improvviso
avvertì un peso sulla sua schiena, e la sua mente, convinta
di
essere già tra le fauci del predatore, si spense
completamente.
Sentite
le urla e i ringhi dei lupi, il padre della fanciulla uscì
di casa
in tutta fretta; giusto in tempo per vedere il corpo esanime della
figlia nascosto sotto la carcassa di un lupo nero, il cui pelo ispido
era lucido per il sangue. Nel momento in cui raggiunse la figlia,
febbricitante e svenuta, la liberò dal peso della belva e si
osservò
intorno; altri lupi giacevano morti intorno a loro, con grandi
chiazze di sangue che si espandevano velocemente nella neve candida.
Intorno solo in candore e la piattezza della neve. Nessuna figura,
nessuna impronta forniva il minimo indizio di ciò che era
realmente
successo, tuttavia l'uomo non ne aveva alcun bisogno per
intuirlo.
Nello stringere la figlia tra le braccia e a sentire il
battito del suo cuore si trovò a ringraziare sinceramente,
per la
prima volta, il Patto e la creatura con cui l'avevano stipulato.
Steppa,
poco oltre i Monti Neri. 1410 Dicembre
La
carovana arrancava nella neve e nel ghiaccio da giorni, al loro
interno, donne e bambini si stringevano gli uni alle altre. Era un
inverno freddo, gelido, forse il peggiore che i più giovani
di loro
avessero mai vissuto.
La compagnia di Gitani avanzava da giorni in
cerca di un villaggio ospitale, dopo aver vagato inutilmente da un
villaggio all'altro avevano dovuto superare i Monti Neri e,
nonostante il disaccordo di alcuni, dirigersi a sud, verso Kovir.
Non
era la prima volta che si fermavano in quel piccolo villaggio,
tuttavia non vi avevano speso mai troppo tempo; sapevano delle storie
che giravano in quel luogo, dell'oscuro individuo che era sia tiranno
che protettore dei suoi abitanti, il tutto era alimentato da varie
leggende ed usanze. Veniva chiamato in molti modi, pochissimi dei
quali li facevano apparire come una persona qualsiasi. Lumpirovic
era uno dei tanti modi in cui lo chiamavano.
La
ragazza sobbalzò, scontrando le spalle contro il legno aspro
della
carovana, l'impulso di tossire la scosse dal suo lieve sonno; l'aria
che si respirava nella carovana era diventata pesante e umida.
Prese
tra le mani i teli che la coprivano e si sporse fuori, il vento
gelido le accarezzò le guance, facendogliele imporporare
quasi
immediatamente. Ispirò l'aria fresca e frizzante, sentendosi
subito
più sveglia.
“Padre.” Una figura scura poco più
avanti si
voltò.
“Selene, prenderai freddo così, torna
dentro.” Il
volto altrimenti severo del capo della compagnia si addolcì.
L'uomo
rallentò il passo per avvicinarsi alla figlia.
“Manca ancora
molto al villaggio di Rugen?”
Nonostante tutto aveva dormito parecchio, anche se le pareva che
fosse passato davvero poco tempo da quando si era assopita ma,
evidentemente, non era così.
"Il
villaggio di Rugen
ci ha
rifiutato, hanno detto che non sono in grado di sostenere se stessi e
alte persone in un inverno così freddo.”
“Quindi, dove stiamo
andando adesso?” Si guardò intorno; sommersi dalla
neve riusciva a
distinguere le palizzate che dovevano delimitare dei campi un tempo
coltivabili. Ovunque stessero andando, non doveva mancare molto.
“Più
a sud, speriamo di trovare accoglienza a Kovir.” La ragazza
fece
finta di nulla, ma notò benissimo alcuni sguardi contrariati
da
parte degli altri uomini che camminavano al loro fianco. Suo padre,
tuttavia, non sembrò dello stesso avviso. “Molti
uomini sono
contrari a questa decisione, ma è l'unico posto che potrebbe
accettarci, in queste condizioni. E lo sanno anche loro, tuttavia non
posso biasimarli.” Nei suoi occhi la ragazza scorse un velo
di
preoccupazione e disagio.
“Perché?”
“Ci sono alcune
storie riguardante quel villaggio, non so se ricordi cosa usava
raccontarti tuo nonno.”
“Nonno mi raccontava tante cose, molte
le ho dimenticate.” Dal cielo iniziarono a cadere grossi e
candidi
fiocchi di neve; la ragazza sollevò lo sguardo, mentre dalle
sue
labbra si sprigionò un po' di vapore. Iniziava a sentire il
gelo, e
forse non era solo il fatto che stesse rimanendo al freddo solo per
conversare con suo padre, ma pareva che avessero appena superato le
montagne e che quindi il vento freddo, non più bloccato da
quelle
mura naturali, avesse preso il pieno dominio del luogo.
“Torna
dentro, figliola, non vorrei che ti ammalassi.” E lei,
vagamente
riluttante, si rifugiò di nuovo nel tepore accogliente e
pesante
della carovana, tentando di ricordare le storie che le erano state
raccontate anni addietro.
La
prima cosa che videro, ancora prima delle abitazioni e delle persone,
fu una grossa macchia di sangue sulla candida neve.
La maggior
parte degli uomini sputò a terra, nel tentativo di
allontanare la
cattiva sorte, altri si lamentarono, alti ancora iniziarono a gemere,
rischiando di mettersi a piangere. Dijkstra, il padre della
fanciulla, imprecò solamente, riprendendo a tirare il
cavallo con le
provviste, aggirando attentamente la macchia di sangue, e
ringraziando mentalmente che sua figlia fosse tornata dentro a
dormire.
Dijkstra non era credente, eppure, forse per la prima
volta in vita sua, si trovò a pregare. Forse avviarsi verso
Kovir
non era stata l'idea migliore, ma avevano forse alternative?
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