Nel
regno di Camelot c’erano numerosi cavalieri valorosi e,
incredibile ma vero, per
esserlo non era necessario avere un nobile lignaggio: bastava il cuore
al posto
giusto, gambe leste e mani capaci.
E
il Piccolo Tor, figlio di Ars delle Terre Senza Re, questo lo sapeva
bene: se
lo faceva raccontare da sua madre ogni sera prima di addormentarsi e
ogni
mattina appena sveglio, mentre beveva il suo bicchiere di latte di capra.
Sua
madre, a parere non solo di Tor e dei suoi fratelli ma anche di tutte
le
persone della valle, era la più bella donna della regione: i
capelli rossi
sembravano far impallidire anche i raggi del sole al tramonto e i suoi
occhi
erano tanto neri quanto luminosi. La bella Toria, questo era il nome
della
donna da cui Tor stesso prendeva il suo, non solo era bella, ma aveva
la voce
più melodiosa e l’animo più gentile che
si potesse mai incontrare. Tor era
tremendamente felice di essere suo figlio e non poteva non sentirsi
orgoglioso
quando le persone gli dicevano che aveva i suoi stessi begli occhi.
Suo
padre Ars era l’uomo più forte che conoscesse.
Spesso Tor si chiedeva come mai
non fosse mai stato notato dai sovrani di Camelot e non fosse mai
diventato cavaliere,
ma quando lo diceva, Ars si metteva a ridere, buttando indietro la
testa e
quella sua magnifica chioma del colore del grano. Tor invidiava quella
chioma
riccioluta tanto che a volte detestava i suoi fratelli che
l’avevano ereditata,
contrariamente a lui che aveva i capelli scuri come la notte.
Gli
capitò solo una volta di tirar fuori questo
l’argomento per non farlo mai più.
Era
successo quando Tor non aveva che sei anni e avrebbe sempre ricordato
quel
momento come se fosse capitato poco prima.
Era
stato un freddo inverno.
Quel
giorno, mentre suo padre sistemava una vecchia sedia, Tor si
incantò a guardare
sua madre pettinare i lunghi capelli biondi e lucenti della sorella. Fu
allora
che chiese come mai era l’unico ad avere dei capelli
così brutti e neri. La
madre lo guardò quasi inorridita, prima di distogliere lo
sguardo e scappare
fuor di casa, verso le stalle, per scoppiare a piangere così
forte da spaventare
lui e i suoi fratelli. Tor guardò spaventato suo padre in
cerca di risposte e
questi, invece, si limitò a fissarlo per lungo tempo in
silenzio prima di parlare.
<<
Perché dici questo, Tor? >> chiese mettendogli
la grande mano callosa sul
capo, per accarezzarlo.
Tor
si accorse che la sua mano tremava, ma non sarebbe mai riuscito a
capire quale
emozione lo stesse pervadendo e, per la prima volta, ebbe paura di suo
padre.
Fu lì che comprese che c’era qualcosa che non
andava: non era mai stato un
bambino stupido, ingenuo forse, ma non stupido, e aveva subito capito
che il
fatto che non avesse i capelli come il suo papà era un
argomento che non era da
tirare fuori.
<<
Io… perché è vero…
>> riuscì a sussurrare sentendo le gambe
tremargli.
<<
Hai per caso sentito qualcuno fare dei commenti al riguardo?
>>
<<
No… Io… Vorrei solo essere come te…
>>
A
quelle parole, Ars si inginocchiò davanti a lui e lo
abbracciò.
Fu
la prima volta che lo sentì piangere.
<<
Mi dispiace, padre… non volevo… Giuro che non lo
dico più. >>
<<
No, taci. >> lo fermò l’uomo
guardandolo negli occhi con i suoi luminosi
occhi azzurri << Tu non hai fatto nulla di male. Tor, non
hai fatto nulla
di male e impara questo, figlio mio, non chiedere mai scusa per
qualcosa che
sai essere giusta nel tuo cuore, che sia un’idea o una cosa
da fare. È l’unico
insegnamento che potrò mai darti. >>
E
con quelle parole, gli baciò la fronte.
E
con quell’insegnamento, Tor si relazionò sempre,
per tutta la sua vita.
Aveva
in mente quelle parole quando, appena quattordicenne, aveva sentito
delle donne
al mercato commentare la sua somiglianza con quel gigante di suo padre,
così
diverso da quel basso pastore dai capelli biondi. Quella volta lo
avevano
chiamato bastardo e Tor era
abbastanza grande per sapere cosa significasse quella parola. Anche sua
sorella,
di un anno più piccola, ne conosceva il significato, tanto
che stava per andare
a dire loro qualcosa quando lui la fermò: non era giusto che
la sorella desse
spettacolo per qualcosa che lui stesso sapeva essere vera.
La
pregò di tacere e lei ubbidì.
Erano
poco lontano da casa quando Tor, fermandola, le chiese di non
raccontare
dell’accaduto ai suoi genitori.
<<
Perché? >> le chiese lei.
<<
Perché nostra madre ne morirebbe. Credo che sia un ricordo
che non vuole
rivangare… >>
La
sorella aveva acconsentito scuotendo la testa in silenzio.
<<
Ma non vuoi sapere? >>
Tor
la guardò in silenzio: sua sorella sapeva sempre fare le
domande più scomode.
<<
No. Io ho già un padre: si chiama Ars ed è un
uomo migliore anche del Re. Se
quell’uomo non si è preoccupato di venirmi a
cercare, allora non si merita il
mio affetto. >>
Tor
non avrebbe più voluto parlare di quella storia, ma sua
sorella, la cui mente
curiosa era come un fiume in piena, non riusciva ad abbandonare le
domande che
le frullavano in testa.
<<
Tu sei nato dopo che Re Uther era venuto qui…
>> disse una volta mentre
pescavano lontano dagli altri fratelli.
Tor
si guadò attorno prima di rispondere.
<<
E allora? >>
<<
E se fossi suo figlio? Oh, dai! Potrebbe essere! Dicono che Uther
Pendragon
fosse l’uomo più bello mai comparso su queste
terre e tutte le mie amiche sono
innamorate di te, che sei il più bello di tutti. Alle feste
papà viene
rispettato come fosse un re e la mamma è trattata come una
regina! È vero che
abbiamo molte terre, ma non così tante da avere tutto questo
rispetto! E se
fossi il figlio del re… saresti un principe…
>>
<<
E tu una principessa. >> rispose Tor riuscendo a
sorridere solo in quel
momento.
<<
Esatto! >>
Tor
le accarezzò il volto roseo.
<<
Un giorno diverrò cavaliere, sorella. E tu sarai la mia
dama. Ti porterò a
corte e tutti i principi si innamoreranno di te e tutte le principesse
ti
odieranno perché sarai mille volte più bella di
loro. >>
A
quelle parole, Aretha lo abbracciò d’istinto.
<<
Io non voglio che tu sia cavaliere. I cavalieri se ne vanno lontano, a
combattere. E quelli che passano per il villaggio sono volgari e
cattivi. Ho
sentito dire che fanno delle cose orribili alle fanciulle come me, se
sono
tanto sventurate da finire sul loro cammino: è per questo
che quando arrivano
ci rinchiudono in casa. >>
<<
Ti prometto, sorella, che non diverrò mai quel genere di
uomo. Anzi, ti giuro
che impedirò a chiunque di torcere anche solo un capello a
qualunque donna che
essa sia una principessa, una serva, una mungitrice o una fata.
>>
Sua
sorella sorrise.
<<
Lo so. E sarai un grande principe. >> disse per poi
riprendere dopo un
attimo << Mi mancherai. >>
<<
Guarda che per ora non vado da nessuna parte. >>
<<
Ma andrai via, un giorno, perché sei il figlio di un re.
>>
Sua
sorella non toccò più quell’argomento.
La sua bellissima sorella.
Tor
non avrebbe mai dimenticato il sorriso pieno di lacrime con cui
l’aveva
salutato prima che i suoi genitori lo portassero a Camelot, per
partecipare
alla grande fiera dove avrebbe potuto mostrarsi come cavaliere.
Sua
madre e Aretha avevano cucito per mesi un corredo adeguato per quel
giorno, sua
padre aveva venduto il suo montone più bello per procurargli
un cavallo e
un’armatura adeguata.
Solo
quando varcò le porte di Camelot, però, Tor
comprese che tutti i suoi sogni,
finalmente, stavano diventando realtà.
Sarebbe
diventato cavaliere.
Avrebbe
combattuto contro draghi e orchi, salvato donzelle in pericolo e
servito il già
leggendario Re Artù.
Era
così entusiasta che neanche si accorse delle serve, e non
solo quelle, che gli
facevano gli occhi dolci e che facevano scuotere la testa ai suoi
genitori.
Dovette farglielo notare suo padre, con il risultato di metterlo ancor
più in
agitazione.
La
sera prima dell’inizio della giostra, però, Tor
visse l’esperienza più
importante della sua giovane vita, segnando profondamente lui e le
persone che
gli stavano attorno.
Suo
padre gli aveva intimato di andare a letto presto, ma lui, troppo
nervoso per
riuscire a rimanere fermo, sgattaiolò fuori dalla finestra e
cominciò a vagare
per le vie di Camelot. Non aveva mai visto una città
più bella e carica di
vita, non che il paesino presso cui abitavano lui e la sua famiglia
fosse così
grande da definirsi città, ma neanche nel giorno della fiera
del bestiame,
aveva mai visto tanta gente riunita.
Lì
a Camelot si incontravano, Tor ne era sicuro, le genti di tutto il
mondo.
Si
era spostato lungo la piazza centrale, dove si ergevano le mura
interne, quelle
che dividevano il castello dalle case attorno, e dove la chiesa in
costruzione
prometteva di essere poderosa e incombente, a memento della giustizia
divina
che rappresentava.
Tor
continuò a camminare, superando lo spazio che di giorno era
occupato dal mercato,
nel quale si era perso il giorno prima e di cui ora conosceva tutti i
segreti,
fino ad arrivare all’area destinata ai tornei dove
cominciò a guardarsi
attorno, respirando profondamente il silenzio di quel posto.
Lì
l’indomani si sarebbe deciso il suo destino: o cavaliere o
nulla.
Stava
ancora contemplando gli spalti dove si sarebbero seduti il Re e la sua
corte quando
delle urla strozzate attirarono la sua attenzione.
Tor
era sempre stato un ragazzo curioso e quella volta non fu da meno.
C’era
qualcosa di strano in quei rumori soffocati, ma non si sarebbe mai
aspettato di
trovarsi una scena del genere davanti agli occhi, tanto odiosa da far
scattare in
lui l’ira più profonda che avesse mai provato.
Una
fanciulla, così giovane da essere poco più di una
bambina, era strattonata da
tre giovani uomini. Tor li aveva già visti, quei tre, erano
aspiranti cavalieri
come lui: figli di signorotti di qualche regione sperduta,
probabilmente, che
si erano riconosciuti come parte dello stesso mondo e avevano snobbato
gli
altri che, come lui, erano visibilmente figli di nessuno.
Lei
implorava loro di lasciarla andare, che sua madre la stava sicuramente
cercando
e che le facevano male.
Loro
ridevano e le dicevano di non preoccuparsi.
Ma
lei non era così piccola da non sapere che, invece, doveva
preoccuparsi
parecchio.
Tor
non si accorse neanche di aver preso una qualunque decisione, sapeva
solo che
nel momento in cui uno di loro alzava alla giovane la gonna, mentre un
altro
gli strappava un po’ della camicetta, lui aveva afferrato
quest’ultimo e gli
aveva sferrato un pugno tale da sentire le sue ossa rompersi, mentre
questi
cadeva svenuto a terra.
Il
ragazzo che teneva le braccia della giovane costringendola addosso a un
albero
la lasciò, indietreggiando un attimo spaventato prima di
lanciare un ringhiò e
scaraventarsi verso di lui. Tor lo schivò con
facilità (era grosso e troppo
lento per lui) mentre si sporgeva verso il terzo ragazzo per sferragli
una ginocchiata
nello stomaco. Tor perse per un momento l’equilibrio, ma per
sua fortuna lo
recuperò in fretta, tanto da schivare un paio di colpi
avversari.
Guardò
la giovane e le intimò di andare via, ma lei, terrorizzata,
rimaneva immobile
vicino all’albero sui cui volevano immolarla.
Tor
fu costretto a incassare un paio di colpi avversari, ma
riuscì ad assestarne
altrettanti, schivando e contrattaccando come faceva sempre con i figli
dei
vicini o i suoi fratelli, con in più l’intenzione
di colpire seriamente i suoi
avversari. I tre giovani guerrieri combatterono tanto da non accorgersi
di
essersi avvicinati alle strade abitate e Tor continuò a
destreggiarsi tra un
colpo e l’altro fino a quando un dolore acuto lo
colpì alla testa e la vista si
offuscò.
Quando
Tor si riprese, non gli ci volle molto per capire di essere in una
cella.
Si
alzò a stento, sentendo la sua testa pulsargli. Dovevano
averlo colpito alle
spalle, convenne toccando il bernoccolo che gli era spuntato sul capo.
Guardando
fuori dalla finestra, Tor vide che il sole era già alto.
Imprecando,
andò alla porta e chiamò la guardia.
<<
Ehi, fammi uscire! >> gli disse implorante
<< Il torneo! Devo
essere al torneo! >>
<<
Non credo proprio, ragazzo. >> disse l’uomo
prima di aprire la porta. <<
Il torneo è stato rimandato a domani, visto il putiferio che
hai combinato.
Vieni. Il re vuole vederti. >>
Il
primo istinto di Tor fu quello di scappare, ma poi gli insegnamenti di
suo
padre tornarono ad avere la meglio su di lui e, con calma temeraria,
seguì il
soldato lungo gli stretti corridoi delle prigioni, fino a quelli ampi e
luminosi del palazzo di Camelot.
Durante
tutto il tragitto, Tor continuava a pensare alle parole che suo padre
gli aveva
detto quando ancora era un bambino ma che lui non aveva mai
dimenticato: non
chiedere mai scusa per qualcosa che sai essere giusta.
A
qualunque cosa, Tor avrebbe risposto questo.
Aveva
umiliato suo padre facendosi sbattere in prigione, ma si sarebbe
riscattato.
Ars non si sarebbe vergognato ancora per molto.
Quando
aprirono le porte che conducevano alla sala del Torno, però,
Tor sentì la sua
sicurezza vacillare un attimo: stava per incontrare il grande Re
Artù, colui
che aveva salvato la loro isola dal caos e dalla guerra, che aveva
portato pace
e giustizia…
L’uomo
più leggendario di tutte le terre conosciute…
Tor
trattenne il fiato prima di entrare e poggiare lo sguardo sul suo
sovrano.
Poi
lo vide e quasi ci rimase male.
Artù
Pendragon era un uomo nel fiore degli anni, dall’aria
semplice e… normale.
I
suoi capelli, biondi come quelli di suo padre, erano ribelli ed
eleganti e gli
conferivano un’aria ancora vagamente infantile.
I
suoi occhi erano simili a quelli di un bambino che si diverte a
catturare
girini e sarebbe stato facile scambiarlo davvero per un fanciullo, se
non fosse
per la poderosa fisicità che, anche da seduto, riusciva a
incutere un certo
rispetto.
Ma
per il resto, aveva un’aria assolutamente comune. Se non
avesse avuto il
mantello o il diadema, che pure era semplice, sul capo, Tor non avrebbe
mai
detto che quello era un re.
Figuriamoci
Re Artù di Camelot.
<<
Vieni avanti, ragazzo. >> disse il re.
Tor
non se lo fece ripetere, ammaliato da quella voce profonda e regale,
cominciando finalmente a capire da dove venisse parte del fascino del
sovrano:
non era qualcosa che aveva nel suo aspetto, era qualcosa che nasceva da
dentro
e che si vedeva nei gesti e nelle espressioni, non
nell’apparire.
<<
Hai fatto un bel casino ieri notte. >>
Tor
guardò meglio il re, rammaricandosi di non trovare alcuna
somiglianza tra di
loro. Un po’ gli dispiaceva non poter tornare dalla sorella
con la sicurezza di
essere il fratello bastardo di Artù Pendragon. Era
più probabile, piuttosto,
che fosse il re ad essere il figlio illegittimo di Ars anche se
all’epoca della
nascita del re, suo padre probabilmente non era che un ragazzo.
Il
re volse lo sguardo verso una guardia.
<<
Fa entrare gli altri. >> l’uomo scosse la testa
e ubbidì.
Forse,
pensò Tor, quello non era una semplice guardia: i suoi
vestiti erano più simili
a quelli di un cortigiano e zoppicava visibilmente: nessuno avrebbe
tenuto uno
zoppo come soldato, neanche il grande Artù.
L’uomo
fece entrare un gruppo di persone che Tor riconobbe come i tre giovani
aspiranti cavalieri e le loro famiglie. Dietro di loro, Tor
notò con un
sussulto, c’erano suo padre e sua madre.
Sua
madre Toria corse verso di lui per abbracciarlo e lui si
lasciò baciare sulla
fronte, grato di poter sentire quel calore un’ultima volta.
Il
re aspettò un attimo prima di ricominciare a parlare,
zittendo con una mano
alzata il giovane uomo che stava per parlare senza permesso.
<<
Quattro aspiranti cavalieri di Camelot. Sapete quanti sono gli
aspiranti
cavalieri quest’anno? Sedici. Il che vuol dire che una gran
bella porzione
degli aspiranti cavalieri, ieri sera, hanno combattuto tra di loro,
contro ogni
etica di comportamento e ogni regola della giostra. >> il
re sembrava
parlare più a se stesso che al suo pubblico.
Tor
lo vide girarsi, guardano alla sua sinistra.
<<
Sai cosa vuol dire questo? >>
In
quel momento Tor si accorse in un giovane fanciullo, bello ed elegante
come una
notte di luna, fermo in una nicchia.
<<
Sì, sire. Che la scelta quest’anno sarà
più facile. >> disse lui con
pacata semplicità.
Tor
sentì un profondo odio nei confronti di quel fanciullo.
Il
re invece rise.
<<
Hai ragione, figliolo. >> disse prima di tornare a
guardare i convocati. <<
Ragazzo, ho sentito le versioni degli altri e mi manca la tua. Vuoi
dirmi
qualcosa prima che io prosegua in qualunque modo? Vuoi forse scusarti o
giustificarti o… fare ammenda per il tuo comportamento?
>>
Tor
sentì il suo cuore perdere un battito.
<<
No, Sire. >> rispose lui.
Sentì
sua madre trattenere il respiro, nascondendo il volto dietro il suo
braccio.
<<
No? >> ribatté il re << Ne sei
sicuro? >>
<<
Non chiedere mai scusa per qualcosa che sai essere giusta nel tuo
cuore, che
sia un’idea o una cosa da fare. >> disse lui
pregando che nessuno si
accorgesse del fremito della sua voce.
In
quel momento, Tor lo sapeva, tutti gli occhi erano puntati su di lui.
<<
E’ una frase molto impegnativa. Cos’è?
>>
<<
Mio padre mi ha insegnato molte cose, maestà, e questa
è la più importante. Io
ho fatto quello che dovevo e non mi pento, né
chiederò mai scusa. >>
Il
gruppo dei suoi avversari cominciò a protestare e il re
alzò nuovamente la
mano.
<<
Tuo padre è un uomo saggio e profondo. Anche io sono stato
cresciuto con
insegnamenti molto simili. Però devi capire che in questo
caso non basta che tu
dica di aver fatto la cosa giusta. Beh, forse hai ragione, io ti hi
chiesto se
volevi fare ammenda, ma avrei anche dovuto chiederti come sono andate
le cose.
Anche perché, ragazzo, capirai che le informazioni che ho
io, quelle che mi
sono state date dagli altri aspiranti cavalieri, per lo meno, non ti
fanno
sembrare nel giusto. >>
Tor
guardò i tre giovani uomini che lo guardavano con odio
beffardo.
<<
Mentono. >>
Il
re rise.
<<
Sei un ragazzo di poche parole, vedo. Purtroppo a me serve qualcosa di
più. Io
devo sapere almeno le ragioni che ti hanno spinto a fare quello che hai
fatto,
visto che è indubbio quello che hai fatto. >>
Tor
guardò per un attimo sua madre, prima di tornare a guardare
il suo sovrano.
<<
Non volevo che un’altra giovane vita fosse segnata come mia
madre. >>
disse lui mantenendo lo sguardo fisso verso il re, mentre la sentiva
allontanarsi leggermente.
Il
re passò lo sguardo tra di loro senza capire, prima di
fargli segno di
continuare.
<<
Mia madre… >> Tor abbassò un attimo
lo sguardo per trovare la forza di ferire
sua madre << Diciott’anni fa mia madre
subì violenza da un cavaliere e da
quella violenza nacqui io. >>
Tor
con la coda dell’occhio sua madre trasalire portandosi la
mano alla bocca e
distogliere lo sguardo, mentre la mano si suo padre
l’afferrava per una spalla
e lo costringeva a voltarsi.
<<
Come…? Chi…? >> riuscì a
pronunciare l’uomo.
Tor
gli prese la mano tra le sue e gliela baciò prima di tornare
guardare il re.
<<
Io sono stato fortunato e sono stato cresciuto da un uomo che anche se
non è
mio padre è il padre migliore che potessi desiderare che
come vedete mi ama
come se fossi figlio suo e mia madre, la mia adorata madre, nonostante
sia il
ricordo più vivo di quella violenza non ha mai smesso di
volermi bene. Ma so
che il dolore di quella crudele empietà ancora le lacera
l’anima. E… a cosa
seve essere cavalieri se non possiamo salvare gli indifesi?
C’era una giovane
con loro e le stavano facendo male e lei implorava di essere lasciata
andare.
Non so se per qualcuno una cosa simile sia giusta, ma per me no. Tre
contro uno
è da vili contro un uomo, figuriamoci contro una fanciulla.
Ora, sire, sì, ho
una cosa di cui devo chiedere scusa: non volevo far piangere mia madre,
ma
vostra maestà mi ha chiesto le ragioni che mi hanno spinto
ad agire e quelle
lacrime sono le mie ragioni. Se i miei avversari hanno detto a vostra
maestà
che li ho presi di sorpresa, non posso negarlo, o per lo meno posso
dirlo per
lui, che ha la mandibola rotta, perché è stato il
primo che ho colpito e sul
quale ho scagliato tutta la mia ira. >>
<<
Lo hai colpito… come? >>
Tor
alzò la mano, accorgendosi solo in quel momento di averla
dolorosamente gonfia
e sanguinolenta.
<<
Con questa. Maestà, io non mi sono presentato, non li ho
sfidati e non ho
seguito alcuna regola di cavalleria, ma io non ho agito come cavaliere,
ma come
uomo con una dignità. Forsanche perché piuttosto
che non agire, avrei preferito
impiccarmi. >>
Dopo
quelle parole, nella sala del trono cadde il silenzio.
Il
re guardò per un istante tutti i presenti prima posare
nuovamente lo sguardo
sul giovane dietro di lui e fargli un cenno alla quale lui
ubbidì in silenzio,
sparendo dietro a una tenda.
<<
Hai ragione, ragazzo. Secondo la loro testimonianza, tu ti sei
avventato senza
alcun motivo. Di solito, lo scoprirai crescendo, questo può
accadere, ma di
solito il provocatore è ubriaco, cosa che non si
può dire di te. >>
<<
Sì, Sire. >>
<<
Ora, questa parte riguardante il comportamento dei tuoi…
avversari, non ci è di
certo stato fornito da loro che, secondo la testimonianza che hanno
fatto si
stavano solo divertendo in modo innocente. A dire il vero,
però, >> disse
il re facendo nuovamente il gesti di tacere <<
c’è un modo per sapere se
è quello che dici è vero. Basta trovare i
testimoni. Dimmi, ragazzo, chi
sarebbe la donna che è stata aggredita? >>
<<
Non lo so. >>
<<
Non l’avevi mai vista? Neanche di sfuggita? >>
<<
No, sire. Io e i miei genitori siamo arrivati a Camelot solo
l’altro giorno.
Non conosco nessuno, qui. >>
<<
Un bel dilemma, anche perché, lo saprai bene anche tu,
quando una donna è
vittima dell’ingiustizia del suo sesso, difficilmente lo
racconta. E senza
altri testimoni, temo di non poter dare molto credito al tuo racconto.
>>
Tor
strinse le labbra e asserì con la testa, pronto a subire il
suo destino.
<<
C’è da dire, però, che a volte le
fanciulle in questione sono così assetate di
giustizia che possono anche far sentire la loro voce. Soprattutto, se
hanno un
paladino al loro fianco. >>
Tor
sentì il suo cuore ricominciare a battere, mentre il giovane
valletto del re
tornava con la giovane fanciulla aggredita.
<<
Il tuo nome, ragazza? >>
<<
Rivalen, Sire. Sono la figlia di Fedor, il fabbro. >>
<<
Avevi mai visto quel ragazzo prima di ieri sera? >>
<<
No, Sire. >>
<<
E uno di loro? >>
<<
No, Sire. >>
<<
E dimmi, piccola, come mai sei qui. >>
Lei
fece per parlare ma la voce le morì in gola, allora
abbassò lo sguardo.
<<
Io… >> disse poi con un filo di voce.
<< Io non sono stata attenta…
>>
Il
re gli sorrise e gli mise la mano sulla testa, prima di tornare a
guardare i
presenti.
<<
Sapete, io… beh, non sono un uomo particolarmente aventi
negli anni, ma ho
abbastanza esperienza per capire un ragguardevole numero di cose.
Questa
fanciulla si è presentata all’alba alla
servitù per essere ascoltata, purtroppo
però i preparativi della giostra hanno reso la cosa
impossibile. Ma la piccola
è stata molto caparbia e ha continuato a cercare qualcuno
che la aiutasse tanto
da attirare l’attenzione di Mordred. Lui l’ha
ascoltata e l’ha portata da me.
La piccola era così stravolta da non essersi neanche accorta
di avere la
camicia strappata e di essere stata lei a urlare aiuto, tanto da
richiamare la
ronda. Questa non l’aveva vista, ma come far caso a una
bambina nascosta
nell’ombra? Hanno pensato fosse semplicemente
l’abitante di una delle case che
spaventandosi avesse chiesto aiuto. Capita, certo. Anche se
è piuttosto raro in
quella zona, visto l’assenza di taverne. >>
Uno
dei giovani aggressori fece per parlare ma un sibilo del padre dietro
di lui lo
zittì.
<<
Ho visto io stesso i segno dell’aggressione su di lei. Le
sono state strette
così forte le mani attorno alle braccia che ancora ne tiene
il segno. Le sono
state graffiate le cosce, non so se con le unghie o con altro, ma non
m’importa. Lei vi ha già riconosciuti, mentre
ancora eravate nelle vostre celle
e stavate ricevendo le prime cure e se, come credo, volete insinuare
che la
piccola e il qui presente cavaliere siano in combutta, posso
assicurarvi che ho
indagato anche su questo. Il giovane e i suoi genitori non sono
arrivati che
ieri e un ragazzo di quella stazza non passa inosservato. Ho il resoconto di quasi
tutto il suo tempo
qui a Camelot, per non contare che ho la stessa cosa per la piccola. Ed
il mio
siniscalco, Ser Kay, non ci ha messo che poche ore per scoprire che, in
effetti, vi hanno visto aggirarvi proprio dalle parti dove la piccola
ha
abitudine di passare il suo tempo libero. >> disse il re
prima di girarsi
a guardare nuovamente la fanciulla << Puoi andare. Grazie
per il tuo
aiuto e ringrazia tuo padre per la comprensione. >>
La
giovane sparì da dove era venuta.
Re
Artù aspettò in silenzio per qualche minuto prima
di alzarsi.
Tor
non poté fare a meno di trasalire: il re era un vero
gigante: lui stesso non
era di certo un giunco e spesso veniva paragonato a un toro, ma il re
era più
vicino a un possente orso, un orso che impressionava tanto era maestosa
la sua potenza
mentre scendeva i gradini del trono e andava verso il gruppo di suoi
vassalli.
<<
Bran, spero capitate. >> disse il re, mentre
l’uomo a cui si stava
rivolgendo abbassò la testa asserendo con gravità.
<<
Morcant Bulk, figlio di Bran. >> il re guardò
il ragazzo che per primo
voleva protestare. << Ryon, figlio di Rience. >> il re
guardò il ragazzo con il capo
fasciato e la mascella rotta << Ironside, figlio di
Ruben. >> il re
guardò il terzo e ultimo ragazzo. << Non posso
certo impedirvi di fare
quel che volete nelle terre dei vostri genitori, questo spetta a loro e
alla
vostra coscienza. Ma certo è tutta un’altra cosa
qui a Camelot. Qui non potete
pensare di poter avere tutto quello che volete, solo perché
lo volete. Per
rispetto all’alleanza fedele e sicura dei vostri padri, non
vi infliggo la
punizione che vorrei darvi, con la speranza che un giorno capirete il
vostro
errore e facciate ammenda. Posso però assicurarmi di una
cosa: voi non sarete
mai dei miei cavalieri. Io pretendo di più di saper tirare
di spada o rimanere
su un cavallo durante una battaglia. Io esigo che i miei rappresentanti
nel
regno, i miei cavalieri, infondano fiducia assoluta in qualunque
individuo del
mio regno, che esso sia uomo, donna o bambino. E voi siete abbastanza
grandi
per sapere di aver sbagliato anche perché, altrimenti, non
avreste omesso il
particolare della fanciulla che era oggetto del vostro divertimento.
Non potete
negarlo: sono stato io a chiedervelo. Pagherete un risarcimento: per i
prossimi
sette anni un decimo del ricavato delle vostre terre verrà
dato a Rivalen,
figlia di Fedor, fabbro di Camelot, come risarcimento per
l’onta subita.
Pregate che non ci sia carestia, perché dovrete darle il
decimo del massimo
ricavato possibile. >>
Tor
vide quello che era stato chiamato Ironside dal re fece per parlare ma
il solo
sguardo del re lo zittì.
<<
Ser Bran, Ser Rience, Ser Ruben, spero che gli altri vostri figli
vengano a
ridarvi l’onore che so meritate. Potete andare.
>>
I
vassalli del re e le loro mogli fecero un inchino e se ne andarono in
silenzio.
Quando
le porte si chiusero verso di loro, il re si voltò a
guardare Tor e i suoi
genitori.
<<
Sei avventato e spavaldo. Decisamente. >> gli disse il re
<< Sai,
ragazzo, anche io ero così alla tua età: o non
sarei riuscito a tenermi il
trono… o avere la donna che amo… o sopravvivere.
Ma bisogna esserlo con
parsimonia. >>
Tor
scosse la testa in segno di assenso.
Il
re sorrise lievemente beffardo, prima di rivolgersi a suo padre.
<<
Non credo che vostro figlio se ne sia accorto. >>
<<
Credo anche io, sire. >> disse l’uomo con la
voce carica di emozione.
Il
ragazzo passò lo sguardo tra il suo sovrano e suo padre,
quando la mano di sua
madre si posò sul suo braccio. Tor la guardò:
aveva le lacrime agli occhi, ma
questi erano luminosi come il suo sorriso.
<<
Tor… ti ha chiamato cavaliere. >>
Tor
trasalì, ricordando le parole di Artù Pendragon: volete insinuare che la piccola e il qui presente
cavaliere siano in combutta…
Il
qui presente cavaliere…
<<
Ma io… la giostra… >>
bofonchiò lui.
<<
La vostra giostra l’avete combattuta ragazzo. Un
po’ prima di quanto fosse
necessario ma l’avete combattuta. >> rispose il
re prima di tornare a
guardare suo padre. << Sapete, anche se vostro figlio non
avesse fatto
quello che ha fatto, avete comunque scombinato un po’ la
tranquillità qui a
Camelot, Ars. Non fate quella faccia, molti miei cavalieri erano anche
cavalieri di mio padre. Il mio padre adottivo, ser Hector, quando vi ha
visto è
venuto a parlarmi di voi, entusiasta di rivedervi vivo e in forza,
anche se a
suo dire non si ricordava foste così basso. È
vero che avete battuto ser
Pellinore? >>
<<
Sì, sire. >> disse lui dopo un lungo silenzio
a sguardo basso.
<<
A mani nude, per quanto ricorda ser Hector. >>
<<
Lo eravamo entrambi, sire. >>
<<
Beh, io non ci sono riuscito ed ero armato e molto più
giovane di lui! È anche
vero che ci sono voluti venti uomini per fermarvi? >>
<<
Sì, sire. >>
<<
E per questo avete perso i vostri titoli e le vostre terre.
>>
<<
Sì, sire. Il re vostro padre mi aveva intimato alla resa ma
io non ho ubbidito.
>>
Dopo
un attimo di silenzio, il re mormorò.
<<
Il sovrano della terra senza re… Mio padre ha preferito
l’alleanza con re
Pellinore piuttosto che con voi. Beh, lo capisco: la vostra
è una bella terra,
ma non al pari di quella di Pellinore e voi non avete eseguito un suo
ordine
duretto. Ci sono stato, dalle vostre parti, sapete? Il mio tutore,
Merlino, mi
ha fatto conoscere ogni centimetro del mio regno. Purtroppo
però, capirete che
non posso nominarvi re, ma… avete un figlio, dopo questo,
che può assumere quel
ruolo? Scusate se vi faccio questo affronto, Tor, ma io vi voglio qui
con me,
non nelle terre di tuo padre e, come con mio nipote prima di voi, vi
costringo
a non divenire re. >>
<<
Io non voglio essere re. >> disse Tor stordito.
<< Io… Aretha. Mia
sorella Aretha sarebbe un’ottima regina. Lei è,
dopo mia madre, la donna
migliore che esista sulla faccia della terra. Se vostra
maestà accetta che sia
una donna a governare sul quelle terre… lei è
perfetta per fare la principessa,
figuriamoci una regina. >>
Il
re sorrise.
<<
Uomo o donna, non importa. La madre dei miei figli è la
regina delle sue terre
e il suo sesso di certo non la rende meno idonea a quel ruolo. Dopo
questi
festeggiamenti, tornate a casa e riprendete il viaggio per Camelot con
tutta la
vostra famiglia. Ho una sovrana da nominare. E ora andiamo. Il torneo
ha
aspettato anche troppo e dobbiamo annunciare i cambiamenti effettuati
sul
numero dei partecipati. >>
Tor
era così euforico che si accorse che il giovane valletto del
re, li aveva
raggiunti, quando ormai gli era a fianco. Trasalì, vedendo
che, nonostante
fosse palesemente poco più di un bambino, era già
più alto di lui di una
spanna, tanto fa raggiungere quasi il re.
Mentre
seguiva sua maestà il re, non poté fare a meno di
guardare il modo in cui
dialogava con il suo valletto, comprendendo in fine, che quello non era
solo un
valletto.
Forsanche
perché il giovane Mordred, quello era il suo nome se non
ricordava male, ora lo
stava chiamando padre.
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