Solo una domanda

di lapoetastra
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Malarkey ci pensa.
Ci pensa in continuazione, ma non riesce a darsi una risposta.
I ricordi sono confusi nella sua mente traumatizzata dall’orrore cui assiste ogni giorno, e per quanto ci provi con costanza e temerarietà non riesce a mettervi ordine.
Non dorme più, a malapena mangia.
Ed è sempre più debole.
Tutti lo notano, e tutti cercano di aiutarlo, di farlo parlare, ma nessuno ci riesce.
Malarkey è chiuso come una cassaforte la cui combinazione è un mistero insolubile per gli altri, che non possono fare altro che guardarlo preoccupati e dargli una pacca sulla spalla quando gli passano accanto.
Donald stesso sa che se continuerà così non durerà a lungo, eppure è come se fosse in uno stato di trance assolutizzante e continuo dal quale non riesce a svegliarsi.
È tutta colpa di quella domanda, quel dubbio opprimente che non gli da pace, frullandogli nella mente con un turbinio vertiginoso che lo fa tremare.
Vorrebbe chiederlo ai suoi compagni, perché magari loro c’erano ed hanno sentito, forse, ma ha troppa paura di una risposta negativa che lo lascerebbe ancora più sconvolto di quanto già è.
Darebbe tutto il poco che ha per tornare indietro nel tempo, per tornare a quel giorno maledetto.
È consapevole che non può farlo, però.
Ed allora è costretto a vivere nel presente, gelido e terribile, senza sapere.
Senza sapere se ha detto o meno a meno a Muck e Penkala che voleva loro bene, prima che la bomba li strappasse per sempre alla vita, ed a lui.




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