Dopo
i festeggiamenti di rito per i nuovi cavalieri, Tor scoprì
in fretta che i suoi
primi doveri erano riprendersi dalla giostra e trovarsi un alloggio al
castello.
Il
giovane cavaliere, però, ebbe solo il tempo di scegliere una
stanza qualunque,
prima di partire ai suoi genitori.
Il
re aveva detto loro di portare Aretha a Camelot e Tor non si sarebbe
mai perso
l’espressione di sua sorella quando le avrebbero detto che
era Regina e per
tutto il viaggio alla volta di casa, aveva continuato a fantasticare
sulla
reazione della sorella.
Come
avrebbe reagito a una notizia così incredibile? Si sarebbe
spaventata? Si
sarebbe arrabbiata? Avrebbe gioito e cantato per una settimana? Avrebbe
cominciato a dare ordini a tutti, capre e cavoli compresi? O forse
sarebbe
stata così felice di rivederlo, da non considerare neanche
la notizia di essere
appena divenuta Regina.
Purtroppo
per lui, la prima reazione della sorella non era stata quella di
saltargli al
collo per salutarlo, ma urlargli contro che, se era tornato indietro
sconfitto
e con la coda tra le gambe, allora lei non avrebbe più avuto
un fratello. E
dietro di le, i loro quattro dei loro fratelli, quelli abbastanza
grandi da
reggersi in piedi quindi, le davano ragione.
<<
No, sorella. >> disse lui nel tono più serio e
formale di quanto non
avesse mai fatto con sua sorella, tentando di nascondere il malumore di
quell’ingiuria << Vi sbagliate. Sono divenuto
cavaliere ormai dieci
giorni fa e sono qui per una missione ufficiale affidatami da Re
Artù Pendragon
in persona. >>
<<
Ah, sì? E quale sarebbe? Fare il pomposo col vostro sangue?
Insegnare l’arte
della giostra alle mucche? O salvare le pecore dalla rasatura annuale?
Ci sono:
fingere di essere un cavaliere e non farsi sbeffeggiare dai vicini! Non
preoccuparti Tor, ti difendo io. >>
<<
No, scortare a Camelot il nuovo Sovrano della Terra senza Re.
>> ribatté
lui alzando il mento con beffarda superiorità.
<<
Ti rendi conto che è assurdo che una regione che per
definizione è “senza Re”
ne abbia uno, vero? Non sarebbe molto logico. Temo che il re, se quello
era
davvero il re, ma temo che tu sia stato circuito da un viandante in una
taverna,
ti abbia preso in giro, fratello. E ora dimmi, come ti hanno sconfitto?
Ti
hanno fatto piangere perché ti hanno detto che hai il naso
grosso. >>
<<
Non ho il naso grosso. >>
<<
Oh, sì che lo hai. >>
<<
Non… Non voglio litigare con voi… mia
signora.>> disse lui, inchinandosi
davanti, seguito dai suoi genitori che nel frattempo avevano seguito la
loro
discussione nel più completo dei silenzi, permettendosi solo
di lanciarsi
qualche occhiata eloquente.
Lei
di rimando li guardò male.
<<
Oh, padre, madre! Come vi ha convinto a reggere questa buffonata?
>>
<<
Il fatto che non lo è. >> rispose Ars.
Tor
tornò a guardarla, sorridendole.
<<
E’ un peccato che tu non possa fare la principessa, sorella,
ma sarai anche
meglio come regina. Perché è vero, la nostra
è ancora la Terra Senza Re, ma
perché noi non abbiamo ancora un re e neanche ci serve. Ci
bastate voi, maestà.
>>
Per
risposta, Aretha diede loro le spalle e con passo sicuro
entrò in casa chiudendola
alle sue spalle. Tor comprese che le ci sarebbe voluto del tempo per
riprendersi. E come darle torto? Quella sera l’avrebbe
portata a guardare le
stelle e le avrebbe raccontato tutto. Come facevano quando erano
bambini.
C’erano
volute altre due settimane prima di riuscire partire nuovamente alla
volta di
Camelot: era servita una riunione straordinaria del gran consiglio
anziano e,
soprattutto, riuscire a convincere Aretha che, comunque, necessitava di
qualcosa di più del corredo di una mungitrice. Tor non fu
particolarmente
sorpreso nel vedere il circondario esultare per questa nomina e
proporsi di
aiutarli per non far sfigurare Aretha davanti agli arricchiti
cortigiani di
Camelot: sapeva che la sua gente era composta per lo più da
persone semplici e
altruiste che si amavano e sostenevano l’un l’altro
sia nei dolori che nelle
gioie. Se poi era vero quello che aveva detto il re, suo padre Ars era
stato
l’effettivo re di quelle terre e restituire la corona alla
famiglia, era come
restituire identità al loro popolo.
Un
popolo degno di avere Aretha come regina.
Fu
soprattutto per loro che sua sorella, alla fine, cedette alla
volontà popolare
(la maggior parte degli abitanti della regione infatti si erano
presentati a
casa loro per renderle omaggio), e accettò la nomina di loro
Regina.
Tor
si chiese spesso del perché di tutte quelle remore, ma non
osò mai farne
domanda a sua sorella, per paura della risposta.
Poteva
davvero esserci qualcosa che la sua intelligente e coraggiosa sorella
temeva?
Tornare
a Camelot fu più arduo di quanto sembrava, visto la
predilezione alla fuga dei
suoi i fratelli minori, ma quando Tor varcò le porte di
Camelot, si sentì
finalmente a casa.
Il
soggiorno della sua famiglia fu breve e intenso. Il re rimase incantato
dall’acuta intelligenza e dalla sincera modestia di Aretha e
i cortigiani
furono affascinati dalla sua soave bellezza. Suo padre era spesso
sparito in
lunghe passeggiate con i cavalieri più anziani e sua madre
aveva intrattenuto
la corte con delle canzoni popolari affascinando tutti con la sua voce
melodiosa, accompagnata egregiamente dal menestrello di corte, un certo
Talesin.
L’unica
nota stonata fu Mordred che, a detta di Aretha, era immensamente
più bello di
lui e che per i suoi gusti, si era intrattenuto troppo con sua sorella.
Non che
avessero passato molto tempo da soli, tutt’altro, ma Mordred
le aveva fatto da
cicerone per tutto il tempo e lei, a conclusione di tutte le giornate
di quel
soggiorno, non aveva che lodi da tessere su di lui.
Tor
pensò per un momento di spezzare il bel naso dritto del
figlio del re e si
compiacque con se stesso per il proprio autocontrollo.
In
quei giorni, poi, Tor si era accorto che gli altri quattro
neo-cavalieri
avessero già fatto amicizia tra di loro, mentre lui a mala
pena ricordava i
loro nomi.
C’erano
Agravaine, figlio di Lot, un ragazzo dall’aria troppo
intelligente e lasciva
per dargli sicurezza, Carradoc, figlio di Carradoc, elegante e
dall’aria
selvaggia, e Yvain, che come lui era ufficialmente figlio di nessuno
d’importante
e che, per quanto avesse capito, aveva passato l’infanzia con
un arco in mano.
La
sera dei festeggiamenti per l’incoronazione di Aretha,
Agravaine si era
avvicinato a lui solo per poter corteggiare sua sorella, ma
l’istinto di Tor di
prenderlo a pugni fu fermato dall’arrivo di Mordred che
catalizzò la loro attenzione.
<<
Il mio bel cugino… >> gli disse Agravaine
alzando il calice a mo’ di
saluto << Bello come sua madre e ingenuo come suo padre.
>>
Mordred
fece per ribattere ma poi tacque, facendo sogghignare l’altro
cavaliere.
<<
Vorrei invitare vostra maestà a un ballo, se lei me lo
permette. >> disse
poi Mordred porgendo la mano con un leggero inchino alla neo regina.
Lei
non se lo fece ripetere due volte e Tor dovette trattenersi dal
prenderlo a
calci.
Fu
allora che cominciò a parlare con un suo commilitone, che
sembrava intenzionato
sia a distrarlo dall’idea di uccidere il figlio del re che
scoprire qualcosa su
di lui. Tor seppe così che Agravaine era il figlio della
sorella del Re, e che suo
padre Lot era il re delle Orcadi. Aveva sentito parlare delle Orcadi da
suo
padre, gli disse, come un regno sulle rocce e sul mare dove il popolo
di
pescatori raccoglieva le perle più belle del regno.
Agravaine confermò con una
grassa risata, alzando il calice al cielo. Mordred, gli
raccontò allora
Agravaine, era sì il figlio del Re e di quella che lui
stesso definiva come sua
moglie, ma secondo il nuovo ordinamento legislativo non ne era che il
figlio
illegittimo. La regina Morgana, sua madre, era l’amazzone
regina di Avalon, la
donna più bella di ambo i mondi e che a suo tempo si era
rifiutata di sposare
Artù secondo il nuovo ordinamento rendendo così
illegittima tutta la loro
progenie di cui, a quanto si diceva, Mordred non era che il primo di
una lunga
serie.
Agravaine
poi si fece serio, nonostante il troppo alcol in corpo.
<<
Mordred è un bravo ragazzo, sul serio. Io personalmente lo
adoro, forsanche
perché è la mia cavia preferita... ah…
mi mancano i miei fratelli… anche se ne
ho uno qui, ma con lui non ho mai legato molto: è troppo
serio… Ieri si è
sentito in dovere di punirmi per aver rubato i vestiti di
Mordred… sciagurato. I
fratelli maggiori sono dei gran prepotenti, eh? >>
<<
Oh… non saprei. Sono io il fratello maggiore.
>>
Agravaine
lo fissò per un lungo istante.
<<
Oh… già… >>
Tor
cominciò a provare compassione per Mordred: un parente come
Agravaine non
doveva essere particolarmente rilassante e anche lui si sarebbe
aggrappato alla
diplomazia dell’ospite e sarebbe rimasto al fianco di
chiunque gli permettesse
di non rimanere solo e alla mercé di un cugino simile.
La
conversazione con l’altro cavaliere non era durata ancora per
molto: Agravaine
si era defilato presto in cerca di un altro bicchiere e Mordred aveva
riaccompagnato sua sorella poco dopo.
Col
tempo, Tor avrebbe imparato a fare attenzione ad Agravaine, al modo in
cui si
defilava e alle intonazioni che usava: non solo sarebbero stati il modo
più
sicuro per evitare qualunque burla da parte sua, ma anche per capire
quali
erano gli umori del regno. Agravaine aveva quella naturale dote di
intercettare
gli umori della moltitudine attorno a sé e il terribile
qualità di manipolarlo
per umiliare e non per difendere. Non che Agravaine lo facesse con vera
cattiveria, ma – cosa anche peggiore visto che con Agravaine
capitava fin
troppo spesso – per noia.
Tor,
però, lo avrebbe capito solo col tempo.
Quando
la sua famiglia se ne andò, Tor sentì per la
prima volta un forte senso di
solitudine.
Era
pronto a molte cose, ma non al dover pranzare da solo o a discutere con
le
persone solo per lo stretto necessario. Tor, certo, non era mai stato
troppo
loquace, ma col passare dei giorni la cosa gli era sembrata sempre
più
difficile.
Quando
Agravaine gli propose di andare a pescare con lui ed altri cavalieri,
non se lo
fece ripetere due volte: l’ultimo consiglio di suo padre fu
quello di
instaurare un senso di cameratismo con i suoi compagni che sarebbe
divenuto la
base dell’amicizia tra cavalieri e quello era un buon modo
per iniziare. Senza
contare che sapeva benissimo di aver bisogno di qualche svago e andava
bene
anche discutere sull’intelligenza dei pesci, dopo tanti
giorni di allenamento e
studio.
In
quell’occasione aveva conosciuto Gawain, il fratello di
Agravaine, un uomo
serio e integerrimo, nonché braccio destro del re, che gli
si rivolse come si
fa a un fratello minore. Aveva lo stesso modo di scrutare di Agravaine,
ma
senza tutta quella malizia.
La
sua maggiore scoperta, però, fu il figlio del re. Mordred
era proprio come
diceva suo cugino: ingenuo. Era stato coattivamente portato con loro da
Gawaine, con un altro cavaliere che gli aveva impedito la fuga e per
tutto il
tempo aveva risposto alle battute di Agravaine come solo un bambino di
tre anni
avrebbe potuto rispondere, scatenando l’ilarità
dei più, con il risultato che
per la maggior parte del tempo era rimasto fermo immobile a fissare la
sua
canna da pesca senza rivolgere parola a nessuno se non strettamente
interpellato.
<<
E’ inutile, ragazzo, non ti faccio entrare in acqua da solo.
Non fuggirai.
>> gli disse uno dei cavalieri più anziani
scompigliandogli i capelli con
la grossa mano callosa.
<<
Dai, lascialo in pace, Bendivere! >> lo
richiamò Gawain << Lo sai
che Mordred è timido. Deve prima acclimatarsi come tutti gli
animali selvatici.
>>
<<
Non sono timido, non ho molto da condividere. >>
<<
E hai paura di Agravaine. >> lo canzonò
Bendivere
<<
Infatti sono intelligente. >> disse lui arricciando il
naso in segno di
lieve stizza.
Un
attimo dopo era stato buttato in acqua dal cugino più
giovane.
Bendivere
urlò irato.
<<
No, stupido idiota! Fuori! Uscite fuori! >>
Le
risate di Agravaine però coprivano quelle urla. E con lui
quelle di tutti gli
altri.
<<
Dov’è Mordred? >> chiese poi Gawaine.
Tutti
smisero di ridere, guardando lo specchio d’acqua.
Del
figlio del re non c’era traccia.
Tutti
i cavalieri presenti di radunarono a guardare lo specchio
d’acqua.
<<
Oh, Dio… >> sussurrò Agravaine
guardandosi attorno sinceramente
spaventato << Mordred! >>
<<
Non sarà annegato, vero? >> chiese Ser Yvain
guardando gli altri, mentre
Agravaine continuava a chiamare preoccupato il nome del cugino e si
immergeva
per cercarlo.
<<
Non dire sciocchezze! >> esclamò Ser Bendivere
<< Mordred ha
imparato prima a nuotare e poi a camminare ed ha passato gli ultimi
dieci anni
a pescare nelle terre di sua madre! È scappato! Quella
maledetta anguilla!
>>
<<
Bisogna trovarlo. >> sentenziò Ser Gawaine con
un ringhio << Se il
re scopre che lo abbiamo perso di vista ci metterà agli
arresti. >>
<<
O peggio, metterà lui. >> disse Ser Bendivere
scuotendo la testa.
Il
gruppo si separò e Tor si ritrovò a camminare con
Ser Yvain lungo la sponda del
lago.
<<
Tu ci hai mai parlato? >> gli chiese ad un tratto.
<<
Con chi? Mordred? >>
<<
Sì. >>
<<
Solo qualche parola di rito. Non mangia con noi e…
sinceramente non so cosa
faccia tutto il giorno. >>
<<
Io sono abituato a svegliarmi prima dell’alba, mio padre
pretendeva che
lavorassi assieme ai nostri braccianti e il vizio mi è
rimasto. >> disse
Ser Yvain << Lo vedo allenarsi da solo e sembra anche
molto bravo.
Carradoc mi ha raccontato che il re chiede sempre
dov’è, quasi avesse paura di
perderlo e che mentre noi siamo ad allenarci, lui lo accompagna nelle
udienze. >>
<<
Non vuole fare il cavaliere? >>
<<
Credo di sì… Se no perché allenarsi?
Ma quanti anni ha? Tu lo sai? Sembra un
ragazzino da un lato e un uomo dall’altro…
>>
<<
Non lo so. E’ così… alto.
>>
<<
Già… Persino più alto di
te… O Gawain. E’ difficile essere più
alto di Gawain.
Quando ero piccolo pensavo fosse impossibile. >>
<<
Sei delle Orcadi? >> chiese Tor d’istinto.
<<
No, mio padre è un proprietario terriero a sud, ma mia madre
è una figlia
illeggittima di Re Lot. Quando Gawain ha deciso di andare a combattere
per il
re, lei lo ha seguito per essere presentata a corte e fare un buon
matrimonio,
solo che ha conosciuto mio padre alla festa dei raccolti e sono
scappati per
sposarsi, non essendo lui un nobile. Credo ci sia una taglia sulle loro
teste,
nelle terre di mio nonno, ma Gawain e mia madre sono sempre rimasti in
buoni
rapporti. >>
Tor
non poteva fare a meno di pensare a quanto piccolo fosse quel mondo,
quando
alzando lo sguardo verso la sponda opposta del lago non vide,
appoggiato a un
albero, Mordred a torso nudo che riposava con i vestiti
sull’erba ad asciugare.
<<
Torniamo indietro. >> disse << Mordred
tornerà quando vorrà andare
a casa. >>
<<
Dici? >>
<<
Sì, è là che riposa. Probabilmente si
sente a disagio a essere l’unico non
cavaliere e Agravaine non gli rende la vita facile. Se è
vero che il re poi se
lo vuole portare ovunque, avrà voglia di starsene per un
po’ per i fatti suoi,
non credi? >>
<<
Probabilmente hai ragione. >> concordò Yvain
guardando verso Mordred <<
In fondo lo capisco: con tutto quello che dicono alle sue spalle certi
cortigiani, anche io avrei voglia di starmene per i fatti miei.
>>
<<
Parlano di lui? >>
<<
Non sei stato qui molto tempo, ma ti ci vorrà poco per
sentirli. Credo che se
il re lo scoprisse, li farebbe frustare e non credo di potrei dargli
torto.
>>
<<
Ma è solo un bastardo come altri, non mi sembra che la vita
sia particolarmente
difficile per i figli illegittimi dei re. >>
<<
Di solito, ma lui è il primogenito maschio di un re senza
eredi legittimi, in
fondo. E non un re qualsiasi, ma Artù Pendragon. Sua madre,
poi, è anche più
leggendaria di suo padre e… >>
<<
E’ una regina, no? >>
<<
Non è una regina qualsiasi. È la regina Morgana
di Avalon, dell’Antico Popolo. Si
dice che in un campo di battaglia, Morgana porti più
distruzione di cento
soldati. Mia madre mi raccontò che aveva sconfitto con una
mano sola Re Lot e
con l’altra Re Pellinore e che non li aveva uccisi solo per
fare un piacere ad
Artù che le chiese di risparmiare loro la vita. È
anche la figlia di Merlino,
l’istitutore del re, consigliere personale del precedente re,
nonché padre di
Re Merlino il Pazzo, il cui regno è il più ricco
tra quelli dell’ovest.
>>
<<
Addirittura? >>
L’amicizia
tra Tor, ser Yvain e Ser Agravaine si fece più salda nelle
settimane
successive, e col tempo cominciò a conoscere ed apprezzare
anche Ser Carradoc,
primogenito di un re dell’Ovest dal carattere umile e aperto.
Non riusciva,
però, a comprendere il funzionamento delle relazioni con gli
altri personaggi
della corte.
La
servitù, ad esempio, era cordiale e distaccata, come se
temesse una qualunque
slealtà da parte di un cortigiano e per loro, anche Tor lo
era; le serve, ad
esempio, non si azzardavano di entrare da sole in una qualunque camera
da letto
se dentro c’era qualcuno.
I cortigiani, poi, erano
anche più ambigui
pronti a cambiare versione e atteggiamento in meno di una giornata. Si
era
ritrovato così sconcertato dal comportamento di due
tesorieri delle terre del
nord che non riuscì a dormire tanto che decise di fare un
giro quando ormai era
l’alba. Tor sapeva che più c’era
ricchezza, più c’era il rischio di corruzione,
ma pensava che a Camelot lavorassero personalità
più auguste dei ladruncoli che
suo padre Ars faceva scappare il giorno del mercato.
Era
appena uscito dal castello quando decise si ricordò delle
parole di Yvain sul
principe illegittimo e d’istinto si diresse verso la Piazza
d’Armi dove
immaginava di trovare Mordred. Aveva appena svoltato l’angolo
quando lo vide,
fermo immobile al centro del campo con gli occhi coperti da una benda.
Lo vide
voltarsi nella sua direzione.
<<
Ser Tor? >>
Tor
sobbalzò.
Era
distante più di cento passi e non aveva fatto alcun rumore,
ma Mordred,
bendato, lo aveva comunque scoperto e riconosciuto.
<<
Sì, Ser Mordred. >>
Mordred
si tolse la benda e lo guardò stranito, prima di avvicinarsi.
<<
Non sono ancora Cavaliere. Come mia siete qui? >>
<<
Non riuscivo a dormire. E voi? >>
<<
Mi allenavo un po’. Di giorno non posso mai farlo e la notte
dormo sempre molto
poco. >>
<<
Strani pensieri? >>
<<
No, solo metabolismo materno. Come lei, mi basta dormire quattro ore
per riposarmi
e riprendermi da qualunque fatica. >>
<<
Qui a Camelot ho sentito parlare molto di vostra madre. >>
Mordred
abbozzò un sorriso ironico che lo avvicinò a
Agravaine più di quanto non mai
successo prima e Tor non poté non pensare che quello era
praticamente il primo
sorriso che gli aveva visto fare.
<<
Immagino. >>
<<
No, sul serio. Dicono che sia un’amazzone
bellissima… >>
<<
… e che abbia sedotto il re per avere il suo regno.
>>
Tor
tacque per un momento pensandoci su.
<<
Sì, anche quello. >>
<<
Siete un uomo onesto, Ser Tor. Una bella qualità, spero non
la perdiate.
>>
Tor
guardò l’altro mentre recuperava i guanti ed il
mantello lasciati a terra in
qualche modo.
<<
Grazie. >>
Mordred
gli fece segno di seguirlo.
<<
Sapete, anche io quando mi sono trasferito qui a Camelot ho subito
molto il
distacco da Avalon. La società di mia madre è
molto più semplice e tranquilla.
A Camelot la vita è più dinamica, senza dubbio,
ma spesso sembra che ai suoi
abitanti sfugga qualcosa, non credete anche voi? >>
Tor
meditò un attimo sulla risposta.
<<
Non a tutti. Diciamo che a molti di loro manca qualcosa. Forse un
po’ della
tranquillità che invece hanno da altre parti. Probabilmente
servirebbe un po’
di vita frenetica e un po’ di vita appartata. >>
<<
Un bel pensiero. Ne parlerò al re, magari prende la
decisione di andare qualche
giorno a caccia. È da un po’ di tempo che non si
distrae e lo vedo stanco.
>>
Mordred
cominciò poi a dare un paio di direttive su come comportarsi
a corte: gli aveva
consigliato, ad esempio, di trattare con cortesia, ma non servilismo
qualunque
servo, ma non chiedere aiuto sempre agli stessi, perché
questi non pensino che
avesse delle preferenze. Sarebbero stati loro, poi, a decidere se
servire
preferibilmente lui o lasciare quel posto ad altri. A quanto pareva,
era una
libertà che la servitù del castello gradiva
molto. Del resto, dalle sue gesta
in difesa della piccola Rivalem, molti servi della corte erano
già ben disposti
nei suoi confronti e quindi non doveva preoccuparsi di acquisire la
loro fiducia,
quanto vedere di non perderla. Con i cortigiani che chiedevano
un’opinione su
un’altra persona o su un fatto doveva rispondere in maniera
vaga e pacata per
poi cambiare argomento o defilarsi: le sue parole sarebbero potute
diventare
armi contro di lui o lo avrebbero potuto coinvolgere in una faida di
cui
neanche sapeva l’esistenza. Ce n’erano molti, di
cortigiani, degni della
massima fiducia e ai quali dare tutti gli onori possibili, ma li
avrebbe
riconosciuti solo con l’allenamento. Lui stesso, spesso,
dubitava delle sue
stesse opinioni.
Quando
Mordred aveva finito di parlare, Tor si era accorto di essere arrivato
nelle
cucine, dove una grassa e anziana signora abbracciò il
figlio del re con
affetto e guardò Tor con sorpresa cortesia. Fu
così che Tor conobbe la cuoca
del palazzo, la creatrice dei magnifici manicaretti che aveva gustato
durante
le giornate di festa e, per la prima volta dopo tanto tempo, Tor
sentì di aver
trovato un nuovo eroe che, al posto della spada, teneva un mestolo in
mano.
Mordred sorrideva felice e sembrava quasi un bambino, mentre faceva
servire
loro la colazione e mangiava con gusto. A quella vita, Tor rivide il
sorriso
aperto e sincero del re e ne fu lieto.
<<
Posso chiedervi una cosa? >> disse Tor maledicendosi per
tanta curiosità <<
E’ qui che mangiate? >>
<<
Solo se non sono con il re. >>
<<
Come mai? Non vi sentite solo? >>
<<
Non mi piace mangiare nelle mie stanze e non sono un cavaliere, quindi
non mi
sembrerebbe giusto nei confronti di tutti gli altri aspiranti cavalieri
condividere
i pasti e i luoghi che sono accessibili solo a voi. Il re poi
è il mio unico
parente che non pranza con i cavalieri e che risiede a Camelot e poi
qui
nessuno si mette a fissarmi: tra i nobili, i cortigiani, i cavalieri e
la
stessa servitù da sfamare, qui non hanno tempo da perdere.
Ogni tanto, poi, la
signora Aislin mi permette di esserle utile e a me fa piacere.
È una gran donna
Aislin, non sono qui da molto, ma da quando la conosco è
riuscita a farmi
sentire a casa. Mio padre è molto fortunato ad averla al suo
servizio e per me
è l’amica più sincera che potrei mai
trovare a Camelot. >>
<<
Non avete molti amici qui. >>
<<
Non credo che li avrò mai. >> rispose lui con
un sorriso sincero.
Tor
vide che non c’era ombra di rassegnazione o rancore e se ne
sorprese.
<<
Perché dite così? >>
Mordred
abbozzò una leggera risata, ma non rispose.
Per
la prima volta, Tor sentì di provare simpatia verso quel
giovane ragazzo che
come lui era solo e che come lui tentava di ritagliarsi il suo posto in
quel
mondo.
<<
Perché non sei ancora cavaliere? >>
<<
Sono ancora troppo piccolo e credo che mio padre non sia entusiasta
all’idea
che io rischi la vita in un duello, come se servisse la nomina per
comportarsi
in maniera così stupida. Oh, non fraintendete, ser Tor, io
rispetto enormemente
la vostra avventura contro quei tre avventurieri e ho di voi la massima
stima,
semplicemente, come avete ben detto voi quel giorno al re, non
è la nomina che
fa decidere a un uomo se e quando difendere il prossimo. Mia madre poi
mi ha
sempre insegnato che l’utilizzo della violenza gratuita
è segno di infinita
debolezza mentale e morale, piuttosto che spessore caratteriale e la
cosa è
condivisa da mio padre. Perché io dovrei giostrare con
sconosciuti solo perché
sono cavaliere? Sapete che molti uomini si credono cavalieri solo
perché hanno
un cavallo? E che esistono individui che sono infinite volte di
più meritevoli
di quel titolo di qualunque signorotto, ma non hanno mai avuto il
denaro per
avere neanche un asio? Nelle contrade minori ci sono cavalieri, parlo
di
guerrieri nominati tali dai vassalli della zona e che quindi possono
davvero
definirsi tali per diritto, che quando si annoiano si fermano a un
bivio e
sfidano a duello chiunque gli passi davanti, che esso sia un cavaliere,
un
bambino, una donna o un prete e quando li hanno battuti li derubano
solo perché
in tempo di guerra questo è il diritto del vincitore.
>>
Tor
scosse la testa in segno di assenso, colpito di essere stato oggetto di
riflessioni per il figlio del re, così maturo e serio da
domandarsi il senso
dell’essere o no cavaliere per poter agire come uomini
d’onore.
<<
Quando potrò diventare cavaliere, se il re mi
permetterà mai di esserlo, farò
in modo che questo ruolo ritorni ad avere il suo senso primigenio e se
non me
lo permetterà, voglio che si comprenda che non è
la nomina che fa essere degni
di quel ruolo, ma che tutti possiamo essere cavalieri di noi stessi,
come voi
quella sera. Questo sarà il mio contributo al regno di mio
padre. >>
Mordred,
comprese Tor ascoltandolo, era un uomo degno e augusto. Un uomo degno
di ogni
stima.
Poi
un dubbio lo pervase.
<<
Scusate, Mordred, ma quanti anni avete? >>
<<
Ne ho fatti quattordici la scorsa primavera. >>
Tor
lo fissò intensamente, decretando che avrebbe odiato quel
moccioso per il resto
della sua vita.
L’anno
ormai stava volgendo al termine, quando Mordred partì alla
volta di Avalon
promettendo al re di tornare prima dell’anno nuovo e di
mandargli continue
missive. Il re aveva provato a trattenerlo, ma per la prima volta,
Mordred fu
intransigente e lasciò suo padre da solo, a Camelot.
Artù
Pendragon divenne malinconico e silenzioso e Tor si dispiacque di non
vederlo
socievole come suo solito, ma le feste invernali furono un motivo di
distrazione tale, da non preoccuparsi della tristezza del re.
Con
l’arrivo della neve, arrivarono anche molti altri cavalieri a
Camelot.
Ser
Hector spiegò a lui e agli altri neocavalieri che per
capodanno,
all’anniversario dell’incoronazione ufficiale del
re, avvenuta ormai quattordici
anni prima, i signori di tutte le terre del regno venivano a rendergli
omaggio
e tutti i cavalieri di Camelot facevano ritorno per omaggiare il loro
re. In
quell’occasione si sarebbe tenuta una giostra di mirabolante
meraviglia, dove
il vincitore avrebbe ricevuto una borsa di cento monete d’oro.
Loro
però non avrebbero ancora potuto gareggiare, ma avrebbero
partecipato alla
parata iniziale e fatto parte del servizio d’ordine.
Tor
chiese come mai tutta quella gavetta, composta da servizi di vigilanza,
studio
e allenamento, senza però fare dei veri combattimenti.
<<
Il re era un ragazzo della vostra età quando è
divenuto re. >> disse
allora Gawain, avvicinandosi al gruppo << Dovette
combattere sin da
subito per poter affermare il proprio potere e, seguendo gli
insegnamenti del
suo Maestro, dare la pace alla sua terra. Io stesso non ero che un
ragazzino, quando
mio padre si rifiutò di giurargli fedeltà e io
disertai dall’esercito delle
Orcadi per mettermi al servizio del nostro re. Non eravamo preparati a
tutto
quello che abbiamo affrontato. Non lo si è mai, a dire il
vero, e non si può
dire che noi fossimo tecnicamente inesperti.
>>
Gawain
tacque per un momento, alzando lo sguardo triste verso
l’orizzonte.
<<
Abbiamo perso degli amici, perché l’età
ci ha fatto essere superficiali.
Eravamo come dei bambini che giocavano alla guerra e poi abbiamo
scoperto che
non era un gioco. >>
Il
primogenito di Re Lot si volse a guardarli.
<<
Voi avete talento. Il re l’ha visto e vi ha scelto. Ma il
talento deve essere
raffinato dall’umiltà e dalla conoscenza e non
possiamo rischiare di perdervi
perché siete poco più di fanciulli e come tali vi
comportate. La ronda serve per
non dare per scontato il lavoro delle guardie e non pretendere troppo
da
qualcuno che dipende da noi quanto noi dipendiamo la lui. Lo studio
delle leggi
poi è fondamentale per il re: noi siamo i suoi emissari
più fidati nel regno.
Noi dobbiamo garantire che le sue leggi vengano rispettate. Abbiamo il
diritto
e il dovere di infliggere le punizioni più adeguate ai
nemici della legge,
perché questi sono anche nemici di Camelot. Dobbiamo
conoscerla per poterla
rispettare e farla rispettare a nostra volta. >>
Ser
Hector scosse la testa in segno di assenso.
<<
Tutto vero. >>
Tor
guardò i suoi quattro compagni. Come loro, non pensava di
essere solo un
fanciullo e avrebbe voluto essere considerato come tutti gli altri
cavalieri,
ma sapeva che era impossibile trasgredire a questa direttiva reale:
pena la
scomunica regale.
Addio
titoli, addio sogni.
A
Tor non restò che camminare per le vie della
città, sperando di trovare
qualcosa da mettere sotto il suo gambessone per essere sicuro di
rimanere al
caldo: le ultime ronde erano state più fredde di quanto si
era immaginato.
<<
Signor cavaliere! >>
Tor
si ridestò dai suoi pensieri e volse lo sguardo verso la
voce che sembrava
chiamarlo.
Una
giovane fanciulla, coperta da un pesante mantello di panno, lo guardava
sorridendo.
<<
Signor cavaliere, siete davvero voi! >>
Dopo
un attimo Tor la riconobbe. Era la fanciulla alla quale doveva la sua
nomina a
cavaliere.
<<
Sono Rivalem, figlia di Fedor. Vi ricordate di me? >>
<<
Sì, mai signora. Felice di vedervi in salute.
>>
<<
Grazie. State facendo compere? >>
<<
Sì. >> disse lui notando che dietro alla
giovane c’era un gruppetto di
ragazze che li guardava << Anche voi? >>
<<
Oh, no! >> disse lei ridendo << Io e le mie
amiche stiamo andando a
lezione. Perché quella faccia? Anche dalle vostre parti
c’è la scuola, no?
>>
<<
No. >> ammise lui comprendendo di aver assunto
un’espressione suo
malgrado sorpresa << Io e i miei fratelli abbiamo
imparato a leggere e
fare di conto da mia madre. >>
Accompagnando
la figlia del fabbro e le sue amiche, Tor scoprì che con la
sua salita al trono,
il Re aveva istituito anche una scuola per le classi meno abbienti. La
sera,
una o due volte a settimana, i figli del popolo potevano riunirsi e
imparare a
leggere e scrivere.
<<
Il vostro re non fa di queste cose? >> chiese con aria
maliziosa una
delle sue amiche di Rivalem.
<<
Io sono della Terra Senza Re. >> disse allora Tor
<< Avevamo un
consiglio di anziani che decideva le cose importanti, ma non molto
altro. Solo
di recente abbiamo avuto l’elezione da parte del re di una
sovrana. Penso che
gliene parlerò: troverà questa idea molto
interessante. >>
<<
Esisteva davvero una terra senza re? >>
<<
Non c’è neanche ora, in verità: abbiamo
una Regina. >> rispose allora Tor
con un moto di orgoglio.
Le
fanciulle lo guardarono sbalordita.
<<
Oh, no! State mentendo! >>
<<
No, mie signore. Il re ha nominato Lady Aretha, figlia di Ars, regina
della
Terre senza Re. Non conosco dama più degna di quel ruolo.
>>
Rivalem
gli sorrise.
<<
Siete innamorato di lei? >>
<<
No! >> disse lui in una risata <<
E’ vero, però, che dopo mia
madre, lei è la donna a cui sono più affezionato.
Ora scusate, mie signore. Ma
ho una maglia di lana da comprare. >>
Detto
questo tornò al mercato per completare i suoi acquisti per
poi correre al suo
turno di ronda sentendo vivida per la prima volta dopo tanto tempo la
mancanza
della sua famiglia.
Quel
giorno, sarebbe stato particolarmente freddo per lui.
Era
sulle mura superiori e stava ancora pensando all’ultimo
inverno passato a casa,
quando aveva aiutato suo padre a far nascere un vitello e sua sorella
lo aveva
preso in giro dandogli della levatrice di
buoi, quando una voce bassa e profonda attirò la
sua attenzione.
Tor
guardò in basso.
Un
cavaliere più si stava avvicinando a Ser Gawain con fare
marziale e l’armatura
indosso. Ser Gawain, da parte sua, lo stava aspettando in piedi a
braccia
conserte. Il nipote del re sembrava calmo, con le spalle rilassate e il
mezzo
sorriso divertito, mentre l’altro toglieva l’elmo
scoprendo il volto di un
cavaliere suo coetaneo.
<<
Aglovale! Vecchio vagabondo che non sei altro!
Cos’è? Sei tornato perché hai
bisogno di soldi? >> disse infine Ser Gawain aprendo le
braccia e
abbracciando l’altro cavaliere.
<<
E cosa dovremmo dire di te, eh, Gawain? Cosa ci fate ancora qui, al
capezzale
del vostro bravo zietto? Siete proprio un uomo pigro, lo sapete? Mai
una
missione, mai un’avventura… >>
<<
Ci sono altre avventure oltre a quelle che affrontate voi, amico mio.
Se le
vostre si possono chiamare tali. >> ribatté
l’altro con l’aria di chi la
sa lunga.
<<
Taci o comincerò a pensare di star parlando con mio padre.
>>
Ser
Gawain scoppiò ridere.
<<
Non è così divertente. Piuttosto, notizie dal
nord? >>
I
due cavalieri continuarono a conversare, allontanandosi da lui e Tor
non poté
fare a meno di seguirli incuriositi con lo sguardo.
<<
Che fai? >> lo richiamò la voce di Agravaine.
<< C’è qualche bella
donzella? >>
<<
No. C’erano Ser Gawain e un altro cavaliere qui sotto.
Sembravano amici.
>>
Agravaine
alzò un sopracciglio.
<<
Mio fratello non ha amici. Hai sentito come si chiamava?
>>
<<
Aglovale, se non ho capito male. >>
Agravaine
tacque un momento fissandolo per un istante.
<<
Non è un amico. È Aglovale, figlio di Pellinore.
>>
<<
E allora? >>
<<
Pellinore confina con il regno di nostro padre. Quando re
Artù è salito al
trono, Pellinore lo affrontò in duello e sconfisse, prima di
decretare di accettarlo
come re. E questo solo perché re mio zio riuscì a
resistere tre giorni. Mio
padre, invece, che sperava che col matrimonio con mia madre sarebbe
diventato
lui l’erede di Uther, si rifiutò di giurargli
fedeltà. Il risultato fu che Gawain
disertò, il nostro sovrano vinse e mio padre perse molte
terre a favore di
Pellinore. Non è stato deposto o ucciso solo
perché mio fratello è intervenuto
in suo favore. Gawain non può più tornare a casa
da allora: mio padre ha compreso
cosa ha portato Gawain a ribellarsi a lui, ma non gli
perdonerà mai di avergli
salvato la vita. Ma entrambi concordano nel dire che dei vicini non
bisogna
fidarsi ed entrambi si danno da fare in tal senso. >>
<<
Non capisco. >>
<<
Pellinore è un bastardo approfittatore. Non si è
alleato con il re perché anche
nella sconfitta si è dimostrato superiore, ma
perché sapeva, come tutti del
resto, delle mire di mio padre ed era lui quello che Pellinore voleva
sconfiggere. E infatti ha guadagnato delle terre ricche e un affaccio
sulla
baia del sale. Certo, sperava di avere tutte le Orcadi, ma il nostro
sovrano è
comunque il fratello della regina di quelle terre. Senza contare che
un’azione
simile avrebbe provocato una guerra nella regione, sarebbe stato da
stupidi
sfidare così la fedeltà di un popolo.
>>
Tor
notò per la prima volta in Agravaine della sincera stizza
nei confronti di
qualcosa.
<<
A Gawain manca la nostra terra. Rimane a Camelot perché
ormai questa è casa
sua. C’è di buono che mia madre
arriverà a Camelot tra pochi giorni e se
c’è
Aglovale, re Pellinore non farà la sua comparsa.
>>
E
così fu.
La
regina Anna di Lothian arrivò l’indomani con una
corte ricca e chiassosa.
Il
re, dopo molto tempo, sorrise nuovamente, salutando la donna
magnificamente
vestita e dai lunghi capelli ramati.
Tor
rimase incantato nel guardare la sorella del re. Sapeva fosse
più vecchia del
re, ma sembrava Più giovane del suo primogenito: la pelle
era dello stesso
colore delle perle grosse come noci che le circondavano la gola e tutto
in lei
sembrava alludere a piaceri sublimi. Tor si sentì in
imbarazzo a rivolgerle la
parola, tanto che lei stessa se ne accorse e, mettendogli la mano sulla
gamba a
una cena, gli disse:
<<
Rilassatevi, Ser Tor, o i miei figli non smetteranno più di
prendervi in giro
quando me ne sarò andata. >>
La
sua voce era di miele, come la risata che fece subito dopo.
La
vide guardarsi attorno come in cerca di qualcuno, ma senza trovarlo.
<<
Cercate qualcuno in particolare, regina? >> gli chiese
dopo essersi
dissetato con l’ennesimo bicchiere di vino, al momento unico
alleato del suo
coraggio.
<<
Sì. Mio nipote per lo più. >>
<<
Ser Mordred? >>
Lady
Anna lo guardò allibita.
<<
Mio fratello l’ha fatto cavaliere? >>
<<
No, non ancora. >>
<<
Allora chiamatelo Principe, piuttosto. Anche se in molti non vogliono
definirlo
principe di Camelot, lo è sicuramente di Avalon.
>> lo redarguì lei con
un sorriso << Comunque sì, lui. E Ser Yvain.
È stato reso cavaliere
assieme a voi e al mio Agravaine, se non erro. >>
<<
Sì signora. Ma nessuno dei due è presente in
sala. Il principe Mordred si è allontanato
da Camelot a novembre, promettendo al re di essere qui per Capodanno.
Ser Yvain
invece è di ronda. >>
<<
E sareste così cortese da accompagnarmi da lui?
>>
Tor
non se lo fece ripetere due volte.
La
notte era fredda ed il giovane cavaliere cedette volentieri la sua
casacca a
favore della Regina delle Orcadi.
Yvain
stava sonnecchiando sotto un arco quando lo raggiunsero.
Tor
rimase sbigottito dai pochi convenevoli della regina che lo
abbracciò, riservandogli
lo stesso caldo sorriso che aveva donato al re e ai suoi figli. A suo
dire, la
madre di Yvain era nata l’anno in cui era andata in sposa al
re e lei l’aveva
allevata come fosse stata figlia sua e la sua fuga d’amore le
era costata tante
lacrime di solitudine consolate solo dal saperla felice con un
brav’uomo.
Yvain,
felice e imbarazzato, rispondeva alle domande della matrigna della
madre,
rassicurandola sul fatto che lady Soredamor, questo era il suo nome,
aveva
davvero avuto una vita felice al fianco di un uomo giusto e molto
innamorato di
lei. La donna stava inoltre per arrivare a Camelot col consorte in
occasione
dell’anniversario dell’inaugurazione del re e che
in quest’occasione, se la
regina avesse voluto, avrebbero potuto riunirsi, anche se per poco
tempo.
I
due stavano ancora parlando quando Tor si accorse di una presenza
nascosta poco
lontana da loro.
Lentamente,
prese la sua spada e gli si avvicinò, ritrovandosi con sua
gran sorpresa
Agravaine, disarmato, fermo ad ascoltarli.
<<
Siete impazzito, Agravaine? Avrei potuto uccidervi! >>
<<
Non l’avete fatto, mi sembra. >> rispose lui
con un sorriso sardonico,
prima di lasciare che la luce di una torcia lo illuminasse del tutto.
<<
Volevo solo essere sicuro che steste bene. >>
La
regina Anna e Ser Yvain si erano nel frattempo ammutoliti per poi
avvicinarsi
ai due cavalieri.
<<
Agravaine, che succede? >> gli chiese la madre scorgendo
il figlio dietro
le spalle larghe di Tor.
<<
Nulla, madre. Ero solo curioso di sapere dove vi stava portando ser
Tor.
Sinceramente non immaginavo da ser Yvain. >> rispose lui
con un inchino
ironico e un leggero inchino.
La
donna rispose con un sorriso altrettanto provocatorio e una carezza al
figlio.
<<
Oh, caro Agravaine, potevate dirmelo che eravate così
possessivo nei confronti
dei vostri compagni. >> ribatté la donna.
Agravaine
dovette mordersi la lingua.
<<
Ser Tor ha risposto alla mia richiesta di conoscere vostro nipote e
così mi ha
portato da lui. Non pensavo di scatenare la vostra gelosia.
>>
Tor
e Ser Yvain si fissarono chiedendosi come defilarsi da quella
situazione.
Agravaine,
dal canto suo, si avvicinò alla madre e le baciò
la guancia prima di
ricominciare a parlare.
<<
E chi sarebbe mio nipote? >>
<<
Ser Yvain, mio caro. È il figlio di Lady Soredamor.
>>
<<
La bastarda di mio padre? >> chiese lui alzando il
sopracciglio, senza
notare il moto di stizza del compagno << Quella che
infischiandosene
delle sue direttive è scappata con un mercante di pelli?
>>
<<
Di lane. >> lo corresse Yvain.
Tor
si chiese come aveva fatto a trattenersi dal prenderlo a pugni.
Agravaine
lo fissò un attimo prima di indicarlo e rivolgersi
nuovamente verso sua madre.
<<
Lo è davvero? >> chiese lui guardandola
scettico.
<<
Sì, certo caro. >>
L’espressione
di Agravaine cambiò, diventando più rilassata e
aperta tanto da rendere quasi
sincero il suo mezzo sorriso.
<<
Ora capisco perché mi sembrava che ser Yvain avesse qualcosa
di famigliare. Mi
ricordava Morgouse! >>
<<
Oh! Avete ragione, caro. Ser Yvain ha la stessa bella bocca della
nostra cara
Morgouse e oserei dire pure il nasino. >> disse la regina
della Orcadi
prendendo sottobraccio il figlio. << Fa freddo e sono
stanca, figliolo.
Mi accompagnereste nelle mie stanze? O devo farmi accompagnare da Ser
Tor?
>>
Il
giorno dopo, Tor venne svegliato da un delicato bussare alla porta
delle sue
stanze.
Una
cameriera sconosciuta gli stava restituendo la casacca data alla Regina
delle
Orcadi.
Appena
ebbe chiuso la porta dietro di sé, Tor aspirò
profondamente il suo indumento,
scoprendo con sui grande piacere che ne aveva carpito l’aroma
di lavanda.
Fu
solo quando lo indossò, che si accorse di avere qualcosa
nella sua tasca.
Una
chiave.
Ser
Tor la osservò per un momento. Non l’aveva mai
vista.
Solo
quel pomeriggio, incontrando la regina Anna che camminava nel giardino
del
palazzo con ser Gawain, che scoprì che era sua.
Mentre
ser Gawain lasciava la madre per adempiere ai suoi doveri di cavaliere,
lady
Anna gli si avvicinò.
<<
Spero che la mia serva non vi abbai svegliato, quando vi ha restituito
la
vostra casacca. >>
<<
No, affatto, mia signora. >> mentì lui.
La
regina delle Orcadi lo osservò per un lungo istante, prima
di sorridergli
nuovamente, inclinando la testa da un lato.
<<
E ditemi, avete trovato il mio dono? >>
<<
Io… sì, mia signora. >> rispose
intuendo si trattasse della chiave.
<<
E, dite, pensate di usarla? >>
<<
Io… non so cosa apre, mia signora. >>
A
quelle parole, la regina scoppiò a ridere. Quando si
calmò, scuotendo la testa,
fece per superarlo, prima di sussurragli:
<<
Le mie stanze. >>
Le
due notti successive, chiuso in camera sua, Tor non riuscì a
dormire, fissando
il soffitto con in pungo il dono fattogli dalla Regina Anna. Lei, dal
canto
suo, si era fatta devotamente osservare da lontano, come una sacra
reliquia,
mentre intratteneva il re e la corte con storie che Tor non avrebbe mai
ascoltato.
La
terza notte, si fece coraggio e uscì dalle sue stanze.
Non
sapeva esattamente a cosa stesse andando incontro e per tutto il
tragitto che
fece nel silenzio di quella notte, continuò a immaginare gli
scenari possibili
e non: dal trovare lei con i figli a prenderlo in giro, o Agravaine (o
peggio
Gawain) pronto a trafiggerlo con la spada, incurante che fosse
disarmato. Solo
quando arrivò davanti alle stanze della regina ed
infilò la chiave nella serratura,
che smise di pensare a qualunque cosa.
Quando
aprì la porta, vide Lady Anna seduta davanti alla sua
toletta, intenta a
pettinarsi i capelli alla luce di tre candele. La donna si
girò e gli sorrise,
come una fanciulla il giorno delle sue nozze.
Quella
notte, Tor non l’avrebbe mai scordata e l’avrebbe
accompagnato per tutto il
resto della sua vita.
In
quella notte, come le altre passate con la Regina delle Orcadi, Tor
imparò
l’arte di amare e di dar piacere. Lady Anna, bella ed
elegante come la luna
invernale che illuminava il suo corpo immacolato, fu una maestra
generosa e
paziente che gli insegnò a fare e a lasciarsi fare. Si
lasciò baciare la
candida pelle centimetro per centimetro, come un devoto bacia una
reliquia, non
lo redarguì per la fretta e ne apprezzò la foga,
gli insegnò l’arte della calma
e quella della delicata potenza.
Tor
non aveva coscienza del domani, in quelle notti.
Non
sapeva cosa gli sarebbe accaduto o come sarebbe andata a finire.
Sperava
solo che l’alba non arrivasse mai.
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