il bacio
La donna sedeva immobile accanto alla finestra aperta
alla leggera brezza di quella sera di Marzo, non ancora calda ma non più
gelida.
Il candelabro a tre bracci, posato sulla cassapanca in
rovere scuro, diffondeva una tenue luce rossastra che si mescolava agli ultimi
raggi del sole morente.
Si passò una mano agitata sul viso, ad asciugare le
lacrime silenziose che per tutto il giorno non avevano cessato di cadere,
rendendo i suoi occhi, dal taglio leggermente allungato, rossi e gonfi. Ogni
dettaglio in lei rivelava il tormento e l’angoscia che attanagliavano il suo
cuore: le pieghe del vestito denotavano il suo continuo stringere con forza la
stoffa, quasi a volerne trarne conforto, i capelli, bruni e solitamente
luminosi, erano ora opachi e in disordine, con alcune ciocche che prepotentemente
fuggivano dall’elaborata acconciatura aristocratica, ricadendole sul viso
pallido. Segni bluastri sulla parte superiore degli zigomi non lasciavano dubbi
sul fatto che la donna vegliasse ormai da parecchie ore di seguito.
Quando la porta si aprì, cigolando sommessamente sui
cardini, si lasciò sfuggire un sussulto, subito accompagnato da un singhiozzo
represso.
La donna non si voltò verso la figura ammantata che si
ergeva sulla soglia, ma rimase rigida e composta, chiudendo solo leggermente
gli occhi, le labbra serrate mentre si mordeva con forza il labbro inferiore;
un segno di nervosismo che nessuno, nemmeno l’uomo che la guardava triste, poté
scorgere.
Egli si avvicinò piano, tenendo fra le mani un cappello
piumato, dalla forgia semplice e poco appariscente, rigirandoselo con fare insicuro, finché non si trovò perfettamente
alle spalle della sua sposa. Sospirò, cercando con tutto se stesso di mantenere
un contegno, conscio che un uomo non si sarebbe mai dovuto lasciar andare a
simili gesti sentimentali, tuttavia consapevole che quella separazione, forse
definitiva, fosse tremendamente dolorosa per entrambi.
< Il mio cavallo è stato sellato > si risolse
infine a dire, ma le sue parole si persero nel pesante silenzio dalla stanza.
La fiamma di una delle candele tremolò, creando ombre sul
muro di pietra della fortezza.
L’uomo trattenne il respiro, mentre aspettava una
risposta, o anche un qualsivoglia cenno di saluto, tuttavia la donna rimase in
silenzio, senza voltarsi e senza muovere un muscolo.
Il dolore per la perdita imminente troppo forte da
sopportare per una giovane sposa com’era lei, troppo duro anche solo pensare ai
lunghi mesi, o forse addirittura agli anni, che avrebbe trascorso in attesa che
quella sanguinosa guerra finisse, riportando il suo amato a lei.
Non voleva pronunciare parole di addio, troppo spaventata
che quelle si potessero rivelare fatali. Non voleva guardarlo partire, perché
se avesse semplicemente atteso lì, davanti a quella finestra, allora si sarebbe
potuto pensare che tutto fosse solo un incubo.
L’uomo si chinò lentamente, quasi a voler prolungare quel
momento di distante intimità all’infinito, perfettamente a conoscenza dei
sentimenti dalla moglie, gli stessi sentimenti che animavano il suo cuore.
Eppure sentiva che lei ne aveva bisogno, che per quanto si rifiutasse di
salutarlo e persino di guardarlo un’ultima volta, un contatto tra di loro era
giusto e inevitabile.
Posò un bacio leggero sul suo collo nudo, incastrato tra
il pizzo dell’abito e la seta dei capelli, lasciandole una scia ardente di
desiderio.
La donna mantenne gli occhi chiusi mentre i passi dello
sposo si allontanavano con quell’incedere sicuro che lo connotava, per
riaprirli solo nel momento in cui sentì la porta chiudersi alle sue spalle e i
passi risuonare ora nei corridoi semideserti.
Il sole era ormai scomparso dal cielo, lasciando il posto
a un crepuscolo insolitamente scuro, aiutato dalle nubi grigio fumo che
iniziavano ad ammassarsi minacciando un furioso temporale. Eppure la pioggia si
faceva attendere: solo lei piangeva la partenza dell’amato.
Si chiese se e quando l’avrebbe rivisto, quanto tempo
quella guerra avrebbe separato quelle due parti di una stessa mela.
L’angoscia, il terrore e tutti quei sentimenti che
cercava strenuamente di dominare e nascondere l’assalirono in un impeto furioso,
accompagnati nella loro roboante potenza da un lampo che squarciò le nubi.
La donna scattò in piedi e il tuono che seguì il lampo l’atterrì,
nonostante se l’aspettasse, perché il tuono seguiva sempre i fulmini.
Si lanciò fuori dalla sua stanza buia, correndo fra i
corridoi illuminati solo a tratti dalla luce provocata dal temporale, mentre il
rombo dei tuoni accompagnava il battito impazzito del suo cuore. I capelli che
ancora le rimanevano compostamente imbrigliati nell’acconciatura si sciolsero
definitivamente, lasciando che le trecce elaborate rimanessero solo una vaga
apparenza.
Scese spasmodicamente le scale, senza tenersi al corrimano,
quasi fosse impazzita. Il fiato le mancò per quello sforzo atletico a cui non
era abituata, lei che era sempre stata trattata come una bambola di porcellana,
bianca e fragile, e che in quel momento si sentiva proprio a quel modo.
Arrivata nella sala che, con i suoi tappeti rossi, le sue
candele e i suoi arazzi, faceva da ingresso a quel solitario castello di
campagna, si guardò intorno.
Lui era lì, già quasi sulla porta, il mantello sulle
spalle e il cappello piumato sul capo, come l’eroe di un antico poema, quell’eroe
che rinuncia a tutto pur di combattere per il suo signore, quell’eroe che amava
unicamente le armi e le nobili gesta. Ma quest’eroe amava anche lei, quella
donna per cui avrebbe rifuggito la guerra se avesse potuto, ma a cui le regole
e l’onore non permettevano una simile scelta.
Quest’eroe avrebbe voluto non partire, ma doveva farlo.
Eppure continuava a indugiare, sperando che la sua amata gli rivolgesse quell’ultimo
sguardo di cui anche lui, a dispetto dell’onore e delle regole, aveva bisogno.
E quando la vide, pallida e ansimante, correre verso di
lui, allargò le braccia per poterla accogliere in quel rifugio che entrambi
agognavano.
La donna si gettò tra le braccia aperte del suo sposo,
del suo unico e vero amore, quell’amore che, mai come in quel momento,
rischiava di perdere, i singhiozzi irrefrenabili e i tuoni che scandivano
ancora i battiti del suo cuore.
Avrebbero voluto rimanere così per l’eternità, ma l’uomo
sciolse l’abbraccio, la paura di non riuscire più ad andare via troppo forte
per affrontare una simile tentazione.
Distolse lo sguardo dal viso sofferente di quell’amore
che non voleva assolutamente lasciare, ma a cui era costretto a dire addio e si
avviò verso la porta.
Allora la disperazione, quella pura e profonda, quella
che impedisce il pensiero e che lascia spazio solo alle azioni più folli, si
impossessò di lei.
Si aggrappò a quel suo eroe con forza, con desiderio e
prepotenza, cercando avidamente le sue labbra, il conforto di quel tocco
morbido e sicuro.
Le trovò e vi si immerse con tutta se stessa, dimentica
dei tuoni, dei lampi, delle candele, di tutto ciò che la circondava, conscia
solo del suo sposo che, con un piede già sulla soglia, rispondeva al bacio.
Inclinò la testa da un lato, abbandonandosi alle sue
possenti braccia, a quelle spalle che tante volte l’avevano stretta e sorretta.
L’uomo chiuse gli occhi, gustando appieno quel momento,
il sapore dolce di ciliegia che imperniava la lingua e le labbra della sua
amata, quel sapore che gli sarebbe mancato ogni istante del suo tetro e incerto
futuro.
Con una mano le alzò il viso, per poter approfondire quel
bacio che rischiava di intaccare ancora più profondamente la sua sicurezza. Avrebbe
dovuto interromperlo, o non iniziarlo affatto, invece lo prolungò ancora,
interminabili minuti in cui l’uno si perdeva nella bocca dell’altro, in cui non
esisteva nulla se non la mano di lei sulla sua spalla e quella di lui sul mento
diafano della dama.
E poi un altro tuono, più violento dei precedenti, fece
tremare le mura, riportando i giovani sposi alla triste e tragica realtà,
interrompendo quel loro ultimo bacio.
L’uomo volse il viso verso la notte, per poi compiere
quei passi che lo portarono fino al suo destriero, il fedele compagno che l’avrebbe
accompagnato verso l’ignoto.
La donna rimase in quella posizione di supplica,
leggermente protesa in avanti con le braccia allungate verso l’oscurità dove un
rumore insistente di zoccoli portava via il suo amato.
Ora anche il cielo piangeva.