DTOS
Era una calda giornata,
l’estate era vicina. La neve si scioglieva per dar spazio ad
un panorama sempre più verde ed io girovagavo per la foresta
con la testa fra le nuvole. Ad un tratto, arrivai in un avvallamento
con un laghetto al centro. Non conoscevo quella parte della foresta, ma
mi sembrò un posto tranquillo e ben nascosto da possibili
occhi indiscreti.
Mi lasciai
cadere sull’erba e ne staccai un filo, che torturai tra le
dita. La mia mente era altrove. Era ancora al villaggio, forse. Era
ancora concentrata su quella persona.
Valka.
Era una ragazza piuttosto conosciuta al villaggio per alcune sue idee
“particolari” riguardo ai draghi. Sinceramente non
ne sapevo molto, sinceramente non me ne importava granché.
La vedevo quasi ogni giorno salutare ogni abitante del villaggio in
maniera allegra e cordiale. Quando passava all’armeria del
padre di Skaracchio, dove avevo praticamente fissa dimora assieme al
mio migliore amico, mi rivolgeva qualche sorriso timido. Riusciva a
distruggere il mio atteggiamento fiero e duro in pochissimo tempo, con
quel sorriso.
Non era come le altre donne del villaggio. Non amava imbracciare le
armi, cacciare draghi e non era un asso in cucina - il pesce che
mangiai l’altro ieri sera nella sala del consiglio ne sa
qualcosa… -, ma era solare, avventurosa, intelligente. E
testarda, devo ammetterlo.
Scatenava in me reazioni strane, sconosciute. Non so perché,
ma sentivo che avrei dato qualsiasi cosa per avere quei allegri e vispi
occhietti tutti per me.
Continuai a girare e rigirare il filo d’erba tra le dita
immerso nei miei pensieri, finché non sentii una melodiosa
voce femminile cogliermi sul fatto. M’irrigidii e vidi un
viso dai tratti lunghi e sottili comparire qualche centimetro sopra di
me. Quei grandi occhi verdi li avrei riconosciuti ovunque.
“Anche tu qui, Stoick?” chiese con un sorrisetto
divertito sul volto.
Mi alzai di scatto e cercai di ricompormi nella maniera più
vichinga che potei.
“V-Valka! Che sorpres… ehm… No!
Cioè… Che ci fai tu qui?” chiesi con
voce profonda.
Era un tentativo, poco riuscito, di sembrarle indifferente. Lei
scoppiò a ridere. Cos’aveva da ridere? Anzi, come
si permetteva di ridere? Io ero Stoick, il futuro capo villaggio! Mi
sentii avvampare, ma non ero sicuro fosse per la rabbia.
“Questo è … il mio posto
segreto.” rispose, gonfiando il petto.
Cos’era? Un tentativo di imitarmi? Vedendo che non le
rispondevo (forse avevo fatto una faccia strana?),
s’incamminò verso il laghetto. Il suo colore verde
azzurrastro, così intenso e luminoso, faceva da sfondo alla
longilinea figura di Valka e mi scoprii ad ammirarla, mentre si
allontanava. Credevo che sarei morto dal caldo che provavo. Non capivo
se era per come mi sentivo o se era colpa di quel gilet in pelliccia di
yak. Ero veramente confuso.
Nonostante la incontrassi spesso, non avevo mai notato quanto snella e
leggiadra la sua figura fosse. Non era bella come le compagne guerriere
della sua età. Non aveva delle rotondità ben
definite, il viso era spigoloso e il colorito era forse un
po’ troppo pallido. Non era possente, non aveva
l’atteggiamento della guerriera senza pietà. Aveva
però un portamento distinto e al contempo sembrava che
fluttuasse. Era semplice nei gesti, un po’ goffa, ma la
trovai semplicemente incantevole. Un fiore raro che si nascondeva tra
le rocce di quel luogo.
Passeggiava sulla riva del lago e dato che era troppo occupata a
canticchiare una melodia, decisi di lasciarla stare e di tornarmene sui
miei passi. Mentre risalivo il sentiero, mi voltai un paio di volte.
Stavo controllando se mi seguisse, anche solo con lo sguardo.
Non era così. Lei era indipendente ed ero io che continuavo
a fissarla in una maniera a dir poco ossessiva. Forse…
forse…
“No.” mormorai e con uno strano peso sul cuore,
tornai a casa.
Non era la donna adatta a me. Non era la donna adatta ad un vichingo!
“Cosa stai
facendo, Stoick? Non è fatta per te. Ti serve una donna che
sappia cucinare, che ti appoggi nelle battaglie contro i draghi. Tu
devi trovare qualcuna che soddisfi queste richieste! L’amore
passa in secondo piano per il capo villaggio…”
Quei pensieri mi seguirono anche quella sera, il giorno dopo e il
giorno dopo ancora. Diventò un tormento. Iniziai a parlarne
con Skaracchio, anche se immaginavo già che cosa comportava.
“È molto semplice, Stoick. Ti sei innamorato!
È una bella cosa.” disse con tono gioviale e un
sorriso a trentadue denti sotto i baffi biondi, che iniziavano ad
allungarsi.
“Skaracchio, non è quello
che…”
“E come glielo dirai, eh? Con una poesia?” mi
troncò, accarezzandosi felicemente i baffi.
“Cos-? Ma ti prego! La poesia è per i mollaccioni!
Per conquistare una donna devi apparire fiero, un vero uomo e magari
presentarti con una testa di drago in mano.” risposi fulmineo
e con tono austero.
Skaracchio mi guardò pensieroso con un sopracciglio alzato.
“Non sono sicuro che presentare a Valka una testa di drago
come pegno d’amore sia una buona idea…”
“Sì… Forse hai ragione. Ma ehi! Non
sono venuto qui a parlarti di questo!”
“Ah, no? E di cosa allora?” chiese ingenuamente.
“Di come smettere di pensare a Val…
Lei!” esclamai, un po’ troppo forte. Nessuno
avrebbe dovuto sapere della mia… infatuazione?
“Te l’ho già detto… Glielo
devi dire!” brontolò lui.
E tirammo avanti così per tutta la mattinata. Skaracchio non
poteva capire. Non pensava come il figlio di un capo, ma
come… Skaracchio! Io però dovevo togliermela
dalla testa, eppure era difficile. La incontravo sempre più
spesso. Più si avvicinava l’estate, quella
stagione in cui gli attacchi dei draghi erano più frequenti,
e più i giovani vichinghi dovevano essere preparati.
L’addestramento non era più duro del solito.
Oramai sapevamo navigare perfettamente, combattevamo
nell’arena con regolarità e imparavamo ad
utilizzare al meglio le armi. Io mi trovavo bene con tutte - mio padre
mi aveva allenato a lungo -, Skaracchio preferiva usare mazze e
martelli e Valka… Sapevo che non dovevo neanche cercare la
sua figura, ma il suo utilizzo di lance e i bastoni era ipnotizzante.
Li maneggiava con grande eleganza.
“Ehi, Valka! Devi combattere i draghi, non invitarli a
ballare! Smettila di evitare i loro attacchi!”
sbraitò l’istruttore.
Non aveva tutti i torti; gli attacchi non andavano solamente evitati.
Bisognava neutralizzarli e uccidere il drago. Lei invece non ne voleva
sapere. Troppo testarda per eseguire quell’ordine, non
attirava solo l’antipatia dei compagni, ma iniziava anche a
far spazientire l’Incubo Orrendo che stava fronteggiando.
Aveva smesso di usare solo gli artigli: si era dato fuoco.
Iniziai ad essere veramente preoccupato ed irritato. Sentire i miei
amici sghignazzare, dicendo apertamente che magari così
avrebbe imparato la lezione, mi faceva ribollire di rabbia. E quel
drago… quel drago diventava sempre più
arrabbiato. Doveva saperlo che gli Incubi Orrendi sono piuttosto
impazienti di mangiare la loro preda. Stavo seriamente pensando di
andare ad aiutarla, ma la voce della ragione mi diceva che non era una
buona idea.
“Che ne
sarà della tua reputazione Stoick, eh? Hai aiutato quella
che adora i draghi, bravo…”
Erano cose stupide da pensare, ma io ero il figlio del capo villaggio,
il futuro capo del villaggio vichingo di Berk! E allora?
“E allora i
vichinghi non pensano, i vichinghi agiscono!”
Rinfrozai la presa sull’ascia e scattai in avanti. Il respiro
cresceva e diventava sempre più irregolare e il cuore
batteva forte come un martello sull’incudine. Poi, solo un
suono secco e il rosso.
Un rantolo, un tonfo pesante e l’odore del sangue unito alle
pietre e alla terra.
Potevo sentire il sangue pulsarmi nelle orecchie e gl’occhi
che cercavano una e una sola figura in quel caotico scenario. Valka era
caduta sulle ginocchia, gli occhi sbarrati da quella che definii
un’orrida incredulità. Seguii la traiettoria del
suo sguardo e vidi il corpo dell’Incubo Orrendo accasciato a
terra, esanime.
I miei compagni mi saltarono addosso abbracciandomi.
“Bravo, Stoick!”
“Così si fa, amico!”
“Tu sì che diventerai un vero vichingo!”
Continuarono a farmi i complimenti per il primo drago abbattuto in vita
mia. Mi sentii soddisfatto di me stesso: avevo abbattuto un Incubo
Orrendo, dopotutto! Ma quella soddisfazione sparì quando
vidi il viso di Valka. Era distrutta, gli occhi due laghi verdi pronti
a riversarsi sulle guance.
“Perché l’hai fatto?!”
sbraitò.
S’era alzata in piedi senza problemi e mi aveva raggiunto con
passo rabbioso. Ora mi guardava fisso negli occhi. Ah, quanto volevo
quello sguardo su di me. Però non in quelle circostanze
così… sfavorevoli? Ma perché?
L’avevo salvata da un drago che voleva ucciderla!
Cercai di ribattere, inutilmente. Era la prima volta che mi sentivo
spiazzato prima ancora di iniziare una lite. Erano quegli
occhi…
“Io…” mormorai.
“Tu dovevi lasciarlo a me!” scandiva bene le
parole, nonostante la voce quasi spezzata “L’avrei
sicuramente rigettato nella cella, se non ti fossi intromesso!
Perché l’hai fatto?!”
Le sue parole erano rabbiose e io mi sentii come travolto da un fiume
in piena, mentre lei se ne andava dall’arena, senza
più guardare la carcassa del mostro. Ho cercato di fare del
mio meglio per mantenere un atteggiamento composto e per niente
sconvolto, ma nel profondo mi sentivo ferito. Mi dicevano che non mi
dovevo preoccupare, che era strana, che non ci dovevo pensare e altre
cose. Non li stavo ascoltando veramente, le mie orecchie udivano
l’eco di altre parole.
Poi, un tocco sulla spalla mi riportò alla realtà.
“Va tutto bene, Stoick?” mi chiese Skaracchio
preoccupato.
“Non ne sono del tutto sicuro.”
Non vidi più Valka per giorni interi. Non si era
più presentata agli allenamenti e non girava più
per il villaggio. Non chiesi niente ai genitori per evitare che
fantasticassero su un mio possibile interessamento. Però
più il tempo passava e più mi sentivo triste.
Non che avessi torto: uccidere quel drago è stata la scelta
giusta. Si chiama “spirito di sopravvivenza”, ma
lei… Lei pensava cose strane. Lei pensava che fosse giusto
lasciarli vivere. E forse era veramente così, ma loro non
lasciavano vivere noi. Razziavano di continuo sulle nostre terre e noi
cosa dovevamo fare? Aspettare di morire?
Dovevo chiarire questa cosa con Valka, sentivo di doverle comunque
delle spiegazioni, nonostante tutto. E la cercai, a lungo la cercai. E
la trovai solo un paio di sere dopo: era andata a campeggiare sulla
spiaggia nella parte ad est dell’isola.
“Valka!” la chiamai con voce sollevata.
Lei mi fulminò con lo sguardo e scese dalla roccia su cui
stava riposando. La sua lunga treccia ondulò
nell’aria mentre saltava giù. Le erano cresciuti i
capelli, non me n’ero mai accorto di quanto fossero lunghi.
“Che cosa c’è?” chiese con un
tono non secco, ma capii che la mia presenza le aveva rovinato
l’umore.
Avevo aperto la bocca per parlare, ma le parole mi morirono in gola.
Non riuscivo a parlare, io, Stoick, il figlio del capo villaggio. Valka
intanto mi fissava intensamente e, man mano che passavano gli attimi,
il suo sguardo s’addolciva.
“Se hai fatto tutta questa strada per
scusarti…”
“Io non ho niente di cui scusarmi.” replicai brusco.
Mi guardò con uno sguardo stupito ed irritato allo stesso
tempo.
“Ah.” fu il suo unico commento.
Poi si voltò e si mise a camminare sul bagnasciuga. Io la
tallonai senza farmi problemi, cercando di rimediare a ciò
che avevo detto. Non avevo sbagliato, aveva fatto la cosa
giusta… per lei. Sì, potevo riassumere tutto in
questa semplice frase; e così feci.
“Io… l’ho fatto per te.”
dissi con tono sicuro.
A quella dichiarazione, scoppiò a ridere.
“Stoick, non dovevi fare proprio niente: avevo la situazione
sotto controllo.” ribadì convinta.
“No, non è vero.”
“Sì, invece!”
“No!” esclamai in tono troppo potente. Il mio
orgoglio m’impediva di piegarmi a lei, ad una che aveva idee
strane sui draghi.
“No… aveva preso fuoco! Quel… quel mostro ti avrebbe
uccisa.” ripetei più flemma, ma non per questo
meno convinto.
“Quel mostro ne
avrebbe avuto tutte le ragioni: tu come ti sentiresti se degli
sconosciuti ti buttassero in gabbia e ti facessero vivere solo per
combattere?” mi chiese spazientita.
Le riconoscevo che era una donna con degli ideali veramente solidi. Non
riuscivo a comprenderli del tutto, ma ammiravo la fiducia che aveva in
essi e con quanta passione li difendeva.
“Val…”
“Allora?!”
Di nuovo quei laghi… Quegl’occhi che stavano per
traboccare di lacrime. La presi per le spalle, ma mi trattenni
dall’abbracciarla: non potevo darle ragione. Abbassai il
busto in modo da non guardarla dall’alto verso il basso.
“Val, loro compiono razzie sulle nostre terre.” le
dissi con voce più comprensiva che potei.
“Perché non scoprire il perché lo
fanno, al posto di ucciderli?”
Era veramente diversa dagli altri, faceva domande veramente
intelligenti. Lei pensava - forse anche troppo - prima di agire e
lì capii che forse nell’arena avrei dovuto
veramente lasciarla fare. Poi però mi ricordai di cosa
diceva mio padre: pensare troppo uccideva.
“Quando troveremo il nido…”
“Quando troverete il nido li ucciderete tutti senza alcuna
pietà, anche i cuccioli. Non risparmierete
nessuno.” troncò lei perentoria.
“Vuoi porre un drago al livello di un essere umano?”
“Pongo la vita al livello di un’altra vita, Stoick.
Perché… perché semplicemente non ce ne
andiamo da Berk? Loro… potrebbero procurarsi il cibo
liberamente e noi vivere tranquillamente.”
Ah, Valka! La mia Valka… La stava facendo troppo facile.
Aveva dei tratti ancora così ingenui sul volto. Lei non
sapeva cosa comportava doversene andare da Berk: sconfitta e una marea
di problemi.
“Perché noi siamo vichinghi, Valka. Siamo qui da
secoli e qui rimarremo.”
“Quindi lo facciamo per onore?” chiese indignata.
“Cerca di capire! Trovare un nuovo posto in cui vivere non
è facile.” cercai di spiegarle. Normalmente, a
quel punto, avrei già perso le staffe, ma con lei non ci
riuscivo.
“Ah, perché uccidere i draghi lo
è!”
Come non detto: questa frase mi ferì nel profondo.
“Uccidere i draghi…! Oooh, mi spieghi
perché stiamo litigando su questo?!” sbottai di
colpo, mollando la presa sulle spalle.
“Io non sto litigando, io sto discutendo! E perché
tu hai fatto di testa tua, come sempre!”
m’accusò senza problemi. Per lei, ero io che avevo
torto, nonostante cercassi di spiegarmi.
“Ah, perché tu non sei testarda, vero? Vuoi sempre
avere ragione!”
Mi guardò risentita. Quel litigio - perché di
questo si trattava - la stava ferendo nell’orgoglio.
Quell’orgoglio che ammiravo tanto… come il resto.
L’intelligenza, i capelli, le sue espressioni, persino quella
cieca fiducia nei suoi ideali mi attraeva. Era una donna forte nelle
convinzioni, ma fragile nel carattere.
Non riusciva più a guardarmi in volto e fissò il
mare, imperlato dai riflessi della luna. D’istinto, mi
raddrizzai e continuai a parlarle.
“Scusami… io… io volevo solo
proteggerti, Val. Mi ero fatto prendere dalla battaglia… non
lo volevo uccidere, davvero. Io… volevo solo ferirlo,
così sarebbe tornato in gabbia. Avevo paura per
te.”
Era una mezza verità. Non sapevo se lo volevo davvero
uccidere quel drago, ma io la volevo proteggere.
In tutta risposta, lei fissava la mia barba. L’avevo fatta
crescere per sembrare più uomo e lei… lei ci si
mise a giocherellare con le mani. Sentii nuovamente quel caldo
pervadermi ogni singola parte del corpo. Passava la barba tra le dita e
stava formando delle piccole treccine. Quando ebbe finito,
posò le dita sulle mie labbra.
Poi, lesta come una lepre, vi posò un bacio lieve.
“Grazie.” mormorò, abbozzando un sorriso.
E se ne andò per la sua strada, lasciandomi lì a
fissare beota il paesaggio. Era un bacio dolceamaro, ma io mi sentii
veramente felice. Era un gesto... importante. Tuttavia mi trattenni
dall’urlare di gioia: non volevo che mi sentisse. Non era il
caso.
Con passo affrettato - anzi di corsa - tornai al villaggio. Mi
precipitai a casa di Skaracchio e bussai alla porta così
forte, che quasi la sfondai. Quando Skaracchio aprì la
porta, non gli lasciai nemmeno il tempo di lamentarsi.
“Aiutami a scrivere questa poesia, Skaracchio.”
Lui mi mostrò nuovamente il suo sorriso a trentadue denti e
mi fece salire in camera sua. Prendemmo carta e carbone ed iniziammo a
buttare giù delle idee.
“Ehi, Skaracchio, cosa fa rima con Valka?”
“Oh, seriamente vuoi buttarti su una simile
banalità?”
E così provammo con le più svariate serie rime e
versi, inutilmente; ne uscivano cose banalissime, non eravamo poeti. I
vichinghi non sono poeti. I vichinghi non scrivevano poesie. Quella
sera finimmo per non combinare un bel niente. Tornai a casa delusissimo
del mio lavoro e quando arrivai mio padre aveva una
“splendida notizia” per me: un paio di giorni dopo
sarei partito con Skaracchio per la mia prima spedizione. Ero
felice: finalmente sarei stato trattato come un adulto a tutti gli
effetti - a vent’anni ci mancava altro! -, ma un
po’ di quell’entusiasmo si smorzava a sapere che
Valka non sarebbe stata dei nostri. Me l’ero aspettato,
però la cosa m’impediva di essere completamente
felice.
Mi trascinai in camera e mi buttai sul letto: stavo ripensando a cosa
comportava partire per una spedizione. Sarei stato via a lungo, per
giorni se non settimane! E se qualcuno si fosse proposto a Valka mentre
ero via? Sobbalzai. No, non lo potevo permettere: dovevo essere io a
conquistarla per primo.
Mi sfiorai le labbra. Quel bacio... La sua nota dolceamara era ancora
lì, la sentivo ancora. Continuavo a non capire: era solo un
ringraziamento o era… amore? Potevo osare di sperare tanto
dopo che avevo ucciso un drago di fronte ai suoi occhi?
Non ne ero sicuro, ma di certo non l’avrei ceduta a qualcun
altro. Mi chiesi anche chi l’avrebbe mai voluta una come
Valka: aveva un fascino particolare, che non tutti sembravano cogliere.
Lo stesso valeva per il carattere calmo: a meno che non si toccava
l’argomento sui draghi, lei era tranquilla come pochi al
villaggio. E l’intelligenza! Quel barlume che le si accendeva
negli occhi quando capiva al volo qualcosa… Era unica nel
suo genere.
Mentre mi rilassavo all’idea che in fondo nessuno - forse -
l’avrebbe mai compresa e amata come me, continuai a ripensare
a quella melodia che canticchiava sul lago. Sinceramente la ricordavo
poco: era una danza che si eseguiva ai matrimoni, ma non ricordavo le
parole… non ricordavo neanche se ne avesse.
M’assopii velocemente quella notte e mi risvegliai con lo
stomaco attanagliato dalle preoccupazioni. Mi tornava in mente il suo
viso e le sue parole. Non avevo passato una notte tranquilla. Ero molto
agitato, frustrato all’ idea di partire senza che lei sapesse.
Avevo un giorno ancora per riuscire a dichiararmi. Non che sarei
sparito per sempre, ma… Iniziai a pensare che alle volte
capitava di non tornare dalle spedizioni, per svariati motivi. Primo
fra tutti, i draghi.
“E
se… se non tornassi?”
Non avrei più rivisto Valka, questo era certo. Non avrei
più rivisto la mia diciottenne preferita. Pensavo a lei come
ad una bambina, ma Valka era una donna. Una meravigliosa donna. E io
ero il figlio del capo villaggio, era impossibile che tornassi morto e
non avrei dovuto provare terrore per niente! Tuttavia, volevo lo stesso
riuscire a dichiararmi prima di partire: almeno così avrebbe
avuto tutto il tempo per pensare alla mia proposta.
Ricominciai a scribacchiare sui fogli, ma non mi veniva niente di
poetico in mente e quella stupida melodia continuava a picchiettarmi
nella testa. Era così insistente, che finii col
fischiettarla. Quando mia madre salì in camera, rise.
“Sono sorpresa: non sapevo sapessi fischiettare anche queste
vecchie ballate, Stoick.”
“La conosci?”
“È vecchissima, nessuno si ricorda più
tutte le parole. Però viene ancora suonata ai
matrimoni.” detto questo, scese a preparare il pranzo.
Dunque era una melodia che c’entrava con l’amore.
Mi presi la testa fra le mani nervoso e la fischiettai ancora e ancora.
Provai ad adattare i miei vari - e scarni - tentativi poetici e di
riadattarli alla melodia. Alla fine, erano pochi i concetti che
dovevano trasparire: il mio amore per Valka che si era fatto sempre
più ardente col tempo, tanto che la volevo sposare e che
sarei tornato in qualsiasi circostanza. Qualsiasi. Erano pochi
concetti, ma non ero sicuro di riuscire ad esprimerli bene.
M’inchiodai alla sedia e mi misi a scrivere come se veramente
non ci sarebbe stato un domani per me. Era così inquieto, il
mio tempo stava per scadere. Rifiutai il pranzo e i miei giustamente si
chiesero se stessi male. In effetti, ero malato. D’amore.
Malato d’amore. E Skaracchio aveva ragione: l’unica
cura era dichiararsi.
Come attraversato da un lampo di genio - grazie Thor! - riuscii a
trovare l’ispirazione per scrivere qualche verso. Non avevo
completato la ballata, ma in quelle poche parole c’era tutto.
Mi sentii sollevato, anche se non avevo ancora finito. Dovevo riuscire
a recitare a Valka quello che avevo scritto, ma prima urgeva fare un
salto da Skaracchio: avevo bisogno della sua opinione, era il mio
migliore amico.
Ed ecco che mi fiondavo più veloce del vento
all’armeria. Chiesi di Skaracchio e non appena lo vidi, lo
strattonai via dall’incudine su cui stava lavorando.
Imprecò e si lamentò rumorosamente, ma io non lo
ascoltai; non avevo tempo. Lo portai sul retro - avevo troppa paura
delle orecchie indiscrete - e gli recitai quello che avevo scritto.
“Stoick, ma è bellissima! Sono
lusingato… credevo fossi innamorato di Valka!”
“Co-cos’hai capito?! Questa è per
Valka! Da te voglio solo un’opinione!”
Skaracchio scoppiò a ridere e mi abbracciò.
“Amico mio, dico che tra poco sarai bello e
sistemato.” shignazzò lui.
Quello era veramente un sollievo. Come ultima cosa gli chiesi se aveva
visto la ragazza e lui mi rispose che oggi era il suo turno di
apparecchiare la sala del consiglio. Neanche a dirlo che mi precipitai
da lei il più velocemente possibile.
Quando aprì una delle enormi porte, vidi emergere dalla
fioca luce della sala un’esile figura. Sapevo che era la sua,
nonostante mi desse di schiena.
“Valka.” la chiamai con voce tremante. Mi sentivo
emozionato.
Lei si voltò e si sorprese di vedermi. Mi rivolse uno dei
suoi dolci sorrisi. Che bello, era tornata alla cortesia di sempre:
almeno non mi odiava.
Le venni incontro e ci fermammo uno di fronte all’altro
proprio al centro della sala. Mi sudavano le mani e le nascosi dietro:
era una brutta idea leggerle la ballata col foglio davanti e pieno di
sudore.
Mi fece un altro sorriso e mi chiese cosa ci facevo lì. La
risposta era semplice.
“Volevo vederti.”
M’imbarazzai - eh, sì… alla fine capii
che era proprio imbarazzo
-, ma quelle parole mi uscirono naturali. Stavo cercando lei. E Valka,
in tutta la sua onestà, mi disse che era contenta.
Era contenta.
“Mi dispiace di essermela presa tanto l’altro
giorno e…”
Fece una pausa sospirando e guardandosi attorno: sembrava dovesse dirmi
qualcosa.
“E…? Non
puoi lasciare col fiato sospeso il futuro capo villaggio,
Val!”
“E mi dispiace di non averti ringraziato adeguatamente per
avermi salvato la vita.” ammise, dondolando da un piede
all’altro.
“Cosa?
Dispiacere…? E il bacio, allora, che cos’era per
te?”
Andai nel panico più totale. Perché mi aveva
baciato? Iniziai a pensare a quanto stupida potesse sembrarle la
ballata e mi sentii avvampare ancor di più. E se non fosse
stato per quello sguardo che mi fissava curioso, me ne sarei certamente
andato con una scusa.
“E tu mi cercavi per…?” chiese,
strabuzzando quei bellissimi occhi verdi. Finalmente era serena.
Io però, non le risposi. Ero veramente troppo agitato.
Allora lei volse lo sguardo a terra: veramente non riusciva a guardarmi
negli occhi per più di qualche istante?
“Ho sentito che domani partirete per una
spedizione…” mormorò, ma la sua voce
non aveva quel tono dolceamaro della volta scorsa, né era
spezzata dalle lacrime di rabbia o felice come quella volta al lago.
Era… sì, era malinconica.
E ancora non risposi, ma il fatto che avesse portato a galla quell’argomento
per qualche strana ragione, mi calmò.
In quegl’attimi di silenzio, lasciai andare tutte le mie
paure. I miei sentimenti non dipendevano dai gesti: il suo bacio forse
non era poi così importante, o forse sì. Non lo
potevo sapere e lei non sembrava in procinto di dirmelo. Inoltre, non
volevo più discussioni e spiegazioni, tutto avrebbe potuto
aspettare ed essere rimandato, tutto avrebbe avuto un suo tempo; ma non
era quello il momento. Non era quello che le interessava. Lei voleva
sapere della mia partenza.
Avevo acquisito un nuovo coraggio, derivato dal desiderio - egoista, lo
ammetto - di liberarmi dal silenzio, di liberarmi da quella segretezza
in cui mi ero rinchiuso.
Presi le sue mani - per Odino, quanto erano minute! - e iniziai a
fischiettare quella ballata. Un barlume nei suoi occhi si accese e mi
guardò con grande curiosità.
“Per ogni mar navigherò,
Ma non avrò paura.”
E un sorriso fece capolino sul suo volto. Quanto era bella…
“Le onde io cavalcherò
Se tu mi sposerai…”
Sobbalzò. Il sorriso si fece incerto e le mani le tremavano,
ma io non avevo finito. Doveva sapere che sarei tornato. Per lei.
“Né il sole sai,
Né il freddo mai,
M’impedirà il ritorno.
Se mi prometterai il tuo cuor
E amore…”
E proprio in quel punto così importante, le parole mi
morirono in gola. Sentii le guance infiammarsi e avevo smesso di
guardarla; stavo bellamente fissando il pavimento. Lei
abbassò il busto, cercava il mio volto. Speravo mi avrebbe
aiutato ad alzarlo prendendomi il mento, ma… forse le stavo
stringendo troppo le mani e non riusciva liberarsi.
“E amore?” intonò. Tutto pur di farmi
proseguire.
“E amore per l’eternità.”
Era un mormorio tremolante. Non avevo nient’altro da
aggiungere. Alzai lo sguardo e mi scoprii spaventato. E intanto lei
scoppiò a ridere. Ero così stonato? Ero davvero
sembrato così stupido?
“Oh, Stoick!” esclamò, facendo scivolare
via le sue mani dalle mie. Allora non la stringevo così
forte... E non capivo cosa c’era di così
divertente. Avevo forse fatto una smorfia?
“Sono sembrato tanto ridicolo?!” chiesi un
po’ irritato.
“Cosa? No! No… Solo… Credo tu sia
l’unico uomo in tutto il villaggio, che abbia mai riscritto
le parole di un’antica ballata per una donna. Per
me!” continuò sorridente.
Non sapevo come prenderla. Non avevo capito se avesse recepito il
messaggio o se stesse fingendo allegria per non ferirmi. Non che
funzionasse... Non potevo guardarla ridere così di gusto sui
miei sentimenti e allora mi misi a fissare i quadri degli antenati
vichinghi, quando sentii un abbraccio improvviso. Era caldo e
avvolgente, era così gradevole...
“Sei stato veramente dolce. E…” mi
disse, cercando nuovamente il mio sguardo.
Io mi volsi e le cinsi la vita. Com’era magra…
“E…? Davvero, Val, non puoi tenere sulle spine il
futuro capo villaggio.” borbottai indignato.
Lei rise di nuovo e affondò il viso nel mio gilet di yak.
Quando riemerse, mi mostrò un sorriso che non avevo mai
visto. Non era divertita, né gentile. Era
un’espressione nuova, un sorriso nuovo.
“Facciamo così: quando tornerai, io ti
canterò la fine della ballata e tu scoprirai i miei veri
sentimenti.” decretò sicura, lanciandomi
un’occhiata maliziosa.
Io accettai di buon grado: alla fine avevo raggiunto il mio obbiettivo
e le promisi che le avrei portato un pegno. Le promisi anche che non
sarebbe stata una testa di drago e lei rise ancora. Potei finalmente
partire con tranquillità.
Le emozioni che provai in quella spedizione non sono materia di questo
racconto, perché è inutile dire di come ogni
singola cosa mi riportava in mente Valka. Però ero riuscito
comunque a uccidere dei draghi, nonostante a lei quest’idea
non piacesse. Non le avevo promesso niente e lei non mi aveva fatto
promettere niente: occhio non vede, cuore non duole, come dice
Skaracchio. E questo metodo di pensare così…
skaracchioso si addiceva perfettamente alla situazione.
Quando ritornai, la cercai al molo. Non era venuta ad accogliermi e per
un attimo mi prese il panico: che avesse trovato qualcun altro? Non
ebbi molto altro tempo per preoccuparmi che andammo nella sala del
consiglio a festeggiare. Tuttavia, rimasi abbastanza pensieroso e
taciturno.
Mi sedetti ad un tavolo a parte, a vedere gli altri divertirsi e
danzare. Al terzo o quarto giro, sentii una voce femminile sorprendermi
alle spalle.
“Non danzi, Stoick?”
Mi voltai e la vidi. I capelli le erano cresciuti ancora ed era
diventata più alta. Anche il viso si era fatto
più adulto. Ed erano passate solo due settimane…
Era come vedere un fiore sbocciare.
“Aspettavo giusto la mia dama preferita.”
Lei sorrise e mi tese la mano, ma al posto di andare verso la pista da
ballo, ci appartammo in un angolo lontano da occhi indiscreti. E
lì, prese le mie manone tra le sue e mi cantò la
strofa promessa. Le goti le si imporporarono magnificamente e scoprii
un’altra cosa: aveva una voce dolcissima.
“Amato mio, o mio tesor
Tu cerchi di stupirmi.
Parole non ti serviranno
Ti basterà abbracciarmi!”
Non me lo sarei fatto ripetere due volte. La presi e la sollevai. Da
lassù e con quel sorriso - che finalmente capii, era il suo
sorriso da innamorata -, sembrava una valchiria scesa dal Valhalla. Poi
la abbracciai e le ricambiò affettuosamente. Era diventata
la mia Valka. Lo era diventata per davvero.
Sciolsi a malincuore quell’abbraccio e la lasciai andare.
Seguì un attimo di silenzio. Davvero non c’era
più niente da dire? Lei scoppiò nuovamente a
ridere e io mi stupii della sua giovialità. Mi
raccontò di un aneddoto che le era accaduto da quando ero
partito: da quanto aveva scoperto - perché lei, da brava
curiosa, scopriva, non accontentandosi mai -, a quella ballata
mancavano almeno altre quattro strofe.
Io non potei fare a meno di scoppiare a ridere e mi venne naturale
sfiorarle la guancia. Lei cercava di distogliere lo sguardo, ma io fui
più veloce e riuscii a rubarle un bacio. Breve, pieno di
timidezza, casto, ma era già un inizio. Lei rise ancora,
mentre mi invitava a ballare.
È stato semplicemente così che nacque quella
canzone. Semplicemente così, per amore.
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N.A.:
*sfonda la
porta* I'M BACK BABEH!
Dovevo
immaginarmi prima o poi il background di Stoick e Valka e di tutta "For
the dancing and the dreaming". Spero che questa brevissima storia vi
sia piaciuta e vi abbia fatto provare... qualcosa. Schifo, feels o
qualsiasi cosa.... Oooooh >///< Non posso emozionarmi per
una cosa che io ho scritto!
Accidenti...
Anyway,
piccola fanfiction senza pretese e l'ho revisionata subito il secondo
giorno perché mi ero accorta di alcuni errori nella prima
stesura. Eh, capita. Specie dopo un lungo anno di pausa... super
skaracchioso ♥
Grazie a Vic,
che legge e recensisce con tanta pazienza, e a Yume, che è
sempre tanto pucciosa.
Alla
prossima!^^ *fa bye bye con la manina*
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