A distanza di settimane, Alex
continuava a essere certa che Silente sapesse quel che aveva fatto. Non pretendeva
di ingannarlo, ammesso che ci fosse qualcuno in grado
di farlo…
O forse
era solo un attacco di paranoia galoppante, perché non credeva nel delitto
perfetto.
Le circostanze, però, sembravano
suggerirle il contrario.
Il cadavere di Lucius Malfoy era
stato ritrovato un paio di giorni dopo, in fondo al crepaccio, con il morso di
un vampiro sul collo, trapassato da parte a parte da una spada e con il collo
spezzato. Cosa lo aveva ucciso? Una delle cause? Tutte?
Alla fine il Guaritore del San
Mungo incaricato dal Ministero scrisse nel rapporto che non poteva stabilirlo
con certezza. Comunque a nessuno interessava, a parte
alla sua vedova e al figlio adolescente. Anzi, Alexandra era certa che tutte le
persone che avessero fatto le condoglianze a Narcissa e Draco, in privato
tirassero un sospiro di sollievo, e gettate le maschere stappassero lo
champagne. Narcissa doveva sospettarlo anche lei, o sospettava che fosse Alex a
farlo. Quando aveva scorto la sua odiata sorellina -
l’ultima rimasta dei Black - al Ministero, con le insegne appena ricevute di
Comandante Supremo degli Auror, semplicemente non ci aveva visto più. L’aveva
aggredita fisicamente e verbalmente, accusandola di aver assassinato il marito,
e Bellatrix, e Rodolphus, e loro madre, e ricordandole che era solo una puttana
da caserma, che non valeva niente e che era questione di poco prima che tutti
si accorgessero di quello che realmente era. Alex l’aveva lasciata fare, anche
se avrebbe avuto voglia di afferrare quel polso ossuto, stringerlo e poi torcerle
il braccio fino a farla strillare, come Narcissa aveva fatto fino a quando non
aveva imparato a difendersi almeno un poco. Quella crisi isterica ad ogni modo le era valsa un ricovero nell’ala psichiatrica del San
Mungo, in una bella cella dalle pareti imbottite. Draco era
stato ospitato da una delle famiglie dei suoi amici, e Alex da quel giorno non
l’aveva più visto o incontrato.
Non che avesse tempo per pensare
ad un nipote che non conosceva nemmeno. Morto Lucius era morta una delle
personalità che dall’ombra aveva tirato le fila dl mondo magico per tutta la
sua vita. Ora le cose sarebbero per forza dovute cambiare. In meglio o in
peggio, ancora non sapeva dire.
Silente sembrava avere come
sempre un forte ascendente sul Ministro, e su buona parte della comunità.
Avrebbe fatto valere le sue idee, le sue intenzioni erano buone. Alex aveva
conosciuto altri maghi, durante i suoi viaggi, le sue missioni. Aveva
conosciuto le loro buone intenzioni. Talvolta erano pure illusioni, talvolta
intenzioni serie, mosse da un interesse genuino nei confronti della gente. Ma
in entrambi i casi aveva camminato o visto camminare molta gente lungo la
strada per l’inferno di esse pavimentata. Era per questo che non riusciva a
fidarsi di Silente.
Remus, che lo sapeva, aveva provato
a convincerla del contrario, mollando quasi subito. Se
Alexandra non aveva voglia di fare una cosa, cercare di costringerla era una
cosa inutile e spesso controproducente. E poi non era vitale per il loro
rapporto parlare di posizioni politiche e di schieramenti, o della loro
assenza.
Certe volte, al
mattino, guardava a lungo la sua uniforme verde e oro appena ad una gruccia
sull’anta aperta dell’armadio, e ricordava come al ritorno in Inghilterra dopo
la Romania avesse accarezzato l’idea di congedarsi dagli Auror. Questo prima di
rimettere piede al Ministero e di rendersi conto dello squilibrio creatosi.
Dalla sua posizione, poteva davvero cambiare le cose. Nessuno avrebbe più
dovuto manipolare il Ministero a suo piacimento, come aveva fatto suo cognato
tutta la vita.
A parte lei, ovviamente.
Eccetto per l’ultima parte, Remus
condivideva la sua scelta. Per lei, abituata a non fermarsi mai a lungo in un
luogo, accettare quella carica significava fermarsi stabilmente a Londra, ed
era un passo impegnativo da fare. Gli sarebbe piaciuto dirglielo, ma dopo
averla rivista brevemente e per caso ai Tre Manici di Scopa mentre scambiava
due parole con Severus, Alex non si era fatta più vedere. Troppo presa dalla
sua personale rivoluzione tra i vari Dipartimenti, e dall’intento di far
piovere spudoratamente quanti più finanziamenti poteva sul Dipartimento e sulla
sua adorata Legione.
Poi, una mattina, dopo aver come
al solito guardato la sua divisa verde e oro appesa ad una gruccia sulla porta
dell’armadio, decise che quel giorno aveva di meglio da fare, e che per un
giorno il suo vice avrebbe fatto benissimo a meno di lei.
Per prima cosa, dopo essersi
infilata una tuta da ginnastica e aver bevuto una tazza di caffé, aveva
staccato uno ad uno tutti i ritratti urlanti dei membri della sua famiglia,
iniziando da quello di sua madre, e risparmiandone
solo uno dove comparivano tutti. Dopo averli ammucchiati nel seminterrato, li
aveva fatti a pezzi con l’ascia con cui gli elfi spezzavano i ciocchi per il
caminetto del salotto, e li aveva guardati bruciare. La cosa le aveva portato
via abbastanza tempo, ma sperava ugualmente le avanzasse tempo per fare il
resto delle cose che doveva fare entro quel giorno.
Buttato l’ultimo pezzo di legno
nel fuoco, Alex si alzò dal tappeto del soggiorno, e andò in camera sua. Lì,
scelse dall’armadio un maglione nero e un paio di pantaloni di velluto dello
stesso colore, e si gettò sulle spalle il suo mantello da viaggio. Tornata in
soggiorno, buttò una dose abbondante di Polvere Volante di
tre tipo diversi nel camino, e urlò il nome russo della sua
destinazione. Un cimitero di maghi appena fuori San Pietroburgo.
Per quanto a Londra i crochi
fossero fioriti da un pezzo, in Russia non si poteva dire che fosse arrivata la
primavera. Alex camminò tra le file di lapidi, cercando con gli occhi quella di
Yekaterina Romanov. Alla fine scoprì che non c’era: Yekaterina era sepolta
nella tomba di famiglia. Le tombe erano tutte in terra, sotto un baldacchino di
pietra con il nome di famiglia inciso. Le sovrastava un angelo di pietra
dall’espressione triste. Una delle mani era al petto, e l’altra era levata
sopra di esse in una sorta di gesto benedicente. Alex prese dalla tasca dei
pantaloni l’anello di Lucius che i vampiri le avevano lasciato tenere, e lo
infilò al dito indice della mano tesa dell’angelo.
‘Sai, trovo che il nome Elektra ti si addica.’
All’epoca Alexandra non aveva
capito perché Katya avesse detto quelle parole. All’epoca però non sapeva
neanche che Katya avesse delle doti minori di chiaroveggenza.
“Ho letto qualche libro. Le
tragedie su Elettra. Per inciso quelle di Sofocle, Euripide, Hugo von
Hofmannsthal e Margherite Yourcenar. Tu lo sapevi vero? Lo sapevi che ce
l’avrei fatta. Che come Elettra avrei coltivato il desiderio di vendetta per
quello che avevano fatto a me, per quello che ti hanno fatto, o che sapevi ti
avrebbero fatto, e che poi l’avrei messa in pratica. Solo che in questa
tragedia non c’era un Oreste a cui far compiere l’atto, e non ci saranno Erinni
a perseguitarmi. Se l’è cercata. Punto e basta. Può biasimare soltanto se
stesso.”
Alex si inginocchiò, e sfiorò la
fotografia di Katya.
“È tutto finito, finalmente. Ora
avremo un po’ di pace. Beh, tu sicuramente… per me sarà un discorso un po’ più
lungo, credo.”
Alex rimase ancor qualche istante
a fissare il viso sorridente della sua amica, poi si alzò e ritornò al camino
in casa del custode. Un’altra manciata di polvere, e Alex ripartì alla volta di
Hogsmeade.
Per qualche strano caso, il
numero quindici aveva un significato nella sua vita. A quindici anni c’era
stata quella specie di dichiarazione a Remus, quando l’aveva baciato nella sua
stanza. Quindici erano stati gli anni di esilio, in parte imposto, ma per la
maggior parte volontario, dall’Inghilterra. Quindici erano il numero di volte
in cui aveva ripetuto ‘non è possibile’ al suo riflesso allo specchio, dopo
aver scoperto di essere diventata una mezzosangue. Quindici era anche la data
in cui era morta Katya, e la stessa in cui, aveva scoperto, era morto anche
Sirius.
Non erano state sempre rose e
fiori tra loro, ma una visita a Sirius doveva farla. Anche da morto rimaneva
l’unico parente che avesse voglia di vedere.
Non si sorprese più di tanto
quando vide che a fissare la lapide di Sirius con un’espressione triste e seria
al tempo stesso c’era l’ultimo sopravvissuto della combriccola dei Malandrini.
Alex si avvicinò in silenzio a Remus, e da dietro gli cinse le spalle con le
braccia, appoggiando la testa contro di lui.
“È l’anniversario della sua
scomparsa. Un anno esatto.”
“Ti manca molto.”
“Non pretendo tu capisca. Facevi
vita piuttosto solitaria a Hogwarts. Io però per la prima volta avevo trovato
quattro amici che sapevano chi ero, e a cui non importava. Ingestibili, alle
volte, ma erano amici. E ora sono morti tutti e tre, e tutti per colpa di
questa guerra.”
“Fatti un favore, ragiona. Ed
escludi Minus dalla lista. Quel mollusco parassita non merita nemmeno di essere
nominato. E non dire che non capisco, perché non è vero. Ho anch’io degli amici
che sono morti, e so benissimo come ci si sente.”
“Dimmi, Alex… tu sai cosa gli è
successo esattamente? A Sirius, intendo.”
“Nessuno sa esattamente quello
che succede quando oltrepassi il Velo. È come entrare da vivi nel regno dei
morti. Tutto dipende da quanta forza di vivere hai, da quanto i tuoi legami nel
mondo dei vivi sono forti. Se ce la fai, se hai validi motivi per voler vivere,
puoi ritornare indietro. Niente te lo può impedire. Ma se sono le voci dei
morti, a cui dai più ascolto…”
“Sirius avrà dato più ascolto
alle voci di James e Lily che alle nostre, a quella di Harry. Pensi sia andata
così?”
“Sei tu che eri un suo amico
fraterno. Io ero solo la cugina che non ha visto per quindici anni, prima di morire.
Dio, quanto avrei voluto farla pagare a Bellatrix con le mie mani…”
“Mi hanno detto che ti sei
ugualmente fatta onore.”
“Come sempre.”
“Hai ottenuto quello che volevi?”
“Se sai che mi sono fatta onore,
dovresti sapere anche se ho ottenuto quello che volevo.”
“Lo sai, mi piace sentire le cose
dalla diretta interessata. Ad ogni modo, lo interpreto come un sì.”
Alex sciolse l’abbraccio a Remus,
e si chinò per posare il fiore che aveva portato per Sirius. Fu allora che lo
vide. Un ciondolo d’argento, con rubini, zaffiri e diamanti, ognuno al posto
della stella che rappresentava. Il ciondolo aveva la forma della costellazione
di Orione, e Alexandra lo conosceva benissimo, perché lo aveva visto al collo
di Bellatrix da quando aveva compiuto undici anni. Era appeso all’amorino di
marmo scolpito sulla sommità della lapide, e Alex lo prese un attimo in mano,
non credendo ai propri occhi. Se era lì, voleva dire che…
Lentamente,
Alex si volse a guardare Remus, che sostenne e ricambiò il suo sguardo.
In quel momento, il suo cuore si
fermò.
Lui sapeva.
E Alex
si rese conto che anche lei sapeva quel che lui
aveva fatto.
Lo aveva sempre saputo,
inconsciamente, fin da quando lo aveva visto in
Romania.
“Silente ha voluto parlare anche con
te?” sussurrò a bassa voce, in tono serio, dopo essersi rialzata.
“Già. Non si spiegava la mia
presenza lì” rispose Remus, nello stesso tono. “Infatti non avrei avuto motivi
per precedere l’Ordine, a parte…”
“A parte cosa?”
“A parte che io fossi venuto di
nascosto lì per te. Non l’ho contraddetto. Era una mezza verità, dopotutto. E
Severus, ha avvalorato la tesi di Silente. Sapeva di noi due, Dio solo sa
come.”
"Aveva visto la tua stella
del Nord al mio collo. Severus è intelligente, non ci ha messo molto a fare due
più due."
Alex fissò ancora una volta il
ciondolo della sorella maggiore, che continuava ad oscillare nel vuoto, senza
dire una parola. Questa volta fu Remus a metterle un braccio intorno alle
spalle, e a stringerla contro di sé.
"Se l'è cercata. Può
biasimare soltanto se stessa" sussurrò.
Alex non capì se lo diceva a lei
o a se stesso, ma non importava. Andava bene così.
La guerra era davvero ad una
svolta. La fazione di Voldemort si era indebolita, sarebbe stata questione di
poco prima che tutti i suoi seguaci finissero catturati. E la profezia su Harry
Potter si sarebbe compiuta. Un ragazzino avrebbe sconfitto il mago più potente
degli ultimi tempi. Si diceva che Potter volesse
diventare Auror... Alex si ripromise di dire ai responsabili dell'Accademia di
fargli vivere l'inferno in terra, se tale voce si fosse rivelata vera. Chissà che dal figlio di James Potter non potesse saltar fuori un
Auror decente…
E poi
Severus si era divertito abbastanza. Ora era il suo turno.
Poggiò la testa sulla spalla di
Remus, e lui la strinse più forte. Gli sussurrò all'orecchio se aveva voglia di
venire a casa sua, che ora sembrava molto meno lugubre del solito. Remus le
fece un piccolo sorriso, che Alex interpretò in modo favorevole, e insieme
uscirono dal cimitero, diretti a Londra.
Il ciondolo di Bellatrix smise
lentamente di oscillare contro la lapide di Sirius. L'unica pietra a brillare
ancora era uno zaffiro, in corrispondenza di Rigel.
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