“Prendiamo un caffè?”
Sobbalzai, alzando gli
occhi dal
progetto che avevo sotto al naso. Per un attimo ebbi la vaga
impressione che Sonia fosse stata decapitata. Ma non era così. La
mia migliore amica mi guardava dalle scale dell’impalcatura.
“Ma sì! Perché no? Tanto
non riesco
a cavare un ragno dal buco. Casomai mi dai una mano, più tardi?”
“Ma certo! Qual è il tuo
problema?”
“Non riesco a trovare il
blu da
utilizzare per il cielo dell’affresco. Non riesco a capire se sono
io a non essere più capace di fare il mio lavoro, o se è proprio
questo blu a essere così fetente.”
“Rilassati, dai! Hai solo
bisogno di
una pausa, in fondo sei qui da tre ore!”
Annuii. Poi mi alzai in
piedi. “Ahio!”
mugolai. È vero che non ero molto alta, ma trovarmi sul piano più
alto dell’impalcatura significava, almeno in quel caso, trovarmi
molto vicina al soffitto, costretta a stare leggermente curva per non
sbattere la testa.
“Ehi, fai attenzione! È
vero che
possiamo sistemare eventuali danni, ma dubito che un buco
nell’intonaco rientri nelle nostre competenze!”
Le feci una linguaccia,
ridacchiando
come se avessi ancora diciotto anni. Anche se quella nave era salpata
da un bel pezzo.
“Ho proprio voglia di una
bella
brioche!” esclamai, pimpante, mentre scendevo le scale.
“Alle undici di mattina? Ti
rovinerai
l’appetito!”
“E allora?”
“Fai come vuoi! Sei
maggiorenne e
vaccinata! Ma se ti sento ancora lamentarti che sei grassa ti prendo
a calci nel sedere!”
Avere a che fare con Sonia
era come
avere a che fare con il Grillo Parlante di Pinocchio. A volte era
proprio fastidiosa!
“Oh, andiamo, quante volte
mi hai
sentito lamentarmi che sono grassa?” adesso mi uccide!
Mantenne la calma,
stranamente. “Una
volta al mese. Vai in crisi mistica, mangi come un’oca all’ingrasso
per Natale, poi piangi perché non entri più nei jeans in cui
entravi tre anni fa.”
Scoppiai a ridere. In
effetti, da
quando era nato Paolo, avevo più difficoltà a contenermi nel
mangiare. Ormai il mio cucciolo aveva ventisei mesi, ma per me era
ancora una novità. E a volte questa novità mi spaventava, ma dovevo
restare in me. Quindi, avevo finito con lo sfogarmi sul cibo.
Fortunatamente, comunque, l’ansia stava diminuendo, insieme agli
attacchi di fame e ai chili. Tranne quando si avvicinava il ciclo. In
quel caso, poteva cascarmi il cielo sulla testa, ma niente mi avrebbe
tenuta lontana dal frigo. Anche se, di contro, non ci sarebbe stato
nulla a trattenermi dal piangere tutte le mie lacrime perché non ero
capace a controllare questi attacchi di fame. In pratica impazzivo,
con l’arrivo del ciclo. Salvo poi tornare nei ranghi in un paio di
giorni pensando che, dopotutto, anche se ero ancora un po’
sovrappeso, non ero mai stata obesa o anche solo grassa, e tutto
sommato non potevo lamentarmi troppo. In fondo, ero passata da una 40
pre-gravidanza a una 44 post-parto. Alberto, mio marito, apprezzava
le mie curve. Come le apprezzava il mio Paolino, quando lo tenevo in
braccio e si addormentava con la testa posata sul mio seno. Quindi,
potevo ben sopportare il mio nuovo fisico e qualche crisi l’anno!
“Devo ammettere, però, che
ultimamente ti vedo più di buon umore!” esclamò Sonia, rompendo
il flusso dei miei pensieri. Stavamo attraversando la strada per
andare al bar.
“E perché non dovrei?
Finalmente
Paolo dorme una notte filata e non strilla quando lo lascio in asilo.
Anche Alberto sembra molto più tranquillo, pare che a lavoro si
siano sistemate molte cose. E anche il nostro lavoro va alla grande.
Ho tutte le ragioni per essere di buon umore!”
Sonia sorrise, prima di
andare a
sbattere contro qualcuno.
“EHI!” strillò. La afferrai
per un
braccio, prima che cadesse a terra come un sacco di patate. Era
andata a sbattere contro Pamela, una nostra collega, che stava
uscendo dal bar. “Guarda dove metti i piedi!”
Pamela la fissò con un’aria
vagamente inebetita, prima di scrollare le spalle e bofonchiare uno
“scusa” sommesso.
“Scusa un corno! Potevo
ammazzarmi!”
sbottò Sonia, inviperita. “E mi spieghi che ci fai, qui? C’è il
cantiere incustodito!”
“Potevi controllare che ci
fossi,
prima di svignartela!”
“Va bene, basta così,
ragazze. C’è
stato solo un malinteso.” intervenni, prima che Sonia perdesse la
calma.
Pamela ci guardò,
sprezzante, poi
rientrò in chiesa.
“Dovevi proprio saltarle
addosso
così?” sbuffai, una volta dentro al bar.
“Ma l’hai vista? Va in giro
come se
non ci stesse con la testa!”
“Veramente eri tu ad essere
distratta. Senza contare che aveva ragione, prima di lasciare il
cantiere dovevamo almeno controllare che ci fosse qualcuno!”
“Adesso la difendi anche?”
“Certo che la difendo, non
ho niente
contro di lei, e stavolta sei tu ad avere torto!”
Sonia sbuffò. E anche io.
Aveva
trentadue anni, ma a volte ragionava come se ne avesse sedici. Era
molto melodrammatica, e proprio non poteva sopportare quella strana
ragazza che lavorava con noi da qualche mese a quella parte. In parte
la capivo, comunque.
Pamela era un personaggio
molto strano.
Era minuta, magrissima, dava l’impressione di potersi rompere da un
momento all’altro. Aveva il viso pallido tipico di chi non esce mai
al sole, gli occhi grigi e i capelli neri, lunghi, con riflessi
viola. Sospettavamo tutti che li tingesse, ma era impossibile
stabilirlo, visto che le sopracciglia erano ridotte a due
sottilissime righe. Il viso magro e affilato, gli occhi sempre
truccati pesantemente di nero, contornati da blande occhiaie
violacee, il rossetto nero (o color vinaccia molto scuro, a seconda
della giornata), i suoi vestiti… il tutto faceva pensare ad una
giovane Mortisia Addams. O a Mercoledì Addams. Con la differenza del
carattere. Anche se correvano le voci più disparate sul suo conto,
Pamela era gentile. Non amichevole, ma gentile. Se lo eri con lei,
ovvio. A quanto pare, in azienda ero l’unica ad andare d’accordo
con lei, almeno all’apparenza. In realtà non potevo dire di essere
amica sua. Eravamo troppo diverse. Prima di tutto, l’aspetto
fisico. In comune avevamo solo il fatto di essere donne e di essere
bassine. Ma io sono bionda, con un colorito più sano del suo, ho gli
occhi verdi e, almeno all’epoca, ero molto cordiale e sorridente.
E, se potevo evitare di truccarmi, ero solamente felice! Senza
contare che raramente indossavo vestiti neri, preferivo di gran lunga
i colori. Inoltre, io avevo trent’anni, ero sposata da quattro
anni, e avevo un figlio, lei… beh, non so nemmeno se avesse amici.
Insomma, eravamo persone completamente diverse, come il giorno e la
notte. Avevo molta più affinità con Sonia. Almeno, caratterialmente
parlando. Lei era una persona molto solare e vitale, nonostante in
quell’ultimo anno gliene fossero capitate di tutti i colori. Aveva
affrontato un divorzio pesante, con l’ex marito sempre pronto a
farle la guerra. Fortunatamente le cose le andavano meglio, tuttavia
la vedevo molto più stanca e meno desiderosa di scherzare. Almeno
non avevano avuto figli, o credo sarebbe scoppiata. Una volta
conclusa definitivamente la questione divorzio, aveva deciso di farsi
dei colpi di sole in testa. Abbinati ai suoi capelli rosso scuro, ai
suoi occhi verdi e alle sue lentiggini, stava davvero bene!
Qualcosa nel suo carattere
era
cambiato, comunque. Non era solo la disillusione nei confronti degli
uomini. Sembrava molto più astiosa nei confronti di chiunque, anche
nei miei. Ma, insomma, non potevo farci nulla, se non sperare che
prima o poi le passasse. Anche perché la conoscevo da anni, ormai, e
sapevo che era perfettamente inutile provare a parlarle. Avrebbe
sviato il discorso, nella migliore delle ipotesi. E comunque, era
migliorata moltissimo rispetto a quando litigava costantemente con il
suo ex. All’epoca ero incinta di Paolo e ricordo che, per ridurre
lo stress, avevo dovuto allontanarmi da lei. Mi dispiaceva, ma non
era simpatico sentire lei e il marito litigare anche davanti a me e
ad Alberto. Una volta separati, comunque, le cose tra me e lei sono
tornate alla normalità.
“Ciao, bellezze! Cos’è
questo muso
lungo?” Antonio, il vecchio barman, ci guardava dall’altra parte
del bancone. Ora, non so voi, ma io sono sempre stata affascinata dai
bar, dalle reception, da qualsiasi posto di lavoro che prevedesse un
contatto col pubblico con un bancone in mezzo. Mi sembrava sempre un
mondo incantato e misterioso, a cui avevano accesso pochi eletti.
Quando ero bambina, mi chiedevo sempre cosa ci fosse dietro a
quell’enorme banco. Crescendo, ho cominciato a vedere dietro ai
banconi, ma comunque la sensazione di mistero è rimasta intatta.
“Nulla, Antonio!” sorrisi
“Stavamo
parlando di Pamela!”
“Ah, Pamela! È un bel tipo,
quella!
Anche se, prima o poi, mi aspetto che venga a chiedermi del sangue
invecchiato trent’anni in una bara di rovere!”
Sollevai un sopracciglio,
mentre Sonia
ridacchiava educatamente. Come battuta, non avrebbe fatto ridere
neanche una gallina stupida, ma ormai era da un mese che lavoravamo
lì, ci eravamo abituate allo strano senso dell’umorismo di
Antonio.
“Ci prepari un caffè, per
favore?”
domandai.
“Macchiato!” Intervenne
Sonia.
Antonio sorrise di rimando,
prima di
mettersi al lavoro.
Rientrammo in chiesa. Salii
le quattro
rampe di scale che mi portavano al soffitto e mi rimisi al lavoro per
trovare la sfumatura di blu adatta a quel cielo che circondava
l’agnello dipinto nella mandorla. C’era una cosa che mi
sorprendeva di tanti affreschi. Quando entravi in chiesa, e guardavi
dal basso quei dipinti, vedevi le cose. Vedevi le espressioni del
volto, e ti sembravano anche dettagliate. Ma una volta montata
l’impalcatura, una volta vicino a quelle immagini, scoprivi che non
erano poi così dettagliate come poteva sembrare. Quelli che
sembravano dettagli, in realtà erano un’insieme di linee che,
viste da vicino, acquistavano solo un vago senso. Gli affreschi su
cui lavoravo non erano tutti così, ma tanti lo erano. Ed era una
cosa che, a distanza di anni, ancora mi stupiva.
“Ugh…” un giramento di
testa mi
fece fermare un attimo. Mi sedetti con molta calma e cercai di
prendere fiato. In effetti, era da qualche giorno che mi capitava. Ma
non capivo cosa potesse essere, non soffrivo di vertigini. Inspirai
profondamente. Espirai. Aprii gli occhi e mi rialzai con molta calma.
Niente, il giramento di testa continuava. Dovetti stendermi. Ma che
mi stava capitando?
“Tesoro? Hai ancora bisogno
di aiuto
per quel blu?” La voce di Sonia suonò strana, nelle mie orecchie.
Come se provenisse da un pozzo profondo. Mi voltai verso di lei, con
la netta impressione che i suoi capelli stessero andando a fuoco.
Sbattei le palpebre. La sensazione scomparve.
“Ehi! Mel! Tutto bene?” si
tirò su
con uno scatto quasi felino e corse verso di me.
“Sì, sì… scusami, ho avuto
una
vertigine e mi sono dovuta stendere.”
“E ti scusi anche?” Si
sedette a
fianco a me e mi accarezzò. Aveva le mani perennemente fredde, e il
suo tocco mi diede sollievo. Non mi ero neanche resa conto di
sentirmi scottare. Tuttavia, non mi sembrava di avere la febbre.
Sospirai. Mi sentivo un po’
meglio, e
glielo dissi.
“Sarà, ma tu adesso te ne
vai a
casa. Lavorare dopo un episodio del genere sarebbe troppo pericoloso.
Quindi, appena te la senti, alzi le chiappe e vai a casa a riposare.
Penseremo io e la Mortisia dei poveri a chiudere tutto.”
Non me la sentii di dire di
no. Dopo
qualche minuto, mi alzai e me ne andai verso casa.
Arrivata a casa, mi cacciai
in doccia.
Avevo ancora qualche ora prima di andare a recuperare Paolo
all’asilo. Alberto non sarebbe rientrato prima di sera. Potevo
tranquillamente sfruttare quelle ore per riposarmi un po’. Una
volta finito, strofinai energicamente la mia testa con un
asciugamano. Le gocce d’acqua correvano lungo tutto il mio corpo.
Una particolarmente grossa scivolò sul mio seno destro. Passai
l’asciugamano lì sopra. Ma… era una mia impressione, o il mio
seno era particolarmente gonfio? E da quando il mio seno si gonfiava?
Sentivo di donne a cui capitava in prossimità del ciclo. A me non
succedeva mai. Mi era capitato solo una volta, quando…
“Oh, accidenti…”
Mi rivestii in fretta e
furia e mi
precipitai in strada, verso la farmacia in fondo all’isolato. Non
ero del tutto sicura della mia ipotesi, ma era meglio verificarla il
prima possibile.
Mezz’ora dopo, ero di nuovo
in bagno,
seduta sul water con due bastoncini bianchi davanti a me. Due test di
gravidanza. Positivi entrambi. Ero incinta.
Sorrisi, felice. Il mio
desiderio più
grande era di avere più di un figlio, e sapere che ne stavo avendo
un altro mi rese la donna più felice del mondo.
Guardai la mia pancia, poi
le linee
rosse dentro alle grigliette del test. E un brivido freddo mi corse
lungo la schiena. All’improvviso mi sentii terrorizzata. Non ne
capii il motivo. Ma quell’attimo di terrore fu più che sufficiente
a guastare il mio buon umore. Cosa mi stava succedendo?
Buona sera a tutti!
Ecco qui un’altra storia!
Questa è
il risultato di una riflessione che ho fatto sulla mia vita, com’è
stata negli ultimi 8 anni.
La storia di una persona
come tante. Ha
le sue magagne, come tutti, ma, tutto sommato, vive una vita felice.
Trattandosi di un horror, però, sicuramente non le andrà tutto
liscio.
Al pari de “Le porte di
Avalon”,
anche questa è molto significativa, per me. Spero vogliate
accompagnarmi in questa avventura, anche se, probabilmente, ci
metterò abbastanza a scriverla. Scrivere una storia di un certo peso
emotivo non è mai semplice. Tanto più se è un horror. Non sarà
facile scriverla, lo so già. Innanzitutto, tocca un tema che, anche
se non l’avevo mai capito prima di qualche settimana fa, mi ha
toccata molto nel profondo. E poi, non voglio fare un horror
splatter. Con tutto il rispetto per chi scrive racconti di quel
genere, ma io vorrei riuscire a fare qualcosa di più psicologico,
pur sfruttando temi molto pesanti. Un’impresa che, almeno per me, è
qualcosa di titanico!
Quindi, che ne dite? Siete
pronti a
seguirmi?
Besos
Nephylim
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