«Kono yaro..»

di Capolera
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10 luglio 1943.
Non voleva la guerra. Non combatteva. Ne portava solamente le ferite.

 
Era solamente un capro espiatorio.

Era un tale dolore vedere la sua gente morire per mano del suo superiore. Aveva provato a convincerlo, la guerra avrebbe solamente aggravato la sua situazione.
 
Era ferito. Umiliato. Tradito.
 
 
E suo fratello? Non voleva fargli passare ulteriori guai. Non voleva farlo indebolire ogni giorno di più. Invaso, arretrato, abbandonato. Sì, perché Romano era stato abbandonato sin dall’inizio dei tempi. L’Unità d’Italia l’aveva solo illuso di potersi ricongiungere con Veneziano. Ed ora?
Alleato con la Germania, invaso dagli Alleati.
Che ne sarebbe rimasto di lui?
 
Solo, era solo.
 
Si sedette lentamente  al centro del campo di battaglia tra i corpi senza vita dei soldati. Ciò che li rendeva diversi era solo il colore della divisa. A casa avevano qualcuno che li aspettava ansiosamente.
Si portò una mano al ventre sanguinante. Premeva, cercava di fermare il flusso sangue. 
Stavolta Antonio non sarebbe venuto a salvarlo. Stremato, si lasciò cadere a terra.

«Kono yaro..» e, sorridendo, chiuse gli occhi.
 




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