IL NOSTRO BALLO
IL NOSTRO BALLO
*
Di tutti i colori
dell’intera Galassia, lui ne vedeva solo uno: il rosso. La causa era molto
semplice, la luce della stanza che puntualmente illuminava di quel particolare
colore l’intero ambiente. Non era di certo una novità quella, non per lui.
Entrare e uscire dalla Gravity Room era qualcosa di quotidiano. Per meglio dire
lo era sempre stato, in realtà. Anche se da diversi anni non spendeva più tutta
la giornata in quella stanza. Solo lo stretto necessario. E, a dire il vero, per
un tipo come lui era qualcosa di straordinario. Il fatto stesso che riuscisse a
mettere il naso fuori da quella camera dall’intensa gravità aveva qualcosa di
miracoloso.
Quando sferrò l’ennesimo
pugno tuttavia, si fermò per diversi secondi, osservando la sua stessa mano.
Pensieroso restò immobile per un tempo, che sembrò interminabile. Si era
stufato, quel giorno, di restarsene rintanato in quella stanza; isolato dal
mondo.
Dopo qualche altro momento
di esitazione lasciò infine cadere il braccio al fianco, inspirando
profondamente e socchiudendo gli occhi. In quel frangente si lasciò cullare
dalle proprie sensazioni, da ciò che quella stanza rappresentava.
L’odore delle sue fatiche
gli giunse alle narici, facendo sì che la sua mente gli sembrasse decisamente
più leggiadra.
Ancora una volta non si
mosse, invaso da una piacevole rilassatezza dovuta al suo senso interiore di
pace, strano ma vero.
E andava bene così,
finalmente, restare semplicemente al centro di una stanza per ascoltare i
battiti del suo cuore o il rumore del silenzio… o quasi.
I suoi occhi si aprirono
improvvisamente, suscitando peraltro l’inarcarsi di un sopracciglio in maniera
piuttosto confusa. Il suono che sentì in quel momento non era più quello della
sua solitudine, bensì quella che i terrestri chiamavano comunemente musica.
Già solo il fatto che
riuscisse a penetrare all’interno di quelle pareti di spesso metallo lo lasciò
oltremodo perplesso. Va bene ascoltare quella stana accozzaglia di suoni, che
lui nemmeno comprendeva a dire il vero, ma per riuscire nell’impresa di giungere
fino alle sue orecchie doveva risuonare ad un volume esageratamente alto.
Per istinto scostò la sua
attenzione sull’entrata con un’espressione interrogativa; forse nell’insensata
speranza di ricevere delle risposte dall’uscio ben serrato. Giunto alla più
logica conclusione che le porte non erano certamente in grado di proferir
parola, decise di giungere ad una conclusione con i propri occhi.
I suoi passi risuonarono
dunque sul metallo del pavimento, rimbombando a causa del nulla all’interno
dell’enorme stanza.
Infine aprì la pesante
porta, constatando con una certa ovvietà che il volume era davvero molto alto.
Tutta la casa sembrava stesse cantando.
*
Dopo essersi armato di
asciugamano s’incamminò tra i vari corridoi dalla Capsule Corporation, alla
ricerca dell’origini di quell’assordante suono.
Non ci volle molto, in
realtà. Scoprire da dove l’insistente rumore giungesse risultò più facile del
previsto. Il salotto infatti, sembrava essere stato assediato da una banda di
musicisti, intenzionati ad assordare l’intera abitazione.
Vegeta si affacciò
all’ingresso del soggiorno. Sul volto un’espressione inquisitoria, evidentemente
preda di mille interrogativi in cerca di una risposta.
Scoprì ben presto che, a
soggiogare l’intera casa con la propria musica, non era altri che l’enorme
schermo televisivo al plasma. Il video, mostrava due persone, un uomo ed una
donna, alle prese con quella che al Saiyan parve l’ennesima strana usanza
terrestre.
Non ebbe modo di
soffermarsi sulla consuetudine appena scoperta, poiché le note melodiche lo
lasciarono perplesso per alcuni secondi. Di cosa fosse la musica e il suo
significato ne era ormai consapevole. Conosceva diversi tipi di armonie che più
volte aveva ascoltato grazie, o a causa, dei vari componenti della sua famiglia,
ma questa gli giungeva decisamente nuova.
La prima cosa che gli parve
strana fu la totale assenza di qualcuno che gracchiava al di sopra delle note.
In genere, aveva imparato, erano soliti essere accompagnati da quello che veniva
definito un cantante. Questa volta no.
Il Principe dei Saiyan non
ebbe però il tempo di porsi ulteriori interrogativi sulla strampalata melodia,
più soave del solito, poiché la sua attenzione fu catturata da altro. Al centro
del parquet della grande sala si ritrovò a fissare la compagna che, stretta tra
le braccia del figlio maggiore, era intenta ad imitare lo strano duo sullo
schermo televisivo.
Bulma sembrava concentrata
a seguire, sia con lo sguardo che col proprio corpo, i movimenti suggeriti dalla
televisione. Trunks, a sua volta impegnato ad imitare i due sullo schermo, parve
particolarmente attento ai movimenti della madre.
Fu proprio la donna che,
dopo qualche secondo, interruppe i propri passi. Sfortunatamente per il giovane,
il fuoriprogramma che contribuì a fermare la madre, fu il sovrastarsi del piede
di lei su quello scalzo del ragazzo. “Ahi!” si lamentò Trunks scostando la parte
lesa ed esibendosi in un leggero saltello. “Ti chiedo scusa tesoro!” si premurò
di discolparsi, seriamente dispiaciuta. Il ragazzo la guardò semplicemente negli
occhi con un sorriso, come a ricordarle chi era e di che pasta era fatto.
“Tranquilla mamma, non mi sono fatto nulla” la rassicurò, dopo il primo momento
di distrazione. Bulma sorrise a sua volta al figlio. Ogni tanto la sua
anormalità riusciva quasi a dimenticarla.
Gli occhi della donna, fino
a pochi secondi prima fissi sullo sguardo del ragazzo, vagarono per la stanza,
scoprendosi ben presto ad osservare la figura che ostinata seguitava ad
esaminare la scena oltre l’entrata della stanza. “Oh! Ciao tesoro! Vieni dentro
dai” lo invitò, cogliendo il Saiyan di sorpresa. Vegeta si guardò attorno un po’
frastornato, come riscosso dai suoi pensieri. Tornò ad assumere la sua solita
espressione severa corrugando le sopracciglia in maniera inflessibile. Compì un
solo passo all’interno della stanza, limitandosi ad incrociare le braccia.
Nel contempo, il giovane
Trunks rivolse anch’egli la sua attenzione verso il nuovo venuto, “Ciao papà” lo
salutò a sua volta. Il Principe dei Saiyan non ebbe modo di rispondergli in
alcun modo, poiché da dietro lo schienale del divano apparve una buffa ciocca di
capelli azzurri, una terza voce attirò successivamente l’attenzione dell’uomo,
“Ciao papino” si presentò la piccola Bra.
L’ultimo componente della
famiglia rivolse anche a lei un’occhiata fugace, per poi indirizzare
definitivamente lo sguardo alla compagna, che più di tutti aveva suscitato il
suo interesse. “Che diamine state facendo?” domandò con voce austera, pur non
riuscendo a mascherare una sorta d’immancabile curiosità che trapelò dai suoi
occhi.
“E’ quello che noi
terrestri chiamiamo Valzer. Si tratta di un ballo antico e molto diffuso,
soprattutto in certi ambienti” gli spiegò semplicemente, dopo aver premuto il
tasto di pausa sul telecomando del lettore dvd, svelando dunque la vera natura
del video. Vegeta sembrò tuttavia ancora piuttosto perplesso. Stupido non era di
certo, difatti aveva già concluso, grazie anche a quella breve spiegazione, cosa
stessero facendo in quella sala fino ad un minuto fa. Il problema era un altro:
perché?
Quella semplice domanda gli
segnò il volto, come se l’avesse posta col viso più che con le parole stesse. E
Bulma, come sempre, comprese quello sguardo in maniera corretta, ma per lei non
vi fu tempo di rispondere con tutta calma. “Mamma ci porta tutti a ballare il
Vazer” proclamò la figlioletta, anticipando la madre; pronunciando in maniera
errata il nome del ballo.
Bulma, vistasi preceduta
dalla vispa bimba, osservò il compagno con fermezza, in attesa di poter leggere
sul suo volto ogni più piccola reazione. Vegeta, dal canto suo, fissò per pochi
istanti la figlia, interpretando il reale significato della frase. Con la
bambina era però impossibile riuscire ad ottenere ulteriori informazioni, per il
semplice fatto che ciò che sapeva, o capiva, era ciò che aveva già genuinamente
detto. Il Saiyan fu dunque costretto a rivolgere nuovamente la sua attenzione
sulla donna che sembrava attendere proprio questo.
Esattamente come previsto
da Bulma, lo sguardo di Vegeta richiedeva spiegazioni più dettagliate. E visto
che stupidi non erano in due, lei capì perfettamente che era arrivato il momento
di fornirgli le notificazioni che silenziosamente richiedeva; facendo attenzione
a come porle.
Bulma sospirò, prima di
cominciare a parlare. “C’è un’importante festa di beneficienza alla quale
partecipano tutte le più grandi aziende del Pianeta. Tra le quali anche la
Capsule Corporation, ovviamente” rivelò infine, facendo in modo che
l’uomo tirasse un sospiro di sollievo. Forse troppo in fretta.
Vegeta sembrò soddisfatto
della risposta, qualcosa che non coinvolgeva lui andava sempre bene. Pertanto si
affrettò a girare i tacchi per tornare a farsi gli affari propri.
Sfortunatamente per lui la delucidazione non era ancora finita.
Trunks sbirciò
l’espressione della madre, in attesa che concludesse in altro modo la
spiegazione; o quantomeno per interpretare la sua reazione. Bulma, dal canto
suo, restò immobile per diversi secondi, ma ben prima che il compagno potesse
dileguarsi riprese la parola. “E’ obbligatoria la presenza della
famiglia… tutta la famiglia” quella frase gelò il sangue nelle vene al
Principe. Che suonasse come una trappola non vi erano dubbi. Sembrava quasi
un’intimidazione, un modo simpatico per avvertirlo di una minaccia
incombente.
Vegeta si maledisse in quel
preciso istante. Se solo fosse rimasto ad allenarsi per tutto il giorno questo
macigno non gli sarebbe mai piovuto sul capo. Lentamente si voltò a guardare la
compagna, augurandosi mentalmente di aver capito male. “Che significa?” non poté
fare a meno di domandare. Bulma si appoggiò le mani ai fianchi, cosa che non era
mai un buon segno, guardandolo con ovvietà “E’ semplice, caro mio…”
cominciò, forse un po’ sarcastica, “… che i Presidenti delle società devono
essere accompagnati dai rispettivi consorti” spiegò molto semplicemente.
Un ringhio gutturale giunse
rigoroso da parte del Saiyan, la cui intenzione fu chiara. Evitare l’ennesima
seccatura. “Puoi scordartelo” promulgò risoluto tornando a girasi, sparendo
oltre la porta. Prima che lei potesse aggiungere una sola sillaba di più.
*
Chissà perché in tutta la
sua vita non aveva mai pensato ad imparare quel particolare ballo. Forse perché
da giovane le appariva come una danza vecchia e logora. Forse perché con gli
anni aveva scelto un partner sicuramente poco incline a questo genere di cose.
Forse per entrambi i motivi.
Buffo cominciare a scoprire
questo ballo alla veneranda età di cinquantun’anni, ma come sempre lei si
trovava a fare le cose in maniera decisamente poco ordinaria. Insomma, a sedici
anni aveva altro a cui pensare.
Le sue riflessioni la
seguivano ad ogni passo, costringendola ad assumere espressioni facciali varie,
dai cambiamenti repentini. Le sopracciglia si increspavano per pochi secondi,
poi a seconda delle sue meditazioni si inarcavano, mentre la sua bocca si
piegava in un sorriso.
Lo sguardo, fisso sulle
lastre del pavimento, denotava inoltre una notevole concentrazione che la donna
poneva alle sue ponderazioni. Fortuna che casa sua, benché fosse un labirinto,
riusciva a percorrerla ad occhi chiusi, o almeno in un paio di occasioni si
sarebbe ritrovata a sbattere contro ornamenti o spigoli vari. Le fu pertanto
molto facile raggiungere la cucina senza prestare troppa attenzione al
circondario.
Quando decise infine di
sollevare i suoi luminosi occhi azzurri dalle piastrelle sottostanti si ritrovò
essere in cucina. La prima cosa di cui si accorse fu la solitaria presenza
seduta al tavolo. Vegeta, infatti sembrava immerso nella lettura del quotidiano
del primo mattino. Che lo contemplasse seriamente o che semplicemente osservasse
vago il suo contenuto era sempre stato un mistero, persino per Bulma.
Lei si limitò a scrutarlo
per alcuni istanti, mentre i raggi del timido sole mattutino lo illuminarono
leggermente. L’effetto ottico era che l’uomo fosse assorto completamente dalle
parole del giornale adagiato sul tavolo, nella sua interezza. La tazza che
reggeva in mano, inoltre, gli conferiva paradossalmente un aspetto quasi
intellettuale. Soprattutto mentre sorseggiava di tanto in tanto il suo caffè,
rigorosamente amaro all’inverosimile.
Bulma restò sulla soglia a
guardarlo per alcuni secondi, poggiando una mano sullo stipite. Divertita
dall’immagine contrastante che le trasmetteva quella situazione assai bizzarra.
Vegeta non era il tipo da discorrere sui fatti del giorno e sicuramente vederlo
con un giornale per le mani lo rendeva quasi buffo. Se non altro per la
reputazione da guerriero burbero e spietato che si ostinava a voler mantenere a
tutti i costi.
Sorrise, compiendo un primo
passo all’interno della stanza. L’uomo al contrario non si mosse, continuando a
tenere lo sguardo fisso sul pezzo di carta. Con ogni probabilità, di lei, si era
già accorto da un diversi minuti. Presumibilmente prima ancora che facesse
capolino da dietro l’uscio. “Buongiorno” lo salutò la donna, avvicinandosi al
tavolo e posando una mano sulla sedia a lei più vicina. La sola cosa che ottenne
in risposta fu uno strano ed indecifrabile balbettio, interpretabile con ogni
probabilità come una sottospecie di saluto alquanto primitivo. Non uno sguardo,
tuttavia. Il Principe dei Saiyan non scostò la sua attenzione dalle notizie del
giorno, sorseggiando il suo caffè come se nulla fosse.
Nello strano rituale che
avveniva quasi ogni mattina non veniva contemplata la possibilità, da parte di
Bulma o chi per lei, di essere informati sul contenuto giornalistico. Le
risposte venivano costantemente farfugliate o brontolate senza dare la
possibilità ai suoi interlocutori di comprendere una sola sillaba. Per questo, a
sua insaputa, tra i componenti della famiglia si era aperta una specie di
scommessa silenziosa, nella quale venivano supposte le più svariate teorie
riguardanti Vegeta ed il suo giornale.
La donna lo sbirciò con la
coda dell’occhio, accomodandosi al suo fianco. Con movimenti lenti, studiati ed
ormai istintivi, si posò una mano sotto il mento restando a fissare il consorte
per diversi secondi. Questa volta, un piccolo segnale da parte del taciturno
Saiyan, giunse rigoroso e silenzioso. Vegeta aggrottò le sopracciglia in un
movimento appena percettibile, restando tuttavia ancora immerso nel suo mutismo
e nella sua supposta lettura. “Che c’è?” sbottò infine, stufo di essere
l’attrazione principale del momento. Bulma lo guardò per un istante ancora,
attendendo di ottenere l’attenzione delle pupille di brace del compagno. Dovette
aspettare pochi secondi infatti, prima che il Principe le rivolgesse lo sguardo,
increspato ed irritato. Ancora pochi secondi, prima che la donna cominciasse a
muoversi con atteggiamenti collaudati negli anni. Accavallò le gambe, tirando
indietro il busto affinché la sua schiena potesse aderire perfettamente con la
spalliera della sedia. Incrociò le braccia e fissò l’uomo dritto negli occhi.
“Sai, credo tu abbia
frainteso” cominciò, suscitando un piccolo gesto di disappunto da parte
dell’altro. Vegeta arcuò un sopracciglio, consapevole che il discorso non
sarebbe andato a finire bene, non per lui almeno. “Riguardo alla festa di cui ti
ho parlato ieri. Io non intendo obbligarti a ballare” spiegò arrivando al
dunque, studiando attentamente le mosse dell’altro. Vegeta, come da programma,
sembrò infastidito dal discorso. Bulma continuò imperterrita, senza troppo
badare all’espressione del compagno, “Anche se mi piacerebbe” ammise un secondo
più tardi, tradendo una leggera punta di amarezza, appena percettibile. “Se
avessi voluto farlo non credi che avrei chiesto a te di aiutarmi ad imparare a
ballare, invece che a Trunks?” spiegò l’ovvio, sperando di cancellare almeno in
parte l’inquietudine e la preoccupazione da parte dell’uomo. “Cosa vuoi allora?”
domandò di rimando lui, decretando inconsapevolmente una piccola vittoria a
favore della terrestre.
Bulma tornò ad appuntare i
gomiti sul tavolo, reggendosi il volto con entrambe le mani. “Molto semplice.
Vorrei che tu venissi con noi a questo ricevimento, tutto qui” chiarì senza mai
distogliere gli occhi dai lineamenti del Principe.
Vegeta la guardò per un
attimo confuso, non capendo il senso di questa singolare richiesta. Lo sguardo
disorientato dell’alieno, infatti, si fissò su di lei attendendo, ancora una
volta, una spiegazione più logica di quella appena fornitagli. “E’ presto detto”
riprese lei, ascoltando la muta domanda, “Questa non è una famiglia normale.
Tu non sei normale. Quindi, per una volta, vorrei avere la sensazione di
avere una famiglia come tante altre, in mezzo alle altre. Non pretendo che tu ti
metta a ballare o a chiacchierare con gli altri. Mi basta sapere che sei seduto
a quel tavolo insieme a me e ai nostri figli” scandì in modo chiaro. Per la
prima volta dall’inizio della discussione, Bulma lasciò cadere gli occhi sul
ripiano del tavolo; immersa in spezzoni di dialogo che aveva solo pensato e che
con ogni probabilità mai avrebbero visto la luce, restando pertanto rinchiusi
nei meandri più bui della sua mente. Vegeta la fissò in silenzio, senza dar voce
ad altrettanti concetti. In silenzio si alzò dal tavolo lasciando la stanza con
tutta calma; senza aggiungere nulla. Bulma sorrise.
*
A furia di sentirla,
persino Vegeta aveva imparato a riconoscere le note di quel ballo dalle tonalità
sempre uguali, o almeno lo erano per lui. Da giorni infatti, la melodia di
quella danza risuonava tra i muri della Capsule Corporation. E Vegeta si
ritrovava, volente o nolente, ad ascoltarne l’armonia lenta e soave; delicata.
In genere, quando cominciava ad udirne le note, sapeva che in qualche luogo
della casa la sua famiglia era riunita allo scopo di imparare insieme quel ballo
dell’assurdo nome, che per la cronaca aveva già rimosso.
Quel pomeriggio non faceva
nessuna eccezione. Quando la musica cominciò a divulgarsi per i corridoi, Vegeta
sapeva che la rituale e regolare lezione aveva avuto inizio. E non gli fu per
nulla difficile scovare il luogo dove avevano stabilito di continuare
l’addestramento, poiché si trovò proprio davanti al salotto quando il brano
cominciò a suonare. Con discrezione sbirciò all’interno della sala. Silenzioso,
confondendosi quasi con l’ombra del’androne.
Trunks s’inchinò di fronte
alla madre, porgendole elegantemente una mano, che lei afferrò con altrettanta
grazia. Sullo schermo, Vegeta non poté fare a meno di notare il medesimo gesto
compiuto dai due tizi che moglie e figlio stavano cercando di emulare.
Sulle vellutate note della musica i due al centro del salone seguirono i gesti
dei loro insegnanti virtuali, senza tuttavia la necessità di porgere loro la
totale attenzione. La concentrazione dei loro occhi, questa volta, non era più
rivolta al famigerato duo trasmesso dal plasma, bensì erano concatenati tra loro
in una sorta di silenziosa complicità.
Il ragazzo sembrò
sussurrare qualcosa alla donna, che rispose con un sorriso, prima di volgere lo
sguardo ai suoi piedi. Quando Bulma tornò a guardare il figlio gli mormorò
qualcosa che alle orecchie del Saiyan immerso nelle tenebre non giunse che in un
leggero bisbiglio. Fu Trunks a sorridere questa volta. Sollevò poi il braccio,
senza lasciare la mano materna, facendo compiere alla donna una specie di
giravolta. Sempre eseguita in sintonia con ciò che trasmetteva il televisore.
Vegeta restò ad osservarli
per tutto il tempo, celando la propria presenza agli occhi, ma anche alla mente,
della sua famiglia. Mai una volta distolse lo sguardo, mai una volta sembrò
distrarsi da quello strano spettacolo.
Fu però la piccola Bra a
porre fine alla danza, distraendo i due ballerini che si videro costretti a
volgerle la loro considerazione. La bimba, fino ad ora seduta sul divano, si
avvicinò al fratello maggiore allungando verso di lui le piccole mani. Il suo
intento fu chiaro anche allo spettatore misterioso, data la semplicità e la
chiarezza dei gesti.
Trunks fu dunque costretto
a lasciare la madre, chinandosi successivamente per stringere tra le braccia la
sorellina che sembrò molto soddisfatta. Bulma scompigliò la chioma azzurra della
figlia con una mano, bisbigliandole qualcosa che suscitò l’entusiasmo della più
piccola. Bra sollevò le mani per aria, dimostrando una certa impazienza mista a
fervore. La madre della bambina le sorrise, regalandole un piccolo bacio sulla
fronte. Successivamente si rivolse al primogenito, con l’intento di suggerirgli
qualcosa. Trunks annuì, intenzionato a rassicurare la madre. Infine Bulma si
allontanò, lasciando da soli i suoi figli; mentre Trunks afferrò delicatamente
la manina della sorella, sorreggendola, senza fatica, con l’altro braccio.
Bulma uscì dalla stanza, ma
a pochi passi dall’uscio si vide costretta a fermarsi. Con sorpresa sollevò lo
sguardo, scoprendo solo in quel momento la presenza del compagno nascosto dietro
la porta. Bulma e Vegeta si guardarono semplicemente negli occhi, parlando in
silenzio.
*
*
Il giovane Trunks Brief
scrutò la propria immagine riflessa nello specchio posto accanto all’ingresso.
Le sue mani si mossero con maestria, allo scopo di legare attorno al collo
un’elegante cravatta. Che il ragazzo fosse di buona famiglia era chiaro. Bastava
un solo sguardo agli abiti per capire che i suoi indumenti non erano certamente
stati comprati al mercatino. Capi firmati e d’alta moda, tutti vistosamente
costosi. La cravatta, appunto, era solo l’ultimo tocco di un abbigliamento che
dava al giovane un aspetto ben curato e preciso.
Stringendo il nodo accanto
alla gola si assicurò che fosse ben legato. Successivamente si contemplò,
studiando la propria immagine riverberata, per assicurarsi di essere
perfettamente in ordine. Si rassettò l’elegante giacca, garantendosi che
restasse perfettamente al proprio posto.
“Trunks” lo richiamò una
voce autoritaria a pochi passi dal ragazzo, che si voltò incrociando lo sguardo
con il padre. In quell’istante, il giovane Saiyan, si rese conto di quanto
raramente aveva visto il genitore indossare abiti così formali. In tutta la sua
vita, Vegeta, doveva aver portato quegli indumenti sì e no due o tre volte al
massimo. Che non fosse abituato a portarli, tra l’altro, era chiaro al primo
sguardo. Visibilmente a disagio infatti, sembrava quasi soffocare dentro quella
camicia. Eppure, nonostante l’impiccio dei suoi abiti, non si poteva certo dire
che l’uomo perdesse il suo portamento, anzi. Con addosso un’inconsueta camicia e
una giacca dimostrava più apertamente la sua innata regalità. Spesso, i vestiti
che portava, sembravano nascondere la sua nobiltà. Era un Saiyan, su questo non
si discuteva, ma era pur sempre un Principe. Forse, se la sua stirpe non si
fosse quasi completamente estinta, lui sarebbe apparso un vero Re con indosso
quelle vesti. Il suo modo di comportarsi normalmente tuttavia, non veniva celato
dietro quei panni. Il suo modo altezzoso ed orgoglioso di essere non veniva
certamente dimenticato, al contrario. Anche il suo carattere sembrava venir
valorizzato. Come se il suo essere burbero e scorbutico, ed altri difetti della
sua persona, sparissero al cospetto del suo lignaggio sfarzoso.
“Che c’è, papà?” gli
domandò il figlio, scrutando attentamente le pupille profonde del genitore.
Vegeta sembrò esitare per diversi istanti. Scostò altrove lo sguardo, in una
strana contemplazione del muro. Trunks non impiegò molto a comprendere
l’indecisione del padre, era chiaro che qualcosa gli frullasse per la mente.
Altrettanto lampante era la sua titubanza nel domandare. Chiedere favori non era
mai stato il suo forte. “Papà! Guarda, papà!” richiamò ora la sua attenzione la
figlia più piccola. Bra scesa di corsa le scale, nel suo elegante vestitino.
Orgogliosa di aver indossato quel bellissimo abito, che sua madre le aveva
promesso un po’ di tempo prima. Sul suo volto traspariva una leggera vanità, ma
né il padre né il fratello sembrarono accorgersene.
Bra, una volta raggiunto il
genitore, gli tirò il lembo dei pantaloni, affinché egli guardasse nella sua
direzione. Quando infine Vegeta si decise a prestarle interesse, la piccola face
una giravolta su se stessa, allo scopo di mostrargli l’intero abitino. “Ti
piace, papà?” gli domandò fissando speranzosa i lineamenti duri e marcati
dell’uomo sempre imbronciato. Il padre la guardò per un secondo solo.
Interiormente pensò che la sua bambina era la più bella del mondo, anzi
dell’intero universo; esteriormente si limitò a grugnire come sempre faceva,
senza dar adito ad alcuna emozione. Bra restò a fissarlo diversi attimi ancora,
fiduciosa. Prima che gli occhi colmi di ammirazione della bambina si
dipingessero di delusione. Il fratello optò per un pronto intervento. Trunks si
chinò per essere all’altezza della piccola, accarezzandole gentilmente il capo.
“Sei davvero la mia sorellina? Con questo abito sembri già una bella signorina,
quasi non ti riconoscevo” si congratulò con cordialità il ragazzo, regalando
alla bambina uno splendido sorriso che la contagiò di conseguenza. Bra puntò un
piede al suolo, ondeggiando in segno d’imbarazzo; o per meglio dire di baldanza.
Trunks carezzò ancora le
ciocche di capelli azzurri della piccola, poi rivolse lo sguardo al padre, “Vero
che è carina, papà?” domandò, in attesa e nella speranza di un qualsiasi cenno
positivo da parte del genitore. Vegeta, tuttavia non sembrava connesso col
pianeta Terra. Lo sguardo distratto e distante, rivolto ad un punto non
identificato della stanza. Pur restando imbronciato, il suo sguardo risultò
quasi sorpreso, in uno stato di apparente coma. I figli si scambiarono
un’occhiata perplessa. Altrettanto in sintonia, i due Saiyan meticci si
voltarono nella direzione in cui i suoi occhi stavano guardando; scoprendo ben
presto che anche la madre stava facendo la sua comparsa.
Lenta, un passo dopo
l’altro e con movimenti flemmatici, Bulma scese le scale facendo ben attenzione
ad ogni movenza. L’abito lungo rischiava di finirle sotto i piedi ad ogni gesto;
inoltre i tacchi, non eccessivi per non sminuire il suo cavaliere dall’altezza
contenuta, richiedevano una notevole concentrazione durante la sua discesa.
“Wow, mamma! Sei
bellissima” si congratulò il figlio maggiore, non riuscendo a contenere lo
stupore una volta che lei raggiunse la famiglia. “Grazie tesoro” lo ringraziò
lusingata; regalandogli uno splendido sorriso. “Trunks dice che sono bella
anch’io, sai mamma?” intervenne ora la più piccolina, e Bulma rivolse un sorriso
anche a lei. “Lo so tesoro, sei proprio un amore con questo abitino” si
congratulò a sua volta, orgogliosa di quanto la figlia fosse bella ed elegante a
suo modo. Infine, dopo aver vagato con lo sguardo tra i due figli, si rivolse al
compagno, ancora in stato di semi-incoscienza. “Allora? Tu non mi dici niente?”
gli domandò, risvegliandolo dal suo torpore. Vegeta si riscosse improvvisamente,
ricordandosi dove fosse, ma soprattutto chi era. Pertanto “Tsk” fu la sua
sola risposta, accompagnato da uno scatto nervoso del volto, che si rivolse
altrove. E Bulma sorrise, leggendo nella sua mente quasi come un libro aperto.
Lentamente lo scrutò, osservandolo in quell’abito scuro. Probabilmente, se non
avesse avuto più autocontrollo di lui, anche lei si sarebbe imbambolata a
guardarlo. Stava indiscutibilmente bene vestito a quel modo, se non ché…
“Vegeta, perché non hai ancora messo la cravatta?” gli domandò, notando la
mancanza dell’indumento. Solo allora, il Principe dei Saiyan, si ricordò quale
richiesta doveva fare al figlio. Con la coda dell’occhio fissò la compagna per
alcuni secondi, poi in un gesto istintivo sollevò un braccio, affinché lei
potesse vedere la sua mano e ciò che in essa era contenuta. Bulma abbassò i suoi
splendidi occhi azzurri, riconoscendo tra le dita dell’uomo l’indumento
mancante. Quando tornò ad osservare i suoi occhi, mentre lui ancora si ostinava
a non guardarla, si ricordò che la sua mancanza in fatto di cravatte era
plausibile, oltre che giustificata. Comprensibile che il Principe della razza
guerriera non conoscesse un capo d’abbigliamento così prettamente terrestre.
Altrettanto logico che il poveretto in questione non sapesse allacciarla. Di
fatto nemmeno molti terrestri riuscivano nell’impresa.
Bulma poggiò delicatamente
le dita sulla mano dell’uomo, sfilando l’indumento. Con altrettanto garbo gli
sfiorò il volto, costringendolo a guardarla negli occhi. Gli sorrise,
dolcemente, portando la cravatta attorno al collo dell’uomo che rimase immobile.
Vegeta fissò le mani della consorte annodare il misterioso capo d’abbigliamento
in maniera saccente e veloce. In quell’istante i due sembrarono immersi in un
mondo che apparteneva solo a loro, dimenticandosi di tutto il resto.
*
La sala sembrava immensa,
persino per una persona abituata a vivere nell’edificio più grande di tutta la
Città dell’Ovest. Luminosa e sfarzosa, con i suoi ornamenti in oro che
luccicavano sotto i raggi degli immensi lampadari appesi all’enorme soffitto.
I tavoli, invece, erano
disposti ai margini del salone, affinché la parte centrale, la pista da ballo,
risultasse libera da impacci di ogni genere. In un angolo il piccolo palco,
piccolo rispetto al resto della hall, sulla quale suonava una minuta orchestra,
rigorosamente dal vivo.
Per il resto… tutta gente
monotona e tediosa che parlottava di cose altrettanto lagnose. Uomini attempati
che interloquivo sui soldi o sulle loro presunte aziende. Accanto ad ognuno di
loro donne grasse e ingioiellate, o magre e altezzose. Con i loro figli,
altrettanto superbi da mandare in bestia una persona sana di mente al sol
guardarli. O meglio, ad irritare un Saiyan visibilmente annoiato che attendeva
un lauto pasto per compensare la mancanza di un’altra scappatoia, una qualsiasi.
Con un sonoro sbuffo, Vegeta attirò su di se l’attenzione del figlio che lo
guardo per pochi istanti; abbastanza per leggere la parola noia scritta a
lettere cubitali nella sua espressione. “Resisti papà, ancora un paio d’ore e
sarà tutto finito” gli sussurrò nel tentativo di rassicurarlo.
Ancora un paio d’ore?!
Perché? Da quanto tempo era già seduto a quello stupido tavolo ad aspettare di
potersene andare? Gli occhi del Principe si scostarono sull’enorme orologio, in
linea con tutto il resto, posto su una delle pareti della sala. Solo un’ora! Era
passato appena così poco da quando si era seduto a quel tavolo?! Mai come in
quel momento, Vegeta ebbe la sensazione che il tempo potesse realmente uccidere.
Un ringhio contrariato
risultò più come una mesta rassegnazione che una reale risposta alle parole del
primogenito. Trunks non riuscì a trattenere una risatina appena percettibile.
Sicuramente non dal padre, vista la condizione disastrata in cui versava.
Con lo sguardo Vegeta
scrutò tutta la sala, che ormai conosceva in ogni particolare; tanto l’aveva
esaminata. Infine i suoi occhi catturarono l’immagine della compagna immersa in
una di quelle conversazioni che, lui, avrebbe volentieri evitato. Ok, lui le
evitava tutte le conversazioni, ma questa era un’altra questione.
Bulma, nel frattempo,
disquisiva con quelle persone che Vegeta aveva catalogato come vecchi barbosi,
ma che lei sembrava conoscere. Improvvisamente il Saiyan si rese conto che della
vita lavorativa della donna conosceva ben poco. Altrettanto lucidamente si
appuntò mentalmente che se questo era il suo impegno mai avrebbe dovuto
chiedere informazioni; ancor meno del solito.
Su di lei indugiò per
diversi minuti, domandandosi cosa avesse di così importante da dire a quelle
persone e, soprattutto, registrò i volti di quei vecchiacci che sembravano avere
troppa confidenza per i suoi gusti. Scostò lo sguardo solo quando la vide
avvicinarsi nuovamente al tavolo, dissimulando la più totale indifferenza. Che
Vegeta fosse un pessimo attore, e che malamente riusciva a nascondere i suoi
sentimenti, almeno agli occhi della consorte, gli risultò purtroppo fatale. A
Bulma infatti bastò un solo sguardo per comprendere chiaramente cosa stava
confabulando lo scorbutico Principe.
Si fermò un istante, prima
di avvicinarsi definitivamente al tavolo, appoggiandosi solo una mano al fianco.
Il capo si reclinò leggermente, allo scopo di studiare ogni minimo gesto del
compagno. A distrarla fu una mano che si posò delicatamente sulla sua spalla,
costringendola a girarsi leggermente. Ai suoi occhi si presentò un giovane
benvestito che si prostrò a lei con un piccolo inchino e porgendole una mano.
“Mi concede questo ballo?” domandò galante, sbirciando l’espressione della donna
da dietro alcune ciocche di capelli che gli ricadevano sul viso. Bulma sorrise,
posandosi delicatamente un dito alle labbra, assumendo un atteggiamento
falsamente pensieroso. “Mm… non saprei, sa mio marito è parecchio geloso”
spiegò, incrementando il tono di voce sull’ultima parola, affinché anche al
tavolo quella frase giungesse chiara e limpida.
Un infastidito grugnito
bastò per convalidare la parole della donna, che consapevole di avere la ragione
dalla sua parte rise divertita. Tuttavia non si lasciò sfuggire l’occasione,
riconoscendo le note di un Valzer, afferrando quindi la mano che le veniva
porta. Trunks, stringendo le dita della madre tornò ad assumere una postura
dritta, regalandole un sorriso gentile, ma divertito al tempo stesso. Assieme si
allontanarono verso la pista da ballo.
Vegeta si limitò a guardare
moglie e figlio allontanarsi mano nella mano, immergendosi nei propri pensieri
senza tuttavia renderli palesi agli altri. Al suo fianco il vocio degli altri
commensali sembrò distrarlo per un secondo. Lanciando una singola occhiata alla
figlia intenta a parlottare con i coniugi Brief.
*
Le note della musica
accompagnavano dolcemente i due ballerini che, sospinti dalla soave melodia, si
lasciarono cullare dai movimenti dei loro passi. Pareva quasi che fosse
l’armonia a farli ondeggiare, come essere oscillati dalle onde del mare.
Bulma guardò negli occhi il
suo cavaliere, sorridendogli dolcemente con uno sguardo materno, fiera del suo
bambino. “Ti ringrazio per tutto questo, Trunks” non poté fare a meno di
dire, stringendosi di più a lui in un tenero abbraccio. Il ragazzo le mostrò a
sua volta uno splendido sorriso, “Lo faccio con piacere mamma, lo sai” le
ricordò ovvio e assolutamente sincero. “Lo so” concordò la madre, poggiando
delicatamente la testa sulla spalla del figlio. E Trunks si inebriò del profumo
materno tornando indietro negli anni. Per pochi istanti si ricordò la sua
infanzia e quell’aroma che l’aveva sempre accompagnato nei momenti felici ed in
quelli tristi. Quando un abbraccio di sua madre bastava per farlo sentire un
bambino felice. In quei momenti, stretto tra le braccia affettuose di sua madre,
assieme a parole che gli sussurrava in un orecchio, pensava che andava tutto
bene.
*
Vegeta osservò schifato
quello che gli era appena stato servito nel piatto. Un lembo del labbro si curvò
disgustato, senza smettere di fissare quella strana cibaria. Le braccia conserte
sembravano conferirgli una notevole contrarietà per quello che doveva essere il
suo pasto. Non cercò nemmeno di nascondere il disappunto; talmente palese da
renderlo quasi buffo, al cospetto con quel pezzo di carne che si ostinava a non
voler gustare.
Al suo fianco, Bulma gli
rivolse lo sguardo, intenta a constatarne l’umore. E se di solito era costretta
ad interpretarlo, in questa occasione non ne ebbe alcun bisogno. “Tesoro, se
continui a fissarla non diventerà mai più grande di così” gli ricordò. Vegeta,
per tutta risposta, si limitò a brontolare sommessamente. Se per un terrestre
quella era una bistecca in grado di saziarti pienamente, per un Saiyan non
bastava neanche a placare la fame. Per tal motivo, la grossa e succulenta
braciola, non sembrava essere di gradimento per uno scimmione affamato. “In
questo posto morirò di fame” si lasciò andare ad un leggero vittimismo, l’uomo
dallo stomaco più simile ad una voragine oscura.
Di fare il bis non se ne
parlava, aveva già chiesto gentilmente al cameriere di servirgli alto,
qualcosa di meno striminzito. Ma il terrorizzato dipendente aveva affermato che
le porzioni erano limitate e che dovevano bastare per tutta la sala. In poche
parole, la situazione non poteva essere peggiore di così, per il povero Vegeta.
“Andiamo, smettila di lamentarti, appena torniamo a casa ti preparo
qualcos’altro. Però, mentre siamo qui, fingi almeno che quello che hai
nel piatto ti basta” si offrì la compagna, constatando l’umore nero dell’uomo,
che con l’andare del tempo sembrava solo peggiorare. La risposta uscì dalle
labbra del Saiyan in un brontolio incomprensibile, che la donna interpretò, per
suo comodo, come un’affermazione positiva alla proposta.
Ancora intento a lamentarsi
e a mugugnare tra sé, insulti rivolti a fantomatici terzi, Vegeta non si accorse
della piccola figura che si avvicinò alla sua sedia. Una manina gli strattonò i
pantaloni, nella speranza di essere presa in considerazione dalla pentola di
fagioli con lo sguardo annoiato. Il Principe dei Saiyan si scoprì ben presto ad
osservare la figlioletta, che posatasi un dito alle labbra osservò il padre con
uno sguardo supplichevole. Gli occhi della piccola Bra, l’arma più pericolosa
per l’indifeso genitore, lo fissarono per diversi secondi. “Papà, voglio ballare
anch’io” mormorò dolcemente, affinché il padre cedesse alla sua richiesta.
Il fatto di essere, a suo
dire, a stomaco vuoto non giocò a vantaggio della piccola Saiyan, che si vide
rispondere con uno scontroso “Che vuoi da me? Chiedilo a qualcun altro!” seccato
ed irritato all’inverosimile. Fu Bulma a porre fine alla discussione tra i due,
attirando l’attenzione della bambina. Delicatamente le accarezzò il capo,
costringendola a rivolgerle uno sguardo. La afferrò delicatamente, lasciandola
accomodare sulle proprie ginocchia; scostandole una ciocca di capelli che le
copriva gli occhi azzurri. “Lascia perdere tuo padre, tesoro, non disturbarlo
per il momento” disse, nel tentativo di far desistere la principessina. Sul
volto di Bra, tuttavia, si dipinse una notevole delusione, che anche il fratello
maggiore non poté fare a meno di notare. Trunks si alzò dunque dal proprio
posto, raggiungendo la sorellina comodamente seduta sulle gambe della madre. Il
giovane Brief si inginocchiò, per guardare dritto negli occhi della bambina.
“Ehi, signorina, ti va di ballare con me?” le propose ammiccando. Bra guardò la
madre per un secondo, in attesa di ricevere il suo consenso; e Bulma si limitò
ad annuire aiutandola ad appoggiare nuovamente i piedini al suolo. “Vai” la
autorizzò. Il volto di Bra si illuminò, volgendo successivamente lo sguardo al
fratello. Senza ulteriori indugi gli afferrò una mano, strattonandolo nel
tentativo di trascinarlo verso la pista. “Accidenti, oggi ho davvero successo
con le donne” scherzò il ragazzo allontanandosi in compagnia della sorellina.
“Fai attenzione, mi raccomando Trunks!” si premurò di ricordargli una madre
apprensiva, prima di vederli sparire. Il gesto della mano che il figlio le
rivolse fu un chiaro modo di rassicurarla.
Ad attirare nuovamente
l’attenzione della donna fu, questa volta, il compagno. Vegeta, stufo di stare
seduto senza nulla da fare, optò per una piccola fuga; o quantomeno una pausa.
Senza dire una sola parola si alzò dalla sedia allontanandosi dalla sala. Bulma
lo vide avviarsi verso l’enorme terrazza adiacente alla hall.
*
In un gesto istintivo, le
pupille nere dell’uomo si scostarono sul cielo del medesimo colore. Le stelle,
quella notte, scintillavano luminose; dando quasi la sensazione che qualcuno le
avesse meticolosamente disposte nella volta celeste. A vederle così, da lontano,
Vegeta cascò quasi nell’inganno. Lui, che quegli astri li aveva percorsi per
anni, fu preso alla sprovvista dalla notte. Illudendosi, per qualche istante,
che quelle lassù fossero davvero solo piccole luci, non dei Pianeti. Quella sera
si sentì quasi terrestre. Infagottato in abiti per lui non consueti, seduto in
una sala della quale avrebbe preferito non conoscerne l’esistenza, sfamato da
pasti per lui striminziti. Ed infine, beffato dalla luce delle stelle. Eppure,
nemmeno per un istante aveva vagliato la possibilità di volare lontano da quel
luogo. Chissà perché poi.
“Brr… che freddo qua
fuori!” debuttò una voce a lui ben nota. Vegeta nemmeno si girò; restando
appoggiato alla ringhiera della terrazza, con lo sguardo fisso alle stelle.
Bulma, che aveva raggiunto il compagno, si strinse nelle spalle rabbrividendo
visibilmente. “Vegeta, dammi la tua giacca per favore” gli supplicò,
avvicinandosi alla balaustrata.
Fu solo in quel momento che
il Saiyan le rivolse uno sguardo, anche piuttosto seccato. “Scordatelo, se hai
tanto freddo perché non te ne torni dentro” sbottò scorbutico, incorniciando le
braccia e tornando a volgere altrove i suoi occhi scuri. “Non fare il tirchio!
Tu non lo soffri nemmeno il freddo! E poi non ho voglia di tornare in sala”
s’impose la donna, testarda come sempre. Vegeta sbuffò contrariato, aggrottando
le sopracciglia in maniera piuttosto risentita.
Seguì solo un secondo di
silenzio, nella quale anche Bulma scostò lo sguardo al cielo. “Wow, hai visto
che belle stelle ci sono stasera?” domandò più a se stessa che non al suo
interlocutore, “Però fa terribilmente freddo!” tornò a lamentarsi; rabbrividendo
un secondo più tardi, ricordandosi della temperatura. Improvvisamente tutto
divenne nero, poiché qualcosa le finì sul capo. Svelta si liberò della nuova
creatura che l’aveva assalita, scoprendo ben presto che, l’essere, non era altro
che la giacca del compagno. Bulma gli rivolse i suoi occhi azzurri, osservando
la classica posa a braccia incrociate e sguardo indispettito del Saiyan. Un
leggero sorriso non poté fare a meno di abbellirle lo sguardo, constatando
ancora una volta l’imprevedibilità dello scontroso Principe. “Grazie” gli
sussurrò, ottenendo solo qualche parola incomprensibile di rimando. A giudicare
dal tono, tuttavia, fu decisamente meglio non comprendere le sue parole; molto
probabilmente insulti riservati alla donna stessa.
All’interno della sala le
note di un Valzer cominciarono a risuonare dolcemente. Bulma si allontanò dal
parapetto, portandosi al centro della terrazza. Vegeta, invece, non si mosse di
un solo millimetro, concentrato solo sui suoi pensieri. “Vegeta, vorrei ballare
con te” confessò la terrestre, riscuotendo l’uomo da tutte le sue elucubrazioni.
Il Principe dei Saiyan sgranò gli occhi, in un primo momento. Colto alla
sprovvista dalla singolare richiesta impiegò più tempo del previsto prima di
poter pensare alle parole da dire. Appena riuscì a collezionare nella propria
mente quanti più insulti possibili si voltò di scatto, pronto a una sequela di
ingiurie rivolte alla donna. Quando si ritrovò a guardarla, tuttavia, le parole
gli morirono in gola. Lei, senza attendere un’eventuale risposta, che sapeva
essere negativa, chiuse gli occhi cominciando la sua danza. Nella mente della
ballerina solitaria l’immagine di un accompagnatore ideale sembrò chiara e
tangibile. Per Bulma fu come essere abbracciata all’uomo che, con sguardo
sgomento, la fissava poco distante. La giacca appoggiata sulle proprie spalle
non faceva che avvalorare questa strana ipotesi. L’odore del suo profumo la
inebriava ad ogni passo, dandole l’illusione che la stesse dolcemente seguendo.
Bulma focalizzò nella sua mente il corporatura dell’uomo, sentendolo sotto le
sue dita. Stetti in un fantomatico e fiabesco abbraccio che viveva solo nella
sua mente.
La finzione aveva però un
fondo di verità. Gli occhi di Vegeta non smisero mai di seguirla, come se
davvero la stesse accompagnando. E nemmeno se avesse voluto sarebbe riuscito a
distogliere i suoi occhi profondi da lei. Illuminata dalla luce delle stelle
sembrava anche più belle di loro, che dall’alto la guardavano con invidia. Il
suoi muscoli sembrarono soffocati, non in grado di muoversi. Anche lui, per una
specie di riflesso, si ritrovò a ballare; solo mentalmente. Era con lei,
stringendola tra le braccia come a non volerla lasciare. In quel momento,
entrambi, sperarono inconsciamente che la musica non finisse mai. Che le note,
così tenue e candide, trasportarono la coppia in qualcosa di magico; in un mondo
inventato. Sincronizzato nelle loro teste la danza continuava. Oltre l’occhio
umano, loro erano insieme.
Quando il brano finì tutto
divenne silenzioso. Poiché entrambi parvero spaventati all’idea di disperdere
quell’atmosfera creata ad arte. Bulma si fermò, restando immobile, temendo quasi
di aprire gli occhi. Respirò profondamente, inspirando il profumo forte e deciso
che emanava la giacca del compagno. Poi, lentamente, riaprì le palpebre,
constando con sorpresa che lui era lì; come se ci fosse sempre stato. Vegeta si
era avvicinato silenziosamente, fermandosi a pochi centimetri dalla donna,
ascoltando il ritmo del suo respiro che sembrò rilassarsi. E Bulma sorrise,
crogiolandosi nella sensazione che quel ballo non era stato solo un’illusione.
“Se qualcuno ci avesse visto, domani saremmo su tutti i giornali” gli sussurrò
lei, in un tono un po’ scherzoso. Le sue braccia sottili strinsero a sé l’uomo,
questa volta concretamente. Gli posò il capo sul petto, ascoltando il ritmo del
suo cuore, lasciandosi cullare dal suo battito regolare. Vegeta a sua volta
inspirò l’armonioso profumo della consorte. Le sfiorò la soffice pelle di una
guancia, costringendola a guardarlo. E mentre i loro occhi si scrutarono a
vicenda, loro tornarono a viaggiare con la fantasia, insieme. Nuovamente avvolti
in un mondo che apparteneva solamente a loro. Sancendo con un bacio la reciproca
promessa di non condividere quel luogo fantastico e quelle sensazioni con
nessun’altro. Così come era sempre stato. Perché, in realtà, quel mondo non era
solo un’illusione.
*
FINE
*
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