Arroganza
e Tenacia
Capitolo 1.
Ho
sempre amato l’atmosfera che riesce
a regalare la notte, con il suo cielo stellato. Di giorno è
diverso, alzi lo
sguardo verso l’alto e vedi solo nuvole. Ma la notte, la
notte ha qualcosa di
magico. Sin da piccola ho sempre guardato quei puntini luminosi
immaginando che,
uno di loro, fosse in realtà mia madre. Sì,
perché lei è lassù da ormai
vent’anni. E’ morta dandomi alla luce, non ho alcun ricordo di lei.
Mio padre non ha
mai voluto parlarmene, sebbene più volte l’ho
implorato di raccontarmi
qualcosa. Lui mi ritiene responsabile della sua morte, e me
l’ha sempre
manifestato a voce . E anch’io, a dir la verità,
mi ritengo responsabile.
Quando tua madre muore dandoti alla luce non puoi non pensare di averla
uccisa
tu.
L’odio
che mio padre nutre nei miei
confronti non è dovuto solamente alla morte di mia madre, ma
anche al fatto che
avrei dovuto essere un maschio. Lui è un importante
imprenditore e la sua
società è sempre stata, di generazione in
generazione, in mano ai Manfredi. E
purtroppo sono nata io, vale a dire una femmina, che comunque dovrei
ereditare
tutto io. Mio padre ha solo una sorella, la quale ha avuto due figlie
femmine:
Valentina e Daniela. Per fortuna che ho loro due, mi fanno sentire meno
sola.
Valentina
ha diciassette anni e, da
quando ne ho memoria, siamo state sempre insieme, come sorelle.
Daniela,
invece, ha dieci anni ed è una piccola peste. E’
una bimba impicciona, vuole
sapere ogni cosa, e non smette un attimo di parlare. Comunque non posso
negare
che riesca a rallegrare anche le mie giornate più grigie.
«
Rosemary! »
«
Eh? Sì,
scusa, mi ero un attimo persa. »
«
E’ già la
terza volta, stasera »
mi fa notare la piccola Daniela.
«
Come siamo
puntigliose »
scherzo, girando la pagina del libro
che le stavo leggendo.
«
E vorrei
vedere, ti fermi nel bel mezzo della storia e inizi a guardare dalla
finestra
come un ebete. »
«
E’ la
ventesima volta che la leggiamo »
le faccio
notare.
«
Quanto sei
esagerata, sarà la quarta volta. E comunque a me piace. »
«
E perché non
te la fai leggere da tua sorella? »
«
Quella lì che
sta dormendo come un ghiro da due ore? »
Mi
giro quel tanto basta per scorgere
Valentina appollaiata sul lettino attaccato alla parete,
dall’altra parte della
stanza. Quella ragazza dormirebbe ventitré ore su
ventiquattro.
«
Beh, non hai
tutti i torti »
le dico, trattenendo a stento una
risata.
«
Rosemary,
posso chiederti una cosa? »
«
Certo,
piccolina, dimmi pure. »
«
Secondo te il
Principe Azzurro esiste? »
La
guardo per qualche secondo,
impreparata alla domanda. Dalla mia poca esperienza non saprei proprio
cosa
dire. All’età di tredici anni, mio padre, ha
deciso di mandarmi in un collegio
di suore. Sono uscita da lì a diciotto anni, vale a dire tre
anni fa, e di
ragazzi ne so poco e niente. Tuttavia
il
mio essere sognatrice mi tradisce.
«
Secondo me
sì. Esiste un ragazzo gentile, educato, dolce …
comprensivo. Non sarà proprio
un principe azzurro, ma perché non dovrebbe esistere alla
fine? »
«
Tu vorresti
un ragazzo gentile, educato, dolce e comprensivo? »
Abbasso
gli occhi per l’imbarazzo, «
non lo so, beh … basta che non sia arrogante, prepotente e
… odioso. Comunque
dovrà essere il mio vero amore. Lo so, sarò anche
stupida, forse l’amore
neanche esiste, ma … a sperare non ci perdo nulla. »
«
Io credo che il
mio Principe Azzurro sia Mattia. »
«
Ah davvero? »
le chiedo, curiosa.
«
Sì. E’ biondo
con gli occhi azzurri. E’ ovvio, il mio Principe è
lui. »
«
Ma non è
troppo presto per te, piccolina? »
«
E mica io
sono scema come te. »
«
Dormi, adesso
»
le dico, accarezzandole la fronte.
«
Sì »
biascica, facendo un grande sbadiglio «
non so se sia
più scema mia sorella o tu. »
Scuoto
la testa, mentre lei chiude gli
occhi e si lascia andare al mondo dei sogni. Sospiro guardandomi
intorno e, nel
frattempo, rifletto alle parole di Daniela. Chissà se un
giorno incontrerò
davvero l’uomo dei miei sogni, oppure rimarrò a
sognare, come sempre.
Esco
dalla camera per andare a
prendere un bicchiere d’acqua e, alla fine del corridoio, mi
imbatto proprio in
mio padre.
«
Cosa ci fai
ancora alzato? »
«
Ti stavo
aspettando. »
«
E come sapevi
che sarei uscita dalla camera? »
«
Lo fai tutte
le notti. »
Ah,
quindi un po’ a me s’interessava.
«
E perché mi
stavi aspettando? »
«
Sai che … da
un po’ mi frequento con una donna, vero? »
«
Ne hai
frequentate tante in questi anni. Comunque sì, so che ti
vedi con una donna. »
«
Ebbene, ti
volevo solo avvertire che da domani Melanie e i suoi tre figli verranno
a stare
qui da noi. »
«
Come? »
sbotto sbalordita. «
Come sarebbe verranno a stare qui da
noi? »
«
Ho già deciso. Volevo solo avvertirti
»
conclude, dandomi le spalle e
proseguendo
per la sua camera, senza nemmeno darmi il tempo di poter dire qualcosa.
E’
sempre stato così. Non mi ha mai
consultata, né calcolata più di tanto.
E’ già qualcosa che mi permetta di
ospitare Valentina e Daniela, il sabato, a casa nostra.
Comunque
vada, spero solo che questa
Melanie e i suoi figli siano persone buone. Un po’ di
compagnia in questa casa
era quello che ci voleva. E perché no? Mio padre potrebbe
anche addolcirsi con
una donna al suo fianco. Non voglio illudermi, probabilmente le cose
tra me e
lui non cambieranno mai.
Vorrei
tanto sapere cosa sono io per
te, Riccardo Manfredi.
***
Non c’è
niente di più fastidioso della suoneria del cellulare di
primo mattino.
Soprattutto se la canzone è tra le più rumorose
al mondo.
« Pronto? » rispondo scocciato.
« Javier Delgado, dove cazzo sei
finito? »
« Ben, accidenti a te figlio di
puttana, si può sapere
perché chiami a quest’ora? »
« Sono le undici e mezzo! E comunque
il Capo è
incazzato a morte con te. Ti vuole vedere. Ed è meglio che
ti sbrighi. »
« Ah, cazzo. »
« Puoi dirlo forte, amico. »
Chiudo
la chiamata e lancio il cellulare sul letto, senza preoccuparmi che
potrebbe
cadere e rompersi. Mi levo le coperte di sopra e, inaspettatamente, mi
rendo
conto che nel letto c’è qualcun altro. O meglio
dire, qualcun’altra.
« E tu chi cazzo sei? » borbotto guardando la donna nuda
che dorme al mio
fianco.
Sarà
sicuramente qualche puttana che ho incontrato ieri sera.
Mi
alzo, lasciandola nel letto, e vado subito in bagno a farmi una doccia.
So già
cosa mi aspetterà alla centrale, e non ho nessuna voglia di
sentire cazziatoni
da quell’imbecille del Capo.
Appena
esco dal bagno sento il campanello di casa e, con le palle girate, vado
a
vedere di chi diavolo si tratta.
« Javier, sono io. »
« Ben. Sei venuto di persona
perché temevi che non mi
sarei presentato? »
Apro la porta e lo faccio entrare,
anche se vorrei spaccare la faccia anche a lui.
« L’hai
combinata
grossa, mio caro. »
« Sì. E sai
che me
ne frega. »
Lui si accomoda in
cucina, mentre io guardo cosa c’è nel frigo.
« Questa casa
sembra una pattumiera » commenta, guardandosi attorno.
« Lo so. »
« E tu hai un
aspetto di merda. »
« So anche questo.
»
Poi non lo sento
più parlare. Solo dopo qualche secondo mi rendo conto che
Ben ha appena visto
passare una donna nuda davanti ai suoi occhi.
« E quella chi
era? »
« Boh. »
« Come boh? »
« Una che ho
incontrato ieri sera. Figurati, non so nemmeno il suo nome. »
« Quando ti
deciderai a mettere la testa a posto? »
« In che senso?
»
« Beh, hai
trentasei anni. Non pensi sia ora di trovarti una donna come si deve?
»
« La mia donna non
esiste. »
« Ah, davvero? »
« Una donna
talmente speciale da farmi smettere di pensare a tutte le altre? Ma
andiamo,
l’amore è soltanto un illusione e basta.
»
« Delgado, un
giorno t’innamorerai. E non avrai più via
d’uscita, credimi. »
« Ma vattene a
fanculo. »
So perfettamente
di aver sbagliato, non sono mica stupido. E capisco anche la rabbia che
i miei
superiori hanno nei miei confronti. Era una missione importante ed io
sono
riuscito a mandare tutto all’aria. Probabilmente mi
licenzieranno, ma non me ne
importa un accidenti.
Appena arrivo alla
Centrale ho gli occhi di tutti quanti puntati addosso. Devo lottare con
tutto
me stesso per non perdere la pazienza. Entro nell’ufficio del
Capo
malvolentieri, e quest’ultimo percepisce subito il mio stato
d’animo.
« Delgado. »
« Capo. »
« Non perderò
tempo a dirti quanto sei coglione. »
« Oh, grazie al
cielo. »
« Sappi solo che
per recuperare quella missione ci vorrà un duro lavoro, e in
tanti avrebbero
voglia di sbatterti fuori da qui. »
« Quindi me ne
vado? »
Lui sospira
appoggiando i gomiti sulla scrivania davanti a sé,
« eri uno degli agenti
migliori dell’FBI. Cosa cazzo ti è successo,
Javier? »
« Mi sono rotto i
coglioni. »
« Questa tua
arroganza sta iniziando a starmi stretta. Tuttavia non ti cacceremo.
»
« Ah no? E come
mai? Pensavo di averla combinata grossa. »
« Ed è
così, ma
quello che ci vuole è una punizione, per farti abbassare un
po’ la cresta. »
« Punizione? Ma andiamo,
non siamo a scuola. »
« Andrai in Italia
» m’informa di punto in bianco.
« Cosa? No. Te lo
scordi. »
« Andrai in
Italia, punto e basta. E precisamente ad Amantide. »
« Amantide? Tu
credi che, mandandomi in culo al mondo, io potrei cambiare? »
« Tieni »
prosegue, porgendomi un enorme cartella, « qui
c’è tutto quello che ti servirà
sapere per prepararti al meglio. E anche se si tratta di una piccola
missione
sta attento a quello che fai. E’ la tua ultima chance.
»
Afferro di
malavoglia la cartella « Questa me la paghi. »
« Javier … io
ho
ancora fiducia in te. »
Mi lascio scappare
un sorriso. « Non ce l’ho io per me stesso.
»
***
3
mesi
dopo ….
Delle
urla insopportabili mi
costringono ad aprire gli occhi ancor prima del suono della sveglia.
Oggi inizio
le lezioni del terzo ed ultimo anno, e avrei voluto dormire ancora
qualche
altro minuto. Le urla saranno di sicuro di Giselle e Charlotte, ogni
mattina
litigano per motivi stupidi spesso riguardanti vestiti, scarpe e cose
di questo
genere. I francesi mi sono sempre stati antipatici, per non so quale
assurdo
motivo, ma da quando Melanie e i suoi tre figli vivono sotto il mio
stesso
tetto posso dire ufficialmente che odio i francesi a morte. Pensavo che
le cose
avrebbero potuto migliorare con il loro arrivo, ma mi sbagliavo di
grosso.
Melanie
è una donna superba e assai
astuta, suo marito è morto una decina d anni fa lasciandola
da sola con tre
figli. E’ sulla cinquantina, probabilmente ha la stessa
età di mio padre. Si
sono conosciuti a Parigi, in uno dei suoi tanti viaggi di lavoro, e
hanno
iniziato a frequentarsi. Non so cosa c’abbia visto in lei,
dal primo giorno in
cui ha messo piede in questa casa il suo sguardo di ghiaccio mi ha
subito messo
in guardia. Non c’era bisogno mica di un esperto sociologo
per capire che
quella donna era interessata ai soldi di mio padre. E scommetto che lui
lo
sappia bene, Riccardo Manfredi può essere anche il peggior
padre del mondo ma
non è mica uno sprovveduto.
Dopo
aver cercato in tutti i modi
possibili di riaddormentarmi, non mi resta altro che alzarmi dal letto
e andare
a prepararmi. Come
sto per aprire la
porta del bagno ecco pararsi davanti Charles, il secondogenito di
Melanie. Lui
è anche più insopportabile delle due sorelle.
«
Spostati »
gli intimo.
«
No. »
«
Charles! »
«
Puoi urlare
quanto vuoi, ragazzina. Il bagno è mio. »
Mi
chiude la porta in faccia
ridendosela di gusto, mentre io vorrei prenderlo a schiaffi. Accidenti a lui, se aspetto
che esca dal bagno
rischio di fare notte.
Charles
ha la mia età e frequenta la
facoltà di medicina. E’ il ragazzo più
vanitoso che io abbia mai conosciuto. Ci
manca poco che si metta anche lui a litigare insieme alle altre due per
vestiti
e scarpe.
Beh,
per fortuna che abbiamo più di un
bagno.
Sedersi
a fare colazione, da un po’ di
tempo a questa parte, è diventata ormai una tortura. Prima
c’eravamo solo io e
mio padre, che a stento ci dicevamo “buongiorno”,
adesso ci sono tre galline e
un gallo che non fanno altro che cercare di renderti la giornata un
inferno,
già di primo mattino.
«
Rosemary,
potresti mettere un po’ di trucco in viso, hai davvero un
brutto aspetto. »
E
questa è Charlotte, la più piccola
ma non per questo meno arpia. Ha diciassette anni, la stessa
età di mia cugina
Valentina. Inutile dire che Valentina, esattamente come me, vorrebbe
strangolare sia Charlotte, che il resto della famiglia. Quando ha
saputo che
quest’anno si sarebbe ritrovata la piccola di casa anche a
scuola per poco non
le prendeva un colpo. Povera Valentina.
«
Grazie, ma
credo serva più a te che a me »
rispondo con naturalezza.
E
mentre Charlotte fa una serie di
smorfie orribili, il mio orecchio non può non andare ad
ascoltare ciò che
Giselle, la maggiore, sta dicendo al telefono in questo preciso momento.
«
Giselle »
la richiama la madre «
vieni a fare colazione. »
«
Un attimo »
le risponde, per poi tornare a parlare al telefono «
Ora ti devo salutare cucciolo. Si lo so, dispiace tanto anche a me. Ti
amo anch’io.
»
Cucciolo?
Oh, per l’amor del cielo.
Quando,
dopo settecentomila “riattacca
tu/riattacco io”, decide finalmente di porre fine alla
chiamata, viene a
sedersi proprio di fronte a me.
«
Quando ce lo
farai conoscere? »
le chiede la madre.
«
Presto. »
«
E dicci
almeno come si chiama »
la implora la sorella.
«
No, lo
saprete quando ve lo presenterò. »
«
E’ bello? »
prosegue Charlotte, curiosa.
«
E’ un figo
pazzesco »
le rivela lei, ridendo come un’oca.
Non
posso proprio trattenermi nel non
fare delle smorfie. Purtroppo Giselle se ne accorge. «
E tu cosa vuoi? Sei, per caso, invidiosa di me? »
«
Per quale
motivo dovrei esserlo? »
«
Perché io ho
un fidanzato e tu no. »
«
No, tranquilla,
non è nei miei progetti. Io non devo mica fare la mantenuta
a vita. »
«
Cosa vuoi
insinuare, piccolo mostriciattolo? »
«
Che tu sei la
classica donna alla ricerca di un uomo ricco per poter vivere delle se
ricchezze, senza muovere nemmeno un dito. »
Giselle
si alza sbattendo le mani sul
tavolo, mentre Melanie cerca di calmarla.
«
Figlia mia,
lasciala perdere. E’ invidiosa, stupida, bruttina. La natura
è già stata abbastanza
crudele con lei, non trovi? »
Stringo
i pugni e con lo sguardo vado
a cercare l’aiuto di mio padre. Ma lui se ne sta con gli
occhi fissi sul giornale,
senza fare alcuna piega. Dovrò difendermi da sola.
«
E voi siete
delle arpie! »
«
Riccardo, tua
figlia è una maleducata di prima categoria. Devi far
qualcosa, tesoro. »
Mio
padre alza appena lo sguardo. E
solo quel gesto riesce a paralizzarmi del tutto. Il suo silenzio vale
più di
mille parole. Mi alzo, consapevole di essere sola in questa guerra, e
prendo le
mie cose per dirigermi all’università.
Fuori,
ad aspettarmi, c’è Geronimo, il
nostro autista.
«
Buongiorno,
signorina Rosemary. Come mai quel faccino triste? »
«
Non è niente,
ho solo dormito male. »
«
Mm, io dico
che c’entrano quelle streghe. Ascolta, piccolina, non dare
retta alle loro
cattiverie. Tu sei una ragazza così intelligente e carina.
Lasciale perdere. »
Sospiro
e annuisco. «
Questa convivenza sta diventando insopportabile. »
Durante
il tragitto in macchina
ripenso alle parole ridicole che Giselle diceva al telefono. Quella
ragazza è
di una stupidità allucinante. E’ più
grande di me di cinque anni, ed è ancora
più stupida e cattiva di Charles e Charlotte. Vorrei
prenderla da quei ricci
biondi e tirarglieli uno ad uno.
«
Geronimo,
oggi quelle arpie non hanno fatto altro che insultarmi, e mio padre non
ha
battuto ciglio. Perché mi odia? Tu lo sai? »
«
Rosemary, tuo
padre non ti odia, come devo dirtelo? »
«
Credo che
calcoli di più quei tre che me. »
«
Sai qual è il
problema? Che tu e tuo padre siete uguali. Entrambi testardi. »
«
Tenaci »
lo correggo.
«
E’ lo stesso »
replica lui con un sorriso.
Geronimo
lavora per mio padre da
tantissimi anni. Credo che lo conosca meglio di qualunque altro.
Durante
la prima ora ci viene detto
che il professore di storia si è ammalato e, per questo
motivo, ne verrà uno
nuovo. La notizia suscita una gioia immensa, in noi studenti, visto che
il professore
di storia dicono sia spietato durante gli esami.
«
Speriamo non
ci mandino uno ancora più terribile »
dico a Marina
e Anna, mie amiche da quando ho iniziato a frequentare
l’università.
«
Uno più
terribile di Vittorini? Non credo possa esistere »
ironizza Marina,
mentre tira fuori dalla borsa un panino.
«
Mangi di già?
»
le chiede Anna, un tantino disgustata.
«
Ho fame. »
«
Che novità »
scherza la mia amica, facendo sorridere anche me.
Il
primo giorno sembra passare in
fretta, manca solo la lezione di storia e poi potrò uscire
da qui. Anche se
tornare a casa non è proprio il massimo. Mentre aspettiamo
il nuovo professore,
ricevo una chiamata da parte di Valentina.
«
Vale, che
succede? Sono a lezione. »
«
Devi venire a
prendermi. »
«
Come? »
«
Ho litigato
con quella gattamorta di Charlotte. C’hanno fatte andare in
presidenza e quando
mi hanno chiesto di chiamare qualcuno ho pensato a te. Sei maggiorenne,
quindi
vieni a prendermi. »
«
Ma …
Valentina! Come faccio? Sono a lezione. »
«
Se non vieni
tu dovrò chiamare mia madre. E lo sai che sabato voglio
andare a quel concerto.
»
Sbuffo
«
E va bene,
accidenti a te. Arrivo tra poco. »
Dunque,
il professore non è ancora
arrivo, se mi sbrigo posso risolvere la faccenda e tornare in tempo per
la
lezione. Sì, posso farcela.
«
Marina, Anna,
io devo andare. Ho un urgenza, se per caso il prof arriva mandatemi un
messaggio. »
«
Okay »
risponde prontamente Anna, «
conta pure su di noi. »
Sposto
lo sguardo su Marina e la becco
mentre mangiucchia una barretta di cioccolato. «
Che c’è? »
chiede noncurante.
«
Ah! Devo
andare a prendere Valentina a scuola, e devo fare in fretta! »
le dico, mentre prendo le mie cose in fretta e furia, per poi mettermi
a
correre.
«
Corri,
Rosemary, corri! »
sento urlare alle mie spalle,
sicuramente da quella matta di Marina.
Spero
solo di riuscire a fare tutto in
tempo.
***
In culo al mondo.
Ecco la mia punizione. In culo al mondo per una missione del cazzo. Spero solo di venirci a
capo il più presto
possibile perché non voglio rimanere in questo posto neanche
per tutto l’oro
del mondo. Ed ecco che, mentre mi dirigo al mio nuovo lavoro di
copertura,
ricevo una chiamata da quel figlio di puttana di Ben.
« Javier! Come ti
butta? »
« Non fare lo
spiritoso. »
« Ah, andiamo,
è
così pessimo quel posto? »
« La missione
è la
peggiore che io abbia mai avuto in tutta la mia carriera. Quello che
non mi
dispiace affatto è che qua è pieno di donne.
»
Ride a crepapelle.
« Allora sei apposto. »
« Non vedo
l’ora
di tornarmene a casa. »
« Fai il bravo
bambino e poi potrai tornare. »
« Certo, come se
fosse facile per me. »
Scendo dalla
macchina e quasi dimentico di prendere la borsa. Guarda un
po’ che razza di
lavoro mi tocca fare. Per non parlare di questo vestito ridicolo che ho
dovuto
mettermi. Questa non è una punizione, è
cattiveria allo stato puro.
Entro nel palazzo
e cerco di orientarmi, con tutta la gente che c’è
non si capisce niente. Merda.
A quale piano devo andare? Cominciamo bene.
Mi dirigo verso l’ascensore, ma una volta
raggiunto ho una brutta
sorpresa: è guasto.
« Porca puttana,
quando torno a casa gliela faccio vedere io a quell’imbecille
del Capo. »
Non mi resta altro
che prendere le scale.
Dopo essermi fatto
due piani, arrivo al terzo e, proprio quando sto per svoltare
l’angolo,
qualcosa di non identificato mi viene addosso ed io, come un
deficiente, perdo
l’equilibrio e cado a terra. Per poco non andavo a finire per
la tromba delle
scale. Scuoto il
capo, cercando di
riprendermi dalla botta, mentre mi preparo a dirgliene quattro a questo
idiota
che m’è venuto addosso.
« Ma dove cazzo
guardi? » ringhio, un attimo prima di aprire gli occhi.
Ed è come se un
fulmine m’avesse colpito in pieno.
***
Rimango
come un’allocca a guardare l’uomo
che ho travolto durante la mia corsa. Vorrei chiedergli mille volte
scusa, ma
il suo sguardo scuro e penetrante me lo impedisce. Riesco a pensare
soltanto a
una cosa mentre lo osservo con la bocca semi aperta: per la miseria,
quant’è
bello.
Fatti
e personaggi sono puramente inventati. Non c'è alcun
riferimento con la realtà.
*Spazio autrice*
Hola! E’ la prima FanFic
che scrivo in questa
sezione. A dir la verità scrivere qui mi ha sempre
spaventato un po’ xD
Ho scritto questo capitolo di
getto, spero che vi
piaccia almeno un po’ :D
Grazie a chiunque legga!
Al prossimo capitolo
Bye
Scarl.
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