Camminavano da ore in
quella landa desolata. Il Sole era il loro peggior nemico e, nonostante
i molti
strati di cenci con cui si erano avvolti, non c'era niente che
potessero fare per contrastarne il
calore.
Il Grande
Fuoco aveva estinto milioni di specie animali e vegetali e spazzato via
millenni di progresso
nel giro di un secolo. Non era rimasto poi molto ai superstiti se non
qualche sprazzo di civiltà
concentrato nelle regioni più vicine al circolo polare
artico.
Le
città erano vecchi relitti abbandonati in oceani di sabbia
incandescente, ma gli uomini non si erano arresi davanti
alla catastrofe, adattandosi a vivere nei Formicai, piccoli agglomerati
urbani sotterranei.
In origine il
Formicaio di Korolev avrebbe dovuto essere un luogo dominato
dall'uguaglianza sociale, ma
già alla terza generazione le premesse iniziali erano state
smarrite, sostituite da un rigido sistema di
caste a cui nessuno aveva osato ribellarsi per non morire ustionato
all'ora di punta.
Maksim non era
nato per essere uno schiavo cieco e sordo davanti alle ingiustizie,
aveva dimostrato sempre buone
attitudini al comando e nonostante la giovane età era
già a capo di un cantiere, ma non gli bastava. Suo
nonno gli aveva raccontato la storia di come la sua famiglia fosse
caduta in disgrazia
dopo un tentativo di ribellione da parte del capostipite, Maksimilien
Kozlov, uno dei fondatori del
Formicaio. Forse il vecchio sperava di indurre il nipote a desistere
dal tentativo di emergere dalla massa
e, invece, quelle parole avevano rivestito di dorata rivalsa le
intenzioni del giovane. Maksim era
rimasto a lungo all'erta, orecchie ben aperte e occhi vigili, in attesa
di un segnale
che determinasse l'inizio del cambiamento. Questo era giunto
trasportato nella borsa da viaggio di un Mastro
Viandante, un certo Akim, mandato da Mosca su richiesta della Koroleva,
per insegnare
nuove tecniche di costruzione agli operai. Maksim aveva intuito fin da
subito che dietro la maschera di uomo
efficiente e silenzioso si nascondeva altro, lo aveva visto
allontanarsi durante le pause e non separarsi
mai dalla propria tracolla. Gli si era avvicinato con cautela, mettendo
nel frattempo
da parte la propria razione settimanale di vodka annacquata, unico bene
di lusso concesso alle formiche.
A pochi giorni
dalla sua partenza, Maksim aveva invitato Akim a casa sua per offrirgli
da bere. Sperava
di riuscire a strappare al mastro qualche informazione, ma quello, dopo
aver tracannato metà del
contenuto dell'otre, si era addormentato. Ormai convinto di aver
sprecato l'unica occasione offertagli dal
destino, Maksim si era accorto della borsa abbandonata in un angolo
della stanza. Senza sapere cosa
aspettarsi ne aveva vuotato il contenuto, scoprendo cosa il Mastro
avesse gelosamente
custodito per settimane: una lettera sbiadita e logora di cui era
riuscito a leggere le prime parole
“Giuramento dei Viandanti”, un carboncino, una
mappa e un diario. All'interno delle pagine ingiallite
c'erano informazioni su ogni città sotterranea dei dintorni,
tra cui spiccava quella di Mosca, più
progredita di quel che avesse immaginato.
- Maksim! Ti
prego, accampiamoci finché non cala il buio –
disse Dana aggrappandosi al suo braccio.
Sua moglie aveva la dura tempra delle donne russe, l'aveva vista
scavare a mani nude, perdere tre dita della
mano sinistra e continuare a lavorare senza batter ciglio, eppure lo
stava supplicando
di fermarsi. Guardò le bende sul volto della donna, tinte
dal rosso del suo sangue e, senza dire una parola,
sollevò il braccio per indicare al resto della compagnia di
arrestare la propria marcia.
- Che succede?
- chiese Borislav preoccupato. Era il suo migliore amico, l'unico di
cui si fidasse
ciecamente, il
solo capace di seguirlo fino al centro della Terra.
- Ho visto
delle cavità in quelle pareti rocciose, ci accamperemo
lì per qualche ora e ripartiremo
dopo il
tramonto.
Nessuno parve
contento di quella decisione, fare una sosta poteva rivelarsi rischioso
a causa delle molte creature
sconosciute, nascoste nelle zone d'ombra. Solo il giorno prima due di
loro avevano perso la vita in un
agguato da parte di un feroce predatore dalla pelle coriacea.
Quelle
insenature, però, erano piccole e accolsero la compagnia
senza riservare sorprese. Lui e Borislav presero
posto all'entrata della caverna, uno a destra e l'altro a sinistra, per
poter difendere
il gruppo da eventuali attacchi esterni.
-A che pensi, Maks? -
disse Dana passandosi un unguento sotto le bende logore. Le aveva
intimato di
raggiungere gli altri per evitare gli ultimi raggi di luce, ma lei non
l'aveva ascoltato.
- Potresti
morire, lo sai vero? - le chiese senza staccare gli occhi dal paesaggio
sottostante.
- No, potrei
restare sfregiata.
Maksim sorrise
immaginando l'espressione accigliata di sua moglie, i capelli chiari e
sottili e gli occhi trasparenti come
l'acqua.
- E questa
eventualità non ti spaventa?
- La morte ti
è più vicina, Maks, e io sarò con te
quando arriverà, vi seguirò se sarà
necessario.
- Ho promesso
di portarvi via da quell'inferno sotterraneo, non me ne
andrò prima di aver tenuto fede a questo impegno.
Dana gli si
avvicinò, mentre il sole calava all'orizzonte e la sera
scendeva sui loro corpi stanchi. Le fasciature sul suo
viso erano ormai pregne di fluidi e sudore, Maksim le scostò
con delicatezza e poi le tagliò
via con il suo coltellino. Si sentì in colpa alla vista
delle gravi ustioni di Dana, ma non disse niente,
limitandosi a strappare dei lembi dalla propria tunica per coprirle.
Lei nel frattempo si rannicchiò
tra le sue braccia, in attesa della notte. Quando questa sopraggiunse,
la compagnia si rimise in viaggio
attraverso il deserto.
L'ambiente in
cui erano cresciuti era oscuro, illuminato da poche luci artificiali,
il buio era dunque loro amico. Avanzarono
spediti, ignorando il dolore delle ferite, ma con in testa un solo
obiettivo.
Videro Mosca
mentre il Sole tornava a bruciare la terra e l'aria che respiravano. La bellezza della
Piazza Rossa era un ricordo a cui loro non avrebbero mai potuto
accedere, della Cattedrale non
restavano che mura scolorite, mentre le cupole diroccate testimoniavano
l'antico
splendore di
una città ricca qual era stata Mosca.
Le dune
circondavano gli alti palazzi, ma non fu difficile trovare l'entrata
del Muraveynik. Dove un tempo sorgeva il
Cremlino, vi era un grosso varco che portava sotto la sabbia. Temevano
ci fossero delle
guardie, la Koroleva aveva sempre parlato di guerre tra Formicai, ma
riuscirono ad
attraversare
il passaggio indisturbati servendosi delle lunghe e ripide scale. Man
mano che scendevano
il caldo diminuiva, ma non la fame e la sete. Maks provò a
risollevare gli animi, ma mentre i gradini
sembravano prolungarsi all'infinito, anche la sua speranza iniziava ad
assottigliarsi.
Erano ormai
allo stremo delle forze, Borislav trasportava la figlia sulle spalle,
Dana si trascinava accanto a lui con
lentezza e persino lui sentiva di essere pronto a cedere, quando una
luce accecante non li costrinse a
fermarsi. Maksim cadde in ginocchio e poi fu di nuovo buio.
- Finalmente
ti sei svegliato! Credevo fossi morto, ma tua moglie ha così
tanto insistito che non ho potuto fare a meno di
portarti con noi. - gli giunse all'orecchio la voce squillante di un
vecchio.
Non doveva
avere più di settant'anni, aveva un aspetto curato e pulito,
diverso rispetto a quello degli anziani di
Korolev, distrutti dalla fatica e dal duro lavoro.
Maksim aveva
appena riaperto gli occhi, toccò il morbido tessuto sotto di
sé, mentre si abituava alla luce della lampadina
appesa al soffitto. Non ne aveva mai viste di così luminose,
ma non era l'unica cosa sconosciuta. Le
pareti gialle avevano un aspetto solido, così come i mobili
che riuscì a vedere dalla posizione in cui
si trovava.
- Dove sono i
miei compagni? - provò ad alzarsi, ma era troppo stanco.
- Sta
tranquillo, riposano nella stanza accanto. Tua moglie, invece, ha
vegliato su di te per tutto il tempo. - rispose
l'anziano indicando Dana, che dormiva raggomitolata su una poltrona.
- Borislav mi
ha raccontato della vostra impresa. Sono stato per molti anni un
Viandante e ogni volta che passavo da
Korolev e dai muraveynik vicini era una vera tortura. Conoscere la
verità e non poterla rivelare,
che triste fardello il nostro!
-Ti prego,
spiegami! - esclamò Maks. Tutte le risposte che cercava
stavano per essere rivelate. Il vecchio
sospirò.
- Mosca invia
da sempre aiuti a tutti i muraveyniki, ma il Korol' e la Koroleva hanno
deciso di tenerli
per sé, fabbricando false notizie per non farvi scoprire la
verità. A noi non era concesso parlare! Ma ora
è il vostro turno, è giunto il momento di
reagire, la Rivoluzione è vicina. Altri come voi hanno trovato
rifugio a Mosca. Benvenuto nella Resistenza, figliolo! - gli strinse la
mani entusiasta.
Infine avrebbe
compiuto il suo destino, avrebbe portato a termine l'impresa in cui i
suoi antenati avevano fallito. Per
se stesso, per Dana, per Korolev e per le sorti dell'intera
umanità.
Note:
Ho sviluppato questo plot, che giaceva da mesi nel computer, per
partecipare al contest di Wired. All'inizio pensavo che la storia
sarebbe finita così, ma proprio mentre il limite di 9000
battute mi induceva a tagliare parole su parole, mi sono resa conto di
avere ancora qualcosa da dire su Maksim e i Formicai, per cui, su
consiglio di Hanna
Sophie Lewis, ho deciso che presto questo breve racconto
troverà un seguito.
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