Capitolo 6 - Probabile Schizofrenia
6.
Probabile Schizofrenia
Un altro noioso giorno si prospettava davanti i miei occhi.
Quella mattina - avevo incominciato ad usare gli eufemismi umani, dal
gran che stavo in mezzo a loro - non c'era un granché da
fare.
Per me non
c'era mai nulla da fare.
Né questa mattina, né le prossime.
Così come quelle passate.
Nessuno
voleva che io avessi qualcosa da fare.
Un leggero ticchettio di sandali mi destò dalla mia noia.
«Mia Dea, Lui
desidera vedervi»
«Desidera, eh?
Magari potrei non presentarmi. Scelta saggia, non credi,
Megera?» risposi alla voce femminile.
Ero comodamente seduta sul mio triclinium nero e argento costruito
appositamente per me, mentre mangiavo distrattamente alcuni chicchi
d'uva.
Non avevo bisogno di voltarmi. A questo mondo c'erano solo due - anzi,
no, quattro - persone a me estranee che avevano l'ardito coraggio di
parlarmi senza temermi.
Megera era una di queste.
«In
realtà, mia Dea, credo non sarebbe saggio farlo arrabbiare.
Sembra una cosa veramente seria»
«Tu dici? Eppure la
tua aura funziona ottimamente su di lui,
perché non la mia?»
«Credo che il seme
del vostro potere sia già radicato a fondo nella sua
consorte, mia Dea» rispose Megera con un tono leggermente
divertito.
Mi voltai a sorriderle.
«Oh, ma io voglio lui. Di quella
povera disgraziata e insignificante donna che è la sua
consorte non mi importa proprio nulla. Anche se -questo devo
ammetterlo- le sono... grata, credo»
«La mia Dea conosce
il concetto di gratitudine?» mi chiese lei, con un piccolo
sorriso sfidante.
«Volete o nolente ho
una sorella benevola, cosa possiamo farci? Bisogna conoscere il proprio
nemico, no?» le risposi, con un sorriso tagliente.
Il sorriso di Megera si
aprì ancora di più.
«Quindi devo
comunicargli che non andrete, mia Dea?»
«No.
Andrò» le risposi con una sbuffo, alzandomi «voglio proprio
sentire di cosa mi accusano, ora. Lui
fa meno di quanto dovrebbe e poi io
vengo incolpata di fare solo ciò per cui sono nata. Prima o
poi avrà la mia vendetta...»
Gli occhi verdi di Megera, contornati da folte ciocche rosse, si
illuminarono come mai prima d'ora.
«Volete forse
che...»
«No» la
interruppi «Non c'è
bisogno di disturbarla. Alle mie faccende penso personalmente»
Mi avviai verso l'uscita.
La mia dimora era l'unica contornata da nubi nere, costante presenza
che qui giaceva qualcosa di oscuro.
Oh, che la pensassero come volevano, io il mio lavoro lo facevo e anche
bene.
Un paio di dicerie non mi facevano né caldo né
freddo, anzi, le ignoravo proprio.
Io ero più grande e saggia di quegli stolti che si facevano
creare palazzi immensi con tante di quelle sculture che non si capiva
mai con chi si stava parlando.
Non ero orgogliosa, no, avevo passato parte della mia infanzia con
Aidos
e lei mi aveva insegnato cosa fossero l'umiltà e la modestia.
Caso vuole, però, che Aidos fosse la sorellastra di Nemesi -
che era la migliore amica di Styx - e quindi, fortuna volendo, conobbi
anche la vendetta e l'odio.
Non c'è che dire, noi quattro eravamo una grande accoppiata.
Con felici e spensierati pensieri della mia quasi infanzia, mi diressi
verso la pomposa, immensa, sfarzosamente inutile sua dimora.
Oh, per me!
Non esisteva nulla di più inutile nell'universo di
quell'uomo.
Non faceva un nulla tutto il giorno e poi voleva che persino i
più anziani di lui lo trattassero come se lui li avesse
liberati dalla schiavitù eterna!
Io, IO, lo avevo salvato dal suo destino!
IO ero andata contro l'uomo più temibile che potessi mai
vedere, contro la mia famiglia!
IO avevo permesso a lui
e ai suoi dannati fratelli di poter respirare ancora!
Qualche segno di gratitudine? No.
Qualche segno di rispetto? No.
Odio? Sì.
Paura? Sì.
Terrore che potessi portargli via tutto quello che IO gli avevo
concesso? Sì. E tanto.
E lo avrei fatto.
Prima o poi, lo avrei spogliato di tutto quello che gli avevo fatto
dono; infondo, mi temeva già.
Ci saremmo evitati un sacco di cose, se solo quella sgualdrina non
avesse fornicato tutto il tempo con quell'idiota ignorante, e a
quest'ora, ognuno avrebbe avuto ciò che si meritava: io un
po' di pace e il mondo dei deficienti in meno!
Ma no.
NO!
La storia era dannatamente andata diversamente!
Mentre salivo gli ultimi gradini, vidi un'ombra nera nascosta contro
una colonna.
«Fatti vedere. Non
sono in vena di nascondigli, quest'oggi» dissi in tono
piuttosto cattivo.
Pensare a lui
mi metteva sempre di male - no, pessimo - umore.
«Sono... sono...
solo io» disse una voce maschile sottovoce.
La mia rabbia si calmò un poco, mentre vedevo la figura
avvolta da neri panni che si mostrava alla luce del sole.
«Anche tu sei stato
convocato?» chiesi, leggermente curiosa.
«Sì.
In... In realtà, tutti
sono stati convocati...»
Questo mi mise sull'attenti.
Di solito venivo ripresa a parte e mandata a casa con frasi del tipo
"questo non lo dovevi fare, ora vattene via!" o "se lo rifai di nuovo
troverò un modo per rendere il tuo soggiorno impossibile,
ora sparisci dalla mia vista!" e altre frasi molto dolci, ma ero da sola. Solo io e lui.
Cosa mai poteva essere successo di così grave?
Il mio passo aumentò mentre ci dirigevamo silenziosamente
alla sala delle udienze.
Il mio compagno di camminata aveva detto che io ero il centro della
questione e, a giudicare dalla sua faccia, non era una questione
divertente.
Come aprii l'immensa porta in marmo e oro, i suoi occhi azzurri come il
cielo e più freddi del ghiaccio si puntarono su di me.
«La farò
breve. Molto
breve. Ti ho convocata qui perché sei il centro
del dibattito odierno. Ne abbiamo già parlato in
tua assenza e vogliamo solo che tu veda i sì e i no
della cosa»
«Posso chiedere, mia
Divinità, di cosa sarei mai il ful-»
«Chi a
favore?» mi interruppe lui senza badare minimamente a quello
che stavo per dire.
Fra le sedute, solo poche mano non si alzarono.
Cinque, per l'esattezza.
«Nonostante la
domanda sia inutile, chi contro?»
Di quelle cinque mani se ne alzarono solo quattro e vidi l'inutile
speranza nei loro volti.
Loro sapevano, io no.
Ma lo avrei scoperto presto.
«Con il potere
conferitomi da me stesso, io,
l'onnipotente, esilio te
- il cui nome non dovrà mai più
essere pronunciato in questo luogo - a vagare per il resto
della tua esistenza fra i mortali umani, in quanto pericolo per noi
stessi e i nostri poteri. Questo è tutto»
In quel momento, l'ira mi
investì come una potente folata di vento.
«Con il potere conferitoti da te stesso? Quale stolto
conferirebbe mai un potere a te,
tu che non conosci nemmeno il peso del tuo compito e che mai, MAI,
porti a termine un compito a te dato?! Chi, CHI, devi proteggere? CHI
devi difendere? Io
sarei una minaccia? Un pericolo? Guardami bene negli occhi, stupido
stolto! Io esistevo da prima che tuo padre facesse i suoi primi pianti
e TU osi venire a dare ordini a ME?
Nessuno riuscirà a salvarti dalla mia collera, e a nulla
servirà pregare Nemesi per difenderti dalla mia vendetta.
Nemmeno quella sgualdrina di Styx, colei che inganna il vero per farti
giurare il falso, riuscirà a salvarti dal mio odio»
Prima di sparire in una nuvola di fumo nera, feci in tempo a vedere tre
cose.
La prima, fu la gratificante espressione di terrore misto a sorpresa
sul suo
volto
accompagnata dall'espressione stupita e infuriata della sua consorte; la
seconda, fu l'espressione sbalordita e ferita sul volto di Styx, e la
terza... la terza fu l'unica espressione che riuscì a
ferirmi.
Quel volto pieno di dolore e impotenza e quello sguardo supplichevole
di perdono furono l'unico rimpianto che mi sarei portata sul cuore per
tutta l'eternità.
Ma ciò ostacolava i miei piani di vendetta.
Anche comportandomi bene, non sarei mai più potuta tornare a
casa.
Così, quando mi ritrovai il quel sudicio pagliaio gestito da
mortali, presi la decisione più liberatoria e al contempo
dolorosa che avessi mai fatto.
Con sforzo e fatica, alcuni attimi dopo, il mio compito era terminato.
Avvolsi quella piccola creatura - così uguale a me da poter
essere la mia gemella - in alcuni dei miei drappi neri e, con ormai
nulla da perdere, mi voltai verso la strada per la mia vendetta.
Sull'uscio del pagliaio, però, mi voltai di nuovo a fissare
quella piccola cosa che avevo creato, l'unica creatura che era nata
senza un reale scopo.
«Tu. Tu sei tutto
quello che mia madre mi ha dato per poter rimanere me stessa, per
evitare che i miei poteri prendessero il controllo su di me.
Tu sei parte di me, piccola creatura. Tu sei me. Sei solo
quella faccia che mi impedisce di distruggere
quell'inutilità che si erge a onnipotente.
Sei solo quella piccola parte di me che solo una persona ha avuto
l'onore di vedere, e che nessun altro dovrà mai conoscere.
Tu sei tutto ciò che mia madre mi ha dato di buono e mi
sembra ingiusto, nei suoi confronti, porre fine alla tua esistenza.
Mi hai aiutato in più di un'occasione e in più di
un'occasione mi hai fatto scoprire cose che credevo a me proibite.
Nessuno più di me ti sarà riconoscente, piccola
creatura.
Quindi va' e vivi la tua vita. Io ho una vendetta da compiere»
Diedi la spalle alla creatura
e mi diressi verso una destinazione ignota mentre, lentamente, sentivo
l'oscurità dei miei poteri prendere il sopravvento e porre
fine agli ultimi barlumi di lucidità in me presenti.
"Alla fine, il momento
è arrivato. Madre! Ho sempre fatto appello a te per ogni mia
difficoltà ed ho sempre disprezzato ciò che
alcuni membri della nostra famiglia hanno fatto. Ma tu sai il
perché.
Questa volta... Questa volta sarà l'ultima volta in cui mi
inginocchierò e chiederò il tuo aiuto. Non ne
sono più degna, ormai.
Ma per l'ultima volta, solo per quest'ultima volta, abbracciami di
nuovo e scaldami col tuo tepore.
Portami consiglio come hai sempre fatto, Madre"
Rivolsi al cielo notturno tutta la dedizione e la fede di
cui i miei poteri non mi avevano ancora privata, conscia che la mia
tacita supplica sarebbe giunta come sempre alle orecchie di mia madre.
Ed ella ascoltò.
Mentre cadevo a terra, colta dalla disperazione e dalla sensazione
d'intorpidimento che avvolgevano me ed il mio corpo sempre di
più, mia madre accolse la mia supplica, e mentre chiudevo
gli occhi ella mi portò consiglio.
Avrei potuto affrontare qualunque cosa se solo avessi avuto mia madre
dalla mia parte.
Il suo supporto era la cosa più importante per me, e
benché sapessi che non potesse muovere un dito, ella era
completamente dalla mia parte.
Anche lei aveva capito che era ingiusto ciò che mi avevano
fatto, e potei sentire la sua collera in me.
Mia madre mi aveva portato consiglio, e quella mattina mi svegliai come
una persona completamente nuova.
La mia vendetta aveva inizio.
Quella mattina la sveglia
suonò più odiosa del previsto.
«Eris!! È
ora di alzarsi!» urlò mia madre dal pianterreno.
«No.. Cinque...
Cinque minuti...»
«Eris, ti
consiglierei di seguire il consiglio di tua madre ed alzarti. Oggi hai
la vista al museo»
«Non ti ci mettere
anche... COSA?! PER LA MISERIA È VERO!!!» dissi,
alzandomi in fretta e furia e raccattando in giro tutta la roba che mi
serviva.
Scesi volando - letteralmente - e mi fermai giusto un paio di secondi
per bere un bicchiere di latte.
Dannazione era veramente tardi!
Corsi a perdifiato quei dieci minuti di distanza dalla e scuola e per
un pelo arrivai all'appello.
«Buon giorno,
signorina Williams, spero abbia dormito bene» mi disse con
ironia affilata il professore.
«Sì,
decisamente» gli risposi, causando un suo sospiro.
Prendemmo posto sull'autobus e solo allora mi accorsi che Mary non
c'era.
«Dove...»
inizia a dire fra me e me.
«Oggi non stava
bene. Posso sedermi qui?» finì Thy per me.
«Certo»
gli risposi cordiale.
«Quindi... dove
stiamo andando che non ho ancora capito?»
«Al Met»
«Al...
che?»
«Met. Metropolitan
Museum of Art. Non faremo un granché, ma ci
andiamo per l'arte greca»
«Non mi dire:
Arte»
«Da
quand'è che sei così perspicace?» gli
chiesi ridendo.
Lui rise con me e poco dopo presi il mio caro e vecchio mp3 - ormai era
uno di famiglia - e lo accesi, facendo riprodurre una canzone in loop.
Evidentemente il rumore della chitarra era un po' più alto
del normale - il rock si ascolta al massimo o niente, eh! -
perché Thy mi guardò curioso.
«Che
ascolti?»
«Nulla di
particolare... tieni» gli dissi, porgendogli una cuffietta.
Abbassai il volume e feci partire la canzone.
Fu visibilmente scioccato dal non poi così dolce inizio
della canzone, e ciò mi suscitò una risatina.
Thy mi guardò leggermente male, ma arrivò alla
fine della canzone.
«... ... Mi
piace» disse semplicemente.
«Autore e
titolo?» gli chiesi
«Autore e
titolo» mi rispose.
Continuammo ad ascoltare un po' della mia musica e all'incirca un paio
d'ore dopo ci trovammo davanti al partenone newyorkese.
Be', era solo l'entrata del museo, nulla di che.
Dopo che il professore ci ebbe non poi così gentilmente
detto di fare un'adorabile fila indiana a coppie, entrammo dentro al
Met e incontrammo la guida, iniziando così il giro nella
parte greca del museo.
«Partiamo con un
paio di statue delle divinità più potenti
dell'Olimpo» disse la guida, facendoci fermare davanti tre
statue «Come ben
saprete, le tre divinità più importanti erano
Zeus...» e con un cenno della mano indicò
un uomo seduto, con folta barba e capelli ricci, affiancato da un
aquila «il cui animale
sacro era l'aquila; Poseidone...» disse, indicando la statua
affianco, raffigurante un uomo palesemente più vecchio del
primo, questa volta in pieni, con i
drappi che coprivano solo la parte bassa del suo corpo.
«Inizialmente, come
potete ben notare, Poseidone teneva in pugno il suo "scettro", il
Tridente, simbolo del governo su tutti i mari, ma purtroppo
è andato perso, e qui sembra che stia per fare a cazzotti
col primo che lo osserva» continuò con una risata.
«Infine, abbiamo
Ade, il re degli Inferi» ci indicò un busto con un
drappo nero adagiato sulla spalla sinistra. Il busto rappresentava un
uomo più anziano dei due precedenti - d'altronde, Ade era il
maggiore dei tre fratelli -, meno riccioluto, coi capelli un po'
più corti e la barba molto meno lunga rispetto ai due
fratelli.
Evidentemente, anche gli dei greci avevano problemi coi capelli lunghi
e ricci.
«Ma Ade non
è il dio della morte?» chiese qualcuno in mezzo al
gruppo.
«Ottima
domanda» rispose la guida, grata che qualcuno stesse
ascoltando «Generalmente, si
tende a considerare Ade come il dio della morte, ma è una
concezione sbagliatissima, anzi! Ade è il dio
dell'oltretomba, il dio del regno dei morti, non della morte in
sé.
La morte la si può ricondurre a
due entità minori, ma non per questo meno potenti.
La prima, più conosciuta, era Thanatos, il dio della morte;
la seconda, meno conosciuta, era Ker: dea della morte violenta. A
queste poi si aggiungono vari dei e dee che magari seguivano altri
più conosciuti»
«Che cosa vorrebbe
dire?» chiese qualcun'altro.
«Prendiamo per
esempio un dio famoso: Ares. Ares è il dio della guerra,
colui che gioiva nel vedere gli uomini combattere fra loro.
Ebbene, non era l'unico a scendere e... divertirsi, diciamo
così, quando si scatenava una guerra.
Lui ne era il protagonista principale, ma era affiancato da Ker, Styx,
Nemesi e tanti altri...»
"Ma tu guarda se non si
scordavano la più importante...!"
Mi voltai di soprassalto, guardando chi mai avesse parlato, ma
incontrai solo lo sguardo di Thy che mi fissava curioso.
«È
successo qualcosa?» mi chiese lui sottovoce.
«No, no... non
preoccuparti» gli risposi con un sorriso.
«... e procediamo
alla prossima sezione: le dee»
Dei gridolini si levarono dal gruppo.
Pochi passi dopo, eravamo in una sala con solo statue di dee, e la
guida ci illustrò le principali.
"Ma non mi dire...
nemmeno qui, eh? Beh, non vanto certo bellezza sopraffina o
intelletto degno dei sette savi, ma un po' di rispetto potrebbero
darmelo, no?!" disse di nuovo la voce di poco prima.
Mi voltai di nuovo.
«Eris, è
successo qualcosa?» mi chiese Thy un po' preoccupato.
«No, Thy, non
preoccuparti, non è successo nulla»
«Sei un po' pallida,
in realtà, ti senti bene?»
«Io...»
«Ti porto fuori a
prendere una boccata d'aria» disse deciso Matt,
intromettendosi nella discussione, e prendendomi per un braccio,
trascinandomi via.
«Matt, nessuno ti ha
chiesto di portarmi da nessuna parte!» dissi, mentre Matt
continuava a trascinarmi verso l'uscita contro il mio volere.
«Dobbiamo
parlare»
«E una visita
guidata - anche piuttosto interessante, devo ammettere - nel
prestigioso museo di New York ti sembra un buon posto?»
«Non importa,
dobbiamo parlare»
«Matt!»
dissi, dando uno strattone, in modo che Matt mi mollasse il braccio.
Ormai eravamo fuori dal museo.
«Eris...»
«Cosa? Cosa??
COSA???» chiesi esasperata.
Ormai non ne potevo più.
Matt mi era sempre rimasto attaccato, ma almeno mi aveva sempre dato un
po' d'aria per respirare, ed ora che era comparso Thy... puff, numero
uno dei cleptomani.
«Mi
dispiace» disse sincero.
«Mi dispiace? Mi dispiace?! Matt ma si può sapere
cosa diavolo ti è successo? Avevi promesso che cose del
genere non sarebbero mai successe! Mi chiami con nomi che sai
perfettamente che io odio; ti intrometti nelle mie
discussioni; mi fai fare complete figure di merda davanti la gente...
Matt, ma cosa ti sta succedendo?»
In quel momento, in quell'esatto istante, vidi sul volto di Matt
un'espressione che non avevo mai visto.
Era delusione, odio e tristezza.
Tristezza per me, ma odio e delusione per se stesso.
«Eris... io... non
lo so. Insomma, lo sai - lo sappiamo entrambi - che sono innamorato di
te e, credimi, ho tentato con tutto me stesso di andare avanti e... ci
stavo riuscendo.
Ma poi, spunta quel bell'imbusto di Soahc e manda all'aria tutti i
passi in avanti che ho fatto, tutta la fatica che ho speso.
Vuoi la verità? Sì, me lo aspettavo.
Mi aspettavo che come avessi trovato un tipo che ti piacesse -
perché devi ammetterlo che quel Thy ti piace, te lo si vede
da miglia di distanza - sarei diventato geloso, ma ero deciso a
mollare, a lasciarti definitivamente tutti i tuoi spazi.
Eri... Eri con un altro, fine della questione»
«Allora
perché non ci riesci? Se è "così
evidente" che Thy "mi piace", perché non te ne sei fatto una
ragione, Matt?» gli dissi calma, tentando di riceve delle
spiegazioni senza farlo sentire ulteriormente uno schifo.
«Perché
ogni volta che ti vedo insieme a lui mi verrebbe voglia di staccargli
la testa» disse di botto, semplicemente, come se fosse la
cosa più naturale possibile.
«M-Matt...»
«E vuoi sapere la
cosa divertente?» aggiunse interrompendomi «Sai quando ti eri
presa una cotta per James? Ecco, con lui era un nonnulla. Con lui non
succedeva niente. Vi vedevo insieme, ero triste e basta.
Con Thy... con lui è diverso. Gli farei soffrire le pene
dell'Inferno, per farlo stare lontano da te»
Rimasi a bocca aperta per una buona manciata di minuti.
Avevo un possibile spietato serial killer davanti i miei occhi e non me
ne ero mai accorta.
«Ok emh... non...
non lo fare, d'accordo, Matt? Non... non lo fare. Stai calmo»
Lui mi guardò serio, ed io sorressi preoccupata il suo
sguardo fino a quando non si aprì in un triste sorriso.
«Non sono ancora
così stupido, Eris»
«Meglio prevenire
che curare, eh!» mi voltai, ed incominciai a salire alcuni
gradini per rientrare al museo.
«...Eris?»
mi chiamò improvvisamente Matt.
«Sì?»
dissi, voltandomi verso Matt e fissando i suoi occhi azzurri tristi.
«... Mi
piaci»
«... ... lo so,
Matt, lo so» dissi, voltandomi e continuando a camminare a
testa alta verso il museo.
A testa alta e con un nodo al cuore.
Ci mettemmo un buon quarto d'ora nel ritrovare il gruppo disperso, e
passammo davanti innumerevoli reperti che mi sarebbe piaciuto poter
osservare con più calma, ma non avevamo abbastanza tempo.
Solo uno.
Solo un unico reperto catturò completamente la mia
attenzione.
Era un reperto che stavano sistemando, ma non potei identificare chi
fosse, dato che mancava la targhetta esplicativa.
Era una rappresentazione di un giovane nudo, senza braccia o gambe (il
marmo costa!) che guardava distrattamente l'angolo inferiore della sua
destra, come se stesse guardando qualcuno al di sopra di esso.
Aveva un'espressione abbastanza menefreghista, vero, ma era come se si
potesse notare una leggera sfumatura d'interessamento verso chiunque
stesse fissando.
Tutto sommato era un bel giovane: ben fatto, fisico leggermente
scolpito, capelli lunghi fino alle spalle e mossi...beh, sunto: un figo.
Chissà chi era...
«Eris! Finalmente ti
ho trovata!» disse una voce che si avvicinava, riportandomi
sul pianeta Terra.
«Oh...
T-Thy...»
«Woo...»
disse lui, ammirando il busto «Non sarai un asso
in arte, Eris, ma certo che hai buon gusto per le statue...»
concluse, tirando un'indiretta frecciatina a cui risposi con una
scherzosa gomitata.
«Vieni, torniamo dal
gruppo»
«Tu... Tu sai chi
è?» gli chiesi, continuando a fissare il giovane
ritratto nel torso.
Mi voltai a fissare Thy, il suo sguardo concentrato sul torso del
giovane.
«No» disse
infine, prendendomi per mano e conducendomi verso il gruppo.
"Bugiardo..." disse
di nuovo quella voce con tono triste "... non hai mai saputo mentire.
Non a me"
Mi voltai per la terza volta e per la terza volta non vidi nessuno.
"Ok, calma Eris, calma.
Stai... Stai seriamente incominciando a diventare pazza..."
/*Citazioni e Riferimenti*/
In questo capitolo ho messo un bel po' di nomi che non tutti conoscono: ecco la descrizione in ordine di apparizione.
▨ Megera: una
delle tre Erinni (personificazioni femminili della vendetta),
predisposta all'invidia ed alla gelosia. Induceva a commettere delitti
come l'infedeltà matrimoniale. Il suo nome significa
"l'invidiosa".
▨ Aidos: dea della modestia, della vergogna e dell'umiltà
▨ Nemesi: dea della vendetta e della giustizia (giustizia in senso personale e non giuridico)
▨ Styx:
detta anche Stige, dea del fiume Stige e della verità che veniva
giurata sulle sue acque. Bevendo le acque dello stige, se una
divinità avesse affermato il vero, non sarebbe successo nulla,
al contrario, avrebbe subito uno "stupore" doloroso che avrebbe
paralizzato.
▨ Ker: dea del destino dei guerrieri o della morte violenta (morte da battaglia).
▨ Sette Savi: i sette uomini più saggi dell'antica grecia.
/*Angolo
Autore*/
Nuove domande?
He, non vi do le risposte!
Ma lo faccio con affetto, eh! xD
- Kurokage
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